HANDHOUND AT THE

UNIVERSITY OF TORONTO PRESS

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IL PROPUGNATORE

NUOVA SERIE

IL PROPUGNATORE

NUOVA SERIE

PERIODICO BIMESTRALE

DIRETTO

DA.

GIOSUÈ CARDUCCI

COMPILATO

DA

A. BACCHI DELLA LEGA, T. CASINI, C. FKATI, G. MAZZONI,

S. MORPURGO, A. ZENATTI, 0. ZENATTI . ,1

Voi. III. - Parte I.

BOLOGNA

PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA

Libraio-editore delia R. CommissioDe pe' Testi di Lingua

1890

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r>-S. V.3

Proprietà Letteraria

Bologna 18y0. Tipi Kava p Gara^nani

LAUDI CORTONESI DEL SECOLO XIIL

(Continuazione e fine da pag. 205, Voi, II, Parie II).

XXXI.

Spirito sancto glorioso,

sovra noi sia gratioso. 2

[65 a] con gran dolzore venisti, la pentecoste tu compisti; li discipuli rinpisti del tuo amore gaudioso. 6

Colla tua virtù potente

del gran sono ke fo repente

lo splendore venne ardente

ke fo molto pauroso. 10

[65 6] A llor si fo a tutto aperto; omni lingua parlò certo; Io spiritu sancto con coverto ciascun fece copioso. 14

Tutto '1 mondo si renfresca,

lengua hebrea e francesca

e latina e gregesca:

ogn'omo era timoroso. 18

Tutta gente s'asutillia

de la grande maravillia;

ciascuno s' asimillia

suo linguagio proprioso. 22

Laudiam Cristo veramente,

l'alto padre omnipotente

de spiritu fervente

ke fa tanto delectoso. 26

XXXI. V. 2. Ripetuto due volte noi.

T. 4. II tu è aggiunto posteriormente.

6 G. MAZZONI

[66^5] Tu spirita paraclito,

tu ni dai pace et habito;

ciò ke ti fia placito

al tuo regno spatioso. 30

Già nuli' omo stia turbato:

lesù Cristo sia laudato,

sempre sia glorificato,

m'è dolce et amoroso. 34

De l'umanità del servo

tu prendesti carne e nervo;

come a la fontana '1 cervo

venisti desideroso. 38

Di nui ti prenda pietade;

tu, signor d'umilitade,

per la tua benignitade

sempre se' di noi geloso. 42

[665] donasti pace al mondo tu, signor fresch' e iocondo ; tu ne guarda del profundo di quel logo tenebroso. 46

v'à nulla luce;

ogne reo vi si conduce;

ki vi cade tutto cuoce;

giamai non starà otioso. 50

Al tuo regno ne conduca

san Matheo, Marco et Luca,

san lohanni, quei k'è duca,

ke per te è virtuoso: 54

ke possiam teco regnare, colli sancti te laudare, et veder glorificare [67 a] l'omo k' è mo' ruinoso. 58

XXXI. V. 37. Il ms. come a la fontanil nal [o ual] cervo. V. 46. Il ms. tenebrohroso.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 7

E gioia ke sempre grana

la 'ncarnatione humana

per la vergene sovrana,

di ke sempre sta' gioioso. 62

La divinitade pura

prese, homo, in te natura:

nostra fede non si scura

perké se' si pietoso. 66

Cristo, non ti sia disdegno

perché tu se' nostro pegno ;

danne parte di tuo regno,

di quel fructo savoroso. 70

Di quel cibo spiritale ke sirà sempiternale, vivo pane sustantiale [67 61 cum dolge aulor pretioso. 74

Tutti i sancti fai gaudere,

cum tanto amor permanere

ke ciascun à '1 suo volere;

di nullo ben è invidioso. 78

Multo fanno gran laudore;

tanto i tene in grand' onore,

come ricco creatore

d'onni ben delitioso. 82

Li angeli cantan gloria;

lesù, dolce memoria,

spiritu de Victoria,

terribile et abundoso. 86

Tu, dolzore cum dolge^a, tu, suave cum plagerà, tu, potente per forte^a, [68 a] come signor ponderoso. 90

XXXI. V. 63. Il ms. dinitade. V. 89. Il ms. to potente.

8 G. MAZZONI

GarQO de la gran speranza

a te, Cristo, per pietanga:

tu n'ài facti a tua sembianza;

prego ke ne dea riposo. 94

XXXII.

Spirito sancto da servire,

dann' al core de te sentire. 2

Spiritu di veritade,

e fontana de [68 6] bonitade,

per la tua benignitade

la tua via ne fa' seguire. 6

Spiritu de pietade,

fiamma ardente et caritade,

ben stare in securitade

ki a te vole obidire. 10

De l'alto Dio se' donamento,

fonte viva et ungemento;

spiritu d' entendimento,

tu ne degi mantenere. 14

[69 a] Spiritu consilliadore,

d'ogne veritade se' doctore ;

ki te lauda cum bon core

mai non porrea perire. 18

Spiritu del sancto timore,

ke convertici peccatori,

tu se' casto e dolce amore

più ke lingua non dire. 22

Spiritu de sapienza,

de forteca e de scienza,

la tua compagnia ke presenca

tu la degi mantenere. 26

XXXII. V. 18. Va (1 porrea è aggiunta posleriorinenlc.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 9

E i profeti amaistrasti

et la vergene obunbrasti:

tutta la santitìcasti

ennel tuo sane lo venire. 30

[69 òl Tu mostrasti a san Francesco el seraphin crucifixo; le piaghe de lesù Cristo in lui facesti reflorire. 34

Li discipuli mundasti,

confortasti et inlìambasti;

le lor lingue tu mutasti

per ogne lingua savere. 38

L'anima ke te sente

ben stare alegramente:

di te amar non se pente,

per cui pensa ben Unire. 42

De li insti se' dolgore,

patre de li peccatori;

l'anime fai sancte et pure,

et a gloria pervenire. 46

XXXIIL

[10 a] Alta trinità beata,

da noi sempre si' adorata. 2

Trinitade gloriosa,

unità maravilliosa,

tu se' manna savorosa

a tut'or desiderata. 6

XXXII. V. 36. Il ms. infìahasti.

XXXIIL V. 3. Il de di trinitade è aggiunto posteriormente.

V. 6. desiderata è ripetuto anche in principio della pagina se- guente.

10 G. MAZZONI

[10 h] Da voi, maiestade eterna, deitade sempiterna, la citade k' è superna kiaramente è luminata. 10

Noi credem senga fallanga,

fermamente cum speranza,

tre persone, una sustantia,

da li sancti venerata. 14

Li animali oculati

ke vangelisti som chiamati

lauda l'alta potestate

cum la voce concordata. 18

Abraam en trinitade intense la deitade: [71 a] li angeli li fòr mostrati

en figura humanata. 22

Quando vidde tre figure

adorò un creatore;

e 'mperciò da te, segnore,

la so fé' fo confirmata. 26

En tutte le creature

si reluce '1 tuo splendore

come dicon le scripture,

et è verità provata. 30

La potenza in creando,

sapienza in ordinando,

bonità in gubernando

ogne cosa tutta fiata. 34

XXXIII. V. 10. Il ms. elumina. V. 17. Il ms. poteste. V. 19. Il ms. trinide. V. 25. da te è ripeluto due volte.

V. 26. Cosi originalmente il ms. Fu poi corretto in fede. V. 29. Aggiunto poi a dicon un o finale.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 11

Tu padre celestiale, -

per lor guardar [71 h] d'ogne male,

el filiolo a te uguale

mandast' a la gente insanata. 38

Nella vergene descese,

stect'ellei nove mese;

pura carne di lei prese,

per noi molto tormentata. 42

Spiritu sancto, amor iocundo

ke Tempisti tutto '1 mondo,

tu ne guardi dal profundo

et perdona li peccata. 46

Ki te ama crede sempre

tutto '1 mondo per niente:

alt' e fort' è la sua mente,

pili ke rocca k'è fidata. 50

0 verace trinitade,

fa' per la tua [72 a] pietade

ke nostra humilitade

en vita eterna si' exaitata. 54

XXXIV.

Troppo perde '1 tempo ki ben non t'ama,

dolc' amor, lesù, sovr' ogn' amore. 2

[72 6] Amor, ki t'ama non sta otioso, tanto li par dolge de te gustare; ma tutto sorvive desideroso come te possa strecto pili amare; [73 a] tanto sta per te lor cor gioioso ; ki noi sentisse noi saprìe parlare quant'è dol^'a gustar lo tuo savore. 9

Savor cui non si trova simillianca, 0 lasso! lo mio cor poco t'asaggia.

12 G. MAZZONI

Null'altra cosa non m'è consolan [73 6] ca,

se tutto '1 mondo avesse e te non agio.

0 dulc'amor, lesti, in cui ò speranza,

tu regi '1 mio cor ke da te non caggia,

ma sempre piti ristringa '1 tuo dolzore. 16

Dolgor ke tolli forca ad ogni amaro

et ogni cosa muti in tua dulceca;

questo sanno li sancii ke'l provàro,

ke féciaro dolce morte in amaricci;

ma confortolli el dolce latovare

di te, lesù, vensar' ogn' asprecca,

tanto [74 tt] fosti suave in li lor cori. 23

Cor che te non sente ben star tristo,

lesù, letitia et gaudio de la gente:

solaco non pot'essar senca Cristo;

taupino ch'eu non t'amo ben fervente!

Ki far potesse tolto ogni altro aquisto,

et te non agia, di tuli' è perdente;

et senca te sirebbe in amarore. 30

Amaro in nullo core puote stare

cui tua dolceca dona condimento:

ma tuo savor, lesii, non [74 &] gustare

ki lassa te per alti'O intendemento.

Non sa può lo cor terreno amare

si gran celestial delectamento :

non vede lume, Cristo, in tuo splendore. 37

Splendor ke doni a tutto '1 mondo luce,

amor, lesù, de li angeli belleca,

cielo et terra per te se conduce

et splende in tutte cose tuo forteca:

ognunque creatura a te s'aduce,

ma solo '1 peccatore '1 tuo amor spreca,

et partise da te [75 a] suo creatore. 44

XXXIV. V. 42. Il ms. cratura.

V. 44. te è ripetuto anche in principio delia carta seguente.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 13

Creatura humana, scognoscente

sovr'ogn'altra terrena creatura,

comme ti puoi partir si per niente

l'alto factor cui tu se' creatura,

ei ke ti chiama cusi amorosamente

ke torni a lui, ma tu pur li stai dura

et non ài cura del tuo salvatore! 51

Salvatore ke de la vergene nascesti,

del tuo amor darne non ti sia desdegno;

gran segno [75 &] d'amor alor ci desti

quando per noi pendesti en su Ilo legno.

Nelle tue sancte magne ci descri visti

per noi salvare et darci lo tuo regno:

lege la tua scriptura buon scriptore. 58

Scripti sul sancto libro de la vita, per tua pietà, lesu, ne representa: la tua scriptura ia non sia fallita; el nome ke portam de te non menta. La mente nostra fa' di te condita, dulcissimo lesù, si ke te senta [76 a] et trictamente t'ami con ardore. 65

Ardore ke consumi ogni freddura,

purghi et illumini la mente,

ogn' altra cosa fai parer obscura

la qual non vede te presentemente;

et giamai teco amar non cura

per non cessar l'amor da te niente;

et non ratemparallo el tuo calore. 72

Galor, si fai l'anima languire et struggere lo cor di te inflammato, ke non è lingua ke 'I potesse dire [76 b] cor pensare, se noli' à provato. Oimè lasso, fàmmete sentire;

XXXIV. V. 72. Il ms. dal tuo.

14 G. MAZZONI

riscalda Io mio cor di te gelato,

ke non consumi in tanto freddore. 79

Freddi peccatori, el grande fuoco

nello inferno v'è aparechiato;

se questo breve tempo k' è sf poco

d'amor lo vostro cor non è scaldato:

però ciascun si studi in onni luogo

d'amor di Cristo essar abraciato

e confortato del suave odore. 86

[77 a] Odor ke trapassi ogn'aulimento,

lesu, ki ben non t'ama fa gran torto;

chi non sente el tu' odoramento

0 dilli - è purulente - o dilli - è morto! -

E' fiume viro del delectamento,

ke lavi ogni fetore et dai conforto,

et fai tornare lo morto in suo vigore. 93

Vigorosamente li amorosi

ano quella via en tanta dolcega,

gustando quelli morselli savorosi

ke dona Cristo a quelli k'àno sua [Uh] contesa

ke tanto sono suave e delectosi:

ki bene l'asagia tutto lo mondo despre^a,

e quasi en terra perde suo sentore. 100

Sentiamoni, o pigri, o negligenti,

e bastane el tempo e' agiamo perduto.

Oimè lasso, quanto siamo stati sconoscente,

c'al pili cortese non aviamo servito:

cului ke ce enpromette celestiale presente

a cui r inpromette già no l'à falluto,

e ki lui ama li stane [78 a] buono servidore. 107

Servire a te, lesù, mi' amoroso, più che nul altro delecto;

XXXIV. V. 101. Cosi il ms. La prima parola non la intendo.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 15

gemai el core non trova altro riposo si non se en te, lesii, amor perfecto, ke de li tuoi servi se' consolatore. 114

Consolare non terrena cosa l'anima k' è facta a tua semblan^ : pili ke tutto '1 mondo è pretiosa e nobile sopra ogni altra sustantia; e solo tu, lesu, li pòi dare posa e rimpiere sua bastanza; [78 b] emperciò ke tu se' solo suo raaiure. 121

Maiure engano non me pare ke sia ke de volere quello ke non si trova; comò fa l'anima ke fuor è de la via, crede ke '1 mondo l'empia

e fare ne vole lege nova

ma non pot'essare, '1 mond'è minore. 128

Minorare se vole el core villano ke del mondo se kiama contento; volere te, lesii, amore sovrano, cambiare elio terreno entendemento : [79 a] ma se lo suo palato fosse sano, a gustare si a gran delectamento, sovr'ogn' altro sireste lo meglore. 135

XXXIV. vv. 109-411. Il verso 109 mancante di più sillabe mostra già il guasto, che si fa maggiore per la perdita dei due versi seguenti. Li indico con puntolini : nel ms. non v' é nessun segno di lacuna. V. 126. Anche qui indico con puntolini il luogo d' un verso man- cante, senza che il ms. abbia segno di lacuna. Inutile avvertire che del guasto si risente il v. 127.

16 G. MAZZONI

Meglore cosa de te enella mente

non desiderare;

emperciò dovarebe el core con teco

laisu sempre colla mente conversare,

onni creatura de quagiii

per lo tuo amore, e niente reputare,

et solo te pensare, dolce segnore. 142

Signore, ki te vole dare la mente pura

non te dea dare altra [79 ò] compagnia:

spesse fiade per la troppo cura

la mente da te se desvaga e si disvia.

Dole' è amare la creatura,

ma '1 creatore più dolc' è ke mai sia :

emperciò se dea temer cum gran tremore. 149

Tremore e gilosia porta la mente,

ki ben t'ama, e 'mperciò ke non te despiacia,

partese da tutta l'altra gente

e solo te, lesù, el suo core abracia:

onni creatura à per niente

enverso la belle^a [80 a] de la tua faccia,

tu ke d' ogne belle^a se' factore. 156

Fame solo te, lesù, pensare

ed ogn' altro pensiero dal mio core scacia:

en tutto questo mondo io non posso trovare

creatura ke me satisfacia.

0 dulce lesù, famme te amare

e doname gratia ke '1 mio amore te piacia,

tu ke d'ogne gratia se' datore. 163

XXXIV. vv. 136-142. La strofe è lacunosa: ne dispongo i versi e i frammenti de' versi superstiti sulla scorta delle rime in are ne' pari; ma la rima dei dispari mi si nasconde. Il ms. le parole del testo senza alcun segno di lacuna.

V. i52. Il ms. ripete da tutta due volte.

V. 154. Manca sulla seconda sillaba di niente il segno della nasale.

V. 155. Il ms. de la sua faccia.

V. 157. Il ms. lesu per pensare.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 17

Dame tanto amor, lesii, de te ke me basti

ad amare quanto io [80 h] so' tenuto :

per Io grande pre^o ke per me pagasti

per me da voi sia reconusciuto.

0 dulce creatore, quanto m' obligasti

ad amare pili k' eo non ò pututo,

non posso senga voi confortatore! 170

Conforto lo mio core ke per te languesce

ke sen^a te non vole altro conforto.

Oimè lasso, più degiuno endebelesce

el core ke tu non pasci el vivo e morto;

ma se de lo tuo [81 a] amore asagiasse, revivisce,

e dorme a vita, amore, en questo porto,

tu ke se' sopra ogne altro aitatore. 177

Aitame, amore, che non perisca;

amore dolce, ke per amore io t' adomando,

prègote ke '1 tuo amore non me fallesca,

receve li miei suspiri ke io te mando:

se tu voli ke io per te languesca,

fa' ke me piacia k' io volilo morire amando

per lo tuo amore, [81 b] o dolce redemptore. 184

Redemptore, questo è mio volere

d' amarte e de servire quanto io potesse :

0 dulce Cristo, debiate piacere

ke '1 mio core del tuo amore s' empisse :

quella ora fallame vedere

ke tu, lesii, el mio core tegnesse,

e de me fosse cibo pascilore. 191

Pasceme, o pane celestiale,

e d' ogn' altra cosa fame enfastidire ;

0 cibo de vita sempr' eternale,

ki ben [82 a] t' asaggia maio non morire :

XXXIV. V. 195. Lascio maio, per mai, ritrovandosi questa forma in altri testi umbri e qui nella lauda XXXVI, v. 27. Voi. Ili, Parte I 9

18 G. MAZZONI

famme questo dono spellale

k' i' te, lesù, possa sentire,

et per pietan(?a, o largo donatore, 198

donarne del tuo amore desiderato;

del tuo dolce amore famene asagiare;

desopra ogne altro cibo è delicato,

e tutto '1 mondo volilo degiunare.

La lengua ke l' asaggia in lo palato

lacte [826] et melle fàli distillare

e renovare la mente cura fervore. 205

Fervente amore li dai, lesii,

ki canta Io delecto de si grande altera:

es fine ki vive in terra de quagiii,

tu regi la sua vita en gran nectega;

solaio li dai de te, lesù,

e poi li doni gioia de la tua contega,

e regna teco tutte l' ore. 212

XXXIV. w. 199 e segg. Dopo il v. 199 il manoscritto seguita con le parole che qui scrivo nella forma di versi: d' ogn' altra cosa famme enfastidire et sopra ogn' altro cibo è desiderato. Il primo di questi non é che il v. 193; il secondo non è che il V. 201 lievemente mutato: onde s' intende la svista dell'amanuense. Li tolgo, e la strofe ha perfetto il suo svolgimento : manca , come a prima vista po- trebbe alcuno sospettare, un' altra strofa cui quei due versi appartenessero; della serie non interrotta fanno fede le parole donarne e fervore che si allacciano con donatore del v. 198 e con Fervente del v. 206. V. 212. Anche a quest' ultimo verso mancano due sillabe , quasi ultima testimonianza della corruzione del testo. Della quale corruzione è forse un indizio la rima o assonanza interna che si ha più o meno palese nell'ultimo verso di alcune strofe in rispondenza col verso antecedente; per esempio, ne'v. 8-9, 50-51,6/^-65,85-86,92-93,141-142, 148- 149, 162-163, 204-205. Non indicai in questi casi la pausa graficamente, perché troppo rari e non confermali dal maggior numero delle strofe; ma certo sono notevoli.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 19

XXXV,

Stomme allegro et latioso [83 a] questo mondo delectando; ma '1 iudicio rimenbrando sto dolente e pauroso. 4

Pauroso è di fallanga questo [83 b] mondo pien d' errore: signor, faite penitentia, s' aproccia '1 grand' errore ke '1 nimico ara '1 valore; ciò fìe a la fine del mondo, [84 a] ke ciascun sirà remondo

d'esto dilecto fetoroso. 12

Fetoroso foco et martirio

giù de lo 'nferno salirà;

un altro del purgatorio.

Io terco da ciel verrà:

lo primo li dampnati ardarà,

r altro purgarà ki fie salvato,

et per lo tergo fie purgato

lutto '1 mondo luminoso. 20

[84 ò] Luminosi splendienti angeli da ciel verràno; le corpora de le gente tutte quante rifaranno: altri cum tube sonando diranno ai morti: « Surrexite! dinanzi al indice venite di render rascion d' ogn' otioso. » 28

Osamente suscitati

scranno quasi in um momento:

XXXV. V. 13. Il ms. Fetoso.

20 G. MAZZONI

in duo parti raunati,

per audir lo parlamento.

Quei e' andran a dannamento

staran in terra a man sinistra;

li insti staranno a dextra

cura ti[85a]mor maravellioso. 36

Maravellioso con fervenca

quando verrà a indicare

con angelica sequenga,

Cristo starà in su nell' aire :

non fie si insto ke tremare

non facia quando darà sententia:

ki no li avara fact' ubidientia

duvrarà ben essare timoroso. 44

Timorosa pietanza

la corona fie a vedere,

la croce, i chiovi et la lancia,

coi pati gran martire,

l'aceto e '1 fele k'ebbe a bere

che i fo [85 6] dato colla spongia,

quando in croce fece pugna

per noi misericordioso. 52

Misericordioso sirà

non già, ma sirà ciascun meritato,

secundo ke servito avara

la u '1 bene e '1 male fie retrovato.

Ghiamarà quel dal diricto lato:

« Del mio padre benedecti,

voi ke sete puri et necti,

venite a regno delitioso! > 60

XXXVI.

Oimò lasso e freddo lo mio core, [86 a] ke non sospiri tanto per amore

ke tu morisse? 3

LAUDI COETONESI DEL SEC. XIII 21

Morire dovaresti, falso sconoscente, villano, cieco, pigro e negligente, [86 6] per amor non vivi fervente

si ke languise. 7

Languisci ripensando la tua noia,

ke de l' amore lesii t' à tolta gioia ;

prego, cor mio, la mia vita croia

pili non seguisse. 11

Seguita r amor ke valere più ke tutto '1 mondo a possedere: [87 o] sotilliate, cor mio, a ben videre;

or non fallisse. 15

Fallir, cor mio, spesso te retrovo

se de r amor mio lo desiderio trovo :

s' tu de' pensar lui esser pena provo

or n' ond' oscisse. 19

Uscir ne converrea d' entr' a la gente

e restregnar tutto enella mente;

de tutto '1 mondo non parlare niente

et in De' udisse. 23

Odi e intende, bel mio core;

acónciate a gaudere de 1' amore ;

vorrea ke [87 h] Deo pensare a tutte 1* ore

maio non fenisse. 27

Fine pone a la tua sconoscen^a,

a la tua gran pigritia et nigligentia:

vorrea ke de 1' amore obedien^a

non te partisse. 31

Pàrtete da ogne entendemento

ke non te podarà se none perdemento:

XXXVI. V. 7. L' ultima sillaba di languise è aggiunta posteriormente. V. 27. Per maio cfr. la lauda XXXIV, v. 195. V. 33. Facile correggere: Ke non te dar se non.

22 G. MAZZONI

faratte stare 1' amore de contento,

se r obedisce. 35

Obedesce e sta' aparechiato

al grand' amore, lesii desiderato:

se viene [88 a] non sia più da te caciato,

e non fugisse. 39

Fuge, cor mio, se' messo en cacia;

la carne e '1 mondo e '1 diavolo te menacela :

ma porgale l'amor lesii li braccia,

ke non perisse. 43

Perire potaresti si non se' defeso,

dal grande amor lesii da cui se' aceso :

vòlte abracciare e sta en croce desteso,

s'a lui venisse. 47

Vienne, cor mio, andiamone a la croce: sospira e piange et lassa si [88 h] grande boce ke fenda el polmone enfine a la foce e transmortisse. 51

Transmortisci, cuore, e va' gridando

e pure amore amore amore amando,

ke no l'ai puramente amato va dolorando,

e parturisce. 55

XXXVII.

Chi vole lo mondo despreccare

sempre la morte dea pensare. 2

[89 a] La morte è fera e dura e forte, runpe mure e passa porte; ella ene si comune sorte ke neuno ne campare. 6

[89 &] Tutta gente cun tremore

vive sempre cun gran tremore,

XXXVII. V. 7. Lascio tremore; ma la ripetizione della slessa voce in rima nel seguente verso suggerisce qui timore.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 23

enperciò ke son securi

di passar per questo mare. 10

Papa collo 'nperadori,

cardinali e gran signori,

insti et sancti et peccatori

fa la morte ragualliare. 14

La morte viene com furore,

spogla Tomo come ladrone;

satolli et freschi fa degiuni

e la pelle remutare. 18

Non riceve donamente;

le richece [90 a] à per niente:

amici non vole parenti

quando viene al separare. 22

Centra liei non vale fortega,

sapienca belleca,

turre palago grandeca;

tutte le fa abandonare. 26

A r omo k' è ricco e bene asciato,

a r usurieri ke mal fo nato,

molto è amaro questo dectato,

ki non se vole emendare. 30

xxxvm.

[90 è] Laudar volilo per amore

lo primer frate minore. 2

San Francisco, amor dilecto,

Ghristo t*à nel suo cospecto,

perhò ke fosti [91 a] ben perfecto

e suo diricto servidore. 6

XXXVII. V. 15. Il ms. come.

24 G. MAZZONI

Tutto el mondo abandonasti,

noveir ordine piantasti,

pace in terra annuntiasti

corno fece el salvatore. •IO

In tutte cose lo seguisti,

vita d'apostoli facesti,

multa gente convertisti

a ludare el suo gran nome. 14

Tre ordine piantasti;

li minori in prima vocasti,

e puoi li donni reserasti,

li continenti a perfectione. 18

[91 h] Si fosti pieno de caritade ke insignavi a li animali come dovessaro laudare Io suo dolce creatore. 22

Tanto fosti amico a Deo

ke le bestie t' ubidièno ;

r ucielli in mano a te venièno

a udire lo tuo sermone. 26

Per lo mondo gisti predicando

et sempre pace anuntiando,

fede de Ghristo confìrmando

et confondendo onni errore. 30

En Saracinia tu passasti,

senza timore ci predicasti;

lo martirio desiderasti

ferveremente per ardore. 34

[92 a] Martirio esso fa per desiderio, tanto mortificasti a Deo; nullo male te sapea reo de patire per lo suo nome. 38

XXXVIII. V. 25. a te é aggiunto posteriormente.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIH 25

Del suo amore stavi iocundo,

disprecavi tutto '1 mondo;

di e nocte andavi a torno

per trovare lo tuo segnore. 42

Per le selve el già carendo;

ad alta voce iva dicendo:

« 0 sire, si a te m' arendo

k'io languesco del tuo amore ». 46

Del suo amore tanto languisti,

en croce eli' ari lo vedesti:

culli suoi signi [92 0] remanisti,

tanto el portasti in core. 50

El prendesti Ghristo a Parao;

le piaghe en te si renovàro ;

elio tuo corpo si trovàro

si coramo l'ebbe el salvatore. 54

En vita tua santificasti;

molti miraculi mostrasti

quando del mondo trapasasti,

e in cielo n' aparve grande splendore. 58

Geli e troni se ne mutàro

per r alti segni ke in te trovài'o :

tutta la corte aparechiàro

per te recevar ad onore. * 62

Ghristo culli angeli tutti quanti et la [93 a] sua madre colli sancti

XXXVIII. V. 48. Il ms. en croce ellari. Leggo eli' ari, vedendo neli' arti- colo r assimilazione che nel ms. é frequente di elio = en lo (cf. qui subito al v. 53), e ari come equivalente per l'amanuense a aeri, aere. Nel Magliabechiano II, i, 122, a carte 120, una laude per San Francesco, edita dal Mancini (pag. 6), ha : eh' en airi era levata la tua persona da lo 'ntendimento. V. 51. Il ms., per errata iniziale, FI prendesti.

26 G. MAZZONI

vénaro per te con dolci canti

menartene cun grande honore. 66

Facesti la corte ralegrare,

dolcissimi versi cantare,

davante 1' alta maiestade

reddendo laude cun amore. 70

XXXIX.

Sia laudato san Francesco,

quelli e' apparve en croce fixo

comò redenptore. 3

[93 b] A Ghristo fo configurato ; de le piaghe fo signato em perciò k' avea portato scripto in core lu suo amore. 7

[94 a] Molti messi avea mandati la divina maiestade e le gente predicate comò dicono le scripture. 11

En tra li quali non fo trovato nullo privilegiato, d' arme nove coredato

cavalieri a tant' onore. 15

*

A la Verna, al monte sancto,

stava '1 sancto cun gran pianto;

lo qual pianto li torna in canto

el Sarapyn consolatore. 19

Per divino spiramento

folli da [94 h] to intendimento

de salvare da perdemento

molti k' eran peccatori. 23

Quando fo da Dio mandato San Francesco lo beato,

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 27

lo mondo k' era entenebrato

recevette grande splendore. 27

A laude de la trinitade

ordine tre da lui piantate

per lo mondo delatate

fano fructo cun alore. 31

Li povari frati minori

de Ghristo sono seguitatori;

de le gente son doctori

predicando senga errore. 35

[95 a] V altre sono le preti'ose margarite gratiose verdove donne renchiuse per amor del Salvatore. 39

Gli frati continenti

coniugati penitenti

stando al mondo santamente

per servire al creatore. 43

San Francesco glorioso,

tutto se' desideroso ;

de Dio fosti copioso

amoroso cun dolzore. 47

Per la virtude sancta

a Dio data tutta quanta,

questa dolce laude canta

di te, Francesco, franco core. 51

[956] Angelo per puritade, apostolo per povertade, martiro per volutade,

XXXIX. V. 42. Il ms. modo. Debbo avvertire che modo per mondo tro- vasi anche nella lauda XL al v. 106. Vedasi su alcuni casi consimili la nota al v. 60 della lauda III. V. 52. Manca l'iniziale A.

28 G. MAZZONI

fosti per lo grand' ardore. 55

Mostrò la tua sanctitade

et la pura fidelitade

r ucelli da te predicate

stando queti et securi. 59

Penitentia predicasti,

nova regula portasti,

la passione renovellasti,

Clara stella de 1' albore. 63

Molti enferme tu sanasti,

cieki et ratracti su sanasti,

morti pili resuscitasti

dand' a lor vit' et vigore. 67

[96 a] E in terra e in mare et in onni lato sancto fa vere et provato: lo tuo nome è invocato sanità d' ogne baldore. 71

Danne, padre, en donamento

lo tuo ricordaraento,

ke lo nostro intendemento

te seguisca, guidatore. 75

0 lucerna, sole et luce,

tu ne governa e ne conduce:

sf sia nostro porto et foce

ora, sempre et tutte V ore. 79

XL.

Ciascun ke fede sente vegn'a [%h] laudar sovente

XXXIX. V. 67. Il ms. vir et. Potrebbe pensarsi ad un latinisntio; ma trat- tandosi di morti resuscitati, vita mi sembra correzione certa.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 29

r alto sant' Antonio beato. 3

Ciascun laudare et amare

lo dea de buon coragio,

de ben fare [97 a] soforgare

volse 'n piccolo etagio.

Tutt' ore pensare formare

com' a Dio fare humagio

potesse, d' Ulisbona

si parte, se consuona

la legenda, [97 h] unde fo nato. 12

Lassò richeca grandega

k'era de grande valore,

e prese asprega che sprecga

vanagloria e baldore:

volse basseca k' envega

de salir a grand' altore.

Per tale via volse gire

ad alto Dio servire:

monaco devenne regulato. 21

Facendo vita compita

di bon facti ordinati,

ebbe audita bandita

ke sette minori frati

da gente enita [98 a] fallita

fòr morti e dicollati

predicando la croce:

udendo quella voce

de martirio fo inamorato. 30

XL. V. 3. Manca su Antonio il segno della nasale.

V. 7. Il ms. volse piccolo.

V. 11. Il ms. consuma.

V. 16. Il ms. vanagloriri.

V. 24. Il ms. banditala.

30 G. MAZZONI

Fo tale inteiiQa, partenca;

divenne frate minore,

et providen^a largherà

d' essare predicatore.

La miscredenca fallenga

confondiero ogne errore

in terra pagana

et la lege Christiana

in Nazaret per essare tormentato. 39

Con quello dissuire compire mòssarse, intràro in nave al nostro sire piacere non fo di lor gdu; [980] fallo revenire, currire in Cicilia suave; aportollo in Romagna per fare di lui magna tutta la chiesa grande chiercato. 48

Ben fo dirictura e altura

avesse in Dio potenza

con omilitade pura misura

ebb'e grande obedienga

d* amare dura osscura

0 per forte astinenza

tene sempre ocultata

la scienza presciata

si fine ke de predicare fone forcato. 57

XL. V. 43. Cosi il ms. Il Mancini riferisce in nota la lezione del codice Magliabechiano II, 1, 212: fu fellon di mar grave et ferri venire et corriere. Sembra che V amanuense volesse scrivere gradu; e con la rima si potrebbe restia- tuire il luogo: non fo a lor grave.

V. 55. Il ms. oculla.

V. 57. Il ms. sone.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 31

Grande lumera e spiera

fone a la gente [99 a] humana,

cun pura chiara manera

di scìentia fontana.

Molta rivera

fé' si tornare d' errori

grandi et vio predicando

la gente; archa testamenti

fo da l'apostolico chiamato. 66

In grande amore di core

Dio r ebbe omnipotente,

ke '1 fece doctore victore,

del faro providente;

e dieli kiarore splendore

de vedere veramente

la somma deitade

nella grande infertade

de la quale passò el glorificato. 75

[99 &] Buono commendare sperare fa laude ella finita: perseverare fa dare gioie compiute et gradita. Possa recreare formare de lui k' a ben servita cioè bon compimento lasii en quello convento uv'è ciascuno ben meritato. 84

Sempre alegranca con danga faccia lo Padovano, ke tale oranga alegranQa abbe da Dio sovrano;

XL. V. 62. Manca un emistichio (né il ms. indica al solito la lacuna); segno palese del guasto che anche il senso mostra avvenuto in questa strofe.

32 G. MAZZONI

ke dea possanca guardanoa

di quello humili et piano.

Non volse ke fallisse

di ciò ke predisse

ke Padua [100 a] ne starebbe *n alto stato. 93

Preghia m laudando cantando

lo sanctissimo Antonio;

da Dio pregando scusando

noi a tutti perdoni,

et sempre stando orando

e' inpetri quel gran dono,

di paradiso '1 regno;

si ke ciascun sia degno

esser cullui acompagniato. 102

Sia gloriata laudata

r altissima maiesta,

ringratiata orrata;

ke del mond'è podestà,

de la beata ornata

virgo nato con festa.

Lui cun gran [100 è] di humilitanca

dimandiam perdonan^a

ke al iudicio sia dal diricto lato. Amen. Ili

XLI.

Magdalena degna da laudare,

sempre degge Dio per noi pregare. 2

XL. V. 93. Il ms. starebbe alto. V. 105. 11 ms. orra.

V. 106. Il ms. modo. Vedasi la nota alla lauda III, v. 50, e alla lauda XXXIX, v. 42. Non stimo dover tacere che questa laude per Sant' Antonio , cosi guasta in alcuni luoghi ed oscura , m' ha l' aria di essere piuttosto derivata da altra lìngua, che originale.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 33

Ben è degna d' essare laudata,

[101 «] fòe peccatrice nominata :

per servire fo ben meritata;

lesii Cristo volse sequitare. 6

Con molta humilitade lo seguio

et cum perfecta fede senga rio:

quando Cristo predicare audio,

del suo amore prese ad imflammare. 10

Lo suo peccato pianse cum dolore

e del mondo volse uscire d' errore,

et a Cristo cum verace amore

in suoi mani si volse commendare. 14

Molto desprecQÒ la sua grandegga

per ciò ke se vedea in tanta bassegca:

Io suo corpo molto lo dispregia,

non se credea pietà trovare. 18

Simon Phariseo fece convito,

a lesii Cristo fece uno grande convito;

augi ke '1 mangiare fosse compito,

Magdalena andava per cercare 22

[102 a] di Cristo a cui avea Io suo amore dato; et tanto lo cercò in ogne lato ke 'n casa de Simon 1' abbe trovato: cum timore prese a dubitare. 26

Tanta humilitade in liei abunda

ke a lacrimare prese per vergogna.

Quando Cristo a mensa se sogiorna,

derietro se Ili pose a genukiare. 30

A li pici de Cristo s' imchinòe

et molto dolcemente li basciòne;

di lagrime tutti li bagnòe,

colli capelli presele aschiugare. 34

XLI. V. 28. 11 ms. ke a crimare.

Voi. Ili, Parte I. 3

34 G. MAZZONI

[102 h] El Phariseo grande invidia avea di ciò k' a Maddalena far vedea : verso quelli ke tutto sapea con falso pensieri credea parlare. 38

« Se questi è propheta copioso,

di scientia non siria coitoso:

se sapesse ciò c'à en liei nascoso,

no la dignarebbe di guardare; 42

se sapesse com' è peccatrice

e' ave d' ogne vitio in radice;

poi receve da la meretrice

tutto suo servitio per ben fare! » 46

[103 a] Cristo lo represe et feli resposo: « Falso pensiero è in te nascoso; . ben cognosco et so ke li è kiuso volontà di bene adoparare. 50

Duo debitori non possono ubedire

al creditore ke tiene de loro avere:

per pietade volse provedere,

a ciascuno volse perdonare. 54

L' un dovea cinquanta veramente,

l'altro cinquecento veramente;

dimando te, perché se' presente:

qual è pili degno de lui amare? » 58

[103 6] « Estimo quello e' a me è paruto:

non quel ke più piccolo dono à 'vuto,

ma quelli ke maiure l'à recevuto,

quelli è più degno de meritare, » 62

Cristo li rispose et fé' i vedere :

« Bene ài iudicato cum savere,

perké si à dato men avere

non dea però la fede menemare. 66

XLI. V. 55. È probabile che il veramente debba correggersi in sola- mente.

LAUDI GORTONESI DEL SEC. XIII 35

Poi ke nel tuo albergo fui venuto, non me desti bascio saluto: questa rende tutto lo tributo; [104 a] de servire non se satiare. » 70

Lo servire face con amore,

stava dubitosa cum temore;

ave '1 core afQicto de dolore

ke suo tempo seppe mal portare. 74

Tanto è nel fino amore nascosa

ke già unqua non cura d'altra cosa;

sopra quel tesa uro si riposa

ke per noi se lassò incrociare. 78

Si fo ferma et forte nel suo amore

e' ave '1 core apreso [104 6] de l'ardore;

Cristo cognoscendo lo suo fervore

con seco lace imaginare. 82

ke sua discipula la fece,

comme la scriptura el conta et dice:

poi rimase apostola in sua vece

per lo suo vangelio predicare. 86

Ben seguio apostolica vita;

in ciò fo la sua gratia cumpita:

quella ke de Gi'isto fo fiurita

con seco la volse compagnare. 92

La vergene madre pretiosa

fo [105 a] de Madalena si amorosa

ke con seco a guisa de sua sposa

nel suo amore la volse conservare. 96

Quando Cristo fo passionato,

coli discipuli era raunata:

Maria Magdalena in quello stato

lesii Cristo andò a visitare. 100

XLI. V. 75. Il ms. nascoso.

V. 97. L' ultima sillaba di passionato fu aggiunta posteriormente.

36 G. MAZZONI

Magdalena avea seco portato

un onguento delicato ;

unse lesii Cristo d'ogne lato:

Giuda falso prese a mormorare. 104

Disse: « Questo è grande perdemento [1056] ke si fa de questo pretiuso unguento: mellio vendare denari trecento, et darlo a li povari per loro consolare. » 108

Questo fo'l princìpio e la cascione

perké Inda fece tradiscione,

et a guisa d' un vile schiavone

vendeo Cristo e fecelo tormentare. 112

Era preso de quello unguento

ke Magdalena fece cum giachi mento.

Cristo soffirio per noi tormento

et morio in croce per noi [106 a] ricomparare. 116

Puoi ke Cristo fue sepelito,

Magdalena, e' avea '1 cor ferito

del dolore ke Cristo avea patito,

unqua non potea requiare. 120

Colle Marie andò a lo sepulcro

ove lesu Cristo era sepulto,

con unguento pretioso molto

per le sue piaghe ugnare et curare. 124

Quando guardàro verso '1 monumento,

viddaro l' angelo chiaro pili k' argento,

und' eli' ebbaro [106 h] grande pavento.

L'angelo prese a loro a favellare: 128

« Di niente già non dubitate; lesii Cristo ke voi domandate,

XLI. V. 102. Il raffronto col v. 123 di questa stessa lauda suggerisce molto per restituire il ritmo. V. 129. Il ms. dubita.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 37

suscitai' è, per certo lo sa piate,

et io so* qui per ciò denuntiare. 132

Unde grande conforto alora fo dato

quando viddaro Io lapide levato,

ciò ke r angelo à dinuntiato,

perké morto lo credean trovare. 136

Sola se partio la Magdalena

quella k' era del suo amore sf [107 a] piena:

si la strenge cum forte catena,

ke '1 suo core non potea passare. 140

Del suo amore andava cercando

et tuttora già piangendo e lagrimando;

di lesu andava dimandando

kiunque per via potea trovare. 144

Poi ke Cristo fo resurrexito

al tergo die, si come avete udito,

a la Magdalena fo apparito

in un orto, per liei consolare. 148

[107 6] Quando venne el die de l'ascensione Cristo si li fece promissione de la sua altissima mascione; in vita eterna sempre dea regnare. 152

Magdalena si fo departita

senga alcuno retegno de sua vita:

quasi com' a guisa di remita

nel deserto andò ad abitare. 156

Longo tempo stecte in gran tormento

al freddo et al caldo et al vento;

già non li rimasi vestimento;

in pace volse tal pena portare. 160

XLI. V. 138. Ripetuto si in principio della carta nuova. V. 143. Il ms. dimando.

38 6. MAZZONI

[108 a] Non parea creatura humana; tutta era pilosa commo lana, et giacea pur en terra piana: altro albergo già non fece fare. 164

Andava pascendo per la landa,

ia non avea altra vivanda:

per misericordia Dio li manda

angelico cibo per gustare; 168

che sabbato da vespero innanti,

per li tempi c'à sofferti tanti,

li angeli la portavano cum gran canti

a sentire lo dolgore gloriare. 172

[108 ò] Fin a lunidi ke 'I sole nasce de quello cibo gaudioso pasce : ke benedecto lesù ke noi si lasce cosi dolge fructo savorare! 176

Molto fo de grande abstinentia

ke trenta anni fece penitengia;

contra li vitii mise sua potenza,

nullo in ver liei potere' durare. 180

Ristorò la sua correctione

cum ieiunio et orationé;

a questo per asprectione

privilegio li de' [109 a] de vergenitade. 184

ke fo ben purificato

in ogne vitio de peccato:

tutto li era prima perdonato

da cului cui è la terra e '1 mare. 188

Si come da Dio fo mandato,

un omo e' avea ordene sacrato

a Dio erra renduto et commendato:

trovò la Magdalena cusi stare. 192

XLl. V. 191. Il ms. et e commendato.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 39

< Sconiaro te per Dio et si te dico, si tu se' phantasma o nimico, ke tu te parti et non stea più con meco; [109 6] degime parlare. » 196

« Per lo nome de la donna mia

non te vollio dire k' io sia :

Maria femena cum tanta villania

Magdalena mi solliono kiamare. 200

Prego te per Dio k'a mi venisti

ke tu m'arechi el corpo e 'I sangue de Cristo,

e '1 libro de la fede ke credesti

e la stola ke lassò la madre. » 204

« Sora mia, tu se' pres' al porto

di [HO a] gustare suave cum diporto,

et io si t' areco quello conforto

ke '1 tuo core à preso a desiare. » 208

In suo mano fo confessa ttanto,

et con molte lagrime de pianto

può' recevé il corpo e '1 sangue sancto;

allor a fine non dia pili demorare. 212

De Magdalena pongo fine

k' è fuore del deserto et de le spine,

nella eternale gloria senga fine,

et per restoro d'ogne suo penare. 216

[1106] A Verdelai fo '1 suo corpo portato; ine fone composto e consacrato, lesù consenta, k'è signor beato, ben finire ki fé' questo trovare. 220

XLl. V. 196. Mancano più sillabe al verso, senza che il ms. abbia segno di lacuna. V. 207. Il ms. et io se t' areco. V. 213. Agevole supplire al ritmo mancante: De Maria Magdalena.

40 G. MAZZONI

XLII.

L'alto prence Archangelo lucente,

sancto Michel, laudi [Illa] ciascun scente. 2

Sovente Io laudiamo, et ubiden^a

ciascun li facia cum gram reverenda,

k' eli' è ministro de [IH h] l' omnipotenca

per l'anime receper da la gente. 6

La gente cristiana li è commissa

per guardar et per condur pace 'nfra essa;

ma la superbia in fra noi si è messa,

ke '1 suo contrario è venuto a niente. 10

Niente quasi nel pacificare

tant' è [112 a] discordia: vòlne perdonare;

però a la fine non porà campare

quei ke de pace non sirà volente. 14

Volente sempr' essendo quel benigno

che in ciel combatte col gram maligno,

ke noi segui de millenco fo degno

d'aver honor et gloria potente. 18

Potentemente vit' à ki servire

voi r alto signor e 'n pace sofrire,

dal nimico non lassa laidire

et a la fine lo fa stare gaudente. 22

[1126] Gaudente star cum gram sciguran^a ch'in questo mondo à pace et consolanza; sancto Michel l'aita a la bilanca. Foli' è chi non i so resta fervente! 26

XLII. V. 9. Il ms. si messa.

V. 15. Manca su sempre il segno della nasale. V. 17. Cosi il ms. veggo come possa intendersi o correggere. V. 26. Il ms. è in questo verso di lettura molto difficile per ab- breviazioni. Non giurerei di averlo per ciò decifrato bene.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 41

XLIII.

Faciamo laude a tutt' i sancii

colla vergene maggiure,

de buon [113 a] core, cum dolce canti,

per amor del creatore. 4

Per amor del creatore

cura timor e reverenda

exultando cum bal[113&]dore

per divina providenga

tutt' i sancti per amore,

intendiam cum excellenoa

de far festa a lor piagenza

cum grandissimo fervore. 12

[114 a] Ferventissimo segnore,

ke li sancti ài rimflammati

et de gloria et d'onore

tu li ài 'n ciel encoronati,

constituisti redemptore

nei perpetui imperiati,

vivendo deiQcati

con tecOj alto 'mperadore. 20

Re, filiol, de grande imperio ke regete tutto '1 mondo, per virtii del gram misterio de lo spirito iocundo, a voi si faciam pregherò ke mandiate pace al mondo

ke non viva in tanto errore. 28

XLIII. V. 26. Il ms. madiate. Vedasi la nota al v. 50 della lauda III. V. 27. Manca il verso, senza che il ms. abbia segno di lacuna : ma in margine fu scritto posteriormente: entr' a la gente cristiana. Che questo non può essere stato il verso ommesso dall' amanuense é chiaro per la rima.

45 G. MAZZONI

[114 5] Tutta gente dican ave

a la vergen sua madre dei sanati,

keir à ingemgnosa kiave

ke li serra tutti quanti:

eir è porto lor suave,

eir è stella de l'irranti;

tutta la celestial corte

la resguarda tutte Y ore. 36

XLIV.

San lovanni al mond* è nato :

ogn' om laudi Dio pietoso. 2

[115 a] Dio per sua gran cortesia Gabriel cum prophetia mandò a san Qacharia k' avarea fìliol gratioso. 6

Vechio vechia mogie avea;

d'Isabet non dovea

aver fìliol de i potea

per natura [115 6] doloroso. 10

Dubitò, fo facto muto,

e nel nascer fo absoluto:

de spiritu sancto empiuto

perfecto delatioso. 14

Elisabeth à 'ngravidato,

qual sei meisi '1 portato:

poi fo Cristo anuntiato

da quel angel dignitoso. 18

Encontenente la sovrana vergene Maria diana

XLIIl. V. 35. Cosi il ms. Ma la ragione della rima non è osservata. XLIV. vv. 9-10. Cosi leggo nel ms. Ma la scrittura ne è qui molto eva- nida; il v. 9. mi senso neppur leggendo Dei.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 43

per li monti tost' andava :

ven' al parto copioso. 22

Per miracol ambe pregne

r una a 1' altra si viene ;

en corpo [116 a] avieno li viv' ensegne,

cum saluto delectoso. 26

Quel saluto alor fo tanto

pieno de spiritu sancto

ke lohanni nel suo canto

exultò, fo gaudioso. 30

Prophetò la vekiarella

k' avea en corpo 1' alta stella :

« Benedicta tu, polcella,

piena del sol luminoso! » 34

XLV.

Ogn' om canti novel canto [116&] a san lovanni, aulente fiore. 2

0 lovanni, frese' aurora,

molt'era gargone alora

quando Cristo cum gran cura

apostolo te fece e pastore. 6

[117 a] 0 Giovanni, amor dilecto, Cristo a te fece lecto quando li dormisti sul pecto nella cena de l'amore. 10

Quando eravate a cena,

del tradimento era mena:

ciascun avea gran pena

de te k' er' consoladore. 14

XLIV. 34. Il ms. pien del sol lumino.

44 G. MAZZONI

Facesti vita beata

cum Giovanni quella fiata

de quella fonte sacrata

ke noi poterà contar core. 18

De quel ben ke sempre abunda

traiesti manna iocunda:

come '1 mar gecta fuor Tonda,

facesti del grand' ardore. 22

[117&] Si fortemente parlasti del thesauro ke cercasti, ke nuli' om cotai pasti trovò de tanto sapore. 26

Delectoso evangelisto,

ke coral amor fo questo

qual te demostrò Cristo

stando nel crudel dolore! 30

La verità questo dice:

la sua madre, tu' la fece;

a lie' te lassò 'n sua vece

en sulla cena de la morte. 34

XLVI.

Amor dolce senca pare,

se' [llSaJtu, Cristo, per amare. 2

Amor, senca comincianca

se' tu padre in sembianza,

in trinità per amanza

fillio et spiritu regnare. 6

[118 6] Tu amore ke coniungi,

cui pili ami spesso pungi;

omni piaga poi ke 1' ungi

senza unguento fai saldare. 10

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 45

Dolce amore, tu se' speme;

ki bene ama sempre teme,

nasce et cresce del tuo seme

ke bon fructo fa granare. 14

Amor, tu non abandoni:

ki t'ofende si perdoni,

e di gloria e di corone

ki si sa humiliare. 18

Amor, grand' e dolce sino,

increato [119 a] se' divino:

tu fai lu saraphyno

di tua gloria infiammare. 22

Gherubin et li altri chori,

apostoli, gran predicatori,

martiri et confessori,

virgene, fai iocundare. 26

Patria rche et prophete

tu li traiesti de la rete;

di te, amor, avien gran sete,

mai non si credian satiare. 30

Or son consolati en tutto,

di te, gaudio cum disducto:

tu se' canto senga lucto

cielo e terra fai cantare. 34

[119 6] Dolce amore, di te nasce la speranza e' omo pasce, unde al peccator tu lasce pietanza adimandare. 38

Poi ke 'n cielo lo intendi

tu cortese ke t' arendi

tu medesmo si te spendi

ki te sa thesauricare. 42

XLVI. V. 42. Il ms. ki te thesaurigare.

46 G. MAZZONI

Tu, amore, se' concordia ;

tu se' pace, non discordia ;

per la tua misericordia

ne venisti a visitare. 46

Nella croce Io mostrasti

ke per noi t' umiliasti ;

ai nostri mali non guardasti,

si te lasciasti [120 a] conficcare. 50

Ki de te, amor, ben pensa

giamai non te farà offensa ;

tu se'frutuosa mensa

ov' è d' ogne gloriare. 54

Amor dolce, tanto n' ame

k'al to regno ben ne kiami,

satiando d' ogne fame,

si se* tu dolce a gustare. 58

Amor, pien de caritade,

tu verace maiestade,

in cui una deitade

sempre dovem venerare. 62

Amor, ben fo digna cosa

ke 'n tale amanca delectosa

deità facesti [120 6] posa

sovr' ogn' altra d' onorare. 66

Quella vergene beata

poi ke fo inamorata

sempre stecte temorata:

tu la voleste obumbrare. 70

Amor grande for misura

di cui nulla creatura

puote avere in natura,

di te amar si sa scusare. 74

XLVI. V. 58. Il ms. si dolQc a gustare.

LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII 47

Dolce amore amoroso,

cum dolzore savoroso,

di t' è Garco gaudioso ;

sovr' ogn' altro se' d' amare. 78

[A carte 133 a 135 5 è la seguente tavola delle laudi.]

Venite a laudare per amore cantare, folio primo.

Laude novella sia cantata a l' alta donna incoronata, folio iij.

Ave donna sanctissima regina potentissima, folio quinto.

Madonna sancta Maria merge de noi peccatori, folio vnj.

Ave Maria gratia piena virgene matre beata, folio x.

Ave Maria gratia piena stella diana luce serena, folio xj. (1)

Ave regina gloriosa piena d' ogne consolanga. folio xij.

Da ciel venne messo novello ciò fo l'angel Gabriello, folio xuij.

Altissima luce cum grande splendore, folio xvj.

Ave regina pol^ella amorosa stella marina, folio xvij. (2)

Fami cantar l' amor de la beata quella che de cristo.folio xviiij.

0 Maria d' omelia se' fontana fiore e grana, folio xxj.

Regina sovrana de grande pietade. folio xxiiij.

Ave dei genitrix fontana d'alegranga. folio xxv.

0 Maria Dei cella sia a voi luce senpiterna. folio xxvij.

Ave vergene gaudente madre de l' onnipotente, folio xxviij.

0 divina virgo flore aulorita d'ogne aulore. folio xxxij.

Salve virgo pia gemma splendida Maria, folio xxxnij.

Vergene donzella da dio amata Katerina. folio xxxvj.

Peccatrice nominata Magdalena da Dio amata, folio xxxviij.

Xpo è nato et humanato per salvar la gente, folio xxxviiij.

Gloria in cielo e pace en terra nato è il nostro salvatore.

folio xxxxij. Stella nova 'n fra la gente k'aparisti novamente. folio xxxxv. Piangiamo quel crudele basciare. folio xxxxvj.

(1) L' amanuense pose questa erroneamente. Sono i primi versi che seguono la ripresa della lauda V.

(2) È Io stesso errore, per la lauda Vili, avvertito nella nota pre- cedente per la V.

48 G. MAZZONI -— LAUDI CORTONESI DEL SEC. XIII

Ben è crudele e pietoso ki non se move, folio xxxxvij. De la crudel morte de Cristo ogn'homo pianga, folio LJ. Dami conforto Dio et alegran^a et carità perfecta. folio liij. Onne homo ad alta voce laudi la verace croce, folio lv. lesu Cristo glorioso a te sia laude e gechimento. folio lvij. Laudamo la surrectione e la mirabele ascensione, folio lx. Spiritu sancto dolge amore tu se' nostro guidatore, folio lxij. Spiritu sancto glorioso sovra noi sia gratioso. folio lxiiij. Spiritu sancto da servire dann' al core de te sentire, folio lxvij. Alta trinità beata da noi sempre si' adorata, folio lxx. Troppo perde '1 tempo ki ben non t' ama dolo' amor lesù.

folio LXXII.

Stomme allegro et latioso questo mondo delectando. folio lxxxij. Oirae lasso freddo lo mio core che non sospiro, foglio lxxxv. Chi vole lo mondo desprecare sempre la morte, folio lxxxviiij. Laudar volilo per amore lo primer frate, folio lxxxx. Sia laudato san Francesco quelli eh' aparve, folio lxxxxiij. Ciascun ke fede sente vegn' a laudar sovente, folio lxxxxvj. Magdalena degna da laudare sempre degia. folio e. L' alto prence Archangelo lucente, folio ex. Faciamo laude a tutt' i santi cum la vergene magiure.folio cxij. San lovanni al mondo è nato ognon laudi Dio. folio cxiiij Ogn' om canti novel canto a san lovanni. folio cxvj. Amor dolge senga pare se' tu Cristo per amare, folio cxvij.

APPENDICE

I Proverbi di Gharzo

Venti dei proverbi che si pubblicano qui, furono stampati nei Fiori a una sposa colti precipuamente da testi del buon secolo di nostra lingua (Pisa, 1862); tutta la raccolta è pubblicata da Carlo Giuliari nella Nuova serie di Proverbi toscani esp. in rima (per nozze Piatti- Dionisi), Verona, 1867. Ma la pubblicazione del Giuliari è fatta sopra un manoscritto poco completo e poco cor- retto, sicché non sarà inutile rifarla. Il testo si trova in non pochi codici, lo ne ho utilizzato quattro, tutti del quattrocento. Non dubito che non si possano trovare manoscritti ancora più corretti, ma questi basteranno a formare un testo non troppo difettoso, e presentandomisi r occasione di unire i proverbi ad altre probabili com- posizioni dello stesso autore, non vedo perché non pub- blicarli cosi come posso farlo.

I quattro codici sono: 1) il famoso Laurenziano piai. XC inf. , 47 (L), il migliore dei tre, il quale mi ha servito di base pel testo e per 1' ortografìa. 2) il Riccar- diano 1764 (fì^), affine al L, assai difettoso, ma interes- sante per molti proverbi che non si trovano che in que- sto codice. Si vede che lo scrittore ha voluto sostituire a parte dei proverbi della vecchia raccolta proverbi nuovi forse più famigliari al suo tempo ed al suo paese, senza però condurre a fine il suo lavoro. 3) il Riccardiano 2183 (R^). 4) il Palatino 107 della Nazionale di Firenze (P), pienamente conforme al testo edito dal Giuliari (G), e però appartenente alla famiglia stessa del cod. R^,

C. Appel.

Voi. Ili, Parte I. 4

50 e. APPEL

I.

A cciò che ssia piacere

Io bello profferere, conviensi che ssia

con molta cortesia. Se'l ben fare m'accusa

lo ben voler mi scusa. Però Ghargo dice

r omor de Ila radice, che de cim' è nutrice. Gonviemmi inframettere,

per alfabeto mettere alquanti versi,

ancor che ssien diversi, proverbi per rima;

per A chomincio prima.

II.

Amore già non cura ragione misura.

I. 1. bel G 2. grande /? * e. m. e. mancano a L 3. manca fl L /i ^ Se lo b. far G P 4. E pero lo saggio dice G P umor G, lamor P, lomore L R^ 5 Nudrisce e mantiene La cura che sopraene G (la cruna P), Che dongni radice /?^ E diama e nu- dricie R^ n.] radice L 6. premettere G, promectere P, intra- mettere fi * lalfabeto R^ m. manca a R^ 7. ancor manca a R^ 8. chomincia R ^

II, Ordine dei proverbi inGP:\, 2, 3, 7, 4, 5, li, 6, 12, 40, 9 ; nel L: 2, 1, 3-12 ; nel R' : 1, 3, 13, 4-12; nel fi«: 1, 2, 3, 12, 7, 4, 5, 11, 6, 8, 10, 9.

II. 1 . Amor /J » P non già /? ' ragion G fi ' P ne dirictura P.

I PROVERBI DI GHARZO 51

Amante richiama

de quello che brama. Arte da parte,

che non si diparte. Avaro per richecca.

non sa far larghe^ca. 5 Avere nascoso

nonn è fruttuoso. Asino per nota

non sa gire a rota. Archo per piega

gran colpo allega. Ape raporta (1)

frutto che conforta. Ancella donnea

se donna follea. 10 Amico fidato

eh' al bisognio è provato. Assessore eh' à licenzia :

guarda che sentenzia! Albore fiacchare

per troppo incharichare.

R^: Asino che grandeggia speso pettoreggia.

II. 2. alla margine iielR^; nel testo si trova invece di questo proverbio il n.° i3 r.] si r. G P - di quel G 3. che] acchi R^ L Auoro L r.] largherà R^ 5. Auer R^ e] er R^ 6. girar r. G P., gir per arrota /J ^ 8. manca a G Arte R^ 9. fallea G 10 A. che f. al b. fìi che a b. G P trouato G R*

1 1 . (A)ssessore raschiato in R^ cha] sa * ghuardi R*

12. Arbor R ^ Arbero P charichare R^.

(1). Arte 0 ape? Ape non è impossibile, ma arte pare piti ovvio. Appunto per questo sarà piti probabile che arte sia stato introdotto per ape, che all' inverso.

52 e. APPEL

HI.

Biasimo nuoce,

sanga fuoco chuoce. Beato si pruova

chi 'n pace si truova. Bagnio gielato

poch'è coltivato. Ben fa se tace

chi dir non sace. 5 Bugia disvia

da ssé conpagnia. Bramasi molto

di far casa e colto. Bella senblanga

donna speranza. Braccio difende

quello che '1 capo attende. Bisogno fa fare

chosa da biasimare. 10 Bastone fa trottiere

villano e somiere. Battalglia fare

nonn è santitade. Bontà fa ritengnio

e d' omo sostegnio.

R^: Barone e signiore

non vive a stagione. Biasimo fa chi scienza nonn à.

Ordine in GP:1, 1, 5, 4, 8, 2, 3, 6, 12, 9, 10; 7?»: 14; R^: 1, ì,b, 4, 15, 8, 2, 3, 6, 12, 9, 10.

3. chi pace P poco e lodato G /^^(laudacto P) 4. se] chi/?*, si L chi] R* sacie G L 6. Biasimi R ^ chosa che e. R^y chase e. R^ case et e. P 7. semblianza | dona P 8. Brando G 9. e. e. a.] colpo eh' attende G P, chapo chattende R^ chel] che /i^ 9. chose G P 10 Baston R^ trotlieri G 7?« P villani G somieri G R^ P 11. manca a G santade L 12. adomo R\ donore ZJ* s.] e s. G R^ che d'omo e s. P.

I PROVERBI DI GHARZO 53

R^: Bighordo inghordo fa giuocho lordo.

IV

Città è perita

da eh' eir è partita. Gelato delitto,

amico diritto. Cento peccati

per un ben raendati. Cera si stende

per caldo che prende. 5 Cibo eh' è forte

press' è alla morte. Cicognia per pesce

badare no 11' encresce. Cerbio corrente

a fonte surgiente, Cierchando s' affatica

cui povertà nutrica. Ciercone non s' affina

per nulla medicina. ^0 Ciecho se prende,

lascia rende. Cintura fa vesta

parere pili onesta. Cichala per canto

criepa per tanto.

jR * : Chi troppo è asotigliante

Spesso di é schavefante.

1. ella e p. G P, ella p. JR i _ 2. dilecto P 3. uno L bene P b. sono m. /i » —5. e presso a. G 6. badar fì'-^ 8. chi G/?« P

9. Cierchon R^ s' manca a R^ p. dare in. L iJ \ già p. m. i^ *

iO. non 1. merende G iì. parer R^ P.

54 e. APPEL

V.

Dire per disdire,

megli* è a non dire. Dinanzi ti guarda,

che dietro non tarda. Dubita di fare

cosa da biasimare. Donna leale

gran tesoro vale. 5 Drappo e colore

fa a r uomo honore. Domenica per festa

ogni villan s' apresta. Degni' è l'amore

d' aver sempre honore. Danno da cui dato

per colui mendato. Derrata confusa

denaio non escusa. 10 Debito destruggie

chiunque noi fuggie. Dolci' è r altrui a prendere,

amaro pare a rendere. Dur'è '1 beccho a mugniere

e r avaro a ugniere.

1. a manca a G P 2. di d. G, di drielro P, dìrieto i?^, drieto R^ 3. Dubita di cosa, che di fare non s' osa G, non si usa P e] h e. R^ 4. grande L 5. Drappi L R^ cholori R ^ alluomo fanno onore R^ 6. uiilano L /i ^ s' a.] aspetta R^ 7. Dognie R *, Degno è P, Degnia 1' a. R^ dauere L 8. Da cui danno G, Da cui da non dato | per lui mendacto P, da cui mancano a L R^ per lui G, da e. ii^ m.] e m. i? ^ 9. danare R^ danaro cho ischura jR* 10. strugge G P li. laltrui manca a R^ pare manca a G amore a r. P e a. e a. r. /i* 12. Dolce fì^ Duro e P e lo L /?' e manca a R^.

1 PEOVERBI DI GHARZO 55

VI.

Esca invezza

et rete fa divezza. Entra per bocca

chomo trabocca. Eva morse

che noi torse. Escie di loco

parola per poco. 5 Erba eh' è amara

stomaco rischiara. Erra la via

chi va con follia. Egual soma

bene condoma. Ebriaco al vino,

e passere al molino. Empie Iddio

lo core eh' è pio. 10 Etade si pruova

per vista che truova. Estima che vali

poi che in altezza sali. Ermo fa romita

laude per santa vita.

Ordine in P:i, 2, 3, 12, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, L 1. Esca fa invezza L cui recte divezza P 2. Esce per bocca L che uomo t. P. 6. Erta da v. P 7. Bene 1 e. P 8. Seguo nel testo la lezione di P; R^ ha erroneamente Ebbria col vino | e passera ara. 9. Dio | lo cor P 10. Elate per uista | provacta s' acquista P 11. vale I poi che 'nn alto sale P 12. remita P; nel emistichio seguo P; R* ha per 1. p. s. v.

56 e. APPEL

VII.

Fede riluce,

principe duce. Furto fa ladrone

andar dopo 'I bastone. Femmina tira,

per pocho s' adira. Frati chon odio

non istanno in godio. 5 Fuggi la ressa

di femmina ingressa. Formicha s'intende

al tenpo che prende. Fa la mente pura

la nobile natura. Fabro lavora

più che non adora. Fuggiti al sire

cui non può disdire. 10 Fiori con frutti

non fanno tutti. Fatica perduta

chi 1 sordo saluta. Fontana fa fiume,

dottrina costume.

i. per p. e d. G P 2. andare L sotto! b. fì^ L o.] dio fì« stanno L 5. femnina L 6. sattende G iì« P il t. /?^ 7. Lezione di P, Fallament' eschura L, falamente G R\ fallimento R* spura G, oscliura R^ nobibe L 8. Frabro L none R ^ odora fi* 9. figgi /{« ti al] tal R'' * puoi G R^ 10. t.] arbori t. G P H. chi il fi* muto P, mutol L, molto R » 12 d.l e d. R^.

I PROVERBI DI GHARZO 57

t

Vili.

Gentile per natura

prende nodritura. Già chane per traccia

non perde chaccia. Gloria vana,

se fiore, non grana. Gratia divina

lo cor de 1' uomo affina. 5 Gaude di villa

chi sta sopr'illa. Guadagnio con frode

non à pregio lode. Giemma vertuosa

è gratiosa. Grave pecchato

fa r omo dannato. Gallo fa ghallina

stare a sua dottrina. ^^ Guerra che troppo basta

avere e persona guasta. Gioco e riso

non sta senpre assiso. Giornata fa compiuta

chi dal folle si muta.

jR*: Ghagliardo è choluj

che à quor verso altruj.

2. chano L tr.] caccia G P, chaccia * eh.] la traccia G P, traccia R^ 3. Grolia jR * fior G /i >, le fiore P grama L 4. core L 5. della v. G P sovrilla G P, sovrella R^ 6. frodo R^ a] e /? ^ p. ne] dritta G, diritta R* lodo R ^ non va diricta lode P 7. G. preziosa vertude a gr. R^ 8. manca a G P. 9. suo R^, manca a G 10. troppo manca a R^ vasta G, basta P lauer delluomo g. i?* e p.] molto G P 11. manca a G /?» P 12 da f. G P f.J sole RK

58 e. APPEL

IX.

Inperio fa lege,

corona fa rege. In pari delieto

non à deritto. Igne ardente

molt' è temente. Intrata per chanpare

talor si vuol pagare. 5 L'a fa smarrire

Io savio in follire (1). In terra di lite

non poner vite. Ingiegnio con prode^^a

fa perire fortega. Ingiuria fatta

nimistà achatta. Invidia cotidia

tuttor omicidia. 10 ludicio di morte

sopr'ogni altr'è forte.

IX. 1. e] e e. G L P 2. Impari delieto | non ae dirìcto P, In perij R^ dilutto R^ nonnar G deripto L 3. molto t. R^, molto è P i. eompare G P .5. ismarrire G R^ in] e G, manca a /?« P, follire L R^ 6. Folle chi pone \. G R^ P i^. h \. L, porre la v. J?^ 7. I. e no prodenza R^ parer G, perir /?* 8. manca a R^ nimistade P R^ 9. Inuinia cotidia R^ t. a comun uidia G, tuctor cor mavidia P, t. co inuidia L, t. fuidia R^ 10. luditia /? » da G /?« P sovr' P altro f. G P,

(1) follire e fallire sono buoni tutti e due. Forse le due forme del proverbio esistevano. Non si -potrà sempre restituire il testo primitivo di una raccolta di proverbi, le possibilità di trasformazione essendo più numerose e varie in questo genere letterario che forse in nessun altro.

I PROVERBI DI GHARZO 59

lustitia dura

perch' à dirictura. ludice che giudicha

de' guardare che piuvica.

X.

Korbo acarognia (1)

non lascia per vergognia. Karo si vende

lo dono che ssi prende. Korpo eh' è pieno

fa letto di fieno. Karta si facie

per e' omo è fallacie. 5 Kane che troppo latra

perde il mezzo per la quati*a. Kortesia, chi la facie

a molta gente piace. Korte, chi 1' usa

spesso vi musa. Kastello chon cittade

poc'à amistade. Kasa con mura

tuttor nonn è sicura.

IX. 11. pche R^ dintura R^ 12. dee guardar P. punica L, pruducha /?*, piuica R^.

X. i. caragnia L, ad corogna P non teme y. G P 2. don G 3. Koppo /?» loto G 1 K. su f. G perche luomo G /J» P, per huomo R^ e] o R^ 5. perdei mazo G ghuata R ^ 6. Korte a chi /? ^ a] e a /J ^ 7. manca a G P ispesso R ^ 8. p.] a pocho ìR^ 9. cho L non e sempre s. G P è fapa RK

(1 ) Leggo acarognia piuttosto che a carognia. Si compari il vecchio francese s' acharognier.

60 e. APPEL

10 Kardinale con papa

de' guardare che. . . (1) Kavalleria, chi la prende

Non de' guardar che spende. Kolto consortato

mal' è coltivato.

P, G: Kane da caccia

costa più che non procaccia. R ^ : Korte bandita

pocho nutricha.

XI

Leone per forte^ca

regni' a prodegca. Lupo non cura

far preda in pastura. Ladro che 'nbola

inpes' è per la ghola. Lingua mendace

con dio nonn à pace. 5 Lancia a cavaliere,

ed arco ad arciere.

X. 10. K. e p. guarda di dare ben tarda R^ K. e. p. | de guarda chi sacra P fagra L, sapa G, manca a R^ 11. Kavalier che p. R^ la manca a G P guardare L se /?* 12. Rotto confortato fi^* * è manca a G P.

Ordine in R^ : 2, 10, 5, 4, 13-18, 11.

XI. 1. manca a R^ franchezza G R^ P p.] pei* P- ^ 2. di far L 3. manca a R^ e impeso p. G, impreso p. P, inpeso p. /?' 4. mordace G 5. cavalierj R^ ed] e L R* charcho arciere R ^ arcierj R *.

(1) L' ultima parola del proverbio manca a R^ e pare corrotta in G ed L, mentre che R* ha sostituito a questo proverbio un altro^ si- mile ma pure diverso. Si potrebbe leggere sagra (fagra L + sapa G)?

I PROVERBI DI GHARZO 61

Lievre con cane poco permane.

Larghegca è virtuosa

sopr' ogni cosa. Leggiere e non intendere

poco può aprendere. Lealtà in chui si truova,

di fino pregio si rinnuova. 10 La luna non dimora

in uno stato un' ora. Lusinghe a 1' amico,

come passere al panico. Loda la cosa

che ben si riposa.

R.^: La linglma non à osso,

ma fa rompere il dosso. Linghua mal diciente

ritorna frodulente. 15 Ladro è cholui

che fura l' altruj. L'albero chade

per troppo schalgare. Lusinghi son quanly

spesso fallantj ! Lusinghe fan fare

talor di molto male.

XL 6 fino aio mancano a R^. 6. Leurìere R^ 7. v.] graziosa G R^ P o. altra e. G R ^ P S. manca a G P imprendere L 9. Lealtade R^, Lealtade cui s. t. | di fin p. s' in- nuova P diuino prego I, de fine p. i^* sinnuova G 10. in istato G uno manca a P 11. Lusinghiere ad amico G P, Lusingha dinimicho /?' passera a p. G P 12. manca a R^ bene L / numeri 17 e 18 sono aggiunti in R^ con inchiostro diverso da quello dei proverbi precedenti.

62 e. APPEL

XII.

Marito cho moglie,

come fa, cosi ricogle. Massaio chon istajo

di maggio fa denajo. Madre con figlia

Spesso si consiglia. Mele si toccha

dolce con boccha. 5 Marmo, chi '1 gratta

poco n' acchatta. Medico temente,

ferita puQcolente. Macca è temuta

se in alto è tenuta. Mosca e moscone

non guarda ove si pone. Morte no rifiuta

bionda chanuta. 10 Mano lavora

che boccha divora. Mare per onde

non si nasconde. Maggio con ghirlanda,

gienajo con vivanda.

/J 1 : Mal fa choluj

Che spoglia per dare altruj.

Ordine m fì» : 1, 2, 7, 8, 13, 9, 12, 3, 6.

1. confà G P si G fl2 p _ 2. fa di moggio d. G P da- naro R^ 3. ispesso L si manca a R^ 4. manca a fi* Male L 5. manca a L R^ 6. t.] dormente G f.] fa f. G L fedita Ti 1 fì2 fa fedicla P 7. il primo è manca a R^ se in a è t.] tale e t. /i * 8. o G P moscione L R^ chura R^ u' P 9. il primo ne manca a G P— 10., 11. mancano a fi ' 12. grillanda G fi J-2 e g. G, et g. P.

I PEOYERBI DI GHARZO 63

xm.

Nome riposa

sopr' ogni cosa. Nulla si tace

di quello che ssi face. NoQce bandite

tosto son finite. Naso odora

che non asapora. 5 Nave che porta

tuttor non diporta. Nocchiere à diporto

quand'è press' al porto, Neve per istallo

diviene cristallo. Nepote pute

al ciò quando puote. Natura è pregiata

eh' è ben costumata. 10 Nuora con suocera

ispesso si cuocerà. Negrigientia tuttora

con danno dimora. Non si dispera

chi à fede intera.

Ordine in /? » : 2, 4, 9, 13-18, 11, 12, 6.

1. manca a R^ 2. Nulli G P quel G P che manca a R^ 3. manca a G R^ P 4. assapora R^ 5. manca a R^ che] se G /?«, si P 6. N. antiporto /J i al] a G « ^ P 7. manca a R^ diventa G R^ P 8. manca a R^ quande L

9. il primo è manca a G R^ P bene P 10. manca a R^

spesso G P cruccia /J * H. Negligenza G P, Neghienza R^ 12. inciera iJ*.

64 e. APPEL

R^: Naso eh' è grande,

natura sfoggiante. Nuovo mi pare

chi dice ciò che save. 15 Niente ti vale

aver ghusto sen^a pane. Natura grande

bello avere a ttutte quante. Niente ti vale

r aver per ghuardare. Non biasimare,

che pocho ti vale.

XIV.

Ocha in pantano,

ed in selva villano. Orco fa destriere

e cha vallo chavalliere. Onde si fa vanto

lo poco par tanto. Omo con femmina

miete quel che semina. 5 Orticha, perché pugnie,

nulla mano ugnie. Orcio al muro

pruova com' è duro. Occhio amoroso

poch'è luminoso. Ordine sacrato

tuttor non è venerato.

Ordine in R^: 9, i, 13, U, 5, 15-18, 2, 11, 10.

XIV. 1 . Olca P s.] isola GP cliaval GP chavalliere] chaua L 3 e 4 mancano a /? ^ 3. p. gli p. L - par] per R^ 5. Ortica pugniente | non piacie a più gente R^ per manca a G P manca a G P e ben 1. /i* 8. Tutto L non manca a G R^ P.

I PROVERBI DI GHARZO 65

Orecchie de' udire

se lingua vuol dire. 10 Osso medollare

tuttor truova conpare. Omo verboso

senpr'è leticoso. Opera è lauldata

eh' è bene amaestrata.

R 1 : Orribil mi pare

chi afretta suo male. Orechie che ode

de' aver chura alle pruove. 15 Orbo é choluj

che fforza la via altruj. Ora per giorno

talor perde ritorno. Orma seguitare

spesso si può fallare. Or va vj diritto,

se araj rispitto.

XV.

Padre dal figlio

di grano nonn à miglio. Pescatore co rrete

di prendere à gran sete. Promessa non tiene,

se facto non viene.

XIV. n. medollerare /?« tuttora G 11. vaboso fì», valoroso /?* tuttora 1. G. P 12. manca a R^ il primo è manca a R^

maestrata R^.

Ordine in fi»: 3, 7, 9, 10, 13, U, 5; mancano i numeri 1, 2, 4, 6, 8, 11, 12; per 5 proverbi che mancano dei 12, si trovano le ini- ziali sole.

XV. 1. da f. G P del g. /Ì2 2. gran manca a G R^ P

3. se f.] fatta G P L core G, cuore P ispecchio fi*.

Voi. Ili, Parte I 5

66 e. APPEL

Pecchato vecchio

del cor fa specchio. 5 Povero vergognioso

suo valor tien nascoso. Ponte è dubitato

da omo eh' è odiato. Pulzella non si pente

se pregnia non si sente. Porta serrata

ispess'è bussata. Potenzia à licenzia

di ciò ch'à placengia. 10 Prato fa fiori

di molti colori. Prete talor predica

di quel che sse non medica. Pensiero fa granare,

parola fruttare.

R^: Piano in montangnia e bugia in Ispagnia. Parlare sanza ghusto podio è con frutto.

XVI.

Quistione aperta

sentenza fa certa. Queri la cosa

che tti sia osa.

XV. 5. t. s. voler n. R^ voler G P i. manca a R^ ascoso L 6. (1. ogni od. G P, dal nemicho od. /?* 7. ìnanca a G Pucta P 8. spesso e G /?« P 9. à] è P che p. G P— pi.] licentia R^ 10. P molte L 12 gravare P fr.] pensare L.

Ordine m i? ' : G, 13, 14, 15; seguono 8 altre iniziali senza proverbi, I numeri 1-5, 7-12 mancano. Ordine in R^: 1-8, 16, 17, 9, 10.

I PROVERBI DI GHARZO 67

Quel che tte anoia

da tte lo dispoia. Quando bene poi fare

no Ilo tardare. 5 Quantità di guerra

strugge molta terra. Quadrasi il dado:

per tal non à grado. Qual si vede in panno,

tal si pone in scanno. Quinto e xesto grado

rinuncia parentado. Quegli che ssi vanta

di pregio si smanta. 10 Quaglia teme sparviere

che invér lei fiere. Quarra raguaglia,

quello non fa medagla. Quagliere per inghanno

a r uomo non fa danno.

R^: Quando troppo t' afretti, spesso ti schavegi. Questo ti dicho: Non essere smarrito. Mfr Quella chasa non mi piace

dove chanta la ghallina e '1 ghallo tace. R^: Quale è il servigio tale è 'l benificio. Quanti parenti dici, non sono tutti amici.

XVI. 3. Quello R^ li noia G P, a tte noia R^ ti spola P 4. Q. p. f. lou ben non l. R^ ben puoi P 5. guerra] terra P distrugge G, stragie /?* 6. p. che non ha g. G P, p. t. che no Ila agrado R^ a] da /? ^ 7, Q. fine di p. G P Qual si uedi in p. I colai si poni in scanno L 8. manca a G rinuova R *, ri- fiuta P 9. Qual uomo si v. P G /i* di fin p. L prego L 10. t. manca a L isparviere L che manca a L, se P G inverso G P 11 e 12 mancano a G R* P.

68 e. APPEL

XVII.

Regnio è conquiso

da ch'egli è diviso. Rampogna fa vergognia

che abisognia. Roncino per chamino

a r erta e al chino. Rade volte

buone acholte. 5 Ragione per amore

perde suo valore. Reo fa peggiore

e buono fa migliore. Rustico piace,

se prodecQa face. Rasoio rade in vano

in palma di mano. Roccha guernita

da molti è servita. 10 Rigoglio e foglio,

intra pene e doglio. Rovinasi il muro

quand' è pili sicuro. Ristorasi il danno

un di quel d' un anno.

/J»: Rubello si fa

chi chontro a sua patria fa.

Ordine in jR * : 12, 7, il, 13, 3, 6; seguono 6 altre iniziali; i nnmeri 1, 2, 4, 5, 8-10 mancano.

1. // primo è manca a R^ 2. lalor che bisognia P G, chi a R^ 4. manca a G, ben son vacche tolte P buone L, ben si /?* 5. Ragion G 6. buon fì» 9. s.J ghuirnita R^ 10. R. e follia] i. pene doUia P G peno /J* 11. Rovinai m. G, Rovina P, Ru- masi il m. R^ p.] ben R^ 12. ond'é quel domanno G P un] in un R\

I PROVERBI DI GHARZO 69

XVIII.

Savio è tenuto

chi sta talor muto. Senno e savere

vale sopr' ogni avere. Studio ed ingiegnio

fa d' arte ritegnio. Solo per via

andare è follia. 5 Stata si muta

per pocha chaduta. Servo al signiore

de' rendere onore. Servire e ben dire

fa r omo ingrandire. Sale e savore

fa cibo migliore. Scacco macto

in uno solo tratto. 10 Senplice ci'ede

con pura fede. State ghoverna

onde homo verna. Satollo satiato

non crede all' affamato.

fi*: Sonetto mi pare

chi parla in rimare.

Ordine in jR*: 2, 5, 6, 13, 4, 1 ; seguono 6 iniziali; mancano i numeri 3, 4, 7-12; in i?« 1-5, 7-12, 6.

3. dare /? * L a.] talora a. fi ^ 5. pacha /? i 6. o.] ra- gione L R^ 7. Scrivere G i.] gradire i? * 8. con G fi * P fa il e. G P 9. un solo tratto fatto fi ^ sol G 11. ondo L 12. I. che s. L, Saccolo P saggiato G P,

70 e. APPEL

XIX.

Tal è gravato

che non fa '1 peccato. Tardi riviene

chi non si ritiene. Termine dimidia

perch'è sanza invidia. Tergo fa concordia,

se truova discordia. 5 Taverna fa pucta

femmina ghiotta. Tignioso fa capello

poi che perde il vello. Troppo tencionare

fa ben prevarichare. Turpida richesta

fa cosa dischesta. Tosto si prende

chi non si difende. 10 Torre murata,

lite incominciata. Terra posseduta

tard'è convenuta. Tenpo si canbia

a palafreno che anbia

Ordine in R^ : 1, 9, 13, 44, 13 (s?c), 15, 16; seguono 5 iniziali senza proverbi; mancano i numeri 2-8, 10-12.

1. fa' l] ha G R\ fa R^ P— 3. dinuidia /?« pero che /?« __ insidia R^ 5. gh.] occhiutta G G. dacché G P, dacclia R^ perdutol R^ 7. F. luom poco slimare G , F. perveritade P bene Ri 8, Fa manca a G P d.] molesta G, disdelta R\ disdccto P 9. si] su G perde fi » 10. muralo R^ cominciala G P, cominciato R^ ìì. tardi e. G, tardi ò e. /J* 12. Troppo G, Tenporale R^ anbia] rabia L.

I PROVERBI DI GHARZO 71

R ^ : Tutto non si stima

chi vende medicina. Tal mi domanda chorae sto eh' é dolente d' ogni ben eh' i' ò. 15 Tardo a U' ira,

e presto a Ila vendetta. Tal si proffera che a' fatti non s' offera.

XX.

Vergognia, chi Ila teme,

nasce di buon senae. Vituperio porta

chi no ritiene porta. Ventre s' adestra

a grande rainesti'a. Vespa con puntura

e ape con untura. Villania in chui regnia,

cortesia lo disdegna. Viso presente

fa lingua tacente. Villano avaro

d' ogni cos' è amaro. Volpe ama frode

e femina lode.

Ordine in R^: 1, 5. 11, 8, 13-16, 9, 6; seguono 2 iniziali sev za proverbi; mancano i numeri 2-4, 7, 10, 12.

XX. 2. manca a G P Vitiperio L 4. Verpa R^ 5. cort.] ognuomo R^ sdegnia /? » 6. 1.] iuomo R^ 1. av.] amaro P G R^ am.] avaro G P, caro R *.

72 e. APPEL

Vignia vendemiata

poch* è coltivata. Vino con pane

da ssera e da mane. 10 Vendetta s' indugia,

ma non si trangugia. Vmiltà vince

cor duro di prince.

R^: Vile mi pare

chi si lascia ingiuriare. Virtù non può avere

chi lascia onor per aquistare avere. Vanagloria è mendacie a chi l'è seghuacie. 15 Vero si truova

per diritta pruova.

XXL

X stae in croce per dieci rilieva boce.

XXII.

Y, perché grecho, non si intende mecho.

XX. 9. coricata G R^ P 10. domane I. 12. d. p.] dipingie R^.

XXI. Manca a R^ Chi sta G, Xiti sta ii ^ __ p. j ] ju^jicii G, dieci /?*, in dieci leva b. P.

XXII. Manca a RK

I PROVERBI DI GHARZO "73

XIXIl.

Qoccolo s' infangha

ma non pelle in su stanga. Qoppo al galoppo

non corre troppo. Qafir, poi che s' inchiude

non perde virtude. Qucchero rosato

si a lo 'nfermato. 5 Qeccha si seccha

ovunque s'apiccha. Qita s'apella

chiunqu' è pulzella. Qanbra serrata

fa donna lauldata. Qabulino e fino

parato d'ermelino. Qappino ed abeta

si per moneta. 10 QanQara trafiggie

ovunque s'afiggie. Qappa a echi la tiene,

e spada a chui s'aviene. Qaf a chi la 'npara

fa Ila mano avara.

Ordine in R^: 5, 1, 12, 7, 10; seguono 7 iniziali senza pro- verbi; mancano i numeri 2-4, 6, 8, 9, 11. ordine in R^: 1-6, 8-12, 7.

1. manca a P ma manca a G R^ pelle manca a R^ in su] su L su per fi 1 istanga L R^ 2. a g. G R^ P d. ^afiro G che manca a L P sichiude G P, ssuchlude R^ 5. ficca G dunque R\ launque R^ 8. Zalbolino . . . prato P. 9. a.] adalieta R^ 10. t.] saffigie R* douunque R^ s' a.] trafiggie R^ 11. primo a manca a G R^ il primo e il secondo a a P. chu R* 12. lappara P G, lapara R .

74 e. APPEL

XXIV.

Son dett'i verbi,

fatt' i proverbi. Vecchi, notati,

perché ssono provati: Dugiento quaranta,

questa somma tanta; X ed Y non ci vo' contare,

però che pochi ne posso trovare.

Questi ultimi versi non si trovano che in G L P ed in L sono assai corrotti. 1. Con diritti v. L P 2. Tutti n. L pero che L 3-4 da questa in poi] insieme si monta | La soma di tutti sanf a altra giunta | La IL e Y non si conpita nolli ci meto | Po ciie nomi itramesso di più prolungare L, monta la lor somma insieme | X Y non ci voliio contare | però che pochi posso trovare P.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC.

SAGGIO DI LINGUA PARLATA DEL TRECENTO CAVATO DAI LIBRI CRIMINALI DI LUCCA

Sono rarissimi i documenti che conservino nella sua assoluta identità 1' ordinario discorso degli uomini e spe- cialmente del volgo. Agli scrittori, anche i più mecca- nici, nell'atto di metterlo in carta, vien fatto, pur senza volere, di correggerlo , completarlo , o addrizzarlo , e in conclusione di dargli una forma più o meno grammati- cale e letteraria.

Fra le pochissime eccezioni alla regola, una debbono porgerla gli atti de' tribunali criminali, ne' processi e nelle sentenze per delitti commessi mediante la parola, quali sarebbero le ingiurie, le minacele e simili, dove una qualsiasi alterazione al corpo del delitto sarebbe stata falsità ed offesa alla giustizia. È da credere pertanto che il testo volgare di siffatte espressioni, che in alcuni tempi e da taluni notari si trova riportato negli atti processuali, sia proprio tale quale uscì dalla bocca degli inquisiti; e ciò è confermato anche dalla rozzezza di quelle parole, dall' esser talvolta quasi rotte e confuse, non che dal trovarsi in taluni processi ripetute senza la più piccola variante.

Fu principalmente per questa considerazione, che esaminando i protocolli criminali del secolo decimoquarto, che si hanno a migliaia nell' Archivio di Lucca , trovandovi per caso alcuni di detti vituperi testualmente registrati, li trascrissi di mano in mano sopra alquanti quaderni, non per altro fine che di crescere gli spogh di lingua antica di cui tengo oziosamente pieno un armario.

76 S. BONGI

Che tal collezione potesse mettersi in vista del pub- blico, come cosa a sé, non mi era venuto nel pensiero; talché ebbi a maravigliarmi quando alcuni amici cui mostrai que' fogli come oggetto di curiosità, m' invitarono a stamparli, riputandoli singolare e non inutile documento di lingua e di erudizione. Furono anzi gli stessi amici che mi offrirono a questo effetto le pagine ospitali del Propugnatore, non fatto per venire in mano virginibus puerisque, ma a lettori incapaci di rimanere scandalizzati, imparando quali parole e quali modi usassero nel trecento gli uomini e le donne di Lucca, quando mossi dall' odio , dalla rabbia , dal vino o da qualunque altro cattivo consigliere, aprivano la bocca contro il prossimo loro. E perchè mi son persuaso anch' io che niun lettore moderno diventerà peggiore per questa cognizione, ho ceduto facilmente all'invito, e così un nuovo ed inaspet- tato florilegio verrà ad aggiungersi a tanti altri che sono nel mondo. È inutile che io avverta come il testo sarà perfettamente identico agli originali, che sono i libri Maleficioriim del Podestà di Lucca (abbreviato nelle cita- zioni colle iniziali P. L.), dei Vicari di.Camaiore (V. C), di Massa (V. M.), e la raccolta delle Sentenze e Bandi (S. B.). Nei titoli anteposti ad ognuno di que' detti, che son messi per ordine del tempo, compreso tra il 1330 ed il 1384, oltre il nome de' dicitori e di coloro cui le parole son dirette e che talvolta rispondono per le rime, ho accennato, quando era di bisogno, 1' occasione e le circo- stanze dell' ingiuria e dell' alterco. Volendo, avrei potuto porre in basso alle pagine una folta siepe di note storiche, Hnguistiche, eruditissime, colle brave citazioni di confronti ecc. ecc. Mi sono contentato invece di metterne pochis- sime, e forse anche di queste si poteva fare a meno.

Lucca, Gennaio 1890.

S. BONGI.

Lisa di Muìazzo neW atto di picchiare a pugni e strappare i capelli a Nante q, Bonaccorsi di Ficciclano. a. 1330 (P. L. nP 4709).

Socza (1) puctana, carogna merdosa.

Carosso q. Latini Coronassi di Firenze neìT atto di assalire colla spada Giovannino cerusico q. Ghiberti. a.

1330 (P. L 4709).

Lassati me ire, che convene eh' io 1' ocida.

Tùccioro Bonaveri di S. Donato di Marìia a Vanne Provanza di Lucca. 1330 (P. L. 4709).

Tu fecisti me predari, oportet quod te interficiam, soczo ladrone, che me venisti a robbare, che maledetta scia la poeta che ti cachò.

Enriciiccio Cristofori e Gadduccio Talgardi fra loro.

1331 (P. L. 4810).

Tu se' traditore & assessino Tu se' traditore.

Bonaggiunta Rolenzi notaio a Bogginello Bolgarini,

1332 (P. L. 4811).

Sosso guelfo traditore (2), perchè tu sii grande io ti scon- cerò di socto, e ched io t' impiecheròe per la gola

Traditore! che tu mi neghi quello eh' io t' abbo dato & abbone carta.

(1) Dal latino sus (porco) si ebbero susso, suzo, soczo, sosso, sozzo ed altre varietà di scrittura e di pronuncia. Questa parola, o come so- stantivo 0 come aggettivo, era la più comunemente usata per ingiuriare altrui.

(2) Guelfo era l'ingiuria politica del giorno quando la parte domi- nante era ghibellina. Viceversa si troverà (jhibellino a titolo d' infamia governando i guelfi.

78 S. BONGI

Vannéllo Melarti a Matteo Vinciguerra Camarlingo del provento delle Pigioni e de' Livelli. 1332 (P. L. 4811).

Che rubbare è questo ? Furo , ladrone che tu se' , non andrà come tu credi, e se facesse ugnomo com'io, non ci ricogliereste mai denaio ninno. .. Che diaule predare è questo? non rimarrà questa rubberia?

Paganuccio q. Neri Forfeguerra a Federigo Callia- nelli. 1332 (P. L. 4811).

Tu ne mandi figlolata a marito al fdiolo Brunelli per pu- cella, et ella è gravida di Vocchuccio da Ficecchio.

Tur elio Donati da Lammari. 1333 (B. S. 2)

Tu seray anchora ucisso come foe Tigio tuo & andrai per quella via che andò elgi, (1) et guardate da me che io te occidrò.

Nardiiccoro liberti a Simìiccoro Ioannis. 1333 (P. L. n. 47, 14).

Se tu te movi & diray più nulla, eo te occidrò. Fillioro Tofani a Pellino Bucci. 1334 (B. S. 3).

Sosso traditore marzo falsato come se', te tallierò lo volto, ti segarò le vene della gola, che tu non poi campire delle miei mani che io non ti occida; se tu serai tanto ardito che tu vadi fuora ad officio de mensurare (2), tu non torneray mai a casa.

Francesca o Bellina figliuola di Gianni da Torone^ nelV atto di percuotere Stefano q. Viviani da Lucca. 1334 (B. S. 3).

Sosso cane traditore, convene che io ti occida.

(1) Il ricordare a titolo d' offesa le morti violente dei parenti, le non fatte vendette e le pacificazioni, dicevasi improperio e si puniva come delitto speciale. Nello statuto lucchese del 1308, tratta di ciò il cap. 50 del libro III, intitolato De pena improperantis homicidium vel pacem; et de co (juod omicide ire non deheant ante domum deftmcti.

(:2) Era un misuratore dei terreni per conto dell' Estimo, officio odio- sissimo ai contadini.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 79

Guiduccino Guiducci a Puccinello Sar acini. 1334 (B. S. 3).

Esce fora, cane, mestieri è che io t' occida.

Michele Cicogna a Parduccio q. Ughi. 1334 (B. S. 3).

Io ti dròe tanti colpi di coltello che io ti stamprò tutto.

Beìluccia moglie del fu Salsiccia a Maria moglie Fighinucci Gei. 1334 (P. L. 4719).

Soza putana, chi me teno lo me bagasso, et qua recipis a Teresella ruffiana denarios et ijgsa facit quod vidi de te.

Bartolomeo Trombe chiamato Nàccari a Franceschina figlia Mei di S. Miniato. 1334 (P. L. 4720).

Socza putana, e io te farò andare oe stanno le altre putane.

Bernardino q. Baronis vinattiere, nelV atto di ferire Cinuccio q. Bonturelli. 1335 (P. L. 4721).

Soczo cane, ascino fastiggioso.

Nìiccora q. 3Iicheluccia di Segromigno serva a Mea moglie di Niccola Arlotti di Lucca. 1335 (P. L. 4721).

Ria femmina marvagia.... Sossa ria femina tignosa, e porti le treccie bionde.... Va intende, sossa fuia, che fuoco di Sancto Antonio ti possa venire ne le tuoi carni e di fìgliuolti, & possi ardere con tucti li tuoi beni.... Donna Mea, quando vi paresse d'avere tenuta assai la gonnella mia, parrebbe a me che fusse cortesia che voi me la rendesse ingiumai.... Voi non mi volete dare lo mio, ma prego Dio che a chiunque mi tiene lo mio fuoco di Santo Anione se li possa appigliare nelle carni, che r arda con tucti li suoi beni.

Matteo Ciuffarini a Guiduccio Guidotti. 1336 (B. S. 6).

Va va, non ài tu vercongnia? Va, vendica la morte del figliuolo tuo che fue uciso.

80 S. BONGI

Foscliino Stefani a Coluccio Ciomei. 1336 (B. S. 6).

Sosso assassino traitore.... Va, va, non ai tue vergogna? va, ponti la pessa dinanti agli occhi (1) et vendica la morte di fratelto che fue uciso, che 1' ucisse Bernaro Malagaglie & aine facto pacie.

Guido Pucci de* Nobili di Montechiaro a Piero Boe- rie da Firenze. 1336 (B. S. 6).

Piero, di qui a pocho, si tu ci vorai stare, el convirà che tu ti ricomperi da mi, o tu m' àmezeray ciò che tu ay si tu ci voray stare.

Divizia da Capannori pizzicarola a Dolcina altra pizzicarola, facendole le fiche sul volto. 1336 (B. S. 6).

Sosa puttana rofiana, io te feci dare de uno buderazzo {seu ventre) nel volto, et anco te ne farò dare.

Palla da Pisa ed altri compagni alla casa di Ghino q. Lighi. 1336 (B. S. 6).

Escie fora, traitore, che bisogno è che tue moia.

Michelino Landucci ricorrendo con una forca Bulga- rello q. Lomi JBiilgarini Esattore della Taglia delle Cin- quantasettemila lire, che avea predate alcune bestie. 1336 (B. S. 6).

Sozzo cane che ce veni a rubare, non te le menerai quiste bestie. All'armi, all'armi!

Bartolomeo q. Fulcis Amati a Bino Spollatini. 1336 (B. S. 6).

0 Dino, traytore sanguinente, che io non voglio di te alti'o che carne, sosso gotoso marzo.

(1) Allude al segno che portavano gli offesi, a ricordo della vendetta da fare. Doveva questa memoria esser di diverse maniere, e forse il modo tuttora usato di legarsi a dito un' offesa, ha origine da tale costume.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 81

Facino Fetri a Fanuccia,... 1336 (P. L. 4728).

Soza putana, per li dinari mey non ce posso esser servito?

Nicolao del Tepa e Vannella moglie di Iacopo Chel- lini nunzio, 1337 (B. S. 7).

Sozza putana, e via torna al bordello chorao se' usata , e si tu seray tanta ardita che tu vade per via, io ti sgridare te e la tua compagna, corno putana.

Seguita poi: « Et multas ciaìdas dabo pueriìis qui te sgrident per via chomo putana che tui è, et hoc faciam in dedecus et verecondiam lacchi pr editor is, qui ipse est, et si ego eum inveniam ego offendam eum in personam et secure caveat a me ». E quindi rivolto a Iacopo sud- detto sopravvenuto.

Sozzo traditore che vay appostando li omini de nocte, cho mi se' stato de nocte intorno alla casa mia per pigliare mi, che non mi pigli avalle, che io sono dinanti al viso toy? Traitore, chomo se' tui ardito che mi volgi pigliare? (e traendogli una sassata nel muso) Vuay, tradictore.

Mano q, Farducci a Lagina q. Michelis Spinelli 1337 (B. S. 7).

Io t' ucidròe, esci pur fuori di casa.... anche t' usidirò & tallirocti lo nasso & aiutitine se tu puoi.

Giovani Bucelli a Catalina q. Graciani di Porcari. 1337 (B. S. 7).

Putana marza, io te pagherò bene.

Andriuccio Bindi a Fietro Ser Cioni Boere. 1337 (B. S. 7).

Tu menti per la gola...; ma anchora io te ne pagarò, che tu non chidirai a me ni ad altra persona che di me non ti ricordi.

Vuccio Ceci di S. Gennaro a Don Stefano Fievano d' esso luogo, 1338 (P. L. 4735).

Sozo traditore, baglioncello che tu se'.

Voi. Ili, Parte i. 6

82 S. BONGI

Coluccio e Lucchesino germani q. Vannis a Chelluc- cio MassarroccM. 1338 (P. L. 4735).

Soso asino sanguinente... Soso cane sanguinente (1).

Saìvestro GiuntarelU sulV uscio della bottega di Fre- diano Uontini contro Angela sua moglie e contro esso Frediano. 1338 (P. L. 4736).

Ei, sossa puctana, che Gadonna a Santa lustina t' à ruf- fianata a' tedeschi in Sancto Giorgio... Sossa puctana, sossa trot- cecta (2), va sta co tedischi. (Al marito) Sosso ladroncello furastrello, che uccidisti tua matre.

Barduccio g. Gantonis Adveduti di S. Gassiano a Vico a Ser Ugolino Davini Bonelli notaio, avendolo in- contrato sulla via di detto paese. 1338 (P. L. 4736).

Tu passi quinci & non mi cognosci mai; in Cancelleria ben me conoscisti de po' ieri. Elli è ben qui luoco u' io te posso deservire ora, et si io fosse apparecchiato , io ti diservira volontieri, che s'io gridasse pur un poco, ne trarieno più de cinque dell' omini che seréno meco a diservirte. Ma io te tro- verò un' altra volta, perchè dicisti che me faristi impiccare. Tuo padre andòe contra parte ghibellina, e ben de li colse; così ne colila a tei, eh' elli ne fu ben concio e ben si sae che ne fue morto.

Gasuccio Benvenuti a Gadonna vedova Lemi di Vico- pelago. 1338 (P. L. 4736).

Sosa puctana, che tutto die lo figliuolo tuo te trova l' omini adesso.

Guiduccino Pucci a Gecchino q, Gelli speciale. 1338 (P. L. 4736).

Tu menti per la gola, briaco marcio!

(1) Sanguinente, che i dizionari pongono come equivalente a san- guinoso, è spesso detto dagli antichi a titolo d'ingiuria, e forse aveva senso alquanto differente.

(2) Torcetta, come torcia si userebbe anche oggi nello stesso senso.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 83

Bonavia lóJiannis di Villa Basilica nelVatto di per- cuotere sulla via piibòlica Ser Neri Casanova rettore dello Spedale di S, Maria de' Carcerati, 1338 (P. L. 4736).

Sosso vecchio leto, fact' in costà, levati dalla via.

Michele Colucci testore a Niccola moglie di Salamone del Giocto. 1338 (P. L. 4737).

Sossa puttana marcia, eh' io te farò andare a stai*e a la casa de Re (1).

Nucco Bardi di s. Martino in Freddana a Cino q. Vannelli di Torre. 1338 (P. L. 4737).

Sosso furo, e' ti fie talhato Io piede e cavato eli' occhio, come fue a tuo padre. Fanne vendecta se poi.

Bruno Belli di Montecatino a Petruccio q. Orsuccio Petrucci di Lucca. 1338 (P. L. 4737).

Petruccio, tu serai anco appiccato per la gola, come fue tuo padre.

Puccinello Ciuccili detto Sgariglio di Carraia contro

Neri loJiannis nunzio del Potestà. 1338 (P. L. 4737).

Non ce portarai pegno segno, a despecto de chi te cachò, si fossi con tucta la famiglia de la potestade.

Maio Ugolini a donna Carina moglie MillioriSy am- bedue di Camaiore, 1338 (V. G. 1526).

Fistolo abia tu e chi te cachò, che m'ài facto metere fra- tei mo in ceppi.

Michele Cettini Berti di Camaiore a Manoello Lonis de Sbarris di Lucca. 1338 (V. G. 1536).

Questi denari che me chiei saranno i mali denari per te, che fistola abia chi te pisciò!

(4) Cioè del Re de' Barattieri , in postrìbtdo Regis^ come in altro atto del 4341 (Potestà di Lucca, n.° 4736), dove è anche mentovata la Regina, Cadonna moglie di Cecco Dini allora Re, e sono altri curiosi par- ticolari sulla istituzione.

84 S. BONGI

Andruccio Bonaiuti a Franmiccio FranceschinL 1339 (P. L. 4739).

Non te vergogni tue, eh' i' ò tolto fame a tua matre cento volte.

Frediano Bonturi a Silvestro,., 1338 (P. L. 4741).

Tuo sorocchia ène puctana e fasi fòctare qua e là... S' io dovesse spendere G. fiorini d' oro, io ti farò schiacciare el capo, per ciò eh' illi à dui muglieri.

Alcuni hozzanesi a Lemmo Guccini da Bolzano ed al famiglio. 1339 (V. G. 1537).

1 hozzanesi a Lemmo. U' lassi menare fratello da loro della lancia? {cioè dalla squadra da' famigli; e voltosi a Naldo famiglio di ser Tommaso da Mer catello Vicario del Capitano di Lucca che avea catturato il fratello suo) Se tu non lo lassi, noi ti daremo delle pietre.

Gemma da Siena a Gemma moglie di Bandino Cardi. 1339 (B. S. 8).

La sossa puctana di Gemma mi tiene Bandino per suo marito eh' è mìo marito, & li filioli che ella ae sono di preti... Via, sossa puctana che m' ài tolto Io mio marito. {F voltasi a Carina socia di Gemma) No avete voi vergogna d' acom- pagnare le puctane?

Vita Naffì di Montecatino a Fuccinello q. Coluccio Lunardi officiale del Fondaco. 1339 (P. L. 4744).

Soczo furo, ladro sanguinente, che fosti condepnato per furto & ancho no ài pagata la condennagione.

Iacopo di Banuccio q. Nicolai Porci di Poggio a Cia- lupo q. Nicolai Porci di Poggio. 1339 (P. L. 4745).

È conveni eh' io ti stressi e che tu mòi per le miei mani.

Catenina vedova di Marchiò Ugolini a Catellina e Chiaruccia Gratiani di Porcari. 1339 (P. L. 4746).

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 85

Socze piictanelle , puctane , eh' avete tenuto bordello ad Maiilia per le fosse e per le sciepi.

Gerarduccio lovannelU di Prato di Massa Lunese^ tumultuando armata mano contro Sandro Neri di Firenze abitante in Massa, 1339 (P. L. 4746).

Moia questo forestieri, uccidiàllo questo traditore, sicché non ci vegnano tanti exactori tucto die a rubare, che, morto lui, morto el porco.

Nese da Barga contro Chiido q. Ser Tornassi da S. Miniato. 1339 (P. L. 4746).

Io ne mecto ad despecto Dio e Sancti eh' io non paghi

una volta uno che li strà sempre a mente... Tu menti per la

gola, come sozzo cane fracido che tu se', pessimo traditore, che convene che io te ne paghi.

Vannello Ughi contro Tedaldina moglie di Vanni Baroncini. 1339 (P. L. 4746).

Vidi quella bagascia che ae marito & àne preso uno altro?

Cialupo q. Nicolai Porci di Poggio picchiando Gita q. Arrighi da Uszano moglie di Bino di Poggio. 1339 (P. L. 4746).

Sossa gaglioffa iumenta, che co li miei denari ti farabbo le braccia e le coste... Io ti darò del pugno tale ne la costa che andrai in terra.

Giunta Corsini di Pisa contro Bartolo Curradi co- razzaio e sua 7noglie. 1339 (P. L. 4746).

Io ti ucciderò..., sossa mala puctana che tu se'.

Nuccio q. Bacciomei Pregioni a Lupardo Ser Miche- lis... 1339 (P. L. 4748).

Tu menti per la gola, io ti piglierò e gecterocti in uno posso se tue favellerai piùe.

86 S. BONGI

Ursuccio Joannis detto Socchino nelV atto di colpire Masseo Nucci. 1339 (P. L. 4748).

Sosso ribaldo , gaglioffo traytore, che convene che tu sia morto per le miei mani.

Jacopo dom. Bainucci di Poggio, pigliando per la gola Cialupo q. dom, Nicolai Porci di Poggio (1). 1339 (P. L. 4748).

Gonvene eh' io ti strozzi, e che tu muoi per le miei mani.

Landuccino Semhrini di Lucca a Giovannino da Purgo Malo di Genova, 1339 (P. L. 4748).

Che ài asino bructo marcio, sosso fracido? Se non fosse che tu se' forestieri, io te darei tante coltellate infino eh' io ti vedesse morire.

Martino q, Nicolucci di Sesto di Moriano a Minuccìo figlio Mencori Prunicardi di detto luogo. 1339 (P. L. 4748).

Soczo furo, io ti merrò a Lucca e farocti appiccare, impe- rocché tu mi vendesti due castruni, li quali tu involati a Bar- tolomeo Guiducci & a Franceschino Deschucci tabernari di Ta- verna Minore.

Giovanni Pucci di Fagnano a Bertocchia Pucci detto Bertacchino di Salissimo, 1340 (P. L. 4749).

Levati di quinci , se no ti darò di questo coltello.

Mante relitta q, Pieri maestro di pietra a Maria relitta q, Bindi di Brancalo, 1340 (P. L. 4750).

Sossa ria femena malvagia, che tu se' de tancte male con- ditioni & tu ne menti per la gola.

Parduccino Jacobi di S, Donato a Vannello Biechi fabro. 1340 (P. L. 4756).

(1) In questa grande e riottosa famiglia di Poggio erano continue le risse fra i parenti, ed i loro nomi spesso compariscono nei libri criminali.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 87

Al corpo di Dio io tracteròe & ordineròe sie cun tal modo, che in poghi die di darti o darti fare morte.

Bartolomeo q. Ugolini del Maestro a Coluccio q. Valentini. 1340 (P. L. 4759).

Se non fusse per amor di costui, io ti strosserei.

Jacopo Cheli di Carmignano, tirando sassate contro la casa di Cecco Bini detto Be {de' Barattieri). 1340. (P. L. 4759).

Sosso cane assessino traditore, escie fuore che io ti pageròe bene.

Giùntoro Vanni a Margarita moglie di Bettticcio Appiccalcane. 1341 (P. L. 4761).

Soza putana, che mille vermicani te nasca in nella gola.

Bino Roscimpeli a Mariotto Boninsegne console della Contrada^ che gli richiedeva per ufficio il nmne ed il nu- mero delle bocche. 1341 (P. L 4766).

Va, che tu ài taglato el vulto da V uno lato, e innanci che io te desse 1111.° e io te lo taglerabe da Y altro.

Pardo Albertucci di Baìbano a Francesco q. Labari Acceptanti di Lucca, nelV atto che questi si era presentato a lui per una esecuzione giuridica. 1342 (P. L. 4770.)

Io ti darò tale del capo in sulla pietra che ti voleranno gli occhi della testa, che tristi facciano Dio i Pisani quando ne ri- teneteno neuno, che non intagliòno tucti a pessi quanti Lucchesi sono, fuore che ne fusseno quelli delle Sey Miglia.

Enrico q. Cagnolini Cagnoli a Tommaso Cagnoli. 1342 (P. L. 4772).

E' conviene eh' io ti dia d' uno coltello, & di questo non de puoi campare, a Tonta e dispecto tuo & aiutatene se ne potessi.

(E avendo Tommaso risposto V accuserebbe al Potestà, suggiunse) :

88 S. BONGI

Io te ne mecto a dispecto che me ne facci Io pegio che puoi.

Jacopo q. Miclielis^ vocato Volto di Cane, di S. Mi- chele di Colle di Mostesigradi a prete Ambrogio q. Berti rettore di detto luogo, 1342 (P. L. 4777).

Va fa la vendeta di fratello, che fue morto a ghiado et cosie sarai tu.

Paccherà Landucci a Massaia 1342 (P. L. 4780).

Sossa puctana, tu mi fai strugere al porto (1) tuo.

Nino figlio q. Vanni Fusi di Firenze a Puccinello q. Bini Porci di Poggio, 1342 (P. L. 4780).

È conviene eh' io ti dia d' uno coltello per le spalle, che vi farò uno tale callare che vi metterai della stoppa.

Dialogo fra Cadonna moglie di Piero Sardi e Ca- tenina moglie di Pietro Martini da Firenze, 1342 (P. L. 4780).

Cadonna, Sozza puttana et rofiana che tu se'. . , che ser Giliberto (2) ti fece fare uno figliuolo in sulla colla.

Catenina. Sozza puttana, non v' anderai oggi a farti mon- tare addosso per le botteghe.

Fasino, Panello e Nutino contadini di Carignano e di Ponte S. Pietro contro Giovanni Buoni detto Benen- gambe sensale, forse in fama di sodomita. 1343 (P. L. 4781).

I tre gridano : Al lupo, al lupo delli garzoni I Giovanni risponde : Io vi farò impiccare per la gola a Ser Scherlatto (3), sossi furi che voi siete.

(1) Porto per porta, ripetutamente.

(2) Giliberto de' Giliberti da Verona era stato Luogotenente e Capi- tano di Lucca nel 4336, per conto degli Scaligeri.

(3) Ser Scherlatto MafTei da Rasinopoli Capitano di Custodia e di Guardia in Lucca sul principio della dominazione pisana.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 89

Panello pigliando Giovanni per la gola : Io li strozzerò, eh' elli è peccato a laxarne seme in terra delli tuoi pari !

Jacopo q. Donati ciabattaio e Cecca sua madre a Puccinello q. Vannis calzolaio. 1343 (P. L. 4781).

Tu seie furo & ladro, che tu m' ay schiavata la taula

dalla parete per venirmi a furare Noi fummo quelli che

ti facemmo dare le stracte alla colla alla Corte della Potestà & anco te ne faremo dare, & anco intendiamo di provare come seie furo & ladro.

Viannuccio Nuccori detto Tartaro di Segromigno a Simone Laurentii di Gamhassi. 1343 (P. L. 4781).

Io t'ucciderabbo inanti che tu parti da questa terra.

Nuccino figlio Cadonne di Schiava a Nula relitta Bencivenni di detto luogo* 1343 (P. L. 4781).

El he bizogno che io te seghi le vene con questo coltello.

Pietro Fanucci di S. Donato e Benetta q, Talucci di Montuolo. 1343 (P. L. 4781).

Piero. Benetta, tu faresti cortesia a rendermi ogiumai (1) la gallina mia.

Benetta. Tu menti per la gola, sosso mulo bastardo che tu se\

Ciato Andree tavernaio a Torio Coscii altro taver- naio. 1343 (P. L. 4781).

Va, appiccati per la gola, sosso, acino (2), leito (3), non sa r omo che tu ti sii !

Coscio Perini a Perotto Viannucci di Vorno. 1343 (P. L. 4781).

(1) L'odierno oggimai si scrisse variamente in antico e per lo più come qui ogiumai, cioè oggi o mai.

(2) Acino ed ascino, spesso gli antichi lucchesi per asino.

(3) Leito per leto.

90 S. BONGI

Piero, io t' impromecto che da stazera in anti, launqua io ti troveroe, io t' offenderò.

Mazseo Vanni a Pietro Bartolomei. 1343 (P. L. 4782).

Va e levati la pessa dalli occhi, sosso malcornuto ; va che ti nasca lo vermo cane, che io ti darò di questo baractro per Io volto.

Michele q. Bertini Dardagnini a Filippo Joannis di Via Nuova, 1346 (P. L. 4785).

Io non rembolerò mai eh' io te chaccierò di Luccha o an- deròne io.

Michele Bertini a Landò Opithi Onesti. 1344 (P. L. 4785).

Io arò uno tuo pari che ti darà d' uno fecciaiuolo per lo volto.

Andriello Vitalis portatore a Margarita q. Scolaini di Firenze. 1344 (P. L. 4788).

Sozza puttana che tu se', che non v'à stalla a Lucca che tu non abbi cercata per farti rimonare lo culo, che tu morrai a lo spidale come fé' tuo padre, & fammi lo peggio che tu puoi.

Antonio Frediani a Goluccino Pucci. 1344. (P. L. 4788).

Tu se' uno ascino di due a denaio, & furo ladroncello.

Giuntino Buoni di Carignano correndo addosso a Mar tinello Sighieri di S. Anna. 1344 (P. L. 4788).

Traditore, spectami, spectami che se io ti giungo io t' u- ciderò.

Gardino q. Baciucchi di Corsanico contro Ciandolìno Marchi. 1344 (P. L. 4787).

Elli conviene che io te talli lo vulto & caviti le budella . . . Esce fuora, che conviene che io ti paghi.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 91

Divizia serva di Pietro da Montevettolini a Van- niLccio detto Dante cimatore. 1334 (P. L. 4787).

Filliuolo della mala puttana et io ti darò della mano in dello vulto, et vae, annegati in dello cesso, sozzo acino.

Mannello Berti di Bota a Puccione q. Mecucci id, 1344 (P. L 4787).

Io ti daròe piòe colpi di questo coltello che tue non ài peli adesso, & io ti troverò altro che qui, sie che non ci saranno ispartitori.

Petruccio Orsi di Lucca a Simone Berti di Firenze detto Fanfara, 1344 (P. L. 4789).

Noi ti pagheremo sie , che anzi che sia uno mese , noi ti erremo sotto la taccha del socculo.

Giuntone Bacciomei di S. Donato di Domenmno a Coluccio Bonturi di Lucca, 1344 (P. L. 4790).

Levati la vergogna tu da dosso, eh' io ti cavai figliolata di bordello & andai per essa a Montesommano.

Coluccio Turi di Villore a Stefano Neri id. 1344 (P. L. 4790).

Tu menti per la gola, come cane che tu se', traditore & furo . . Sosso cane battuto come asino, & non te ne se'i)Otuto aiutare . . . quando io aròe tempo io ti pagheròe come tu serai degno.

Dialogo fra Biancorino Jacohi e Francuccio Fran- ceschini, 1345 (P. L. 4793).

B. Tu se' uno mentechatto.

F. Biancorino, io vi prego che voi non mi diciate villania. B. Francuccio, io ti proverò che tu se' una bestia et uno mentegatto.

F. Biancorino, anco vi prego che non mi dichiate villania. B. Peggio fai tu che tieni la moglie altrui.

92 S. BONGI

Lenso q. Cenci di Ussano a Geo q. Vanni PoUani di Lucca. 1345 (P. L. 4793).

Se tu verrai, io ti tagliere tutto a pezzi & aiùteneti quanti Lucchesi ae in Luccha u Massesi in Massa.

Dialogo fra Geo q, Andrucci di Po^^uolo e Guelfo, q. Nicolai Porci di Poggio, 1345 (P. L. 4799).

G. Io ti drò tal pagamento & pagròti, credimi, si come si converrà.

G. Tu ài a pigliare li libelli, poi verrai alla Corte.

G. libelli imbasciata vo' pigliare, però che tu ne menti per la gola, eh' io non ti debbo dare nulla.

Stefano Vanni di S. Maria a Golle a Goluccio Lippi id. 1346 (P. L. 4803).

Io ti sfido e guardati da me, eh' io ti credo tractare come tu m' avesse morto mio padre.

Andruccio Gardani di S, Alessio a Vannuccio lun- tori hiadaiolo, 1346 (P. L. 4803).

Tu diresti del si no e del no si; tu diresti del no si e del si no.

Lusio Balducci TJhaldi a Petruccio q. Ursuccio far- settaio. 1346 (P. L. 4808).

Tu usi con Bectìnello Gampocci et elli fece apichare il tuo padre con certi altri compagni, et ebbene fiorini cento sexanta.

Garduccio Targar di a Sornacchino SornacchL 1348 (P. L. 4811).

Fraterto disse in tua presenza eh' elli volea fare la ven- decta di Guidiccioni, elli è bisogno che tu lo disdichi che tu non la vogli fare.

Giovanni q. Veccoli del Lieto a Stefanello q, Bo- naiunte. 1348 (P. L. 4811).

Tu se' homo di mala fama, ribaldo sanguincnte.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 93

Giovanni Privigiani a Bionda di Pisa ed a Fiora di Firenze. 1348 (P. L. 4812).

Elli conviene che io ti faccia Y autro occhio a pentrogiani, rofiana che tu se'. Tu sei quella che tieni lo bordello , elli conviene eh' io ti fiacchi lo capo, puctana !

Pietro Mercati di Segromigno a Piero Dati di Fib- Ualla. 1348 (P. L. 4812).

U' è questo traditore, che conviene eh' io 1' ucida ?

Orso Miniati di Lucca a Vanga da Stignano « olim super Deveto » (1). 1348 (P. L. 4812).

E' conviene che io ti cacci di Luccha & aiutitene chi vuole, & al dispecto di chi ti cacòe in terra.

Bartolomeo q. Bentivegne di Lucca a Luporino Mar- tini di Vercìano. 1348 (P. L. 4812).

Male a tuo bizogno se' venuto a stare in questo luogho, e' conviene che io ti diserti & cacci del mondo.

Jacopo detto Imperatore taverniere a Puccinello To- fani caseario. 1348 (P. L. 4812).

Se tu fossi altro che qui io ti drei una mascellata (2).

Gio q. Novi di S. Croce notaio a Jacopo di maestro Gilio, 1348 (V. G. 1542).

E' conviene eh' io faccia teco a pettinacci (3), et eh' io ti farò lo peggio che potrò & che io ti caccerò di Lucca.

Puccio q. Bossi di Moriano a Bolgìiino nunzio del Potestà e de' Beni de' Banditi, 1348 (P. L. 4815).

E' conviene al postutto, che inanti che tu passi il ponte, io ti tolla la vita.

(1) Cioè ufficiale o famiglio sopra \\ Divieto, qualità d'uffizio fiscale.

(2) Mascellata, come rjotata.

(3) Così più volte.

94 S. BONGI

Puccio Pucci di Gattaiola a Stefano Pieri id, 1348 (P. L. 4815).

Tu se' furo, che mi venisti di notte a rubbare a casa & furastimi fave, grano & uno crocco.

Micuccio detto Minchione a Nicolao q. Carincione de' Carincioni, 1349 (P. L. 4816).

Tu non ci passerai septe volte che io taglerò a pezzi.

Bernardo Nardini di Stabiano a Luporino Landi di L^cca, 1349. (P. L. 4816).

Io debbo avere Y altra soma de le legna del compagno tuo . . . Cane, e' conviene eh' io ti strozzi, o tu porrai qui li denari miei.

Arrigo q. Guido Sartoi a Vanni q. Bucci Cristo- fani de' Quartigiani. 1349 (P. L. 4818).

Tu, Vanni, se' guidatore di balle & in casa tua non ebbe mai cavalieri, tuo consorto, altri che legatori e guidatori di balle.

Chiaruccia moglie di Giovanni Alhertini a Caterina moglie di Stefano Arnaldi figlia di Percivalle q. Guido del Portico. 1349 (P. L. 4821).

Sossa mula bastarda tignosa che tu se', va stae traile fanti, che Dio le desse il male Dio e '1 malanno, ... che in- nanti ch'ella ne venisse a marito, andava come fante.

Venturino Pieri caciaiuolo a Neruccio Puccini for^ ficiaio, 1349 (P. L. 4821).

Io ti farò cosa che tue serai sempre mai tristo & chiun- cha bene ti vuole.

Margarita moglie Jacopi spadaio a Francesca moglie Francisci Latoris. 1349 (P. L. 4821).

Sossa fuia, tu m'ài infurati i pollastri e uno tovagluolo.

Passavante Bertini celendratore a Bartolomeo Bianchi notaio. 1349 (P. L. 4821).

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 95

P. Tu se' notaio & se' rofiano . . , tu ài uno fiorino di quello della iusta(?) . . . Ecco bello notaio rofiano. B. Dunque di' eh' io sono rofiano? P. Io tello proverei.

Lippo Neri di Bargecchia a Salderà q. Nelli Eaffa- g anelli di Lucca. 1349 (P. L. 4821).

Tu menti per la gola, sosso acino scorticato.

Ser Tomaso Masini notaio 1349 (P. L. 4821).

a Frate Giovanni di Saggiata Priore della Badia di Camaiore nelV atto di percuoterlo in viso: Di pogho mante- gno eh' io non ti do e fotti peggio.

quindi a Pietro Abate di detto monastero: Bene, che ne vuoli dire, abate? darabbo io anche a te, or che non te ne aiuti?

Ser Filippo & Bonaiunte Lusardi a Bernardo Buti nunzio del Comune di Lucca. 1349 (P. L. 4821).

A costui non si de' dare fede a suo testimonio, per ciò che li fue taglata la mano per falsitade.

LÌ2a serva di Banchello a Francesca serva di Gui- do Venture di Pisa, 1349 (P. L. 4821).

Sossa puctana tignosa, stallaiola (1).

Guiduccio Ginocti di Stabiano a Puccinello Cini id. 1350 (P. L. 4823).

Io ti t' ò assaglito con questa due volte, ma ingiumay la prima volta che io t' assalglerò, io rimarò o tu.

Coluccio Bianchi di Corsanico a Pertcccino Marcili di detto luogo. 1350 (V. G. 1545).

Coluccio. Peruccino, pregoti che tue ti ne vadi et par- teti e va via per li facti tuoy.

Peruccino. Io ci verrò e starò e in casa enterrò al di- specto tuo . . . Sosso rofiano marcio.

(1) Da stalla, cosi altrove.

96 S. BONGI

Nuto 8arzanelli di Camaiore a Masinello Ciantelli, 1350 (V. G. 1545).

Masinello, e' conviene che io ti ficchi questo coltellino adesso cento volte, et non sarà chi te ne adiuti.

Martino Mannelli di BargeccJiia al solito Bosellino nunzio. 1350 (V. G. 1546).

Tu, Roselline, non fai bene che tu m'acusi, e guarda come tue vai per la contrada, e' conviene che io te ne paghi.

Nicolao Vannuccori a Pietro Baroncini calzolaio. 1352 (P. L. 4828).

Se io avessi volsuto cotesta perticha, io V arci avuta, sosso furo, ladro.

Nesia moglie Ursucci a prete Ambrogio q. Berlini rettore di S. M. a Colle. 1352 (P. L. 4830).

Va, fa la vendetta di fratelto, eh' è morto a ghiado & tu sarai uciso chome fue elli.

Gherardo PocJielti di Camaiore a Fanuccio Ghi- ducei. 1352 (V. G. 1546).

E' conviene che io ti giungha, & talora te ne pagherò che tu non potrai dire: Dio aiutami.

Vannuccio Guiducci da Bozzano a Bosellino Gio^ vanni nunzio della Vicaria. 1352 (V. G. 1546).

Ghe bailìa & che arbitrio ài tu di comandare u di pre- dare? ... Tu nonde portrài pegno, e va e appiccati per la gola.

Francesco Bardi taverniere di Camaiore a Ser Francesco Ser Manfredi. 1352 (V. G. 1546).

Tu se' pappatore, leccone, rubbatore, furo, traditore & com- pratore di offici.

Pietro Pagani di Camaiore a Cigulino Bianchi. 1352 (V. G. 1546).

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 97

E' conviene che io di quello che tu m' ài fatto io ne pa- ghi li tuoi figliuoli . . . Ponti la mano al volto ... è con- viene che io ti conci a mio modo.

Nicolao del Tepa nelV atto d' assalire colla spada ser Nicoloso lacohiicci da Sarzana officiale sopra la farina, 1354 (P. L. 4833).

Sosso traditore sbandito, elli è bisogno eh' io f uccida.

Pietro Berti di S. Matteo a Nave a Pietro Luparelli id. 1354 (P. L. 4834).

Tu menti per la gola, traitoro merdoso.

Francesco Lopucci di Noszano nelV atto d^ aggredire a mano armata la casa di Nicolao Nuccori a S. Maria a Colle. 1354 (P. L. 4834).

Escie fuora di casa, bastardo traditore, che conviene che io t' ucida con questa lancia, e questo non puote cessare.

Fava Clielini a Luporino Naccìii della contrada di s. Fìlipo. 1354 (P. L. 4834).

Ben ci venisti dirieto, & da te non rimase che noi fussimo presi e morti la sera che fu ferito Luporino Celli.

Caruccia figlia Vannucci a Divizia moglie di Ge- rardo del Gelso. 1355 (B. S. 18).

Sossa puttana et rofiana che tu se' , che vedere postù li tuoi figliuoli impiccare per la gola et abbocconare, come falsa puttana & rofiana che tu se'.

Michele detto Ciuffarino a Lemmo AnicMni. 1355 (P. L. 4839).

Traitore & assessino che tu se' , che io te ne incaco in della gola cS: per una volta mille, & menti per la gola, che sai che tuo padre fue uciso . . . Fanne la vendecta, che bene ti doi vergognare ad aparire traile genti . . . Piglia 1' arme tua & io la mia, & facciamola insieme. . . .

Voi. Ili, Parie I. 7

98 S. BONGI

Nicolao Bucci Tepe di Lucca nelV atto di pigliare per il collo Buccio Giovanni di Pisa. 1355 (P. L. 4839).

E' conviene, che se tu poni la mano in sulla spada, ch'io te la ficchi in culo & che ti faccia stare tristo.

Farina da S. Gervasio da Pisa famiglio delV Offi- ciale del Borghicciuolo e Nicolao Lippi da Lucca sarto. 1355 (P. L. 4841).

Farina. Se tu ci farai romore io ti meneròe preso allo Officiale di Borghicciuolo.

Nicolao. Che abbo a fare coli' Officiale ?

F. Io non soe. Se tu ci farai romore io pure ti ci me- neròe.

N. (Sguainando la spada) Vùola far meco?

Giànuncoro Garducci di Matraia a Marco Cini di Bucèntola. 1355 (P. L. 4841).

Vammi fuora della corte, traditore, che conviene che io t' aposti uno die in delli boschi di Cordano.

Francesco Andrucci tintore nelV atto d^ impedire a Caterina Ardiccioni d^ entrare in una sua casa. 1355. (P. L. 4841).

E non potre'fare Dio la vergine Maria che tu ci al- bergassi dentro una notte.

Giovanni q. Ser Federighi di Camaiore a Giovan- nini Arnaldi esattore del Comune di Lucca che aveva predato un asino ad un debitore. 1355 (P. L. 4844.)

Sempre ai rubbato quelli da Camaiore, e se tu serai tanto ardito che questo somieri tu tocchi, io ti farò tucto talliare.

Bragino Luparelli d^ Orhicciano a Pacino Martini di Lucca. 1355 (P. L. 4845).

Guarti, Pacino, che tu ài in questo Comune delle case, delle vigne e dell' altre cose, e di qui a pogo non à molto (1)

(1) Questo par che fosse un modo avverbiale significante che non passerà molto tempo.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 99

. . . Va fuora della corte mia, però che io ti tegno per mio inimico mortale, e fai gran male a intrare nel mio, e una volta ve ne pentirete.

Scambio di parole fra Erasma q. Pucci e Divizia q. Torelli pizzicaiuole , acciuifate fra loro, e picchiantesi con gr affli e morsi. 1355 (P. L. 4846).

Sozza puttana marcia che tu se' !

E tu se' troia marcia con tuoi bagasci I

Cavallino del Paterna a Guido Arringhieri che vo- leva intromettersi in una rissa di soldati tedeschi. 1355 (P. L. 4846).

Via, macto, u' vai ? che serai tagliato a pessi, non v'an- dare!

Bartolomeo q. fratris Vanni Dati speziale a Matteo q. Bini Casati. 1355 (P. L. 4846).

E' conviene che io ti stressi, u eh' io t' afoghi, u eh' io t' ucida.

Pinuccia moglie di Benincasa caciaiuolo ad Ame- rigo Vanni di Pistoia, 1356 (P. L. 4849).

Non ti vergogni ? Va, fa le tuoi vendecte, eh' elli è biso- gno eh' io ti faccia segare le vene.

Giovanni Migliorini detto Bucchianera di Montefe- gatesi avendo invasa la casa di Cecchina JSfuccìoletti di Sarmna relitta di Andreello q. Micheli di detto luogo, ed avendola ferita, 1356 (P. L. 4849).

Aprimi la cassa u' tu tieni li denari et non far mocto, e sennò ti livrerò d' uccidere.

Buccio detto il Falso da Firenze a Caterina moglie di Sabbatino da Villa, 1356 (P. L. 4849).

Puttana, io ti tallierò il naso dal volto.

Femminuccia vedova Cecchini Balducci di Capannori a Bonna Torà vedova q. Ceccori q. Colucci Romei di Lucca. 1356 (P. L. 4849).

100 S. BONGI

Puttana, puttana, vergognati che tu hai fatti figliuoli d' al- trui.

Santuccio q. Saulo de Sauli a Bavinuccio JBrunelU Anziano del C. di Lucca. 1356 (P. L. 4849).

Asino sanguinente che tu se', furo & ladro, che rubbi li buoni homini & le buone donne di questa terra & poi fé' di- pingere le chiese per esser tenuto buono homo . . . , e se' un asino che vale meno d' uno mulo.

Pagnuccio Vanni di Buota ciiofinaio, minacciando con sassi Massea moglie di Baldino Ferranti dello stesso paese, 1356 (P. L. 4849).

Passa, ria femmina malvagia, e' conviene inanti che sia molti dì, eh' io ti rompa la vita u faccia rompere , se mi do- vesse gostare due some di chuofìna.

Bagno Bossi a Frediano Bianchi., ambedue di Tofoli, 1356 (P. L. 4849).

0 Frediano traditore, elli è bisogno che tu muoi pelle mie mani.

Parole fra Puccinello q. doni. Quartigiani de' Quar- tigiani di Lucca, e Vituccio Gardi e Coscio Ternigi di Arliano. 1356 (P. L. 4851).

Puccinello. Avetemi rinvenuto lo mio mantello?

Vituccio. Noi l'abbiamo avuto a mente; in nel nostro Comune elli rispondeno che coloro che vi funno aitare recare di Garfagnana, sono si fatti che no lo avrebbeno avuto.

Puccinello. Lo mantello mio valeva forse fiorini due d' oro, ma a despecto loro, ellino me Io menderanno più di XII.

Coscio. Io vi prego che voi facciate che coloro che ano la colpa siano pagati, & non li antri.

Puccinello. Tu me lo menderai, tu, sosso ladro, furo, che nino l'àe avuto altri che tue, ch'io ti farò appicare perla gola.

Coscio. Io non fui mai a Capraia e non l' ebbi, ma per la boutade delli signori di questa terra, tu non farai iniuria <fe non mi manicherai.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 101

Fuccinello, Io ti farò anche autro (saltando addosso a Coscio e picchiandolo),

Bartolomeo Loccori taverniere detto Chiocca a Suffi- lello famiglio della Gahella Maggiore che andava « ri- mando » per conto della gabella e del Divieto. 1356 (P. L. 4851).

Se tue fossi autròe che quie, io te ne pagherei et non mi faresti iniuria; ma, a dispetto di Dio, io non me ne posso aitare !

Donna Moccia serva d^ Angelo famiglio degli An- ziani a donna Francesca moglie di Siìno Facini calzolaio. 1356 (P. L. 4853).

Schioppar possi tu col fanciullo che tu farai & se' per fare, e cotesto fanciullo che se' per fare non è figHuolo del marito tuo, ancho è figliuolo di prete . . . (e volgendosi al marito di essa) Gazzaro, pa tarino che tu se', che quello che la donna tua è per fare non è tuo fanciullo.

Michetto figlio Puccini Amici e Vannuccia sua madre e Martino e Ugolino germani TommaselU^ tutti della Pieve di Camaiore. 1356 (V. G. 1549.

Voi faite come traditori che voi sete, che ci volete tollero per forza la casa che ae comprato Puccino Amici nosso. Ma voi ce lo devevate dire innanti che la comprasse.

E Puccino ai due che sopra: Andate che voi siate ucisi come fue Benetto delle Serre.

Botta e risposta fra Paganello Nini e Nuta relitta q. Pardelli Nuli, tutti e due di Ruota. 1357. (P. L. 4854).

Sappi se coloro che segano sono streghi u no.

Ghe streghi vai tu dicendo e cerchando ? sosso pidoc- chioso & ribaldo che tu se ?

Betta q. Coluccio Bacciomei di Castagnore, mettendo le mani addosso, per voglia carnale., a Nieza di Masseo Simoncelli di detto luogo., la quale se ne libera gridando :

102 S. BONGI

« alV arme, air arme » per cui trasse gente, 1357 (P. L. 4854).

Al dispecto di Dio & delli santi, e delli tuoi amici e pa- renti, conviene eh' io t' abbia stamane.

Giovanni foretano cMamato Grugno di Maschiano a Niccoìao Fanichi di Lucca. 1358 (P. L. 4858).

Se tu verai a Maschiano, e' conviene eh' io t' ucida & che io t' insalsi.

Ser Biagio q. Ghibellino Mariani di Lucca a Puc- cinello Galganetti. 1358 (P. L. 4858).

B. Tu menti per la gola come traitore & inimico che tu se' del comune di Pisa.

P. Io credo esser meglio amadore del Comune di Pisa che tu. Et questo ti proverò in ogna modo che potrò e vorrai.

B. sguainando la spada e scagliandosi contro V altro : Tu menti per la gola, tu menti per la gola.

Francesco q. Parente Onesti colpendo colla spada Nerio Cassiani. 1358 (P. L. 4858).

Sosso ladro traditore, che m' ài diserto me & figlioli miei...., e' conviene eh' io diserti te.

Venturino Pieri a Francesco q. Talucci. 1358 (P. L 4849).

Se io ti giugnerò fuora della porta, io ti concerò sie che tu non serai mai homo traili altri.

Tomeo Banducci caciaiuolo di Lucca a Benincasa Bini di Firenze ed a sua moglie Bella. 1358 (P. L. 4859).

Sozzo sciancato, fiorentino marcio, che no ci puoi stare a Lucha, che conviene ch'io mi lavi ancora le mani del sangue tuo. E ancora mandrài tue figliuole che tu ài colla bandiera al bordello. (E rivoltosi a Bella) 0 che no lo fai ?

Nicolao figlio Gei Pollani di Lucca a Gino Tempa- nelli di Pisa. 1358 (P. L. 4859).

INGIURIE, IMPROPEEI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 103

Io sono migliore homo di te, e risponderòti in Lucca e in Pisa, launcha tu vorrai.

Nerio q. Ser Cassiano de^ Cassiani a Francesco q, Parentis degli Onesti. 1358 (P. L. 4859).

Macto macto, ghiottoncello, tu non serai sempre ambiano!

Arrighetto q. Giovanni chiamato Anichino ad Ago- stino Benegrandi, 1359 (P. L. 4859).

Tu seMo maggior furo da Lucca, sozzo traditore marcio.

Puccino Francucci detto Fuso da S. Miniato caha- ioìo a Nicoìao Narducci di Lucca pannaiolo. 1358 (P. L. 4859).

Parteti di boctega, cbè tu faresti cortesia ad andare a stare alla botega tua.

Tomeo q. Banducci e sua ìnoglie Bella contro alcuni armigieri e famigli pisani del bargello, 1358 (P. L. 4859).

Tagliati siate voi a pezzi e squarciati e impiccati per la gola, sozzi traditori che voi siete. All' arme, all' arme 1

Lu][)o Puccini pescando vicino a Biagio Neri Paffe, 1358 (P. L. 4862).

A te si converebbe quattro mascellate, perchè se' pescatore vecchio & dei sapere più delli altri. {E dandogli una spinta nel petto) Stae in dirieto & non mi venire a dosso.

Alterco fra Lippo Arrighi famiglio del Podestà e Bavinuccio e Giovanni da Par ez zana ed Antonio Fanucci console di detto luogo. 1359 (P. L. 4865).

Lippo. Ve' lo bue delle donne del monistero delle donne di Sancto Nicolao, lo quale fue di Bontorello da Sancto Alexio. Bavinuccio. E' non ci è. Lippo. Davino, viende tu alla podestà con noi. Bavinuccio. Io ne verrò. Lippo. Va oltre.

104 S. BONGI

Davinuccìo, Non mi toccare ; e posto mano improvvisa- mente ad una falce mena un colpo a Lippo che si difende abbracciandolo e gittandolo a terra ; infine è preso Davi- nuccio e presentato al Console del paese da Lippo che soggiunge: Io ti raccomando costui e menalo a messer la podestà.

Antonio console. Io noi posso menare, imperò che non ci sono i vicini miei, menalo pur tu.

Giovanni fratello di Davinuccìo sopravviene e voltan- dosi a Lippo dice: Se tu avessi posto mano a me come ponesti a lui, u arestimi gittato in terra u no, e' seretene colto peggio che non fece di lui.

Giùntoro Comi a Veruccino Teluccori anibi di Se- gromigno. 1358 (P. L. 4867).

E' conviene che io ti discacci del mondo per questa terra, e sia che esser puote.

Buono q. Tomi a Corradino q. Cei q. Cursi q. Bon- cristiani ambi di Boveglio. 1350 (P. L. 4867).

Non ti vergogni tu a favellare? Che fu impiccato fratello a Saminiato e tu sostenesti i piedi e non ti ne potesti aitare.

Minaccia di Veneficio di Paolo Ciomei tintore verso alcuni suoi compagni d' arte. 1359 (P. L. 4867).

Al corpo di Dio, innanti che vada guari tempo, io farò lohanni di ser Lucchese & Barsotto Pieri tintori da Lucca dormire in tal modo che mai non si leveranno.

Santino q. Tomei di 8. Margarita a Guercio ser Ursi Passerini. 1359 (P. L. 4868).

Che dici, traditore, che conviene eh' io ti diserti ... ; e che potresti tu fare tra mosto e fieccia?

Lavino q. Berti a Martino figlio Mini. 1359 (P. L. 4868).

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 105

Martino si è nome di bestia, va va, Martino bestia, & le- vati cotesto segno che tue ài in sul volto (1).

Coliiccino Migliori di Camaiore a Cappelletto nunzio del Comune, 1359 (V. G. 1551).

La prima volta che tu mi vieni più a pegnorare io ti faccio dare del capo nel muro, e aiutitene chi vuole.

Tafferuglio fra Turellino JBendinelli, faìniglio del Vicario di Camaiore^ Ghirardo e Andrea da Fietrasanta e altri paesani. 1359 (V. G. 1551).

Girardo e Andrea. Ghe ài tue che fare di pesare questa carne? Io non voe che tue la pesi. Vae che ti vengha lo ver- mocane. E avendogli Turellino intimato di seguirlo alla Curia, soggiunse: Io non vi voglio venire.

Ser Pino notaio sopraggiimgendo : Menatelo al palagio. Ed essendo trascinato da^ hirriy i paesani corrono in aiuto^ tirando sassi e gridando : Ghe à faito costui, à morto Gristo ? Voi non lo merete (e lo liberano).

Bartolomeo Andree della Pieve di Camaiore, togliendo un somiero a Domenico Mascagnoli famiglio del Vicario che lo avea predato. 1359 *(Y. G. 1551).

Tue non lo merai & fami lo pegio che tue poi, che quando tue sarai fuora dell' officio, io ti ne pagherò.

Puccinello q. Nicolai Bonomi rincorrendo Martino Andree nunzio del podestà die gli aveva fatta una preda 0 sequestro. 1360 (P. L. 4872).

Puccinello. Tu se' furo & ladro, che vai rubando le pè- gnora, ma io ti farò rimanere le braccia alla colla per li tuoi

furti Tu se' pappaculo di mogliata & corna al collo, & per

lo culo di mogliala tu ài le gratie in corte, però che sei roflano. Ma tutto questo non ti camperà eh' io non ti faccia collare & rimanere le braccia alla colla.

(1) 11 segno della oilesa non vendicala.

106 S. BONGI

Martino. Rendemi le pègnora miei.

Fuccinello. Tu menti per la gola, è sei cacciato di con- trada in contrada per le tuoi male operationi e io ti farò cac- ciare dalla casa u' tu ste.

Martino sopraffatto. Lassami stare, lassami stare.

Puccineìlo, Non ti gioverà mogliata , con tutto lo tuo rofianume che tu facci di lei.

Biagio Colucci battitore d'oro a Coluccino Bertucci ponitore d' oro, 1360 (P. L. 4872).

Tu menti per la gola, sozzo acino leto & mulo bastardo, che tu serai affogato e appiccato anco come fue tuo fratello.

Simuccio Gucci di Vecoli a Vannello q, Turellini Martini di S. Alessio, 1360 (P. L. 4873).

Sosso ladro & furastrello.... Tu farai anco la fine e la morte di tuo padre e farotitela fare io, si potrò.

Facino Martinelli di Carignano a Gio. Teste di 8. Angelo^ per impedirgli di tendere le reti sopra un suo campo di miglio granito^ a che Giovanni rispose col bas- tonar e e ferire Facino, 1360. (P. L. 4873).

Tu fai male. Io none intendo che ci tendiate, che non è tempo di guastare le biade.

Lippo Serughi famiglio della gabella di Camaiore ad un suo collega, onde naque una rissa con Betto q. Francesco Antelminelli cittadino lucchese ahitante in detta terra^ che credè esser parole dirette a lui, 1360 (V. G. 1554).

Andiamo a bere una mezzetta di vino alle spese di quelli da Pescallia, e al vitopero di quelli che fece loro pagare cinque lire.

Gratina pizzicaiola ad Amerigo Vanni di Pistoia» 1361. (P. L 4874).

Sosso gaglioffo che tu se', che tu arofiani moglieta.

INGIUEIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 107

Francesco Batucci detto JBedana a Jacopo tintore^ Traditore cornuto, va vergognati che ài donna putana che ti pone le corna.

Villano Appilcane a Michele Fetriicci^ volendogli im- pedire di lavorare attorno ad un muro di confine. 1361 (P. L. 4880).

Come dici tu che farai conciare centra mia volontà? ch'io ti piglio, sosso ghiottoncello che tu se', e gietterotti in del cesso.

Feo Ghirardi, Lotto ed altri di CastelveccTiio neW atto di assalire alcuni di Colle di Computo. 1361 (P. L. 4880).

Al fuocho al fuocho, su brigata, muoiano questi traditori!

Marco q, Fonansegne marescalco, rincorrendo con una stanga Ceo q. Vanni Follani. 1361 (P. L. 4870).

Fammi fuora de casa mia, che se imantenente non de vai, io ti darò di questa in sulla testa.

Frete Lippo rettore della chiesa dei SS. Antonio e Faolino di Lucca, a Bartolomeo q. Ceccori Vinciguerra. 1362 (P. L. 4884).

Lippo. Odi che io ti vo' dire due parole.

Bartolomeo. Di' di costinci ciò che tu vuoli.

Lippo. Tu ài pappato et leccato quello della chiesa infine a qui, nello papperai & leccherai più.

Bartolomeo. Tu menti per la gola , come sosso prete sconiato (1) che tu se' {avventandosi con una spada addosso a Lippo).

Saluti fra Giovanni Stefani sarto e Guido Albatelli famiglio. 1362 (P. L. 4885).

Va, ti nasca il vermo cane.

E a te ne nascano dieci miglia de' vermo cani.

Tuccorino e Stefano Lotti di Lucca, aggredendo Vi- viano Nuccori di Balhano. 1362 (P. L. 4885).

(1) Forse sincope di scomunicato.

108 S. BONGI

T. Tu mi darai le cose miei, al dispecto tuo, se ti cre- passeno gli occhi.

V. Voi mentite per la gola, eh' io non v' ò da dar nulla... allarme, allarme I

Pietro Chesi di Quiem a Michele aliate dell' Alla- zia dello stesso luogo, 1363 (P. L. 4886).

Passa di qua, se io n'avesse di tuoi pari legati al piede, nonde correrei di meno uno passo.

Parole fra Pietro Arrigucci detto Pitello di s. Ma- ria Ley ludicis a Parduccino Martini, 1363 (P. L. 4887).

Pietro, Io faròe che tu non strai più a bere la broda di Bagnaia.

Parduccino. Tu mi trovi tucto die, se tu vuoi nulla da me. Che non ti fai innanzi?

Pietro, {scagliandosi contro V altro) Tu menti per la gola.

Giovanna moglie di Maffeo portatore da Lucca a Messina moglie di Staffa Cinelli di Pisa. 1363 (P. L.

Tu se' puttana e buggioressa e rofìana de' signori di Lucca & pretessa (1).

Dialogo fra Bartolomeo Mordecastelli e Bartolomeo Barsellotti anziano del Comune di Lucca, 1363 (JDeli- herazioni degli Anziani, n.*^ 42 e. 128).

B. M. Tu, Bartolomeo Barsellotti, dici male e non dici quello che dei et potrestine avere rotto il capo.

B. B. Romperestimel tu?

B. M. E' ti par pur essere la potta dell' asina per che se' antiano, che fistol vegna alla potta che ti pisciò.... Pon giù le frasche eh' ài in mano, cioè i baratri dell' oHo e altre cose....

B. B. Che dici ?

(1) Esser donna di preti pretessa, e aver figliuoli di preti era in- giuria frequente, a Vocando ipsam Nesem rolìana e pretessa », in altro libro del Podestà di Lucca, n.° 4910, e. 85.

INGIURIE, IMPEOPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 109

B. M. Dico che ti par pur essere la potta dell' asina poi che sei antiano....

B. B. {risponde con un ceffone).

TurelUno Slmoni di s. Giusto di Brancoli e Coluccino Baidiicci della Pieve di Brancoli. 1364 (P. L. 4895).

Ttir. Voi fate male a voler far qui fortessa, che forse non sono contenti li signori nostri di Pisa et anco li vicini che ci sono.

Col. {per colendo V altro coir asta della lancia ) Che ci ài tu a fare? Va fuore!

Mandina moglie di Ciuccio Fieri ^ picchiando Gio- vanna moglie Antonii. 1365 (P. L. 4896).

Io ti concerò sì, che non sera mai bene di te.

Ciomeo Fancelletti^ sorprendendo Gherardo Buozi che coglieva cavoli in un suo orto, e che rispose picchiandolo. 1365 (P. L. 4896).

Al furo, al furol vanne fuora traditore che mi tolli li cauli.... Vae che si' squartato, sosso furo traditore.

Parole fra Nero Luponetti di Verciano e Giovannacco Colucci di Soriano, che furono principio cZ' una rissa, onde furono condannate cinque persone. 1365 (P. L. 4896).

Nero. Jovannaccho tu mi diservi, che tu vai con quello traditore di Nicolao.

Joan. Buona sera. Nero.

Nero. Tu mi diservi, che tu vai con Nicolao.

Questione di color politico tra Bartolomeo q. Bonag- giunta Dardagnhii e Stefano q. Bonaiuti de Quarto cit- tadini lucchesi, che termina con una ferita toccata a Bartolomeo, onde tutti due son condannati. 1365 (P. L. 4896).

Bari. Guelfo marcio, che ci à una brigata di guelfi che non fanno se non leghe & septe (1).

(1) Era allora in Lucca il reggimento ghibellino de' Pisani.

HO S. BONGI

Stef, Ai, mulo bastardo.

Bart. Tu sei più mulo di me , che io tei mostrerò in parecchie modi.

Stef, Or bene io tei ricorderò altro' (1).

Alberto Astolfè a Nuccorino Tornei speziale. 1365. (P. L. 4898).

Tu se* un traditore e assassino e ritieni li traditori in casa, e' conviene eh' io ti faccia impiccare per la gola.... sozzo tra- ditore, che parli per bocca di traditore, e' convien eh' io ti fac- cia impiccare per la gola a ragione.

Perfetto Menichi a Giovanni Fardini, ambi di Noz- mno, 1365 (P. L. 4900).

Per pogo mi tengno ch'io non ti scanno con questo col- tello.

Giovanni dettto Maschiano cìlindratore a Nicolao Buote detto Ciciliano. 1365 (P. L. 4900).

Tu deresti vergognare, ch'io ò veduto intrare e uscire di casa tua cinque homini, li quali hanno tucti avuto a fare della donna tua.

Peruccio Vannelli a Belluccia relitta Pardi di Balòano, che si Ubera dal suo assalto gridando allarme, 1366 (P. L. 4901).

Per. Sozza mala femmina che tu se', e' conviene ch'io ti paghi dell' opre tuoi.

Bell. Allarme! allarme!

Parole scambiatesi fra taluni principali cittadini di Lucca in una specie di zuffa , nella quale Giovanni Chelli di Poggio percosse Piero Joannis Trenta, a cui quest'ultimo ed altri risposero percotendo il Poggio e altri suoi consorti. 1366 (P. L. 4902).

Traditori di Poggio, voi m'avete battuto. (1) Altro' per altrove^ frequentissimo.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 111

Voi avete fatto male a darli, perchè elli era tale qual voi.

Vuoindello aitare tu?

Io r aiterei et vogliolo aitare.

Gio, Novellucci cocitore di seta, menando colpi al suo collega di mestiere Iacopo Andrucci Brille. 1366 (P. L. 4903).

Bastardo mulo che tu se\... et bene te ne pagherò, eh' i' ò vogla di farlo.

Riva figlia ser lacohi di Soldanieri da Firenze, av- ventandosi a Berna q. Ser Alonis della stessa città. 1365 (P. L. 4004).

Gesso fracido, io ti pagherò, sosso vituperoso, homo di mala conditione.... io ti istrozzerò.

Iacopo Andrucci Brille al suo collega cocitore di seta Giovanni Novellucci. 1366 (P. L. 4904).

Sosso acino, mulo bastardo che tu se'...., acino che tu se', eh' io sono così buono uomo come tu.

Pantuccio q. Vannucci Biccomi contro Francesco q, Lopucci e Giovanna moglie e Bonuccia sua germana , in improperio d'un omicidio di cui era stata fatta la pace. 1366 (P. L. 4904).

Sosso traditore, credi tu fare a me come facesti a Vanni Malizardi? ma noi siemo anco septe, che noi ti verremo a ar- dare in casa & a ucidere... (e volto alle donne) Sozze puctane, che al corpo di Dio converrà eh' io vi spari.

Corsellino Bacciomei calzolaio di Lucca, già d' An- chiano, a Lippo Mori di Montecatino. 1367 (P. L. 4906).

Che dici tu di quelli d' Anchiano ? che quelli d' Anchiano sono buoni diricti & leali, et non sono traditori, ma tu se' delli traditori da Montecatino.

Cortesie fra i due tessitori di seta Giovanni Binglii e Piero Bartolomei. 1367 (P. L. 4906).

112 S. BONGI

G. Tu se' figliuolo di Monna Rosa, eh* è puttana & rofiana. P. E tu se' uno scardatore di castagne di Villa, et tuo padre fu uno traditore.

Giovanni di Poggio cavaliere a ser Marchese Gigli notaro. 1367 (P. L. 4907).

Sosso traditore & falso & falsario che tu se' , rio homo traditore !

Ginoro Giovanni a Taluccino Landucci amhi di S. Pietro a MarcilUano. 1368 (P. L. 4909).

Io ti farò mangiare lo core a questo cane, che avale non è vivo cognato che ti aiuti.

Niccoìao Guglielmi Glierli testore e lacóbo Pieri tintore in nero. 1368 (P. L. 4909).

lac. Lascia questa treggia eh' è mia.

Nic. Tu ne menti per la gola, che non è tua.... a tuo dispetto che io ne la merrò; e togliendo il cappuccio al com- pagno lo tira neir acqua : Aiutatene se sai ; ed essendosi V altro riparato in casa, soggiunge : Viene fuora che io ti specto, & se vieni fuora pagherò uno deratale (1) di vino tra me & te.

Santo g. Filipucci Faldbrina a Nicolao q. Pondi Falabrine. 1368 (P. L. 4910).

Traytoncello che tu se'. Ed essendo battuto, preso un sasso così seguita: Se tu mi drài più, io ti drò di questa pietra in nel volto.

Dialogo fra il farsettaio Garduccio q. Bini e Pao- luccio Lazsarini pittore, ambedue di Lucca. 1369 (G. P. 5).

Garduccio. Tu se' traditore al tuo Comune e facesti uc- cidere uno lucchese per denari, e morto fusse a ghiado chi ti tagliò il viso e cavòti l' occhio , che non t' ae tagliato l' altro lato acciò che t' avesse cavato l' altro occhio.

Paolucccio. Io non sono traditore fuy may traditore. Ma tu ài furato le bandiere del Comune di Lucca.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 113

Landiiccio q, Giovanni da Saminiato lacciaiiwlo, a chi gli aveva proposto di dichiararsi cittadino essendo fo- retano^ per ubbedire a certo pubblico decreto. 1369 (G. P. 5).

Tu, che non hai fatto com' io ? che alle guagnela non ci obbedirò sosterrò quasi carico ninno; e anco ti dico, che innanti che ci passino sette mesi, io ci sarò migliore forestieri che tu cittadino, al dispecto di quanti cittadini sono a Lucca & di quanti ce n' à ; e innanti che io mi facesse cittadino io mi lasserei tagliare a pezzi.

Lencio Davini JBuiamonti a maestro Michele di maestro Alessandro inedico di Garfagnana. 1369 (P. L. 4910).

Vui portati el varo in capo e non poteti deviti portarlo, che non l'aviti meritato (1).

Vanne Sabatini a Simone Baroni testore. 1369 (P. L. 4912).

Va, che fututa te sia molgita in bracio (2).

Gio. ser Coli di Fisa a ser Gaddo officiale sopra le gabelle. 1369 (P. L. 4912).

Tu se' quello che guasti questo offltio, che te nasca el vermo cane, fìstul vegna ne la pota che te cachò.

Conversazione politica fra i due lucchesi Nicolao q. Pèlloro Burlamacchi e Bernardino q. Bernardini Orsini, 1369 (P. L. 4912).

Nic. Al tempo de' Pisani tu eri amico de ser Guatando e di quilgi del Nichio e fievi confinati et imposte ai Lucchesi come tu volivi, e ora fai il Mastro de Guardia, traditore che tu sei, che r altra notte me toccò la guardia & volsice mettere uno scambio per li mey denari & non velisti eh' io gel mectesse.

(1) Segni (li dialetto lombardo del notaio e del giudice.

(2) Il notaio é di s. Genesio.

Voi. Ili, Parte I.

114 S. BONGI

Bernard, Tu di' viro eh' io era amico di qiiilgi del Nicehio e sono, ma io sono e serò ehusì amico & servidore del Comune de Luca chome tu.

Nic. Tu menti per la gola e non porriste may essere.

Bernard. Anche menti tu per la gola (1) {Vanno 'ger picchiarsi^ ma sono spartiti),

Lemmo Giunte di S. Gennaro a donna Tomazia mo- glie Marchi. 1369 (P. L. 4914).

Io a te non favellarla se non col culo, soza iumenta, tro- gia puttana che tu sey.

Pietro Gardi cuoiaio di Barga a Coluccina moglie di Vannuccoro Binelli Fornari di Lucca ^ dopo averla hai- tuta e gittata in terra. 1370 (P. L. 4915).

Non piangere, che innanzi che sia quattro io ti farò piangere dadiviero, che conviene eh' io rompa in quattro parti il capo a lìgliuolto.

Ugolino Banchi di Mammole contro Bandino q. ser Andree Barletti di Lucca. 1370 (P. L. 4915).

Inanti che tu ti parti di quinci, io ti darò lo mal dì.... Al corpo di Dio, che se elli vi verrà, io starò armato in sulla porta, che sed elli vi vorrà intrare, ched io 1' ucciderò.

Caterina lohannis del Bianco di Venezia voltasi a tre canonici della catedrale di Lucca. 1370 (P. L. 4915).

Sozzi bugieroni marci, io sono fuori di presone ad vostro dispecto.

Ingiuria detta nel Consiglio del Comune di Stabbiano da Bertone Puccinelli, avventandosi con un coltello feritorio contro il suo contradittore Giovanni Banucci, « unde ma- xima fuit turhatio ». 1370 (P. L. 4915).

Tu menti per la gola, traditore marzo, io te ne pagerò bene.

Mastro q, Magistri Coli di Bipafratta e Coscio

(1) Notaio marchigiano.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 115

Cosci detto JBaccanello di Baìhano, aggredendo armata mano Simone Giovanni di Lucca, 1369 (P. L. 4916).

M. Simo, al dispetto tuo e di chi aitar te ne volesse, por- taròe per lo contado di Luccha quante arme io vorrò.

G. Simo, al dispetto tuo e di chi aitar te ne volesse, io porterò in Pisa e in del contado, vino et onge victualia eh' io vorrò.

Cristoforo Andreoli di Saliera da Lucca ed un suo cotnpagno minacciano Landuccio q. Ioannis di Saminiato. 1369. (P. L. 4916).

Che non ne vai tu da Lucca ? Se tu non ne vai, nui te ne caccieremo; & se tu non ne se' cacciato, tu ce serai ucciso.

Giunta Leali e Giovanni Timogi di S, Maria a Colle^ scagliandosi contro Giovanni Lexis per ucciderlo, 1369 (P. L. 4916).

E' conviene che tu mori per le nostre mani, non fuggire che nui la vogliamo far techo.

Francesco JDatiicci tintore di Lucca a ser Antonio JBenucci da S, Genesio notaio del Podestà , cJie si era presentato per fargli un sequestro. 1369 (P. L. 4916).

Nui siamo tornati al modo di Pisa, e non ci è più la signoria di Pisa!

Iacopo Biionaccorsi Falìoppi di Villa Basilica a Iacopo nunzio del Comune, 1369. (P. L. 4917 e 4919).

Iacopo Buonaccorsi, Che va' tu fazzando festa tu?

Il nunzio, Noy femo festa di quello che fa messer lo Cardinale, che mette Lucca in libertade et accie dato Pietra- santa a dispetto di coloro che l' anno per male.

Iacopo B. El convene che io ti cavi la lingua di gola, iottonzello che tu se' {e dandogli un colpo sulla testa) e aiutitene chi aitare te ne vuole.

Puccinello Varrocchi a donna Giovanna q. Andree Vanni di Firenze conversa del Monastero di Sesto, 1370 (P. L. 4919).

116 S. BONGI

Ogni volta che io ci vegno voi fate fugire mìa mugliera

& non la posso avere. Ma, per lo corpo di Dio, io ve ne darò

in sulla testa d' una mazza, che voy non mangierete mai de pane.

Bondiólo de Cumis socio del Podestà e ser Mazzeo da Barga, andati a Corsanico per regolare lo sgombero neir imminente avvicinamento della Compagnia degli In- glesi, avendo domandato a Taluccio Landi qual fosse il nome suo, ebbero la seguente risposta : 1370 (P. L. 4719).

Noi siamo tutti battezzati nelle fonti, io non ò niente cum voi; {poi ripigliandosi) Io ho nome Taluccio & sono chusì buono huomo come vuoy et chosì vel provarò in ogni parte del mondo et siamo pure dove vi piase.

Nicolao Berlini fabbro di Lucca a Miccio Micheli testore di Marti (Pisa) cittadino di Lucca. 1370 (P. L. 4919).

Non ti basta che vui avete tenuta questa terra XXYIII anni, e adesso vay su per le mura della città? Gierto se io vi fussi suso il muro, io te farave venire col capo di sotto.

Fancelletto Neri Fancelletti di Nozzano^ presentandosi armato di lancia e spada contro Bartolomeo e Bernardo figli di Iacopo Turelli notaio di Lucca nella loro casa dello stesso paese 1370 (P. L. 4919).

Traditori, a voi conviene morire se voy usate in questa terra, et lodato Idio che costoro ci sono sopra venuti , che per cierto io v'avey uccisi, et se voy venite più in questa terra conviene che io v' occida colle mie mani, o io vi convegnio fare pigliare et etiam Dio io vi farò ardere e brugiare le case. Io spetto giente, che io pagerò tutti li traditori di Lucha et del contado, che ogni cosa farò ardere e brugiare alla giente che viene, che tutti sarete pagati.

Ser Opizone DombellingJd a ser Francesco de' Ben- cevenni d' Arezzo Offiziale delle Esazioni. 1370 (P. L. 4920).

INGIUEIE, IMPEOPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 117

Vui non faiete bene ad mandarme i missi ad casa ad pre- darme, ma in bona fé' non ve ne verrà facto che vui mi cac- ciate da Lucha, anche ne caccierò io vui. Ser Bartolo d' Arezzo (1) fé' ciò che ne pottè per cazarme da Lucha, e anche li Aritini me ne volgiono cazare, ma. io ho aspettato LUI anni per vedere questo dì, che convene che io me ne vendeche de vui e delli atri Aritini, eh' io so chi vui sete & quello che ne se converrà fare & non me faite correre in folla. Io starò a Lucha 0 volgiate vui o noe (2).

Arrigo Lensi Villanucci testare contro il suo compagno di mestiere Pietro Biasini. 1370 (P. L. 4920).

Sozzo gallioffò traditore che tu se', inatti che sia dece io verrò in fino a casa tua & talgiarote lu volto con uno cul- tello, & se non basterà co lu cutello, darrocte con uno falcione, che posso vfc volgio; & aiutetene chi aiudarte ne vole.

E nuovamente in altro luogo e nello giorno^ onde ebbe due condanne di L. 50 ognuna :

E' conviene che io t' occida, che posso e voglio, & se non mei cridi becco che tei mostro. E toltosi seno una spada a due tagli: Se non fosse che se' compare di mio padre, io t' uccidù"ìa con questo cutello.

Gridi di Lelma madre d' Agnese q. Confortini di di Fietrasanta, sendosi accorta che due donnaioli lucchesi Panusio Fanucci e Cinello Flamini le avevano fatta scappare la figliuola, essendo nella chiesa di s. Martino cattedrale di Lucca nella folla della funzione di s. Croce, onde fu grandissimo turbamento. 1371 (P. L. 4923).

A r arme, a l' arme, che la mia figliuola si m' è stata tolta, e si ne menerà.

Nica pizigaiuola venditrice d' nova e polli in piazza

(1) Era stato Capitano in Lucca per i Pisani negli ultimi tempi della loro dominazione e lasciatavi fama di uomo crudelissimo.

(2) Questo dialogo fu trascritto da un notaio di San Genesio, e se- condo il suo dialetto.

118 S. BONGI

di s. Michele a ser Andrea q. Giovanni del Bello, 1371 (P. L. 4923).

Va, torna a Pisa, pisano voita cessi che tu se', eh' io ti farò pelare tutta quanta la barba, gaglioffo I

Cresce da Pistoia^ Puccinello Tussi e suo figliuolo Pietro, 1371 (P. L. 4924).

Cresce a Puccinello. Voi mentite per la gola. Piero. Tu hai smentito mio padre per la gola, io ti darei volentieri una grande gotata.

Cresce. Io ne pagherò te {si acciuffano).

Vannella moglie di Giovanni Giuntori a CJiello Lemmi. 1371 (P. L. 4929).

Sozo traditore marcio, io me ne tengno per pocho che io non ti do in sul volto.

Caterina di Venezia serva a Giovanni Alessandri testore. 1371 (P. L. 4929).

Traditore ladro a ssessi no, e tu e tua madre e tua sorella, io te farò talgliare lo volto.

Francesco Biagio gridando alV arme e fingendo ladri in casa, suscita rumore nella contrada di s. Leonardo de' Borghi, onde è condannato in L. 50 per simulazione di reato. 1371 (P. L. 4934).

Allarme, allarme, io abbo uno in casa che mi vuole rub- bare e che mi vuole ucciderei

Guglielmo q. Giovanni Simoni a Niccolò Angeli. 1371 (V. G. 1558).

Che ti credesti di fare, ribaldo sanguìnente ? che per pogho mi rattegno che io ti do di questo coltello.

Domenico FagiuoU pittore di Lucca, aggredendo e fe- rendo con uno spiede Francesco da Montecatino famiglio degli Anziani. 1372 (P. L. 4935).

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 119

Tu se' ladro & assessino & rubbatore di strade, e di questo ti farò buona prova, e te lo provarò.... Tu di' che cotesta femmina è tua moglie, ma tu l'ai furata a Genova e sende venuto seco, & ài involato questa buona donna con assai robba che avete aregata.

Ingiurie dette in più tempi da Coluccino Andree ólim calzolaio^ ed allora Nunzio del Fondaco^ a JDavino q. Berti pellippaio. 1372 (P. L, 4935 e 4944).

Sozzo ribaldo di merda che tu se\... Sozzo baractieri di fiec- cia che tu se', va, sta in sulla piazza co li altri baractieri come tu se' usato.... Sozzo acino sanguinente che tu se'.... Tu fraudi Io Comune di Lucha & metti le pelliccie e le pance & non paghi may gabella.... Tu m' ài rocta la pace, alle vagnella eh' io te ne pagherò.

Fiiccinello Bianchi e Lorenzo Giovanni di Soriano Ley ludicis. 1372 (P. L. 4951).

Lorenzo, respingendo il hiccliiere offertogli da Pucci- nello. Io non vo' lo tuo vino.

Può. E tu non lo pigliare, però che io oe dato bere a milglore homo di te.

Lor. E io oe legate le mani già a magiore homo di te.

Francesco q. Landini testore^ dopo aver battuto e git- tato a terra Paolino q. Lippi battitore, il cui fratello era stato impiccato nel 1370. 1373 (P. L. 4941).

Traditore merdoso, io te farò conciare come fu concio lo traditore di fra tei to.

Lavino Berti pellicciaio a Coluccio Andree uffiziale sui difetti degli artefici. 1372 (P. L. 4941).

E' conviene ch'io ti cacci di Lucha, & aiutitene chi aitare te ne vuole.

Nicolao Lelli detto Caime testore di Lucca all'altro testore Luca q. Per otti Mazzoni di Bologna. 1372 (P L 4941).

120 S. BONGI

Ladro traditore, che mal viaggio possi fare tu & quanti ne vennero dalla terra tua già è du anni.

Nuova figlia di Petrino Stefani e moglie di Giovanni Puccinelli Ducei di Noszano fa improperio con queste pa- role a lacoha sua suocera, figlia del q. Puccinelli Ducei, deir omicidio invendicato di esso Puccinello, 1372 (P. L. 4941).

Noi t' abbiamo fatta stare trista e anco ti farimo et io te cavarò 1' ochio dt non te ne potrai aitare, che hai tanta ver- gogna in sul naso (1) che non te ne leverai mai.

Nicolao Puccinelli Bonanni battendo un pane nel muso di Caterina schiava di ser Iacopo Damaschi. 1372 (P. L. 4941).

Troia marcia, io te ne concerò bene, schiava sanguinente.

Donna Dartolomea di Firenze ingiuria Michele q. Guidi di Lucca e gli fa improperio della morte del padre. 1372 (P. L. 4941).

Tu se' uno traditore e uno latro e uno roffiano.... Tu serai ucciso e talliato a pezzi come fu tuo padre & tuoi consorti.

Francisca di Vanni Fiorini di Pistoia ostessa in Lucca, gridando contro Antonio Mattozzi suo marito 1372 (P. L. 4944).

Sozzo ladro traitore malvagio, che vai all'altrui femine di nocte, io ti farò tutto tagliare per pessi come tu se' degno.

Vannuccio Micori Cincini a Corbolano q. ser Lippi Cionelli testore. 1372 (P. L. 4944).

Che dici tu, sosso furo ladro, che furasti a Napoli du miglia fiorini alla reina lohanna e venistene qua ?.... Io mi tegno a pogo che non ti do di questo coltellino I

Bondie Franconi di Bovellio a Davino Berti pellic- ciaio di Lucca. 1372 (P. L. 4944).

(1) Questa allusione ad un segno sul naso, in quelli che non avevano vendicato le offese, si trova anche in altri documenti.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 121

Tu menti per la gola.... Acino traditore, eh' i' sono meglo dal pie che tu dalla bocca.

Giovanni Pagani vocato Jannesse orefice di Lucca a Marco Banalcìiicci orefice di Saminiato. 1372 (P. L. 4947).

Tu menti per la gola, che ai guasto Saminiato et se' ve- nuto a guastare qui.... Traditore, io ti signiròe pur che non ti caderà mai (1).

Piero Vanmicci di s. Piero a Vico a don Pietro Buonacquisti di Lucca priore di detto luogo. 1372 (P. L. 4947).

Tu ài facto da uno pezzo in qua molte cose che io te ne punirò con la spada in mano, e non verrà la festa di santo Piero che io ti pagarò come traditore, & innansi la dieta festa conviene che con la spada mia io ti dia a uno tale che lo pa- sarò da l'altro lato.... Tu menti per la gola che cacato ni ti sia dentro !

Bartolomeo Stefani di Massa al vicario di detta terra Michele q. Stefano di Poggio. 1373 (P. L. 4952).

Voi sostenete li ditti tre homini a posta altrui.... A la guardia non è ben proveduto, ma io me ne lamenterò a ma- giore signore di te.

Bonifacio Domenici di Verona ad Agostino Bindi di Montalcino. 1373 (P. L. 4952).

Se tu non fusssi famiglio de' signori antiani, io ti cavarle questi dinari di core al tuo dispecto.

Scambio di parole fra Nieri di Signa contestabile^ Domenico 3Iiranti di Castel Novo detto il Sodo e Gio- vanni di Bologna officiale di Custodia del C. di Lucca. 1373 (P. L 4952).

Nieri a Domenico. Tu menti per la gola.... Fatevi in costà che io te darò il mal di

(1) Cioè non ti cadrà mai il segno.

122 S. BONGI

Domenico a Nieri^ per evitare la rissa che stava 'per accendersi. Vieni qua.

Nieri. Io non ho a fare nulla teco, non ci vói venire e io* farò stracinare pur te.

Chesino Micheli legnaiuolo e Michele suo figliuolo contro Sandro lacohi pentolaio. 1373 (P. L. 4957).

Chesino e Michele. Tu menti per la gola, suczo mulo bastardo che tu se'.

Sandro. Anco voi mentite per la gola ; ed a Michele : Suczo mulo bastardo, figliuolo di prete {si acciuffano).

Vita q. Contri pelicciaio di Montecatini di Valdini- erole a Pasquino q. Berlinghe astario di Lucca. 1373 (P. L. 4965).

Tu se' uno cane ladro furo traditore, che guadagnasti dieci fiorini d' oro & io n' ebbi dieci tratte di colla, sozo ladro furo traditore.

Menichello q. Menichi di Bolzano a Vannuccio Gui- ducci officiale di detto Comune. 1373 (V. G. 1559).

Io ti meterò una volta in parte che tue non ne sterai mai mirando me sempre, e io te ne pagheròe, che tue non t'im- pacci se non de' facti miei.

Piero Bianchini a Michele Andree che lavorava un campo. 1363 (V. G. 1559).

Tue fai male a lavorare costì, e se non fusse Simuccio Simi da Gamaiore che è teco costì, io ti fare' male & faremmo insieme alle pietre. No oe anche cento lire che me le faresti spendere.

Giovanni figlio Antelminelli q. dom. Accegie di Lucca {i) a Cecchino di Montar so vinattiero. 1373 (V. G. 1559).

(1) Questo Antelminelli comparisce nel processo presente ed in altri, come un malanno di prima riga, bestemmiatore, giocatore ec.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 123

A dispecto di Dio tu mi deresti dare lo vino quando tu tieni aperto, innanzi che tue avessi li denari.

Ckese Vanni di Mommio a Lemmetto Lemmucci di Camaiore. 1373 (V. G. 1559).

Io non vorrei per la tua falsitade guastare la mia boutade.

Simo Colli di Pieve a Elici ad Arriguccio Pardini di Conca. 1373 (V. G. 1559).

Tu se' quelli che metti questa risia in questa vicaria.

Coluccino Pìnciani di Vado a Bergamino Ioannis di Bergamo 1373 (V. G. 1559).

Elli è venuto già caso che delli antri bergamini sono stati castigati, e così sarai anco tu.

SanUiccio Gniducci di Pedona a Giovanni Dati ca- faggiaio di detto Comune, malgrado che avesse avuto or- dine dal Vicario di non parlargli mai, per cessare scan- dalo nel paese. 1373 (V. G. 1559).

Sopra Io facto dello stimo non dir cosa niuna per quanto ài cara la vita.

Gino Pannucci di Corsanico, rifiutandosi d'andare alla custodia del castello di Pedona. 1373 (V. G. 1562).

Io non anderò mai ad guardia per vostro comandamento, porestilo fare, arete tanto podere ch'io vada a guardia. Bene vederò chi me voràe pigliare.

Michele Bernardi testore e Francesca sua moglie., ingiuriando V altro testore Iacopo q, Guilielmi e sua mo- glie Niccolosa. 1374 (P. L. 4966).

Michele a Iacopo. Tu se' traditore, che stai a' boschi per uccidere e per rubare gli homini; ladro traditore che tu se'.

Francesca a Niccolosa, Puctana merdosa che tu se', che tieni bordello.

124 S. BONGI

Fiorina di Lione sul Rodano (1) tenitrice del pubblico lupanare di Lucca nella contrada di S. Tommaso in Pel- leria, nelV atto di scagliare un « cimpello » dietro a Che- riuolo da Ruota ed a Nicolao (2) Parducci pannaioli.

1374. (P. L. 4966).

Fistola abbia Dio e Santa Maria, e chi bene vuole loro!

lionato Olivieri di Biecimo a Guido Tommasini di Camporeggiana. 1374 (P. L. 4968).

Impiccato sin Alderigo (Antelminelli) che non impiccò te, comò fece Tommasino tuo patre.

I coniugi Nicolao q, ser Ceci Pollani e sua moglie Isotta, assaltando insieme armati di coltello Antonio q- Pillori Bucci testore di velluti. 1377 (P. L. 4968).

Nicolao. Io strisserò si la gola che tu n' arai assay pa- recchi dì, et cacheròcti in nella gola et in nella strozza.

Isotta. Io te farò cachare in nella gola et non te ne por- rà' aiutare.

I soliti coniugi Pollani ingiuriando Chello Giucchi del braccio de' figli Giordani e Passi, id. id.

Nicolao. Galioffi ribaldi, io ve chazerò de Luccha et del contado, s' io dovesse despendere mille livere, con sei famelli che e' è in questa contrada.

Isotta. Sozzo ribaldo gallioffo, el converrà che io te faccia talliare a pezzi, eh' io oe quatro case et converrà eh' io ne venda due per cacciarti da questa terra con sei famelli che e' è in questa contrada.

(1) In questi anni il lupanare lucchese, oltre h maitresse francese, aveva della stessa nazione o forestiere, una parte delle alunne, che spesso cadevano sotto le ugne del Podestà. Nei libri di questo magistrato si hanno processi contro Galiotta Lope di Tolosa (137/t n.° 4974), Isabetta e Lisa di Fiandra e Agata di Gand (1375 n.° 4979), Margherita Nicolai della Magna e Giannetta di Francia (1379 n.° 498G), ecc.

(2) Nicola denunziatore non potè provare l'accusa, onde fu assoluta Ferina ed egli condannato.

INGIURIE, IMPEOPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 125

Cortesie scamliatesi fra Bartolomeo Ranieri beccaio di Bologna e Pero Ranucci di Saminiato, 1374 (P. L. 4968).

Bart. Rofiano traditore marzo.

Pero. Anco tu se' traditore e rofiano di mollita.

Adriano Nicolai di Lucca, scappando di mano ai fa- migli del Podestà, che lo reggevano per la sua clamide paonazza, 1374 (P. L. 4970).

Io ve lassio ecco (1) Io mantello, fatene lo peggio che voi potete.

Nicolao lacchi di Saminiato a Nicolao Vannucci di Fabriano. 1374 (P. L. 4770).

Vieni giò, ladro Nicolao traditore, che io te pelarò la barba de pelo in pelo, et poi te farò cavare li ochi, eh' io songo per cacciarti da questa terra; o tu ce starai tu o io ce starò io.

Cristiano Paganucci beccaio di Lucca a Giovanni da Osimo e Antonio di San Genesio famigli del Podestà, che avevano catturati alcuni che facevano a pugni fra loro. 1374 (P. L. 4970).

Do' menate voi costoro, sozzi marchisani di fieccia? Voi li menate solo per buggierarli.

Stefano vocato Ghisello muratore di Prato a Barto- lomeo Vitali renaiolo di Lucca del braccio de" figli Cincini. 1374 (P. L. 4979).

Furo ladro, che vai a furare di nocte grano et la mactina areghi le some, tu se' degno delle forche, tu e to fratelli, per questo hai meno 1' orecchia, et dei bene essere degno d' essere appiccato come furo et ladro che tu se'.

Nicolao Vannucci di Fabriano tessitore di panni, contro altro Nicolao cucitore di panni. 1374 (P. L. 4970).

(1) Ecco per ora^ allora, usato in diversi dialetti del centro d'Italia.

126 S. BONGI

Ve' questo soso traditore ladro di Nicolao di Iacopo da San Miniato, che io lo farro impiccare per la gola caldo caldo. Che di' tu di Niccolò da Fabriano ? Niccolò te farà stare un anno in prisione et farrate impiccare per la gola ad uno della Marca, ghiottoncello da Santo Miniato.

Giovanni Colucci, già del Comune di Sortano Ley Judicis^ ora vagabondo^ minaccia due fratelli Giuntini. 1374 (P. L. 4970).

El convene eh' io offenda in persona lo primo eh' io gion- girò, 0 Nuccorino o Bartolomeo Giuntini, e de ciò non campare.

Donata serva di Iacopo Micheli di Firenze ad A- gnese moglie di Michele Peghini testore, 1374 (P. L. 4971).

Sossa iumenta putana, che tieni lo rofianume in casa.

Giovanni Gadducci Taissi teslore a Michele Pellini copritore di tetti. 1374 (P. L. 4971).

Se tu non ti levi costinci, io ti darò sul volto.

Giovanni q, lacohi Sercambi (lo scrittore) a Lupo- rino Landi (1). 1374 (P. L. 4971).

Tu hai quattromila fiorini d' usura.... Tue e fratelloto avete quattromila fiorini d' altrui.

lacoho q. Francesco Sbarra a ser Pietro Manfredi notaio di Camaiore. 1374 (P. L. 4971).

E' convene eh' io ti tagli il volto , e di pogo mi tegno ch'io non tei faccio hora.

Giannino 3ìarci di Venezia testore di drappi a donna Tana relitta Berlini lunte fdbro. 1374 (P. L. 4971).

Troia puttana, e' convene eh' io ti bastoni e aiutetene chi vuole.

Peruccio Puccini detto Pinzano di Pedona contro

(1) Il Sercambi fu assoluto, non parendo che le sue parole fossero vere ingiurie.

INGIUEIE, IMPEOPEKI, CONTUMELIE ECC. DEL TKECENTO ITI

Giovanni Nelli detto il Brutto di Camaiore, 1375 (P. L. 4974).

Non crediate a costui che è degno di essere impiccato già è diece anni, et è quello homo che à guasta la contrada di Gamaiore, eh' elio ha fatti occidere quatro homini a ghiado, e questo me offerisco di provare co la spada in mano (1).

Azzolino q, Arrigo dello Strego dopo avere colpito con due sassate nelle spalle Giovanni Clielli di Poggio, 1375 (P. L. 4975)

Io non t'ho volsuto fare altro male avale, ma altra volta ti farò peggio.

Parole fra Paolo Corsini e Piero Giurar di detto Ca- pellino. 1375 (P. L. 4975).

Paolo. Io non berrei con alcuno cattivo huomo come sei tu. Piero. Io ti darò di molli punzoni, e guardati se ti sa' guardare.

Dialogo fra Nicolao Genovardi e Giovanni Micucci da Paterno spenditore da' signori anziani, contrastandosi un taglio di vitella in bottega di Bindo beccaio. 1375 (P. L. 4975).

Nicolao. Voglia gli anziani, voglia Giovanni da Paterno, voglia chi esser sia, noi volemo questa carne, se ti crepasse l'altro occhio.

Giovanni. Tu non l' avrai, per ciò che tu sappi fare, eh' io te ne curo meno che la fece del culo.

Nicolao lacóbi da S. Miniato sarto a donna Fran- cesca moglie di Cristofano Bartoli di Lucca. 1375 (P. L. 4975).

Tu non se' donna di Cristofano, anco se' soa fante e ba- gassia, e va, di' a Cristofano che ti compri uno bo e fatello

(1). Alle parole di Peruccio, Giovanni rispose: tu menti per la gola, ed ebbe anch' egli processo.

128 S. BONGI

montare adosso, che tue dovresti vergogniare et appiattare, come troia e mala femmina che tu se'.

Parole passate tra Tomuccio q. Dominici console del Comune di s. Pietro di Valdottavo e Coluccione q. CJielli di detto luogo. 1375 (P. L. 4976).

Coluccione. Tu non potresti dire tanto ch'io venisse per tua richiesta a Comune.

Tomuccio. Se tu non verrai a Comune io ti farò predare.

Coluccione. Se tu mi farai predare, tu non ne farai mai più predare neuno.

Nuova minaccia di Nicolao lacóbi di S. Miniato sarto contro Cristo f ano JBartoli testore. 1375 (P. L. 4976).

Io gitterò a Cristofano dalla mia finestra, che risponde in della corte sua, uno mortaio e daròli in sulla testa e anderòmi per li fatti miei.

Ghiardo q. Lapi di Pistoia a Gabriele Andr inoli testore di Lucca. 1375 (P. L. 4976).

Vatti con Dio, tu m' ài abastonato & almi trattato come garzone; elli conviene che te ne paghi con altro che con bastone.

Margherita moglie di Mario Franceschi detto Cico- gnato di Venezia testore di seta a Nente moglie di Fran- cesco Mei altro testore di Firenze. 1375 (P. L. 4976).

Troia merdosa che tu se', va fa la vendecta de' nipoti tuoi, che ti furono morti e gittati in sul solilo.

Giovanni q. Tottorino di Poggio^ pisciando alia casa di Giovanni Frammi. 1375 (P. L. 4976).

Poiché questa casa è di Giovanni Frammi, io ne lo voglio impisciare (1).

Nardello q. lacohi del Ponte a Mariano a Iacopo Michelini di Lucca. 1375 (P. L. 4976).

(1) Per queste parole ebbe condanna di L. 33,5.

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 129

Cotale altrettale che tu se', che ài papato & leccato Io mio, che se tu fussi altro' come se' qui, io ti farei buono ho- mo Tu ài pappato e leccato lo mio & hai mangiato pol- lastri & uova & non mi vuoi pagare.

Baruffa avvenuta nella piazza di S. Michele di Lucca tra Francesca fante di Francesco Vannuccini di Siena pizzicaiola, Andrea q.- Giovanni Del Bello, la sua moglie donna Mea fruttivendola, e Minuccia da Montalcino altra pizsicaiola serva di Andrea. 1375 (P. L. 4977).

Francesca, òattento un tovagliolo nel muso ad Andrea. Sozzo traditore ladro, che vendesti una femmina in quel di

Perugia come rofiano, io posso andar col viso scoperto, ma

non tu, traditore. E voltosi alla moglie di Andrea e basto- nandola : Sozza puttana marcia, che conviene ti cacci di questa terra, troia fastigiosa.

Minuccia, scagliandosi eontra Francesca. Sozza puttana troia rofiana cieca stallaiola.

Andrea, incoraggiando la serva sua contro Francesca. Piglia un coltello, dagli in sul volto e vedremo quello che ne sera. E rivolto a Francesca : Troia che tu se', io ti farò levar li panni e scoparti per tutto Lucca, che ài avuto figliuoli del compare tuo e stai con lui.

Bartolomeo figlio d'' Andrea panattiere di Pistoia, dando pugni a Giovanni Vitucci sarto. 1375 (P. L. 4977).

Ribaldello fracido, che conviene ch'io te ne paghi, che non lassi vivere mio padre.

Nicolao Vannucci sarto di Fabriano a Lorenzo figlio Ioanni di Francia altro sarto residente in Lucca. 1375 (P. L. 4978).

Tu menti per la gola come gactiva persona che tu se', che la maiore parte de quelli de tua terra sono ladri e traditori.

Andrea Simoni di Lucca e Giovanni Campucci di Massa contado di Lucca. 1375 (P. L. 4979).

Voi. III. Parte I, 9

130 S. BONGI

A. Va e impiccati per la vola, raanuvolto che tu se\ & non mi dar briga.

G. Tu menti per la vola, come traditore che tu se'.

Minaccia del contadino Piero di Giovanni PienelU di Valgiano contro Bindo q. Franceschino de Quartisciani cittadino di Lucca^ la quale, unita colla intimazione fatta ad un altro contadino di non lavorare il podere di esso signore, fruttò a Piero la condanna gravissima di L. 150 di buona moneta, 1375 (P. L. 4979).

Tu me cassarai la carta che tu m' ay adosso a tuo despetto, se ti crepasse 1' occhio guercio , stravolto che tu se' ; che si converrà che io te ne cavi le budella de reto da le reni, et io t' arderò & farotte ardere le tue case & la vigna.

Giudizio sul governo di Lucca, che al notaio forestiero ser Vanni figlio Pocucci d' Amandola costò la multa di 100 fiorini d'oro. 1375 (P. L. 4979).

Questa citta si regge e governa a tirannia, ma per certo durerà pocho.

Bartolomeo Ugolini di Conca a Stefano Cellini, 1375 (V. G. 1566).

Stefano, e' conviene eh' io faccia della carne fresca , se tu parli più.

Michelino q. Nuccori di Parezzana, assaltando armato d'un perniato potaiolo frate Serafino q. Bonagiunte di Pescia deir ordine di s. Iacopo d' Altopascio. 1376 (P. L. 4980).

Tu se' rollano traditore ladro e ghiottoncello soddomita, che ti venghino mille vermi cani, io ti pagherò delle opere tuoi.

Simone q. loannis di Pisa, il suo compagno Gerardo Paoli e Pietro q, Puccinelli Taissi di Lucca. 1376 (P. L. 4980).

Simone a Gherardo che gli aveva richiesto una tunica

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 131

color di fior di pesca datagli in prestito. Tu non potresti fare che tu la riavessi.

Pietro. Tu fai male a non rendere li panni suoi a Gherardo.

Simone. Voi siete una brigata di traditori. Io li ei (1), non poderesti fare tu elli che io li rendesse.

Pietro. Tu dici eh' io sono traditore, se tu fussi in altra parte che qui, io ti proverei ch'io non sono un traditore.

Simone. Che mi potresti tu mai fare? Mette le mani al petto delV interlocutore e gli strappa da dosso il man- tello,

Viviano Ricchi di Camaiore a lacobo lacohi di Tor- cigliano. 1378 (V. G. 1569).

Tu se' uno traditore ladro, & non potrai scampare dalle mani miei ch'io non te ne paghi.

lacoho lacohi a Caterina moglie di Luca cZ' Orvieto, 1378 (V. G. 1569).

Tu ne menti per la gola, come sozza puttana che tu se', che non è vero quello che tu dici.

Michele lacohi detto Folchetto della Pieve di Camaiore scagliandosi colla spada nuda contro Giovanni Simmonelli Semhrini di Lucca. 1379 (V. G. 1571).

Traitore gaglioffo birbo, tu non goderai il mio.

Viviano e Francesco q. Ciomei di Corsanico a Nieri Ioannis di d, l, il quale voleva opporsi ad essi, che por- tavano via 8 staia di grano delV « ara comune ». 1379 (V. G. 1571).

Uno de' due fratelli. Io ti ricorderò il tempo fallito, im- perocché io ti concerò un che tu non serai mai homo tra

gli altri Tu ne menti per la gola.... Se tu non te levi di

costì io ti daròe di questa zappa sulla testa.

Nieri volgendosi ai presenti. Siate miei testimoni come costoro mi sforzano et rubbano otto staia di grano.

(1) Io gli ebbi, cioè i panni.

132 S. BONGI

Mantina moglie di Francesco Pieri di Camaiore a donna Teccina moglie di Guiduccino Pacini di d. l. 1379 (V. G. 1570).

Sossa puttana marcia, che non è terra in Valdinievole che tu non abbi scompisciato.... Va, ricuopri le cervella del nipote tuo, il quale fu morto a ghiado e rimasero in sulla terra, che n'è anco a fare la vendetta.

Pietro Orselli a Maria moglie di Pietro Vivaldi di Massa^ che voleva dar d' un sasso al cane di lui che ab- baiava contro il suo figliuoletto. 1379 (V. M. 148).

Se tu li dai al mio cane con cotesta pietra, io ti darò tal del pugno che n' anderà lo pezzo.

Venutello Bertucci di Massa a Lemmo q. Chelli di Poggio Vicario di quella terra, 1379 (V. M. 148).

Voi avete mandato bando che neuna persona faccia macelli carne se non alla piassa. Io ne faròe quanto io vorròe, pagando la gabella, al dispetto di chi non vorrà.

Piacente q. Borgognoni di Massa ad Antonio q. Van- nucci MeBZoconte di Pietrasanta maestro di pietre , che rispose con un gran pugno. 1379 (V. M. 148).

Questo mulo bastardo viene a oltreggiare i buoni homini Massa.

Alterco fra Viviano g. Ciomeo Chiellini e Puccio Prini di Corsanico. 1390 (V. G. 1574).

Viviano. Faimi tu f^ire la via per lo campo mio?

Puccio. Mai sì, imperò che io vi debbo avere la via.

Viviano. Tu non ve la dei avere ; ma vieni tu che se ci verrai, tu non ci passerai per lo campo mio. Puccio, non ci venire, che noi ci faremo male se tu vieni.

Buccio si avanza e ed suoi compagni entra nel campo^ e tornato^ soggiunge: Vedi, Viviano di merda, che noi ci siamo andati & tornato al tuo dispecto & di chi te volesse ai- tare, cS; così faremo a ugni nostra posta, & va & ricorri a qua-

INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC. DEL TRECENTO 133

officiale tu vuoli andare, & dillo a Ser Iacopo e chi bene li vuole, & sappi tu & elli se ve ne potete aitare; & non ostante che io abbia qui le campora, io farò la vostra via per andare al mio campo, per bene eh' io possa andare per lo mio , vegli tu che no & al tuo dispecto. {Segue una zuffa a vangate).

Viviano voltasi ad alcuni sopravvenuti al rumore. Siate miei testimoni che Puccio va per lo campo mio mal mio grado e contro la mia volontà.

Puccio alli stessi. Siate voi testimoni come elli m'ae cavato sangue dal volto.

Scambio cf ingiurie fra Finuccia Vannucci e Gemma moglie di PucceUo Corsellini. 1380 (V. M. 149).

Finuccia. Troia che tu se', che fusti trovata con uno homo e se' degna di esser menata al Sambuco (1).

Gemma. Non son fatta come mammata che faceva e fe- ce H figliuoli bastardi.

Brunetto Ioannis de Rivalto a Stefano q. Coiuccini di Lucca. 1380 (V. M. 150).

0 traditore, guarii da me, che io ti convegno uccidere et non ti serò traditore, et tiene che via vuoli eh' io ti convegno giungere, io et uno mio fratello che io oe.

Bartolomeo ser Stefani di Massa e maestro Piero di maestro Grafie da Tendola. 1381 (V. M. 154).

Bartolomeo., mettendo le mani al petto del suo interlo- cutore. Maestro Piero, maestro Piero, io te ne pagherò al corpo di Dio I

Maestro Piero. Tu se uno assassino ladro e malo homo, e ogni volta che io vorrò ti farò tagliare a pessi su questa piassa & non te ne potrai aitare.

Giovanni Bondielli e Simone q. lohannis di Moìite- topoli abitante in Massa, 1382 (V. M. 156).

Giovanni. Tu m'ay rubbato & sforzato il mio e non vivi che di robarìa.

(1) Probabilmente il luogo del bordello di Massa.

134 S. BONGI INGIURIE, IMPROPERI, CONTUMELIE ECC.

Simone, lohanni, al tuo despecto & di quanti parenti & amici tu ài, io sono migliore homo che non se' tu a Massa.

Gardello Parducci della Pieve di Camaiore a Martino Galli officiale del Comune. 1383 (V. G. 1578):

Così fussi tue tagliato a pezzi come fue lohanni Santo, et menti per la gola che tu non mi domandasti mai come le cose stavano, et per pogo io mi rattenni che io non ti uccisi quando ti trovai in sulle Gavine ; e pensa che queste cose non s' accon- ceranno da neuno se non da te & da me, & sia per qual via tu vuoi, che queste cose partiremo tu e io senza altra persona.

Antonio Pacini d' Arezzo commorante in Corsanico^ assaltando con spada e bastone Alboruccio Pucci officiale del Comune. 1384 (V. G. 1581).

Io ti darò la mala sera, perchè tu m' ài dato per scripto a ser lohanni da Gastiglioae.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMANA

La epistola De locutione romana, indirizzata da Fla- vio Biondo a Leonardo Bruni, già nel secolo XV si diede alle stampe: ma fu allora, io credo, la prima e l'ultima volta. E si fece col tempo cosi rara quella prima edizione, che fino allo scorcio del secolo passato, mentre si era per altra via conservata memoria della epistola blondiana, da tutti gli eruditi, compreso lo Zeno, essa si credeva inedita o perduta. Il Biondo ne fece menzione nel se- guente passo della Italia Illustrata: « Longobardi omnium qui Italiam invaserint externorum superbissimi, Romani imperii et Italiae dignitatem evertere ac omnino delere conati, leges novas, quae alicubi in Italia extant, condi- dere: mores, ritus gentium et rerum vocabula immuta- vere, ut aCfirmare audeamus locutionis Romanae latinis verbis , qua nedum Italiae sed Romae quoque imperio subiecti plerique populi utebantur, mutationem factam in vulgarem Italicam nunc appellatami idque incognitum nobis, quando opus de locutione romana ad Leonardum Aretinum dedimus, postea didicimus visis Longobardorum legibus, in quibus de mutatione facta multarum rerum

136 G. MIGNINI

vocabula, tituli, tractatusque sunt positi (1) ». Il Bruni poi conchiudeva la lettera responsiva a quella del Biondo con le parole: « haec ad libellum tuum respondisse volui (2) ». Si avevano solo queste indicazioni, quando nelle Novelle Letterarie Fiorentine del 30 ottobre 1789 venne fuori la notizia che la epistola De locutione romana trovavasi stampata in fondo ad altra opera dello stesso Flavio Biondo, la Roma Instaurata, in una rarissima edizione del quattrocento, che si conservava, e si con- serva ancora nella Magliabechiana (3). L' autore della notizia nelle Novelle Letterarie Fiorentine fu condotto a tale scoperta dalla curiosità bibliografica, con animo di illustrare la storia della tipografia, non quella della filo- logia italiana. altri, che io sappia, fino ad ora si diede cura di esaminare a tale scopo la lettera del Biondo : anzi essa seguitò ad essere generalmente ignorata, non ostante che il Tiraboschi nella sua Storia Letteraria (4) profit- tasse della notizia uscita nelle Novelle Letterarie Fioren- tine. Solo Girolamo Mancini, che io sappia, ne fa men- zione, e ne riporta tradotto un breve passo: ma pare che anche a lui fosse nota la sola edizione del secolo XV; cosi che io sono indotto a credere che da quel tempo la epistola non sia stata più pubblicata. Poiché, copiata che la ebbi, vidi che molto lume essa può darci su gli studi filologici italiani nel secolo XV, e presi con-

(1) Operum, pag. 374.

(2) Ed. Mehus, lib. Vili, ep. 2.

(3) È segnata: E. 1, N. 3, in foglio, senza indicazione di luogo, di tempo e di tipografo. Ma può essere una cosa sola con quella del 1474, Romae, De Lignamine, in" fondo alla quale Girolamo Mancini (Vita di L. B. Alberti, Firenze, Sansoni, 1882, p. 219) dice che si trova la epistola De locutione romana. Il Mancini cita della epistola anche il cod. Magliabechiano 38, ci. XIII.

(4) Storia d. Ietterai, ital. voi VI, lib. Ili, e. 1, paragr. 5, nota.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMANA 137

siglio di rimetterla in luce, proponendomi insieme di parlarne alquanto diffusamente, facendo la storia della questione in essa trattata, fino al secolo XVI. Ora poi, privo di mezzi per fare quanto e come avrei desiderato, mi contenterò di premettere poche parole.

Lasceremo innanzi tutto che il Biondo stesso ci dica la questione trattata nella sua lettera: « materno ne et passim apud rudem indoctamque multitudinem aetate no- stra vulgato idiomate, an grammaticae ^artis usu, quod latinum appellamus , instituto loquendi more Romani orare fuerint soliti ». In altri termini, più particolarmente si trattava della distinzione tra lingua letteraria e volgare sotto i Romani. La questione, discussa prima nelle an- ticamere pontificie tra i segretari della Curia, presenti Antonio Lusco, Cencio Romano, Andrea Fiocchi, Poggio Bracciolini, Flavio Biondo e Leonardo Bruni, fu poi trat- tata in iscritto dal Biondo, dal Bruni (1), dal Poggio (2), dal Filelfo (3), e da Leon Battista Alberti (4). I conten- denti si divisero subito in due parti: una, a capo il Bruni, riteneva la differenza tra lingua letteraria e vol- gare sotto i Romani essere stata sostanziale^ come tra due lingue diverse, più meno che tra il latino e il volgare nel secolo XV: l'altra, a capo il Biondo, am- metteva si una differenza tra le due lingue, ma ricono- sceva ambedue uscite dallo stesso fondo latino, ed am- bedue rimaste sempre latine. In generale, cosi intorno alla lettera del Bruni, come agli scritti degli altri eruditi suoi contemporanei, giudicò bene lo Schuchardt, di cui riferisco le parole: sopra l'origine del sermo plebems ro-

(1) Epist, ed. Mehus, Vili, 2.

(2) Historiae convivales disceptativae, III.

(3) Epist. , lib. IX, 6, e lib. XXXVII, 2.

(4) Proemio al lib. III delia Famiglia.

138 G. MIGNINI

mano furono i dotti in ogni tempo in discordia (1). Leo- nardo Bruni di Arezzo (f 1443) sostenne primiera- mente (2) che nell'antichità fossero esistiti in Roma due linguaggi, uno dei colti ed uno degl'incolti. Contro di lui e dei suoi seguaci in questa idea si fecero innanzi Flavio Biondo di Forlì, Francesco Filelfo, Francesco Barbaro, Francesco Florido Sabino, Pietro Bembo ed altri. Si combatteva da ambedue le parti con molte parole e poco metodo. Ogni partito aveva ragione, perché ognuno aveva torto. Gli uni ammettevano la differenza tra la maniera di parlare dei colti e degl' incolti troppo grande, gli altri troppo piccola. E questo disgiungersi nella de- terminazione della quantità non si fondava tanto sopra una differenza nell' accettazione dei fatti , quanto sopra una differenza della unità di misura. Non si era d' ac- cordo su quel, che si abbia a intendere per lingua, e quindi non d' accordo su ciò : se quella differenza , la quale nel fondo da nessuno poteva essere negata, dovesse essere considerata come differenza di due lingue. Tutta la questione era nominalistica non realistica (3). Io credo però che, se lo Schuchardt avesse avuto cognizione della lettera del Biondo, avrebbe portato a suo riguardo un giudizio più favorevole. Il Biondo, non il Bruni, fu il primo a trattare in iscritto della questione, e ne trattò con più larghezza e con più metodo che il Bruni e tutti gli altri. Per lui solo la questione da nominalistica, come la dice lo Schuchardt, cominciò a farsi realistica e sto- rica. Nella storia sono fondati gli argomenti da esso pro- posti, e con metodo storico sono esaminati. Naturalmente, egli non potè valersi delle iscrizioni , per farvi un' analisi

(1) Fuciis, 0. e, p. 28 e segg.

(2) Epist., VI, 10.

(3) Der Vokalismus des vulgàrlat. , I, pag. 4-4.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMÀICA 139

dei suoni e delle forme, e risolvere direttamente la que- stione: ma dalle testimonianze degli scrittori latini op- portunamente scelte e rettamente interpretale, congetturò la reale condizione della lingua letteraria e popolare sotto i Romani. Egli non si proponeva già di mostrare la na- tura dei due linguaggi, ma di segnarne i limiti, e le re- lazioni, a larghi tratti. E qui egli colse nel vero. Quella che per il Bruni era differenza sostanziale fra due lingue vere e proprie, pel Biondo diventa una differenza di forma, prodotta dalla educazione domestica, dalla cura e dalla riflessione degli scrittori. « Quam Romani, egli dice, prima loquendi consuetudine communem habuerant di- ctionem, bonarum artium studiis excolentes nonnulli red- diderunt meliorem : et partim eloquentiae artibus illustra- tam in orationis solutae instrumentum redegerunt, partim modulatione vestitam pressa et angusta carminis aptitu- dine concinnatam poema esse fecerunt » . La differenza a poco a poco crebbe ad alto grado, col crescere della cultura; ma le due forme di linguaggio restarono sem- pre « uno eodemque patre latio una eademque parente carmenta genitae et in unis eisdemque laribus romanis educatae » . Nel medio evo la regolarità della lingua latina scritta non si credeva effetto dello studio e della tradi- zione letteraria svoltasi da un fondo di lingua parlata, ma una forma stabile, uno stampo, fermato per conven- zione dei dotti. La grammatica cesi non rappresentava r organismo e la storia della lingua, ma una serie di regole stabilite a priori una volta per sempre; cosi che vi do- vevano essere stati i grammatici prima degli scrittori. Basta sentire Dante Alighieri : « Grammatica nil aliud est, quam quaedam inalterabilis locutionis identitas diversis temporibus atque locis... Adinvenerunt ergo illam, ne pro- pter variationem sermonis arbitrio singularium fluitantis, vel nullo modo, vel saltem imperfecte antiquorum attin-

140 G. MIGNINI

geremiis auctoritates et gesta, sive illorum quos a nobis locorum diversitas facit esse diversos (1) ». A tali dot- trine professate nei secoli XIII e XIV stava ancora at- taccato il Bruni, quando non credeva possibile che sotto i Romani il popolo inflettesse i nomi e i verbi nella va- rietà delle loro desinenze, quasi che la regolarità non fosse stata nella natura stessa del linguaggio, ma del tutto convenzionale, e la lingua volgare fosse stata allora e poi assolutamente ex casu. Il Biondo invece anche nella lingua popolare romana riconosce la sua regolarità, sapientemente distinguendo questa, che veniva dalla sola natura, da quella del latino scritto, in cui alla natura si aggiungeva la riflessione e 1' arte. Egli pensa : « nec di- dicisse, nec naturae ac bonae consuetudinis munere re- gulas indoctam multitudinem scivisse, quibus grammati- cam orationem omni ex parte congruam faceret, ncque etiam tam longe a variationibus inclinationibusque et re- liqua grammaticae orationis compositione illius latinitatem abfuisse, quin litterata, qualem mediocriter aetate nostra docti habent oratio et videretur et esset » . E più innanzi il Biondo nella stessa lingua volgare dei suoi tempi rico- nosce una certa sua speciale regolarità: « omnibus ubi- que apud italos corruptissima etiam vulgaritate loquentibus idiomatis natura insitum videmus, ut nemo tam rusticus, nemo tam rudis, tamque ingenio hebes sit, qui modo loqui possit, quin aliqua ex parte tempora casus modosque et numeros noverit dicendo variare, prout narrandae rei tempus ratioque videbuntur postulare ». Questa regola- rità, insitam idiomatis natura, fu il primo Flavio Biondo, che io sappia, a notarla, e dopo di lui ripeterono la os- servazione Francesco Filelfo (2) e L. B. Alberti (3). Si

(1) De Vulg.Eloq., I, 9.

(2) Epist. , lib. IX, 6.

(3) Proemio al lib. HI della Famiglia.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMANA 141

faceva cosi una ottima correzione alle dottrine gramma- ticali del sec. XIII e XIV, e insieme si moveva un primo passo verso gli studi grammaticali su la lingua volgare, impossibili a farsi, finché questa si credesse assoluta- mente ex casti.

Mentre la lettera del Biondo, non ostanti i suoi pregi, cadde in dimenticanza, quella del Bruni fu da ta- luni anche nostri contemporanei magnificata oltre il me- rito, poiché loro sembrò di trovarvi una felicissima in- tuizione su la origine della lingua italiana. Ma essi non badarono, per lo meno, che il Bruni nella sua risposta al Biondo della origine della nostra lingua non dice verbo. Egli tratta solo brevemente la questione, che si potrebbe dire preliminare a quella su l' origine della lingua ita- liana, cioè della distinzione fra lingua letteraria e volgare sotto i Romani. Dal modo di risolvere l'una è certo che dipende la soluzione dell' altra. E poiché il Bruni opinava che sotto i Romani fossero esistite due lingue più meno che ai suoi tempi, ut mine est egli dice, una let- terata e una volgare sempre immobili e inalterate; e siccome quella letterata era un prodotto della conven- zione dei dotti, quella volgare poteva avere origine sì, come immaginò Dante (1) , da uno dei tre linguaggi dif- fusi in Europa dopo la edificazione della torre di Ba- bele, ma non dal latino volgare. Il latino volgare pel Bruni non era il padre del volgare italiano, ma era que- sto stesso sempre vivo e verde e inalterato, senza che le mutazioni naturali del linguaggio, quelle delle popolazioni italiane avessero avuto su di esso la minima influenza.

Il Biondo , che in fondo alla lettera toccò l' argo- mento, ripetè le origini della nostra lingua un poco più

(1) De Vulg. Eloq. , I, 8.

142 G. MIGNINI

da vicino: e, se da una parte diede troppa importanza alle invasioni delle genti nordiche in Italia , da un' altra egli queste considerò come causa di mutazione, non tra- scurando la materia a tale mutazione soggetta, cioè la lingua popolare latina.

Gli altri eruditi del secolo XV, che scrissero della stessa questione, il Filelfo, il Bracciolini, l'Alberti, furono tutti dalla parte del Biondo; e cosi nel secolo XVI il Bembo , Francesco Florido Sabino , Benedetto Varchi , Ludovico Castelvetro. Di questi il Sabino fece anche una specie di storia della questione fino al suo tempo (1). Dopo il Castelvetro, la questione prese un indirizzo di- verso con Gelso Gittadini , il quale si giovò della opinione del Bruni non nella sostanza, ma quasi direi per pren- dere le mosse ; poiché da lui derivò solo la forma esterna, la distinzione cioè tra il sermo litteratus e plebeius latino, valendosi per la sostanza più di quello che non si creda della trattazione del Gastelvetro, molto più matura e me- todica di tutte le antecedenti. Mi piace qui in fine di notare come il Gastelvetro, a cui pare non fosse nota direttamente la lettera del Bruni, benché edita nel se- colo XV (2), giudicò così strana l'opinione in essa so- stenuta, da supporre che il Bruni non avesse mai scritto nulla di simile, ma che gli fosse stato apposto da altri (3).

Del tempo, in cui fu scritta la lettera del Biondo, nulla di preciso mi è dato asserire; poiché essa la responsiva del Bruni hanno la data. Ma si può con- getturare che fosse poco dopo accaduta la discussione nelle anticamere pontificie, che fu verso il 1435, sotto

(1) Lectiones succisivae, II, 1.

(2) È la 10" del lib. VI, nella ediz. del 1472.

(3) Giunta alla partic. 6" del libro delle Prose della v. l. di P. Bembo.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMÀNA 143

Eugenio IV: poiché il Bruni, presente alla disputa, fino a questo tempo restò in Roma al servizio del Papa. Po- trebbe forse dare qualche lume chi conoscesse la cro- nologia delle opere del Bruni: perché il Biondo ci fa sapere (1) che, quando scriveva al Bruni la lettera, questi aveva finito sei libri delle Storie Fiorentine.

Dopo le poche cose discorse, non starò a fare un sunto disteso della lettera, come si usa, quasi a rispar- miare la fatica di leggere il testo. Dirò solo, in riguardo alla sua tessitura, che si può considerare distinta in tre parti: la prima serve da introduzione; nella seconda si espone lo stato della questione, dicendo come e tra chi sorse, e si propongono gli argomenti della parte contra- ria ; nella terza si confutano questi argomenti, e si espon- gono quelli in favore. Mi è parso conveniente segnare anche esternamente tale distinzione, numerando i para- grafi. Alla numerazione dei paragrafi ho aggiunto anche quella dei periodi.

G. MlGNIlNI

(1) V. periodo 21 della lettera.

Blondi Flavii Forliviensis ad Leonardum Aretinum virum doctissimum de romana locutione epistola.

I.

Gum multa sint, Leonarde Glarissime, tuum nomen cele- brantia, tum maxime illud illustrai latini sermonis exquisita proprietas, qua felicioris aevi, in quo floruit eloquentia, prae- stantes quosque adeo imitaris, ut cum a nenime supereris, eorum plurimos antecellas. Qiiod enim vir doctissimus et clarus aetate nostra vates Antonius noster Luscus, vel ut ipse appellare soli- tus es videntissimus, dicenti per hos dies te presente non dubi- tavit affirmare; si omnium qui latine scripserunt post Lactan- tium Firmianum scripta bonus odorator sagaciter olphaverit, nullum inveniet, cuius orationis nitor numerositasque et ornatus ciceronianam aeque redoleat eloquentiam. Facitque huiusmodi latinitatis splendor, ut, si ignotas aliquot vel obscuras graeco- rum historias, si Demosthenis Aeschinisque orationes, si Plato- nem Aristotelem, si Xenophontem Plutarchum, Basiliumque nostrorum hominum studiis utilitatique traduxisse, si inde mor- tui in primo bello punico Livii Patavini locum te subrogasse, glo- riosum ut est facinus tibi videtur; solidioris tamen gloriae munus praecipua haec elegantiae copia a doctis saeculi viris reputetur, qui graeca faciendi latina et historias alte repetendi facultatem multis, dignitatem romani eloquii paucis vident contigisse, quam in te maximam et prope singularem admirantur. Haec quorsum dieta sunt, certius pergam explicare, quam per iucundam mihi rerum tuarum commemorationem licere arbitratus fucrim, ne mancum mucidumque laudis tuae sermonem videar insiituisse, qucm paris eloquentiae fontem desiderare non ignoro. Abest vero tan-

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIO^E ROMANA 145

tura, Ut graliolam apud te venari canendis pergam laudibus, quae humillima quantumvis pectora titilant, quod gestu con- tendere tecum Dares cum Entello, vel si maius lancea commissus cum Hectore Tertites aggredior. Dabis autem veniam, et, si tuam novi humanitatem, quae nudum litteris virum ornaret, gratiam habebis, eum a me sermonem introductum esse, quo romanae facundiae , cuius celeberrimus es cultor , servatum a priscis usum ostendi oporteat: quibus scilicet verbis vel Re- gum temporibus, vel stante Republica, vel ex primum a Gae- saribus oppressa, orationes concionesque , immo et universam locutionem apud Romanos constet habitam fuisse. Si vero ari- dum, ut est ieiunumque tibi videbitur huiuscemodi orationis meae genus, indictis Christiana religione ieiuniis, et perflantibus Martio mense ventis, quo in tempore ista scripsi, attribues. Sed ad institutam disputationem veniamus.

n.

Magna est apud doctos aetatis nostrae homines altercatio, et cui saepenug[iero interfuerim contentio, materno ne et passim apud rudem indoctamque multitudinem aetate nostra vulgato idiomate, an grammaticae artis usu, quod latinum appellamus, Instituto loquendi more Romani orare fuerint pliti. Nec desunt argumenta utramque vel impugnantibus vel defendentibus par- tem; quae si in medium adduxero, qualibus utrique nitantur fundamentis apparebit; eritque omnium oculis adeo subiecta huiusce disceptationis materies, ut quilibet iurisdicundi ignarus, sive, ut dicere Fiorentini solent, iudex Emporinus, faciliter et ex tempore sententiam ferre non dubitet. Quam tamen et docti et rerum romanarum callentissimi iudicio vel ea ratione serva- verim ferendam; ne, cum tu pluresque alii omnium iudicio saeculi ornamenta invicem dissentire, videamini, ego unus, in quo tales viri vel contraria sentiant vel addubitent, id ausim affirmare. In quas vero concesserim partes facile poterit conii- cere, qui meminerit me tibi supra bellum indixisse; quod ea gerere modestia institui, ut nec te impudenter abs me lacessi- tum, nec me maiorum sententiae acquiescendo durum pervica-

Vol. Ili, Parie I. 10

146 G. MIGNINI

cemque videri velim. Memoria tenes, ut opinor, apud summa pontificis Eugeni! auditorium, et prò ipsis ferme cubìculi fori- bus, cum viri doctissimi Antonius Luscus, Poggius, Gin- tius, et Andreas Florentinus, apostolici secretarii, te collegii nostri decus adeuntes, tuam rei, de qua loqui ceptum est, ro- gassent sententiam, varias prò temporis brevità te singulos pro- tulisse opiniones. Tecum enim, si recte memi ni, Luscus et Gin- tius sentire videbantur, vulgare quoddam et plebeium, ut poste- riora habuerunt saecula, Romanis fuisse loquendi genus a lit- teris remotum, quo doctissimi et oratores apud populum illas dicerent orationes, quas postmodum multa lucubratione in gram- maticam latinitatem redactas posteris reliquerunt. Gum tamen unam tres ipsi eamdemque teneretis sententiam, differentia io- vicem mihi videmini attutisse argumenta. Negavit Luscus satis simile vero esse, litteratum populo sermonem ab illis factum esse, earum potissime rerum, quas sua aut reipublicae aut ami- corum causa probari persuaderique cupivissent ; quod eo tendere videtur, ut aliam litterata vulgatiorem haberi oportuerit loque- lam, qua plebi domestica dicentes ad populum uti convenirci. Assertionem huiuscemodi cum probasset Gintius, argumentum addidit de Tulio Hostilio romanorum rege, quod apud Livium patavinum primo (1) ab urbe condita habetur: vocem, qua suos increpa vit, exauditam terrori hostibus fuisse : id ab rege dictum, ideo verum esse suspicantibus quia alieno ab illis idiomate di- ceretur: hincque elicere visus est velie Gintius, Romanis Fide- natibusque unam eamdemque linguam vulgarem tunc fuisse, nul- lamque aliam locutionis ab rege per id tempus quam litterati sermonis differentiam adduci potuisse. Tu vero, si satis constai memoria, in Lusci et Gintii sententias pedibus manibusque venisti : quas prò temporis brevitate rationibus confirmare, et Poggium es adnixus vestris partibus adiungere, contraria sen- tientem : quamquam, nisi vocatu cubicularii ad pontilìcem in medio disceptationis aestu tanquam praelio excessisses, qui nos adtrahere credideras, tuis quas adduxeras rationibus in te re- flexis persuasus ad nos transisses. Gum enim de applausibus

(1) TiT. Liv., I, 27.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIOJSE ROM A ISA 147

populi, quos nobiles oratores aliquando excitasse legimus, multa in eam dixisses sententiam, ut fieri posse non videatur plebem indoctam huiusmodi suavitatem sernfionis, quam habemus scrip- tam, gustasse, sed vulgare quidpiam, quod tantundem faceret, fuisse dictum; Gaii Garbonis illud adduxisti: dictiim patris sapiens filii temeritas coìnprohavit (1), quo dichoreo tantum clamorem contionis excitatum scribit Gicero, ut admirabile di- cat fuisse. Urgente autem Poggio, et tanquam mucrone tuo ut te confoderet conante, non posse scilicet sibi persuaderi quin felicis saeculi benefitio unicum eumdemque sermonem, quo tunc temporis dicendo scribendoque uterentur oratores, habuerit mul- titudo, cuius aures numerositate illa mulcerentur, a nobis es subtractus. Quod enim, te absente, nos ipsi postea tanquam praesenti tibi invicem dicebamus ; nulli debet dubium videri quin, si altera lingua, quam si placet velim appelles vulgarem, dictum fuisset, quod postea in hanc latinam numerositatem ora- tionis est positum, M. Gicero, Quintilianus, Q. Asconius Pedia- nus, aliique plurimi, quibus oratorum quaeque minima referre cura fuit, otiumque, eam orationis diversitatem aliqualiter in- nuissent; quod nostra et patrum nostrorum aetatibus a plerisque factitatum vidimus de fiorentini Dantis Gomoedia, de luculentis Boccatii vulgaribus fabulis vel ut ipse appellai novis, quae cum grammaticis astricto regulis sermone scripta videmus, in latinitatem dicimus esse conversa. Id, ut opinor , usu eveniet tibi, si quando in historia fiorentina orationem ornate dictam referre et laudare coget necessitas. In primis autem, quod hac- tenus scripsisti, sex libris, id nequaquam abs te factum esse eam crediderim causam fuisse, quod illa scribendo nondum superasti tempora , quae multis saeculis eloquentiae studiis abhorruerunt. Gum vero ad nostram veneris aetatem, nullo po- terit abesse pacto, quin inter elegantis cuiuspiam orationis com- memorationem, eam latine et non vulgariter, ut a ceteris con- sueverat, ab ilio peroratam fuisse scribas. Quando enim primum Philippi ducis Mediolani bellum quod cum Florentinis gessit scribere incipies, et legatioiiis Venetorum ad Martinum illa

(1) CiCER., Orator, LXIII, 214.

148 G. MIGNINI

tempestate pontificem romanum prò pace quaerenda missae mentioriem facturus eris, elegans praeclari Francisci nostri Bar- bari oratio, quam tunc ad Pontificem pubblica audientia orator habiiit, qualis fuerit referre conveniet. Sed ad propositam re- vertamur narrationem. Tam enim mihi gratus fuisset tuus ad nos transitus, ut recolendae illius oblatae spei studio, tuae re- sponsionis perverterim ordinem. Primam instructa contra nos acies tua turmam habuit: imperitam inter romanos gentem vul- gari corruptela, quod latine diceretur duellum, protulisse bel- lum; et Gaio qui scriptus est duellius, ab indoctis et vulgaribus bello fuisse cognomentum. Hinc coniici posse dixisti litteratam vulgari dictionem fuisse differentem. Gintii secundo loco de regis Tullii vociferatione argumentnm reassumpsisti: et demum ad Gnei Garbonis, quod dictum est supra, concinnum illud ve- nire ceperas. Haec, nisi fallor, levia sunt argumenta, et suscepto a me muneri parum obfutura ; quae nullam refellendo haberent difflcultatem, si modo ea fuisset intentio, id propositum. Sed, cum a vobis summis quidem viris non solum ex tempore, sed tumultuarie sint dieta; quibus, si per datum meditandi spatium liceret, aut alia sit futura sententia, aut certe plures urgentio- resque probandi quod sentìtis suppetant rationes; improbum mihi visum iri videor, si tanquam inermibus extra valium, data fide, ad colloquia accitis latera confodiam. Quae itaque a vobis dieta sunt, tanquam rei inditia mihi proposita, quantum ad rem facere videantur, cum dixero, tum illa ipsa afferam, quae inter occupationes assiduas succisivis dierum horis ad rem facientia colligere potui.

m.

Primum de Tulio, quod Gintius opposuit, si librum in ma- nus acceperit, nihil facere contra pervidebit. Tullum namque, inquit Livius, riso Albanorum, qui in partibus suis erant, tran- situ ad hostes, clara voce ita suos de concepto timore incre- passe, ut hostes exaudirent; terroremque ad hostes ipsos tran- sisse, qui audiverant clara voce dictum: additque magnam partem Fidenatum^ ut qui coloni additi a Bomanis es-

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMANA 149

seni, latine scivisse. Qui duas ex hoc facto locutiones Ro- manis fuisse volet probare, Romanos Fidenatesque unius eius- demque sermonis consuetudinem habuisse ut credat necesse est: hincque arguat regem, qui facti sui simulatione hostes terrere voluerit, non vulgata apud utrumque exercitum verba, sed lit- terata praestantioribus domestica protulisse: ut quanto Illa plus habere auctoritatis, dum paucioribus, ut innotesceret niti vide- retur, eo maiorem hostibus incuterent metum. Ego autem con- trarium ; ut sententiam facit Livii textus, apud quem est, Fide- nates, quos Romulus subegerit, fuisse Etruscos; lingua, ut no- sti, per id tempus a Romanis differentes : sed inter quos essent Romani dudum a Romulo in coloniam Fidenas missi. Unde regis vaframentum nulla institutum alia ratione crediderim , quam ut suorum animos confirmaret; et simul hostem ne cir- cumveniretur dubitaturum terreret; bine clara voce a Livio di- citur exclamasse, id est alta et aperta Romanis, qui apud eum essent illisque, qui coloniam inhabitarent inimicam, domestica. Verbis enim quod vos pergeretis dicere litteratis et multitudini ut fuissent incognitis, suos adhortari aut inimicos terrefacere voluisse extrema quaeque metuentem, cum pristina regis pru- dentia parum quadrasset. Latine ergo magnam Fidenatum partem scivisse signanter scripsit Livius; non ut vulgaritatem sermonis aliquam fuisse innueret; sed ut scituris Fidenates fuisse Etru- scos, et exauditam regis vocem intelligere reqnivisse suspicatu- ris, responderet. Duellii tui ratio parvi brevisque inter nos duelli momentiim est habitura; cum illud e vestigio dirimant infra- scripta Giceronis in Oratore (1) verba: Quid vero licentius^ qnam quod hominum etiam nomina contrahebant, quo es- sent aptiora? Nam dueìliuin, helUuni nominaverunt , cum superiores appellati essent semper Duellii. Nullam inde, ut mihi videtur, coniecturam facere licet, aut hellum vulgare aut duellum fuisse lilteratum; sed licentiam in ea re multitudinis ostendit; de qua statim plurima intulit eum liabentia sensum, ut si ornate nedum litteraliter dicere volumus trito loquendi usu populo concedamus; scientiam, ut de se ipso dicit, nobis

(1) CiCER., Orator, XLV, 153.

150 G. MIGNINI

reservemus. De Gnei Garbonis solutae orationis versu satis multa dixi: siqua vero videbuntur reliqua, a nostris illa requires ar- gumentationibus, quas Poggium Andreamque mecum facturas intelligo. Sed satis supraque in portu vestro securus navigavi, lam tandem vela in suprema mali parte diu haerentia panda- mus; et multorum, quos nulla collegii necessitudine probibitos acrius incumbere suspicor lato pelagi campo, fluctibus expo- namur. Velim tamen cum certaturis mecum omnibus illud fore in primis mihi commune: ut litterata orationis latinitate, quam Romanis omnibus femellis pariter cum viris unicam fuisse con- stanter assevero, doctos longe multum indoctae multitudini prae- stitisse concedam. In quo autem quantumque differentes fuerint cum probavero, tum facile et in promptu erit demonstrare, immo quod intendimus demonstratum esse apparebit. M. Cicero, latinitatis illustrator, et idem orator eximius, in oratoris libro, priusquam ad Gn. Garbonis locum veniate de quo superius tam multa sunt dieta, numerosae orationis documenta formans, sic inquit: quia nec numerosa esse ut poema, neque extra nu- merum, ut sermo vulgi est, dehet oratio ; alterum nimis est vinctum, ut de industria factum appareat, alterum ni- mis dissolutum, ut pervagatum ac vulgare videatur (1). Hic, Aretine clarissime, hic altum sunt mihi iacienda quaestionis propositae fundamenta. Gum enim inde colligi liceat tres lati- nae dictionis formas tunc fuisse, poeticae unam numeris astri- ctam, oratoriae alteram nec contextam numeris nec carentem; vulgaris tertiam fluentem et quaquaversum sine numero sine ordine dilabentem, quae docti partes erant, quae indocti appa- ret. Qui namque cantu et modis quibusdam apta et regulis coercita oratione poema voluerunt conficere; ut multarum rerum scientiam longo imbibissent temporis spatio necesse fuit; qui item propositam rem definire et ad commune iudicium popu- laremque intelligentiam ornate, graviter, explanate voluerunt accomodare, quanta eos didicisse oportuerit, Giceronem dicere novisti; apud quem est, praeter multa quae enumeravit, tenen- dam esse oratori omnium rerum scientiam. Abiectum vei'O ge-

(1) ClCER., Orator, LXVII, 195.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTFONE BOMANA 151

nustertium tanquam natura ipsa omnibus in commune datum; et, si iisdem quibus superiora duo conficiebatur verbis. nulla tamen arte, nullis habebatur regulis: sed dissolutum ac perva- gatum erat, cumqiie in vulgi possessione remaneret, maiora illa attingere non valentis, vulgare appellabatur : nec tamen ideo non latinum, vel quale nostra habent tempora vulgare, omni latinitate carens erat. Sed quod in fratribus iisdem genitis parentibus saepenumero videmus contingere, ut militia unus, alter doctrina clari evadant, tertio per vitae ignaviam, aut quia sinistro sit natus sidere, inglorio remanente; trinae huiusmodi locutionis latinae germanitati accidisse constat; ut, quamquam uno eodemque patre latio una eademque parente carmenta ge- nitae, et in unis eisdemque laribus romanis educatae fuerunt; quae locutiones doctrina sese ornarunt in primarias evaserunt, germanam post terga tertiam inter vulgares incomptam , squallidara, ingloriam, relinqnentes. Rursus, quem natura flavi- fuscum dederit, si capillus diu multum illotus incomptusque habebitur, fuliginosus, squallidus, obsitusque fiet. Fac lascivam mulierem et cupidinis facibus agitatam hunc pectere, et super infuso quem noverunt liquore delibutum, ad solem siccare; flavus nitidusque, quales Helenae fnisse tuus scribit Homerus, aut florentinae mulieres habent, impensa huiusmodi opera de- veniet. Eumdem in planum passumque et cervicem humerosque complentem adhibito calamistro inustum in annulorum coronam eadem mulieribus vanitas crispabit. Pari itidem forma, quara Romani prima loquendi consuetudine communem habuerant dictionem, bonarum artium studiis excolentes nonnulli reddide- runt meliorem; et partim eloquentiae artibus illustratam in ora- tionis solutae instrumentum redegerunt , partim modulatione vestitam pressa et augusta carminis aptitudine concinnatam poema esse fecerunL Possem plurima huiuscemodi afferre: sed vereor ne sint qui hanc locutionis partitionem cum mihi con- cesserint, contendant infimum illud litteris abhorrens, nulla ex parte lalinum, sed quale nostra habet aelas vulgare fuisse; hinc mea in me tela retorqueant; et oratores dicant, cum po- pulo orationes tuas probari vellent, illa dicendi faeda vulgari- tate usos, quam postea defecatam in linita scriberent latinifcìte:

152 G. MIGNINI

sicque arma hosti parasse, quibus ipse conficerer, et in prima disceptationis cunabula repulsus fuisse videbor. Istis ut respon- deam, non eo inficias minori et apud populum tritiori, quod vulgare secum etiam appeliabo, verborum genere usos qui mul- titudini dicendo persuadere voluerunt. Latinis vero verbis et no- stris, quae appellamus vulgaria, nequaquam adsimilibus id fa- ctum fuisse plurima docebunt Giceronis verba, quae habentur in Bruto. Quid enim, quaeso te, aliud latine diligenter loquendi laus quam Flaminio et pluribus attribuii, sibi vult quam alios laude indignos et ab eo de industria praeteritos non diligenter latine, dum orarent, sed tamen latine locutos fuisse? Incom- ptam vero in Quinto Catulo latini sermonis integritatem lauda- re, sine fuco illam aut conatu aliquo a meravulgi consuetudine tractam ostendere. Quid expressius quod intendimus, quid si- gnificantius ostendit, quam quod Gottam praetorium cum ver- bis tum etiam ipso sono quasi subrustico persecutum antiqui- tatem atque imitatum dicit? Prudentem illum, qui litteras at- tigisse debuerat, ut eloquentia tua populo probaretur, verba ipsa nedum ea aetate trita et passim vulgo usitata in buccam accepisse crediderim; sed, si quo rei vocabulo periti novam li- matioremque adduxerant consuetudinem, eo ipso loco rudem se se ostendisse, et qualia sunt apud Ennium « Vulturis in sil- vis miserum mandebat homonem (?) », verba frequentasse. De Gurione autem , Gracchorum matre Gornelia , et Gaio Gaesare qualia dicat qui audiverit, ut armis depositis se victum fateatur Decesse erit. JErant, inquit Gicero, quibus videretur illius aetatis tertius Curio, quia splendidiorihus fortasse verbis utebatur, et quia latine non pessime loquebatur, usu credo aliquo domestico, nam litterarum admodum nihil scie- bat (1). Litterarum nihil scivisse et latine non pessime iocutum Gurionem fuisse, usu aliquo factum domestico credidit Gicero. Si tanlam itaquevim domesticus habebat usus, ut sine doctrina, sine litteris non pessime latine loquentcm splendidioribus uti verbis, et tertium urbis oratorem faceret Gurionem, non latinus esse non potuit sermo ille domesticus. Ne vero suspicari liceat

(1) CiCER., Brutus., LVIII, 210.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIOISE ROMINA 153

fuisse curiosos in Gnrionis domo, qui carentem litteris infantem latinitate a litteratura profecta tanquam picam imbuissent, quod de Barthoìomeo tonsoris filio cive fiorentino factum videmus, qui licet quintum aetatis a unum vix emersus dicatur submi- nistratas ab eruditissimo fratre Ambrosio nostro luciilentas ora- tiones summo pontifici memoriter cum omnium admiratione pro- nunciare, de eodem inferiore loco scribit Cicero: etsipupilìus relictus est, patrio fuisse institiitiim puro sermone assue- factimi domi (1). Cum enim assuefactum domi patrio fuisse institutum sermone eam de qua dixi suspicionem facere vi- deretur, puro addidit; quem scilicet nullum admisisset b'ttera- tnrae condimentum. Urgebunt idem qui contra sentiunt: si pa- trius sermo sine litteris Curioni oratoriam conferre potuit , om- nes pariter cetarios laniosque et totam terentiani Gnatonis sa- lutatorum turbam ni claros oratores evadere debuisse. Hanc etiam obiectionem confutabit Cicero, apud quera superiore loco de ipso Curione tractantem sic est: sed magni interest quos quisque audiat quotidie domi, quihusciim loquatur a puero qiiemadmodum patres, pedagogi, matres etiam loquantur: legimus epistolas Corneìiae matris Graccliorum^ apparet filios non tam in gremio educatos, quam in sermone ma- tris: auditus est nobis Leliae saepe sermo: ergo ilìam pa- tris elegantia tinctam vidimus, et filias eius Mutias amhas, quarum sermo milii fuit notus^ et neptes Licinias (2). Magni interesse audivisti, quos quisque domi audiat quibuscum loquatur ; opinor non negabis, in vulgari aetatis nostrae loquendi genere, cuius gloriam inter Italicos apud Florentinos esse con- cesserim, multo facundiores esse qui honesto nati loco ab ur- banis educati parentibus et civilibus enutriti sint officiis, quam ceteram ignavae aut rusticanae rauliitudinis turbam. Cumque eisdem verbis sermonem utrique confìciant, suaviloquentia unum piacere multitudini, incondito garritu alterum displicere; pari modo apud Romanos, etsi latinis omnes verbis, quibus uni ulebantur et reliqui, quos tamen parentes, educatio, consuetudo bona et morura

(1) CiCER., ibid., LIX, 213.

(2) CiCER., ibid., LVIII, 210 e 211.

154 G. MIGNINI

gravitas vita praestantiores reddiderunt, quamquam litteris care- rent , oratione etiam praestantiores ac potentiores erant , tan- tamque vim habuit domi bene institiita cum vivendi tum etiam loquendi norma, ut mulieres Gorneliam, Leliam, Mutias, Lici- niasque facundiae laudibus illustra verit. Restat ut G. Gaesaris testimonio innixus Gicero latinitatem romanis omnibus eam sine litteris fuisse ostendat, quam doctrinis partam pauci non igno- rare vix possumus. Idque facere cum perget, simul cetarii la- niique quamobrem paribus ignoratione litterarum dispares elo- quentia invenirentur, docebit. Gum enim illum omnium fere o- ratorum latine elocutum elegantissime dixisset, paulo post addi- dìt: aetatis illius ista fuit laus, tanquani innocentiae^ sic latine loquendi: (1) et item infra: Caesar autem rationem adhibens consuetudinem vitiosam et corrupfam pura et in- corrupta consuetudine emendai. Ita ad Jianc elegantiam verhorum latinorum, quae etiamsi orator non sis et sis ingenuus romanus, tanien necessaria est, adiungit illa oratoria ornamenta dicendi (2). Si haec sola, Leonarde, verba disceptationis nostrae principio allegassem, sufficere potuit Gi- ceronis in Gaesare testimonium, aetatis illius felicitate quod mihi saepe et variis dicendum fuit modis, latine omnes fuisse locutos, facundos autem ab infantibus partim consuetudinem bonam, partim discrevisse doctrinam. Hic tamen de integro su- boriri quaestionem video. Si enim quod dixi etiam stabit, omnes pariter latinis verbis usos mulieres et viros, servos et liberos, doctos et litterarum ignaros, cum diversam prò vitae et morum qualitate dicendi facultatem plurimis fuisse concesserim; eos qui domestica consuetudine et studiorum flagrantia elegantissi- mae orationis praestintiam, quod de Gaesare supra est dictiim, consecuti fuerint, maioribus quam quae possent a multitudine intelligi verbis uti debuisse. Hinc eo recidat controversia opor- tebit; ut, licet abiectum hoc nostrum vulgare nulla illis ex parte cognitum, sed ceteris cum sordibus reservatum nobis fuisse concedatur dissoluto et pervagato, quod vulgare illis erat,

(1) CiCER., Brutus, LXXIV, 258.

(2) Ibid., CXXV, 261.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROM A ISA 155

locutionis modo pronuntiasse dicamus oratores. Suspensum te

videor videre, cum ad hunc veneris locum, de mea monim ur-

banitate iiidicium ferre meditantem; quasi vero si attenuato

etiam dicendi genere oratores prohibitos fuisse contendane , qui

falso obiecta vulgaritatis nostrae macula illos purgaverira, su-

brusticus pertinaxque censeri possim; dum omnia quaecunque

tueri intenderim mihi ab aliis tribui, ipse nulla ex parte illis

cedere velim. Verum enim vero nihil a me longius abest, quam

rixosa, et contentiosa rusticitas; quinimmo sola in re una per-

vicax contentiosusque videri et esse velim, ut si plurimos ha-

beo pares, nulli me facilitate inferiorem esse contendam. De re

itaque felici auspicio transigemus; omnibusque utrinque vel re-

secatis quae superfluunt vel quae desunt adiectis, medium quem-

dam certumque eliciemus in orando servatum a priscis orato-

ribus dicendi modum; quem praeter multa superius dieta in

idipsum duceniia rationibusque coniecturisque sese aliter habere

nullatenus potuisse docebo. Gonstet vero primum internos; ne-

cessarium est, sive grandibus, sive abiectis, sive dissipatis, sive

coercitis ratione verbis oratum fuerit; verba orationum dum

pronuntiarentur fuisse latina: qualia nunc dicimus litterata. In-

fimae autem vulgatissimaeque loculionis more oratores ad po-

pulum verba fecisse ut credam, facere posset qui ostenderet,

ignaram litterarum multitudinem urbanioris eruditiorisque stili

verba intelligere satis nequivisse: eaque oratores necessitate ad-

ductos, ornatiore verborum compositione omissa, minima quae-

que ac vilissima fuisse dicendo amplexatos. Futurum vero qui

huiusmodi necessitatem probare possit non magis timeo, quam

elegantissimis lectissimis ornatissimisque verbis semper oratum

fuisse coniìdam demonstrare. Qualis igitur fuerit medius ille o-

randi modus, quem prò icti transactionis nostrae federis condi-

tionibus elicere sum pollicitus, cum audiveris, adversarios in-

troducendae vilitatis , et sue pariter elegantissimi splendoris

verborum asserendi necessitate liberatosi ntelliges. Oblata est mihi

hoc loco facultas amplificationis maximae, si aut ingeniolum

ostentandi aut opus producendi libido animum incessisseL

Quam enim late pateat de figuris orationis campus, quamque

multa de gravi, de mediocri, de attenuata possint dici, non

156 G. MIGNINI

ignoras, quae ideo ad rem ipsam qua de agitiir plurimum vi- derentur facere; quia, ubi supremi oratoriae facultatis praece- ptores tria ipsa dicendi genera et quidem inter se non parum differenza ab intimis rhetoricae artis visceribus profecta asse- ruerint, ineptum me censeri iterum non dubito, si in unum idemque illa confundere perrexero; sed memineris velim ver- borum non characterem, locutionis non compositionis, corticis non medullae artis, disputationem a me institutam esse. Quan- tumvis enim longe disteni ac inter sese differant orationum nervi, succusque, quantumvis sententiarum gravitate exornatio- nibusque dispares sint, quantumvis ad suasionem efficacioribus sublilioribusque locis una magis refarciatur oratio quam altera, iisdem tamen prope verbis una quaeque dicatur oportet; vel, si aliqua gravis recipiat, quae attenuatam vel mediocrem non deceant figuram, non tamen erunt talia, quae ignorantes qua ratione in ea potius quam in aliis ponantur orationibus, quid signitìcent, quid importent, intelh'gere non possint. Tenes, ut opinor, ex supradictis oratores nulla per auditorum imperitiam necessitate prohibitos fuisse, quo minus vel grandes et ornati essent vel medium dicendo aut infìmum genus orationis secta- rentur. Sicque promissum a me orandi modum habes, a priscis servatum : talia scilicet eos verba orando habuisse, qualia per ingenii doctrinae et artis facultatem suppetebant, et pari ab in- docta multitudine intelligentia unumquemque illorum exaudilum fuisse. Ut autem minima, sed forsan minus quam prima fronte videbitur, praemota similitudine id suadere incipiam, quid ipse aliquando consideraverim attende. Magnam in Curia Romani Pontificis servientium nobis turbam, Gallos, Ambros, Teutonos, Alamannos, Anglicos, Britannos, Pannoniosque, et diversam pe- nitus ab Italica lingua habentes alios semper esse videmus; qui, etsi litteras sciunt adeo tamen rudes et artis grammaiicae aliarumque scientiarum aliquando ignari sunt, ut licet prima attigcrint rudimenta et quamdam ex consuetudine sibi compa- raverint latini sermonis litterati praticam {sic\ illilterati et pe- nitus idiotae dici possunt. Hos, si latine quidquam feceris di- cere, unde barbarismus solecismusque nomina habuerint nihil est ampliiis quod requiras; nani dicendo dissolutos pervagantes- que illos cernere est, sed nulla primis secunda, aut postremis

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTlOJSE ROM^N/t 157

media quae dixerunt cohaerent : et tamen orationes sermonesque qui a doctissimis litterati fiunt, quid sibi velini, quas ob res dicantur, intelligunt. Nostros vero, qui nec syllabas iungere, nec prima noverunt dementa, saepenumero vidi, cum litte- ratis interfuissent doctorum hominum sermonibus , sensum excepisse; cumque ab illis sciscitarer quo id evenisset modo, mihi respondisse, vicinitatem similitudinemque vulgari et la- tino sermoni permaximam sibi videri, quam audientes fa- cilius sentire quam dicendo referre possent. Qua vel maxima adducor coniectura, ducentis supra millesimum annis post con- ditam urbem, priusquam ulla barbaries quae diu residisset vel populo romano par vel numero et potentia superior urbem ac- coluisset, quaecunque dicerentiir litterata latinitate poemata ora- tionesque omnes pariter intellexisse. Hinc tanta penes quoscun- que indoctos aeque ac doctos, non poetarum oratorumque so- lummodo, sed Roscii ceterorumque cum ilio vicinitatem haben- tium gratia , hinc maximi honores , hinc maxima utrisque praemia a Populo Romano exhiberi solita proficiscebantur. Si enim, quod aetate nostra in melioris stili orationibus contingere videmus, quodque a romanis factitatum fuisse quibusdam videri supra memoravi, quae poetae dixerant continue Roscium vul- gatiori lingua recitare oportuisset, quidquid leporis quidquid suavitatis quidquid enargiae (sic) poemati inerat, translatione ipsa corruptum evanuisset, et tanquam in minus sincerum vas traductum acescere cepisset. Quamquam quid ipse in hoc exi- stimem frustra dici video; cum Cicero ipse non minus rem istam mecum asseveret, quam si nostro huic sermoni vivus interve- niens mihi patrocinium afferre voluisset. Verba ipsius ex ora- toris libro attente velim audias: ni versu theatra tota excla- mant, si fuit una syllaba aut hrevior aut longior; 7iec vero multitudo pedes novità nec ullos numeros tenet, nec illnd quod offenda aut cur aut in quo offendat intelligit; et tamen omnium hrevitatem et longitudinem in sonis, sicut acutarum graviumque vocum iudichim ipsa natura in auribus nostris collocavit (1). Et paulo inferius: sed in versibus res est apertior; quamquam etiam a modis qui-

(I) CiCER., Orator. LI, 173.

158 G. MIGNINI

husdam cantu remota soluta esse videatur oratio: maxi- meque id in optimo quoque eorum poetarum qui lyrici a Graecis nominatur, apparet; quos cum cantu spolìaveris, nuda poene remanet oratio (1). Audisti, naturam ipsam in illorum auribus acutarura graviumque vocum collocasse iudi- cium, nostris enim quod dixit, non suis summorumque viro- rum sed multitudinis romanae intelligi voluisse, id declarat quod supra dixerat, multitudinem pedes non novisse; pedes ergo mul- titudinem ignorasse et nullos tenuisse numeros quae ad bre- vioris aut longioris syllabae dissonantiam exclamaret, eo tendit, ut sine vulgaritatis cuiuspiam suspicione latijjitatem puram om- nibus, paucis doctam credi liceat fuisse. Huc etiam accedunt de urbanitatis sono quae a Cicerone dicuntur in Bruto, recinere in romanis oratoribus nescio quid urbanius, quo externi ca- ruerint oratores, sonum scilicet et tanquam verborum orationisque accentum, qui nedum in scriptis sentiebatur orationibus, quas illi reliquerant oratores, de quibus Cicero iudicium tunc fere- bat; sed vix quid qualeque fuerit intelligi potest. De Gaii et Lucii fratribus Caepatii fìliis, quae idem habet Brutus, ad rem similiter videntur facere, quos oppidano quodam incondito ge- nere dicendi usos, non ex scriptis orationibus sed ex vocis pro- nuntiationisque sono parum laudatos videtur Cicero pertransire. Magna meo iudicio argumenta, latinitatem litteratam de qua totiens dixi unicum fuisse idioma romanae multitudini, quae et syllabarum brevitatem longitudinemque in versu sentiret ac urbanitatis sonum, saporemque vernaculum et oppidanum genus dicendi internoscere posset. Id enim in nostra litterarum ignara multitudine utrum contingat nosti; quae nedum gravis aut acu- tae vocis in Carmine heroico sive lyrico iudicium habet, sed carmina quid sint penitus ignorat; et urbanitatem a rustlcitate solo vestitus lautiorisque mensae discernit apparatu. Stationi- bus, ut video, erumpet, impetumque faciet quispiam et cornuta urgebit quaestione, verborum ne desinentias et tempora ac mo- dos nominumque inllexionem et numeros servasse, an penitus confudisse multitudinem credam, qui latinitate illam perpetua usam esse contenderim. Si vero affirmans respondebo, id penitus

(1) CiCER., Brutus, LV, 183.

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE FOMJN^ 159

impossibile clamabit fuisse: cum artis grammaticae regiilis ista confici oporteat, a qua multitudinem ipsam accuratissime rele- gavi; sin negabo, qualis illa fuerit latinitas interrogabit. Cui velim una satisfaciat responsio: nec didicisse, nec naturae ac bonae consuetudinis munere regulas indoctam multitudinem scivisse, quibus grammaticam orationem omni ex parte con- gruam faceret, ncque etiam tam longe a variationibus inclina- tionibusque et reliqua grammaticae orationis compositione illius latinitatem abfuisse, quin litterata, qualem mediocriter aetate nostra docti habent, oratio et videretur et esset. Sed, quia scri- ptis priscorum testimoniis ostendere longum esset viventium vocibus probare est animus. Si Pelignos, si Brutios, si Marsos, Aequicolas, Gampanos, Sabinos, et vicinas urbi gentes alias, quae loca inhabitant montana adiverit Mediolani, Brixiae aut in reliquis Galliae Gisalpinae urbibus civiliter enutritus et appri- me doctus, loquentes rusticos mulieresque audiens communis romanorum loquela qualis olim fuerit scire nunquam desidera- bit. Plurima illic quae longo studio et assidua librorum revo- lutione vix discere potuerit; scalpra Inter et sarculos et asello bobusque adhortandis deterrendisque frequenter latina sentiet verba; quamquam urbs Roma, quae pristino virtutis splendore exhausta paucas reliquis in rebus sui ipsius reliquias habet integras, non minimam huiusce rei hucusque servat indicium. Viros tamen ibi a cursu loquendi pristino quam mulieres ma- gis deflexisse ideo crediderim, quia minorem ipsae cum exter- nis rarioremque sermonis consuetudinem habent. Eas saepenu- mero adverti, mutua salute obvianti data redditaque bonam valetudinem ceterasque domus conditiones verbis magna ex parte litteratis vicissim interroga ntes, maiorem ut existimo quam qui a nostrorum paucis servari possit, urbanitatis et gentis ro- manae vernaculi saporis proprietatem elegantiamque adhibere. Quae res Poggium Andreamque ut dicere soliti sunt, primo im- pulit ut nostrae buie de latinitate multitudinis opinioni obsti- nate inhaeserint. Tempom vero modos numerosque et casus ab arte illas nequaquam nosse non dubito; quas tamen alicubi er- rantes multa recte et ordine video proferre; quamquam omnibus ubique apud Italos corruptissima etiam vulgaritate loquentibus idiomatis natura insitum videmus, ut nemo tam rusticus, nemo

160 G. MIGNINI

tam rudis, tamque ingenio hebes sit, qui modo loqui possit, quin aliqua ex parte tempora casus modosque et numeros no- verit dicendo variare, prout narrandae rei tempus ratioque vi- debuntur postulare. Gontra itera, ut video, superiore loco tra- ctata obiectio adduci poterit. Si litterarum ignorantia, quod qui- dem ex superioribus argui licet, nihil prohibebat quo minus omnes indocti aeque ac docti, vel ipsi orarent, vel orantes in- telligerent doctrinam minime necessariam fuisse, et eadem illa quae contra lanios cetariosque adduxi resumentes, assuefactio- nem domesticam, quod Gurioni evenit, praestantem formare oratorem potuisse contendent. Hos Gicero ipse in Bruto faci- liter confutabit; cuius haec sunt verba: Quid dicam opus esse doctrina, sine qua si quid bene dicitur adiuvante natura, tamen id quia fortuna fit, scraper paratura esse non potest. Et infra, cura de Antonio et Grasso diceret: orania veniebant Antonio in raentem, eaque suo quaeque loco, ubi pluriraura proficere aut valere possent, ut ab iraperatore equites pedites levis arraatura, sic ab ilio in raaxirae opportunis orationis partibus collocaban- tur. Fortuito dixit tìeri, quod sine doctrina bene diceretur, adiu- vante natura : et ideo scraper paratura esse non posse. Ea vero quae dicerentur ex arte, tanquara instructara ordine aciera suo quaeque loco ubi pluriraura proficere aut valere possent collo- cari. Quare buie etiara parti satis supraque factura velim. Suc- cisis, ut vidisti, plurirais quaestionura capitibus, aliud video ab hac nostra non lernaea sed roraana hydra caput pullulasse. Prisci ne oratores, quos latine facio orasse, iisdera quibus ora- tiones suae sunt scriptae verbis, illa dixerint. Satara habet ea questio venara, et unde rivuli doctrina pieni deduci possint: nisi libello, quera prò rei parvitate satis crevisse video, dandus est modus. Illud taraen constare certura est, paucas adraodnra ora- tiones ut scriptae sunt a Gicerone habitas, praeter illas quae scripto fuerunt dictae; cura Pedianus, ipsura nonnullas aliter pronunciasse quara ediderit scriptas notariorura testiraonio, qui illarura singula exceperunt verba, expresse affirmet; et ipse Gicero, cura aliis in locis, tura raaxirae ad Trebatiura scribens, orationcs dudura habitas, quia satis liraatac non essent, non- dum addidisse dicat. Extreraam raihi restare video responsio-

LA EPISTOLA DI FLAVIO BIONDO DE LOCUTIONE ROMINA 161

nem: qua ratione quibus temporibus causisque factum credam, ut vulgaritatem hanc nostram cum universae multitudinis lati- nitate, quam estendere conatus sum apud priscos fuisse, per- mutaverimus. Id vero, licet iucundam prò rerum vetustarum cognitione narrationem habere videatur posse, brevi expediam, et causas originemque huiusmodi iacturae quam fecimus stri- ctim attingam. Cum de Gaesare dixisset Cicero, quod supra retuli; aetatis illius ista fuit laus, tanquam innocentiae sic latine loquendi, statim addidit: nec omnium tameu, nam illorura aequales Pacuvium et Gaecilium videmus male locutos. Sed omnes tum fere, qui nec extra urbem hanc vixerant, ncque eos aliqua barbaries domestica infuscaverat , recte loquebantur. Temporibus vides quae Giceronis aetatem praecesserant illos qui aut extra Romam vixerant, aut Romae domesticam habuerant barbariem, a nitore locutionis romanae aliqualiter recessisse, et barbarie illa infuscatos fuisse: postea vero quam urbs a Gotis et Vandalis capta inhabitarique cepta est, non unus iam aut duo infuscati sed omnes sermone barbaro inquinati ac penìtus sordidati fuerunt; sensimque factum est, ut prò romana latini- tate adulterinam hanc barbarica mixtam loquelam habeamus vulgarem. Multas, ut principio sum pollicitus, utriusqne partis argumentationes, et illorum qui vulgarem nostrae similem ro- manis locutionem fuisse crederent et eorum qui latinitatem lit- terariam illi aetati mecum tribuerent, prò voluminis magnitu- dine videor attulisse. Et, licet propositarum prò subiecta mate- ria quaestionum partes ipse meas defensaverim, licet transactione illa redire tecum in gratiam voluerim, licet facillimam res ipsa determinationem prae se videatur ferre; tibi tamen, vel si per occupationes excusabis, doctissimo, quam deligere malueris sen- tentiam et quaestionis solutionem relinquo. Quam si et meis adversabitur assertionibus illasque resupinas evertet in eam ac- cipere partem decrevi, ut unico romani eloquii ad gloriam adiu- mento innixus, quos habet frequentes aetas nostra viris, quibus illud primo diceretur intelligereturque verbis, aut me docuisse, aut a peritiori ut doceretur curasse laetari debeam.

Voi. Ili, Parte I. H

TRIONFO DELLE LODI

DI

FEDERICO DA MONTEFELTRO

DUCA D'URBINO

I.

Il codice che contiene questo poemetto già fece parte della celebre biblioteca d' Urbino, ed è ora il n.° 740 del fondo Vaticano -Urbinate (1). È un volumetto (18 X 20) di diciassette fogli di pergamena, dei quali gli ultimi quin- dici solamente numerati al recto, colla copertina di car- tone verdemare, il colore preferito del duca Federico. La prima delle pagine numerate è adorna di un fregio a fiorellini verdi e rosa coi pistilli e gli stami dorati, che, in fondo, si raggruppano intorno ad una ghirlanda, nella quale è lo scudo colla solita divisa a strisce d'azzurro e d'oro, e, in alto, intorno ad un ovale, parimente do- rato, nel quale è l'immagine equestre del duca, minia- tura di mirabile lavoro, che, quantunque macchiata e cor-

(1) ^^W Inventario della biblioteca Urbinate compilato nel secolo XV da F. Veterano bibliotecario di Federico da Montefeltro, pubblicato da Cesare Guasti nel Giornale storico degli archivi toscani, VI, 127 e VII, 4G, 141, non c'è memoria di questo codicctto; anche .1. Den- NISTOUN, Memoirs of the dukes of Urbino, London 1851, pag. XX VII, non ne fa [carola.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 163

rosa, lascia pur tuttavia chiaramente scorgere, sulla gual- drappa del cavallo, lo stemma dei Montefeltro, inquartato dalle fiamme e dalle lettere F E, ripetute nei riquadri verdi del fregio. Sotto alla miniatura è il titolo del poe- metto, in maiuscole rosse: Triumphus De Inclitis Laudibus Magnanimi Ac Divi Principis Federici Urbini montis Feretri que Comitis, seguito dai primi sei versi, senza indicazione di capitolo ; le altre pa- gine tutte contengono esattamente otto terzine, scritte in carattere italico abbastanza regolare, ad eccezione di quelle, che contengono la fine ed il principio di ciascun capitolo, e dell'ultima {ì^v) che ne contiene solamente sedici versi, ai piedi della quale si legge la firma del- l' autore : E (xcellentissimae). D (ominationis). V (estrae). Devotissimus Servitor Alexander De Florentia.

Il medesimo nome si ritrova sul secondo dei fogli non numerati, al verso, sotto alla sigla Jesus contornata dalle parole: Divus Federicus Triumphator Max. Illmus Princeps Fredericus Urbini Dux invictus septies hostem profligavit Cuius imago in fronte Huius Libelli cernitur, di carattere semigotico, ma di mano diversa, e certamente di quella stessa mano che ha corretti alcuni errori d' ortografia e di copia dell' a- manuense, miglior calligrafo che letterato. Nessun indizio più esatto si ha intorno all'autore del poemetto, se non che se ne può dedurre che egli scrisse dopo il 1458, perché nomina fra i morti il re Alfonso d' Aragona che in quell'anno morì (1), e quando il duca Federico an- cora viveva (2); tuttavia Mauro Coster, lo scrittore della

(1) Ai 27 di giugno. V. Trésor de Chronologie par M/ le C DE Mas Latrie. Paris, 1889, col. 1712.

(2) Appare evidente dai vv. 139-147 del cap. II, e 118-123 del cap. IV.

164 G. ZANNONI

Vaticana che ordinò e compilò il catalogo dei manoscritti urbinati (1), ha creduto poterlo precisare, attribuendolo a queir Alessandro Braccesi, notaro fiorentino avo di Agnolo Firenzuola, che fu più volte commissario della Repubblica di Firenze a Roma, ove mori nel 1503, e del quale ci restano non poche poesie latine ed italiane (2). Di questi canti una elegante copia è nel vat.-urb. 741 (3), e, probabilmente, tale vicinanza deve aver provocata ai diligente Coster una deduzione, che io ritengo assoluta- mente errata.

Circa il 1487, il Braccesi, raccogliendo in un volume le sue opere per dedicarle a Guidobaldo di Montefeltro, esprimeva il desiderio si noti bene che da lungo tempo aveva, di cantare la gloriosa casa d'Urbino, e le glorie del padre di lui (4):

(1) Cito dal catalogo ms. in-folio della Vaticana, sull'ultima pagina del quale si legge: Compilavit Maurus Coster Vaticanae latinae lin- guae scriptor, anno Domini MDCCIIIC.

(2) Intorno al Braccesi cfr. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini; Ferrara 1722, p. 16 (s. v. Bracci A.), Mazzucchelli , Scrittori d' I- talia, voi. II, parte L% p. 1943 sgg. (e. s.), le fonti citate da costoro e la Vita del Firenzuola nelle Veglie Piacevoli del Manni, Firenze 1715, voi. I, p. 66-69. Più copiose notizie di lui si troveranno in un mio pros- simo studio, nel quale darò notizia di un codicetto, che già appartenne alla biblioteca dei conti di Carpegna, contenente gran parte delle rime del cod. laur. gadd. XLI, e inoltre duecento sonetti burleschi e bur- chielleschi.

(3) Alexandri Braccii Fiorentini Amorum libellus ad illustrissi- mum prin. Guidonem Feltrium Urbini Ducem {et liber Epistolarum ad amicos). Codex pergam., in 4.° (20X13), ce. 76.

(4) Cfr. cod. laur.-gadd. XLI, 1 r-v; cod. vat.-urb. 741, e. 1 r-v: vv. 11-19. Che quest'ode debba riferirsi all'anno 1487 appare chiara- mente dal v. 4, ove si attribuiscono soli quindici anni a Guidobaldo, nato nel gennaio del 1472. Vedi Bandini, Cat. Codd. lat, Bibl. Laur.^ Ili, 774 e segg.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 165

Sed quamquam laudesque tuas magnique parentis Ipse ego sum cupidus memorandaque dicere facta, Deficiunt vires ad tantae pondera molis: Nam pater et natus victura voi u mina poscunt, Dignus uterque sacri facundo pectore vatis. Quare, a gè, parva mei monumenta et pignora amoris Accipe: prae cunctis ego te quo prosequor unum. Perlege luminibus placidis quae carmina quondam Lusimus inculto calamo iuvenilibus annis

Come credere che il Braccesì , anch' egli uno dei poeti cortigiani e cortigianeschi delF ultimo quattrocento, raccogliendo i suoi carmi giovanili per offrirli a Guido - baldo, esprimesse in tal modo siffatto desiderio, o non ricordasse al figlio un' opera tutta dedicata a cantare le lodi del padre, se davvero ne fosse stato l'autore? Come argomento estrinseco, questo a me pare sufficiente ; però altri e non meno convincenti si possono trarre dalla let- tura attenta del Trionfo, che, per la forma, lo stile e la maniera, non rassomiglia per nulla alle opere del Brac- cesi. Fatta al calligrafo la debita parte degli errori di ortografia, restano nulladimeno parecchi versi zoppi e rime dissonanti o false che vanno attribuite all'autore; ed in questo difetto, invece, non cade mai il notaio fio- rentino, il quale, anzi, si mostra abile versificatore. Inol- tre, per il carattere generale, il Trionfo che, insieme a reminiscenze apocalittiche, rispecchia una diretta imita- zione dantesca e petrarchesca doppia influenza comune a tutti i componimenti di tal genere (1), e che i lettori rileveranno di leggieri è pieno di misticismo, di im-

(1) Cfr. Rime di M. Domenico da Montichiello per cura di Guido Mazzoni, Roma 1887, pag. 27; ed Un trionfo d' amore del secolo XY di F. Flamini in Propugnatore, N. S., voi. U, parte 2.*, pag. 139-UO.

166 G. ZANNONI

magini filosofiche, di concetti cosi astrusi, e di costruzioni cosi involute, che non possono lasciar verun dubbio a chi abbia cognizione della poesia braccesiana. si può giustificare tale differenza colla possibilità di un cambia- mento di stile, giacché, come sopra ho accennato, dal poemetto medesimo si rileva che l' autore lo compose certamente dopo il 1458 e mentre Federico di Monte- feltro era ancora in vita. Se si tiene conto che V au- tore è fiorentino, si può asserire, colla speranza di co- glier nel segno, che deve averlo composto tra il 1467 ed il 1473, negli anni, cioè, in cui più risplendette f astro del duca d'Urbino, alleato della repubblica di Firenze; e, quando poi si uniscano i fatti e si ricordi che i poeti fiorentini gli hanno intuonato inni d' ammirazione entu- siastica dopo la presa di Volterra (1), non parrà di sover- chio ardita l'ipotesi che egli lo abbia composto dal 1472 al 1473. A questi anni appunto risale la più rigogliosa fioritura poetica del Braccesi: i fatti celebrati nei suoi canti sono avvenuti intorno a questo tempo; basti ricor- dare che anch' egli cantò la morte della Albiera Albizi, che segui il 14 luglio 1473 (2). Dunque cambiamento di stile, no.

(1) Specialmente Naldo Naldi, del quale un lungo poema latino su questo argomento é nel cod. vat.-urb. 373, insieme al poema Felina del PoRCELio. Cfr . Dennistoun, op. cit., pag. XXVII, e // Sacco di Volterra nel MCDLXXII : poesie storiche contemporanee e commentario inedito di Biagio Lisci volterrano tratto dal cod, vat.-urb. 1202 a cura di Lodovico Frati; Bologna, 1886, di pp. XLIV-160 (nella Scelta di curios. letter.j disp. CCXIV).

(2) Cfr. specialmente Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano raccolte e illustrate da Isidoro Del Lungo; Firenze, 1867, pag. 445 e segg., 238 e segg. Me- morie mss. intorno a questa infelice giovinetta sono anche nel cod. cor- siniano 582.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 167

Di più, già allora il Braccesi, conforme l'uso invalso fra' letterati, aveva data forma latina al proprio cognome, riducendolo a Braccius ed a Braccio (1), che dovette sembrargli più poetico; e questo nome, cosi modificato, apponeva a tutti i codici che contengono le sue rime ed i suoi carmi, alla sua disgraziata parafrasi della Storia di due amanti (2) , ed alla traduzione delle storie di Appiano Alessandrino (3). Giammai, invece, ha usato di questa firma Alexander de Florentia, nemmeno nelle sue lettere confidenziali (4), firma che poteva bastare soltanto a chi fosse stato già celebre e non era il caso del Nostro o a chi non avesse avuto altro co- gnome.

(1) Ne è derivato per diretta conseguenza che gli storici ora io chia- mano Bracci o Braccio, ora Braccesi o Braccese, promiscuamente. Ultimo venuto, poi, il signor G. B. Ben\^nuti ha creduto che il notaro e il poeta fossero due persone distinte : Cfr. Quadri storici Fiorentini, Firenze 1889, pagg. 97 e 102.

(2) Cfr. la prefazione [di E. Camerini] alla Storia di Due Amanti di Enea Silvio Piccolomini di poi Pio li pontefice; Milano, G. Daelli e C. , 1864; e due miei recenti studi: Per la Storia di due amanti di Enea Silvio Piccolomini nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, voi. VI, fase. 4, 1890; e Per la storia di una storia d' amore nella Cultura, anno IX, voi. XI, n.° 3-4.

(3) La prima edizione di quest' opera che , nonostante i suoi difetti (principale fra gU altri tutti, di essere stata fatta, non sul testo greco, bensì sulla traduzione latina di Pier Candido Decembrio) è meritevole di considerazione, usci in Roma per i tipi di Eucario Silber alias Frank nel 1502, in-folio. Cfr. specialmente il Mazzuchelli, loc. cit. , ed il Gamba, Serie dei Testi di lingua, Venezia, 1839, pag. 325.

(4) Molte lettere, latine ed italiane, ci rimangono del Braccesi, per la massima parte nelle filze del Carteggio mediceo avanti il principato, neir Archivio di Stato a Firenze. La sola filza XIX ne contiene oltre cin- quecento, scritte negli anni 1491-1494 da Siena, ove fu commissario di Piero de'xMedici, le quali furono oggetto di lungo studio al compianto Luciano Banchi, cui la morte ha impedito di condurre a termine un la- voro che sarebbe riuscito importantissimo per la storia senese.

168 G. ZANNONI

Per quante ricerche io abbia fatte, e nelle opere degli storici di Urbino e nei codici urbinati della Vati- cana, nemmeno una sola volta mi sono imbattuto in que- sto nome; tanto che, per la stessa considerazione, so- spetto che il poeta del Trionfo non debba possa es- sere identificato con alcuno dei vari Alessandri poeti fio- rentini, dei quali ci è rimasto il nome; bensì dubito piutto- sto che egli fosse un poeta cortigiano d' occasione , uno fra i tanti canterini di quel secolo, dei quali ancora , pur troppo, ben poco noti ci sono i costumi, le opere e gli stessi nomi. E sembra avvalorare questa ipotesi, qualun- que essa sia, il fatto che questo Trionfo di Federico è una visione, genere letterario che piacque a quei poeti, a giudicarne almeno dagli esempi notevolissimi che eglino, e specialmente Niccolò cieco d'Arezzo, il migliore fra tutti, ce ne hanno lasciato (1).

Il poemetto è in terzine, consta di 688 versi divisi in quattro capitoli, dei quali il primo ne comprende 145, il secondo 178, il terzo 199, il quarto 166; e l'azione dura precisamente lo spazio di una notte. Mentre il Pe- trarca sogna sulle prime ore del mattino (2) , le ore più sacre al pianto, secondo lui (3), il Nostro comincia la sua visione sull'ora del tramonto, quando [cap. I]:

Era del cielo il fìameggiante calle Già tutto oscuro, e verso l' orizonte El carro d' oro ad nui volgea le spalle ;

(1) Anche i w. 73-74, cap. Ili, intesi largamente, potrebbero avvalorare tale congettura. Intorno, poi, a questi poeti nomadi e cortigiani si vegga D' Ancona, 1 canterini dell' antico comune di Perugia, e le fonti da lui citate, in Varietà Storiche e Letterarie, 1.* serie, Milano 1883, pagg. 39-73.

(2) Cfr. Trionfo d' amore^ cap. I, vv. 4-6.

(3) Cfr. son. XX e CXCVII in Vita di M. L.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d'uRBINO 169

Appello biondo coli' ornata fronte

Già si bagniava ad mezo l'onde chiare 5

Sue crine bianche nel liquido fonte. Quindi vedeansi i cerchi fiameggiare

Dell' emisperio nostro, a poco a poco,

La luce delle stelle ad dimostrare.

e la termina all'alba seguente, mentre [cap. IV]:

Quella eh' al venator, chi amando venne

Nella campestra fra le verde prata,

Gagion del caso amaro altri sostenne, Già si appressava frigida e gellata,

L'aura Venus cum vista serena 5

Con chiaro viso sumpta e adornata.

Anch' egli, però, come il Petrarca, è accompagnato nel suo cammino da un' ombra che gli accenna gì' illustri che passano, anch' egli assiste al trionfo della Fama ; anch' egli si desta, come l'Alighieri, improvvisamente [cap. IV]:

et io da 1' altro lato Mi parse de la terra un gran tremore Come racolto de 1' abisso fiato, Che mi fece per forza disvegliare 160

Cum gran paura;

La reminiscenza del greve tuono è manifesta; ma qual differenza fra l' arte dei due fiorentini !

IL

[capitolo PRIMOl

Sulle prime ore della notte, adunque, dice il poeta,

Vinto d' affanni e di clamor si fiocco, Che rugge ne la mente il van disio, Nel regno di Morfeo giunto in quel locho

17U G. ZANNONI

Mi ritrovai alhora, advengha eh' io Dormir e non dormir[e] leve sentore, mi parca nel concetto mio. 15

Cosi, fra il sonno e la veglia, gli pare

esser 'n un prato F erbe, di fiori, et de viole misto, 20

D' aque-corente fiume intorniato :

Nel mondo, credo, già mai non fu visto Un sito addorno quanto era quel tale. Si di beleze e con chiarito listo.

Bravi quivi un archo triomphale 25

Murato cinto di crestallo fino. Dove adscendeva su per l' alte scale.

Procedendo per questo cammino, il poeta è agitato da due contrari sentimenti : da terrore per trovarsi così solo, a quell'ora, in luogo sconosciuto, senza méta prefissa; e da vivo desiderio di vedere quafi cose maravigliose ivi si celassero. Mentre è in tal voglia mista,

Viddi uno spirto ad me che s' afrontava, Al mio camin venendo per sentieri. Che de parlarmi par che disiava, 45

Ed io a lui mi feci volentieri A la ricontra, cum gran riverentia. Come al signiore el subdito sergieri.

Teneva aspecto de summa eccellentia, E neir effìgie dava chiaramente 50

Homo formoso et vulto di presentia.

Il poeta, stupito, lo saluta cortesemente , e 1' ombra , ri- cambiato il saluto, gli rivolge la parola:

Hor, come in questo regno 55

Venisti qui, figliuolo, in queste parte?

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d'URBINO 171

Risposi a llui : Signìor, non per mi' arte Ho brama o voluntà che mi movesse: Non so disposition di Giove o Marte. 60

Ma ben ti priego dir, s' e! ti piacesse Della tua condition narrarmi alquanto, E qual lo stato tuo esser potesse.

La domanda non è indiscreta ed è, anzi, grata all' ombra, la quale gli risponde:

l'te '1 dirò, figliuol[o], s'aspeti tanto. Italia certo fu la patria mia,

Di Monte Feltro mie gente nomate,

L' anticha e alta mia genologia ; E molte cose degnie e rilevate 70

r feci al mondo, come credo sai,

Che son memoria eterna nominate. come anchora apresso intenderai,

Acciò eh' in te si rimembrando vegni.

Mia fama eterna non morrà già mai. 75

E' son qui, presso ad noi, homeni degni

In questo sito, et una gran regina.

Donna d' honor e d' honesti contegni. L'aria, la terra e '1 ciel a lei s'inchina;

Le sue belleze coli' ornate chiome : 80

Beato quel eh' a lei sol si destina! Hor qui tu laserai tute le some

D' ogni pensier, disio, d' ogni altra voglia,

E sol di seguir me, m' intendi come.

A queste fatidiche parole, nelle quali l'ombra si palesa come il genio della casa dei Montefeltro, il poeta non teme più e, sollevato di spirito, si affida risolutamente alla sua misteriosa guida:

Signiore, i' son qui stabilito Nelle tue man seguir tue sante horme Gom' è piaciuto al tuo ordine e rito.

172 G. ZANNONI

E' ssi voltò poi e disse : mie horme Hor segui doppo me i passi tuoi, 95

Che '1 tempo è breve e nostre voglie cor me.

Ambedue insieme si avviano, discorrendo fra loro di va- rie cose, come se già da lungo tempo fossero amici, fin- ché giungono in mezzo al prato, dove molte ombre erano raccolte:

Tant' era spessa quella plebe accolta, Che mai non vidi schiera tal di storni Gh' insieme andasse in aria, in tanta folta ; 105

e tutto intorno risuonava una soave angelica armonia ad allietare quella turba di giovani, vechi, done e damigelle.

Fra r altre, vidi una regina diva In su 'n un carro triomfal asumpta, Che d'ogni mortai pondo era già priva.

Pareva divina alma esser congiunta 115

Al suo bel viso con gli auri crini. Dal ciel discesa ad noi quagiii transu[t*]ta.

Menava il carro quatro pallafreni Albi ciaschuno, e si hornati electi, Gum sopraveste d* oro e zebelini; 120

Quatro lumere, poi, quatro anzoletti Da ogni parte del caro, in parte extrema, Vaghi ad veder cosi piacenti aspecti.

Quella regina diva, alta e suprema, Purpuree vesti induta, tanto grata 125

Teneva in fronte lustra diadema;

E nella destra man tenia serrata Lucente ispada, e, nell' altra di lei, Era una palla d' or fin lavorata.

Qui r ombra invita il poeta a fermarsi per contemplare la visione, e questi ne profìtta per domandarle chi sia la donna celestiale e chi siano coloro che le fanno scorta ;

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d'URBINO 173

Ed egli ad me: questue Tecterna fama;

Quel carro triomphale e quella iddea 140

Cosi se dice, qual cosi se chiama. Perhò, se dir potevi i' non sapea,

Raguarda, intendi bene intorno al choro,

E sol lo effeto tuo riforma e crea, Se 'ntender vuoi in parte e' nomi loro. 145

III.

[capitolo secondo]

Il poeta, meravigliato e rispettoso, contempla tutta quella turba magna:

Era ripiena tutta la campagnia

D' imperador[iJ, di re, duci e baroni ;

E gente assai, per cui il mondo lagnia, Di varie lingue e varie conditione, 10

Seguitavan costei per ogni lieto,

Di miir e mille e pili generatione,

quando la sua guida prende ad accennargli, chiamandoli per nome, gli spiriti più eccelsi del corteo trionfale. Gli accenna Cesare imperador invicto, Alessandro Magno, Scipione Africano, Pompeo, Terenzio Varrone, Paolo Emilio, Marcello, Antonio, Attilio Regolo, Bruto, Fabrizio

consule romano Che nel senato dete il gran consiglio,

Achille, Ettore, Paride, Aiace, Diomede', Teseo e molti altri personaggi storici e leggendari, coi quali anche i cavalieri della Tavola Rotonda,

Arctura, Lancilotto con Tristano; 30

174 G. ZANNONI

quindi gli dice:

Hor mostrarotti alquanti de' moderni, Posti nel cerchio e nel istuol di questo, 35

Gh' [e'] nomi lor qui iscritti sono eterni:

Vedi que' due che van dispari a sesto : L' uno è Alphonso divo d' Aragona, L'altro è Filippo Viceconte honesto.

Queir è la sacra vera alma corona, 40

Che già r imperio tenne in grand' onore : Stephan[o] d' Ungharia alma persona.

Roberto, vedi, de Cecilia il fiore, Gum Ladislao e Carlo de la Pace; Poi Ludovigo di Francia signiore. 45

El nome de questi altri non si tace. Che veddi fra Ila ischiera qui novella. Però chi son de nome alto e verace:

Queir è Giovanni sere di Castella, Di Portogallo Enrigho vedi, e quale 50

Quel di Navarra mastro Compostela;

E altri assai di cui narar non cale Mia lingua dir, perché già son iscritti E' nomi lor per memoria eternale.

Mentre il poeta, istruito dalla guida, contempla questi principi illustri, ecco apparire la gente dei Montefeltro, preceduta dalle insegne spiegate e da un carro trion- fale, che aveva

aquile negre per insegnia, 65

Con liste azure insieme parte d'oro.

A tal vista, egli non contiene più l' ammirazione

lia, nome

0 gloriosa prole, o sacra e degnia. Che ispandi de virtù oggi tal noi In questa gratiosa alma benigna

TKIONFO DELLE LODIDI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 175

Dissi fra me pensando istesso come 70

Chi esser può costui che vien davanti,

In tanto honor, con lizadre chiome? Venian con voce de' superni canti,

Con ermonia de suoni e melodia,

A bbini a bbini, di par[i e] tucti quanti. 75

Quindi lustra[t'a] tutta quella via,

Si paria che s'aprisse ogni emispero.

Tanto ne l' arma ciaschun rilucea. Quel signior divo, che vegnia primero,

Era vestito di loricha maglia, 80

Di richi drappi suntuoso altero.

Chi è mai questi, che precede tutti gli altri in tanta gloria? domanda allora il poeta, cui l'ombra, contenta come di gloria propria, risponde:

r te 'I dirò, se al dir[e] non ci è caggione 95

D' impedimento o altra cosa sia. Quest' è di nostra domo il gran campione,

Chiamato Federico, a non mentire

Di stirpe clara sua generatione. Le cui alte virtù hor qui gradire 100

In parte intenderai or nominare.

Per altra lingua che per mio ridire.

E mentre 1' eletta schiera si avvicina con passo umile e raro, di guisa che il poeta può tutti numerare, la cor- tese guida gU espone i nomi loro:

Di nostro sangue sum, di nostre gesta; HO

Qui son venuti, lor perché tu saccia,

Ad questa e alta e si solemne festa Per honorar questo signor supreme, Qual fu Pallade nel tempio di Vesta.

Vedi que'due che van di rieto insieme, 115

Che son di pari 1' uno e l' altro saldo, Fur già principio al nostro antiquo seme.

176 G. ZANNONI

El primo, Guido, d'ogni virtii caldo, Che fu ne 1' arme e di valor soprano, Poi il sacro cincto non hebbe in disfaldo; 120

Quel altro, vedi, siegue a mano a mano E Federico, Arnulpho, poi Galasso, Nicolò insieme agiuncto è con Feltrano.

Seguitar vedi di costoro il passo Speranza, dico, con suo degno merto, 125

Antonio, Enrigo non de ingegno basso;

E altri assai di cui narar per certo Longho sarebbe perché è breve Phora, Senza alghun dubio ciò ti fo aserto.

Ma, frattanto, un dubbio nasce nella mente del poeta, il quale domanda alla sua guida se costoro, ivi convenuti, siano ombre o persone vive; e quella gli risponde che tutti sono isclusi d' ogni corporeo velo , ad eccezione del trionfatore :

Ver' è che '1 gran signior, dico, primero, Il divo Federico nominato, 140

Tien pur la seta del suo degno impero.

Non è dal corpo anchor disegregato, Ma tutti gli altri, accolti a questo mirto, El dubio extremo vargho anno passato.

Qui he venuto lui solo inn ispirto 145

Per el triumpho die conseguitare. Con gli altri qui presente in questo girto.

Nel mezzo del verde prato un trono d' oro , adorno di preziosi drappi, era allestito per il trionfatore, il quale vi si assise in tanta gloria

Che mente d'homo stimarla core:

gli erano intorno tutti i più celebri guerrieri antichi e moderni, i paladini e i cavalieri, e dinanzi gli stavano genuflesse le donne divine, le sante virtù, le nove muse,

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTEO DUCA d'UEBINO 177

Colle man giunte, a lini braccia piegate. Finalmente alcuno del glorioso stuolo porta un libro

Si alto di volume, e parimente

In vista dimostrava esser iscritto

Dove ogni lingua non saria niente. La guida mia alhor, guardando fleto, 175

Mi disse: attende, homai mi par vedere;

Legger vorà costui, abbi rispecto. Li orechi actenti pronti nell' udire.

IV.

[capitolo terzo]

Mentre egli, estatico, si accinge ad ascoltare,

La mente pronta col desto intelletto,

un gran poeta apre il sacro libro e legge la seguente lode del duca Federico, la quale reputo prezzo dell' o- pera riferire intieramente, per essere il luogo più im- portante del poemetto.

A laide sempre sia gloria e honore 10

Di questo gran signior qui arivato:

Comincia qui di gesti il suo valore. 0 providentia del superno fato.

Che nel principio componesti tucto,

E cum summa sapientia hai ordinato, 15

0 gratioso, degnio e dolce fructo,

r incomentio leggendo in questo istile

La nobil prole che, da' suoi producto, E deir antigho suo sangue gentile

Disceso di ligniaggio alto regale, 20

E roborato con forze virile.

Voi. Ili, Parte 1. 42

178 G. ZANNONI

Con privilegi et dote imperiale

Del secondo Corrado almo augusto,

Che r arme li donò triumphale, Ad questo hostello magnanimo et giusto, 25

Di Montefeltro signoria nomata,

Dove tante virtù il cielo ha posto. In questa divina alma et beata

Natura infuse gratia et sua virtute,

Per sua disposi tion, che fu grata. 30

Di grado in grado sue nation venute

Per fino al tempo qui con giunto inesto.

Dove ogni gratie el ciel[o] pose compiute. r dico el padre, che fu già di questo

La cui memoria eterna, alta, felice 35

Oggi si canta per lo mondo a sesto. Nascie il buon fructo di buona radice.

Come si vede qui hor al presente,

E, testa l'opre, a noi il ver ci dice, Qual lingua prisca o vero acuta mente 40

Havesse ingegnio, desiderio o brama

Notar di sue virtù intieramente, Quest' è colui che 1' universo chiama

Oggi nel mondo, il cui nome, exaitato

In tal triompho, è gloriosa fama 45

Quest' è quel divo Gampion nominato

Ineir Italia per virtù, costui

Che Federico conte hoggi è chiamato. Che sia simile a questo diren nui

Chi sia d' ogni virtii gratia compito, 50

0 tanto faccia dir nome di lui. Costui neir arme vediam si gradito.

Che pochi son che vadeno al suo segnio,

A stender possa, a llui tener lo 'nvito. Colle sue forze e'I mirabile ingegno 55

Ben s'è mostrata degnia isperientia

Quanto à saputo navighar suo legno.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d'URBINO 179

Colla virtù dell' alma sapientia

Si colla discretion che regna in esso

Vediamo in lui si alma eccellentia ; 60

A tante e alte imprese essersi messo

Si con Victoria, in fin, come si vede,

D' ogni contrario suo, d' ogni ricresso. Vero figliuoli o] di Marte esto procede,

E ben de l'arme porta vighoria, 65

D' ogni virtù eh' a mortal[^■] si chiede. E ben si mostra sua gran signioria,

Lactea seguir costui già per sentiero

Di gloria, di costumi e cortesia. Quasi diren costui novello altero 70

'Lexandro Magno, ho quel Octaviano,

0 Nerva Tito imperador severo, Si pronte son le sue condegnie mano

In largita, suo almo pelegrino

Si mostra blando, in el parlar humano; 75

Suoi pensier magni e l' almo cesarino

Nimico di viltà e di paura,

Ed ogni torto e non drito camino. 0 gratiosa et felice natura ,

Che producesti questa sacra pianta, 80

Con si suavi fructi, e tanto pura! Qiiest' è colini di cui oggi si canta

E' gran triomphi et le magnificentie ,

La fama e Ila virtù che spandi tanta. Come si vede chiare esperientie. 85

Esser costui da ciaschun mentoato

Di tante gratie summe alte eccellentia; Per tucto il mondo intorno ricordato,

Suo nome grande senti nominare

Innell' Italia e fuora in ogni lato, 90

Di tante sue virtù, le qual narrare

Impossibil sari' a intelecto saldo.

Pensar cum mente, o lingua recitare.

180 G. ZANNONI

0 rettho nuovo giusto Raimbaldo, Che per giustitia consegui suo merto 95

Traiano imperador certo è di saldo:

Si può costui chiamar, dico per certo, Simil ad questi di giustitia rito. Esser di tal virtii zelante efferto.

Guarda suo territorio in circuito 100

Se'l vedi mondo d'ogni falsa secta Con pace, e triomphar il dolce si[t]to.

Poi r altra virtù sacra bene[c/e]cta , Gh' è temperancia degnia ogi chiamata Che colla discretion tempra vendeta, 105

Nella sinistra sua he collocata In forma tal, che 11' orden non transgrede per viltà per mente turbata;

In forma di collui, che tanta fede Teneva inverso il medico fidato, 110

Che non curò del beveraggio lede,

Digho Alexandro, essendo 'gli enfermato. Per meter scisma, Dario si gli scrisse Che d' un suo servo saria intosichato ,

Non corse ad furia lui per ch'egli udisse 115

Del tradimento quindi il gran falire. Ma volse il certo prima altro advenisse.

Simil costui, per certo, possiam dire Goira[?]tra donna, eh' è decta prudentia, Che retro vede il presente advenire, 120

A modo di colui che la sententia Donò contra alle false meretrice. In discoprendo quella frodolentia.

La quarta, che forteza poi se dice, Regnia in costui con l'altre parimente, 125

Qual Hercule diren constante aplice,

Da poi tante bactaglie adquiste e vente. Sempre iste fermo in verso il polo. Chiamando Giove padre omnipotente;

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 181

Per quel mericto lui ha tanto volo 130

Esser adsumpto fra' celesti canti ,

E doventar iddeo fra gli altri solo, Cosi questo signior, fra questi tanti

Che seguitan le donne qui nomate,

questi ragi, lume, e freghi santi. 135

Son le sue chiome, e vixo, tempie ornate

Di queste virtù cinto una fiamella

Con le tre theologiche chiamate. 0 felice pianetto, o sacra istella,

La qual guidi costui a tanto honore, 140

Dove ogni lingua mancheria favella! Ben fu '1 pianetto detto di valore,

Phebo lustrante con Paure crina,

Ciprigna bella col divin furore; Et fo nel parto suo, credo, Lucina, 145

Nel suo felice e dolce nascimento

La gloriosa degnia alma Sabina. Or chi narrasse mai ad compimento.

Et sue virili contar ad una ad una,

Longho sarebbe tal ordinamento. 150

Costui robba o texor[o] non stima alguna,

Non fa menzion di cupidoso, tanto

Riserbo , come molti in cui s' aduna. Costui, oggi, in Italia porta il vanto *

D' esser pili magnio d' almo e liberale 155

Che nullo altro signior, per questo canto; E Ila sua corte, diva e triomphale.

Di tanti honori e gloria esser ornate,

Quanto conviensi allo stato mortale. Or ben ti può' chiamar degnia e beata , 160

0 Monte Feltro dhomo, o nobil prole,

E tu cita d' Urbino nominata. Di questa sacra pianta di viole.

Posta nel tuo giardin lustro e fiorito.

In cui resplende tanto e chiaro sole. 165

182 G. ZANNONI

Questo Signior, eccelente e gradito, Ben porta il vanto e '1 nome sublimato , Più che nisun eh' è di suo sangue iscito.

Chi fu gran tempo ad superno istato Di suo gran domo, per adrieto, mille 170

Di signoria et di virtù nomato,

Quanto costui, le cui alte faville Per fino al culmo ciel vediam salire, Giugner sua fama su fino alle stelle?

Chi potesse narrare in tuto o dire 175

Le virtù di costui e Ila possanza, Che fanno il nome suo tanto gradire?

Italia rende in ciò testimoniancia , E'I nome suo condegnio e generoso. La voce anchor di llui la nominanza. 180

Or si rallegri ciascun virtuoso Che di vertù seguir prenda dilecto. Ed ogni almo gentil cuor vigoroso;

Quindi si spechi nel lustrante pecto E poi nel viso di questo signiore 185

E puro vaso di lichore electo.

Molte altre cose quegli continua a leggere nel libro sacro, mentre il poeta che finora , tutto compreso d' ammira- zione, e cogli occhi fìssi allo stuolo glorioso, ha ascoltato senza batter ciglio, si volge alla sua guida, quasi per interrogarla; e questa gli annunzia che il trionfo non è finito ancora:

Actende omai, chéM tempo è breve, Levar la mente ad più superno volo; Però eh' anchor ti resta un pondo greve.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 183

[capitolo quarto]

Già la notte declinava e nel cielo era sorta la stella di Venere, quando improvvisamente un baleno rischiara tutta la campagna all' intorno , ed una voce , fragorosa come un tuono, proferisce altamente queste parole:

0 spir[^]ti superni, o zente diva,

Disse la voce che qui entorno sete,

Sol per seguir costei per ogni riva, 15

Questa regina, la qual vui vedete

In tanta gloria e tanto summo honore,

[È] eterna fama, come voi sapete. Chi vuol veder il suo chiaro splendore,

Bisogna cum virtù cerchar di lei, 20

Come vedete questo gran signiore, Gh' è qui venuto nuovamente ad lei ,

Portante iscrito qui sue virtù sante.

In el conspecto eterno di costei. Saran con llui a cerchio tutte quante, 25

Nel giorno che verrà la vera luce.

Non per fiction ni per fabulle errante. Che qui ad nui dinanzi lui conduce

Sue virili degnie nella nostra gloria,

Pe' fructi sani suoi eh' eli produce. 30

Et poi anchora, ad perpetua memoria.

Sarà descripto, a lo 'ntrar del portale.

De r archo marmoreo qual per istoria : Or qui fu el summo eccelso trianfale

Federico signior[e] divo nomato^ 35

In questo sito ricordo eternale.

Cosi disse; e subito, voltosi alla sinistra, il poeta vede

184 G. ZANNONI

Una nube si candida e biancha 40

Che Tochio non poteva sostenere, Dove ogni mortai vista saria stancha;

Et una fiamma ardente, al mio parere, Era di fuoco c[on] un uomo drento Pur di color di quello era a vedere, 45

Tuto coperto d' arme, in biancho cento. Suo viso corruscante lampeggiava Gh'a riguardare ogni ochio saria vento.

Quindi vedevo già che si calava Sopra di quel segnior, che stava adsurapto 50 Su r alto iscanno, e quivi si fermava ,

Quasi come un balen, viddi'n un punto Questa tal nuba ardente si veloce Sopra di quel istuolo ivi congiunto.

E dalla mistica nube esce una voce:

Quest' è quel divo summo italiano Disse la voce cum alto parlare La cui fama oggi non si spande invano. 60

Di triompho e di gloria nominare Si può ben dir costui felice in tuto Il nome suo fra gli altri almo exaltare;

Or quest' è quel che'l ciel solo ha producto In terra, a tanto honor con degnio istato 65

Meritamente per virtii conducto.

Echo chi porta il vigoroso fa[t]to Dell'arme oggi fra gli altri, in tanto honore Di Monte Feltro il campion sublimato I

Echo chi porta il titol di valore, 70

Delle sancte virtii compiutamente Oggi in Italia per cotal tenore!

Echo chi tien la signoria e podestà.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTRO DUCA d' URBINO 185

Echo chi tien la fama e virtù cara Sopra ogni altro signior in 'talia disse 80 Come si vede or qui la prova chiara!

Dette queste e altre gloriose parole in lode di Federico, la nube si cala su lui, avvolgendolo in un' aureola lumi- nosa , e il genio che é in essa lo corona di tre diademi.

La prima diadema i' posi cura Che laur[o] mi pareva in verde foglie, In segno di virtù virente e pura; 90

E la siconda , ulivo che s' accoglie Per dimostrar Victoria consequita, Fama adquistata nelle eccelse voglie;

La terza mi parca più gradita, D' oro , di gemme tuta lavorata , 95

Che mostra regnio per gratia infinita.

Quindi la voce riprende;

Figliuol mio, ben si' degno hora di queste

Corone la tua fronte esser ornata; Per tante tue virtù sacre e oneste, 100

Meritamente se' degnio portare

Fra tuti que' già mai de la tua geste. Ben ti puoi hor fra gli altri gloriare

Di fama, di virtù el più soprano,

E quel ch'ormai si possa più vantare. 105

Mentre queste ultime parole ancora risuonano, la nube e r almo iddeo in el suo eluso arehano svaniscono nel cielo; e tosto un'altra voce, non meno fragorosa delle prime, si ode:

0 voi, spirti sacri e degni HO

Che seti acolti in questo dolce e grato

186 G. ZANNONI

Sito piacente, circha ad questi regni, In tanto e alto et si supreme honore, Non creda nullo mai che qui si spegni.

La fama [e] degnia di questo signiore; 115

Ma durerà per fin eh' el ciel qui dura Ad perpetua memoria il suo valore.

Non è sua stantia, i' dico, ferma anchora , Hor qui dal ciel[o] a[w]cho terminato: Quando ciò fia, ved[e]rassi adunque alhora ; 120

Però sarà al pili supreme lato Presso del caro triomphal, qui posto Fra [^a]nto inclito istuolo incoronato.

Finalmente, quando anche quest' ultima voce si è chetata, r ombra, che fino a questo punto ha guidato il poeta, viene a toglierlo dalla sua ammirazione, dicendogli:

Figliuolo, homai partire

Bisogna hor qui a cte, senza indugiare;

El termene è qui giunto a tte d' uscire. Ma prima voglio alquanto interpretare 130

Nella tua mente questa visione,

L'effeto d'està, il senso dichiarare. Tu ài veduta questa legione

Di gente diva, e questa monarchia

In questa sacra gran celebra tione , 135

Venuti qui , i' dico , in compagnia

Di questo gran signior, lui honorando

La sua ben degnia e alta signoria. Ora , ti dico , i' vengo dichiarando

Che lor qui stano fermi in questo regnio, 140

Già fa gran tempo, certo non errando. Costui, i' dico, come hora ben degnio

Di nostra domo, di virtù verace.

Tu r ài veduto qui da noi per segnio. In tanta gloria honorarlo e pace 145

Da [vjogni honor mortal[e] sarebbe vinto,

Ma el tempo [e] breve al dir non se conface.

TRIONFO DELLE LODI DI F. DA MONTEFELTEO DUCA d'uEBINO 187

Però eh' a tte convien d' esto precinto, De questo s[c]ito uscire, i' dico, homai, Ma poi nel mondo, priego, per distinto 150

Narra a ciaschuno quel[Io] che vedut'ài, E dell' alto trionfo glorioso Fato, presente te, come tu sai,

Ad questo gran signior victorioso II divo Federigho triomphato 155

Almo et invicto, lustro e generoso.

Sono le ultime parole deir ombra, la quale improvvisa- mente dispare; nello stesso tempo rimbomba un tuono si orribile, che il poeta si desta di balzo, spaventato:

e, quasi che tremando, Apersi gli ochi intorno a rimirare.

Alhor, racolto in me, venni pensando, E di stupore fra me istesso i' dissi : Queste son cose d'istoria, nomando; 165

Et così inmediate le descripsi. *

Qui ha fine la visione e termina il poemetto. Quali ne siano i pregi e quali i difetti, si d' invenzione che di for- ma, emerge abbastanza da questa diffusa analisi perché gli si possa assegnare un posto conveniente fra le visioni- trionfi e le poesie cortigiane del secolo XV: certo, e per la rarità del genere, e come documento storico letterario, quest' operetta di Alessandro da Firenze meritava di non rimanere del tutto ignorata.

G. Zannoni

DI UN' INEDITA TRADUZIONE IN PROSA ITALIANA DEL POEMA « DE LAPIDIBUS PRAETIOSIS »

ATTRIBUITO A MARBODO, VESCOVO DI RENNES,

Contenuta in un Codice della R. Biblioteca Estense, scritto verso la fine del secolo XIY.

SEGUITA DA TRE CAPITOLI DI UN BESTIARIO IN VOLGARE.

Il Lapidario di Marbodo, vescovo di Rennes (1), ebbe, com' è noto, nella sua redazione originale latina, pubblicata più volte, un immenso successo, siccome quello che era considerato, diremo col Pannier (2), « le grand poème pedagogique du moyen age pour les pierres pré- cieuses, et jusqu' à la fin du XVL® siede, le manuel classique des écoles de pharmacie » . Doveva pertanto con non minore entusiasmo essere letto quando, mercé le molte traduzioni che se ne fecero in quasi tutte le lingue dell'Europa occidentale, ebbe a diffondersene vie meglio la conoscenza. Se ne hanno versioni in inglese, in irlan- dese, ed in danese, ed alcuni estratti di una traduzione del poema stesso in prosa provenzale, già segnalata al- l' attenzione degli studiosi sulla fine del secolo scorso dal

(1) Marbodo, nato nella diocesi di Angers, e fatto vescovo di Rennes nel 1096, vesti l' abito di S. Benedetto nell' Abbazia di Saint-Aubin in Angers, dove mori ottuagenario 1' 11 di settembre del 1123. Cfr.: Histoire littéraire de la France, X, 243.

(2) Cfr. Pannier, Les Lapidaires .frauQais du moyen age des XU.e, Xnie et XIV. e siècles etc, Paris, 1882, pag. 20-21.

y. FINZI DEL POEMA « DE L.4PIDIBUS PRJETIOSIS » 189

La Porte du Theil (1), furono pubblicati da Paul Meyer (2).

Della prima traduzione francese del « Liber Lapi- dum » si hanno tre edizioni, e cioè quella del Beaugendre, del 1708; quella del Beckmann, del 1799; e quella del- l'Ab. Bourassé, del 1854. Recentemente il Pannier (3) ne diede una nuova, giovandosi di tre manoscritti, di cui il primo segnato col n."" latino 14470, e che fu già il Vittorino [dell'Abbazia di Saint- Victor] n.° 310; il secondo, proveniente dall' antica biblioteca della Sorbona, n.° 1682, e che oggidì alla Biblioteca Nazionale di Parigi porta il n.° francese 24870; il terzo, che tra i mss. francesi della Biblioteca Nazionale è indicato col n.° 24229.

Non ostante le più diligenti ricerche non ho potuto trovarne traduzioni in versi italiani ; ma se ne hanno non poche in prosa, che sono state già descritte accuratamente da Enrico Nar ducei (4).

Ci si consenta di riassumerne qui le conclusioni, prima di procedere all' esame del Codice Estense, e del contenuto di esso.

Tra quei testi, che alla bellezza e proprietà del lin- guaggio accompagnano un interesse storico relativo alle scienze, sembrami, scrive il Narducci (5), possa certa- mente annoverarsi una raccolta di scritti volgari del più puro trecento, contenuta in un Cod. Vaticano, membra-

(1) Notices et extraits des manuscrits, t. V, pag. 689-708.

(2) lahrbuch fur Rom. literatur, t. IV, 1862, pag. 78-84. Cfr. Pannier, op. cit. loc. cit.

(3) Op. cit. pag. 34-69.

(4) « Intorno a tre inediti volgarizzamenti del buon secolo della lingua contenuti in un Codice Vaticano : lettera di Enrico Narducci al Sig. Comm. Francesco Zambrini Presidente della R. Commissione pei Testi di Lingua . Seguita da un inedito volgarizzamento fatto da Zuc- chero Bencivenni d'un antico lapidario attribuito ad Evace ». (Pro/?M^/ia- tore, Ser. I.^ Voi. ir. Parte I.^ pag. 121-146, 307-326).

(5) Art. cit., pag. 121-25.

190 V. FINZI

naceo in-foL, che porta il n. 1316 dei mss. della Regina di Svezia, dei primi anni del secolo XV. Dal recto della carta 2 al recto della 19, trovasi nel cod. stesso un trattato sulle pietre preziose, che porta (car. 2 recto, lin. 1-9) il seguente titolo a lettere dorate :

« Quisto he il comintiamento de uno libro il quale he nominato Lapidario il quale scripse uno che fo de Arabia Signiore. Nel quale puose tucte le virtù & secreti maravigliosi che sono nelle priete pretiose etc. » . Il me- desimo trattato incomincia nello stesso recto (lin. 10-20) :

« Imprimame del Dyamante ».

« Questa pietra la generatione sua e in lultima parte de Lindi a. Et e de natura de christallo venuto deli me- talli. Et getta radij mostrandolo al sole et pare corno ad christallo et lo colore suo e ferugino in colore de ferro et e de si grande durecga et fortega che non è nixuna cosa ne anche il ferro che possa rompere ne anco il foco lipuo nocere excepto chel sangue del caperrone caldo untandone lo dyamante lo reduce al mollecge (1).

(1) Sarebbe troppo lunga 1' enumerazione di tutti gli scritti intorno a codesta pretesa proprietà del sangue del caprone : ci limiteremo per- tanto a ricordarne i principali. Dice in proposito Plinio: « adamanla

opum gaudium, infragilem omni ceterà vi et invictum, sanguine hircino

rumpente {Naturalis historiae lib. XX. sez. 1.^) ». C. Giulio Solino

{Poh/histor, Gap. 52 § 59), S. Isidoro, Vescovo di Siviglia (Opus quod aethimolofjiarum inscribitur, lib. 12. cap. 1), e Ugo di San Vittore (Opera omnia, t. II, lib. Ili cap. XVI [de hirco et hoedo], e lib. II, cap. 34 [de adamantis virtute]) non fanno che ripetere ciò che si trova sintetizzato nella cit." opera di Plinio. Alberto Magno, il quale, come é noto per le ricerche dello Schneider [nella sua prelazione in Reliqua li- brorum Friderici II. Imperatoris de arte venandi cuni avibus: accedunt Alberti Maijni capita de falconibus etc. : quibus annotationes addidit suaSj Io. Gotti. Schneider, Lipsiae, 1788-89, 2 voli. in-4.°] ed in pas- colar modo per quelle del Buiile [Commentatio de fontibus nude Alber- tus Magnus libris suis XXV de Animalibus ma/eriem hausrrit: rrrilata etc. a Ioanm Gotllieb Buhle] s'inspirò alle opere dei grandi maestri

DEL POEMA « DE LAPIDIBUS PRAETIOSIS » 191

Et con lo dicto dyamante se intagliano tucte 1 altre pietre. Il quale dyamante non se trova più grande che nocella » .

Finisce nel recto della carta 14 del precitato codice (Un. 5-9) così:

« Si alcuno huomo trovasse una pietra che e chiamata Laparea etc » . In questo trattato sono descritte solamente 23 pietre, e cioè : Dyamante, Achates, AUectorio, Dyaspido, Caffiro, Calcidonio, Smaralgdo, Sardonio, Sardus, Grisolito, Burllij {sic), Thopatio, Grisopasso, Iacinto, Ame- tisto. Celidonia, Gagates, Cornyola, Carbunculo, Ligurio, Achites, Iaspide e Gagatro.

Nella Biblioteca Marciana di Venezia (1) si conserva pure un codice, già appartenente alla Biblioteca Farsetti, ed ora segnato col n."" IV della Classe XI dei Codici Marciani Italiani. È cartaceo in fol., a due colonne, del secolo XV. Il trattato sulle pietre, che incomincia alla carta 39, recto , colle parole : « Perciò che alla po- tenzia dello altissimo iddio onnipotente piaque » , e finisce alla carta 41, verso, non contiene se non 38

Aristotile, Avicenna, Teofrasto, Galeno, ecc., scrive : « .... Huiusmodi ani- malis (capri) sanguinis buUiens de novo calidus extractus mollificat ada- mantem ....* (De animalibus, lib. 22) j>. [Si può vedere in proposito ciò che lo stesso A. M. scrive nel suo trattalo « della virtù delle herbe, delle pietre et degli animali » al cap. del diamante (lib. 2, cap. 10)].

Gughelmo di Normandia, il cui bestiario é, diremo coU'Hippeau, {Le Bestiaire Divin de Guillaume Clero de Normandie etc. public etc. par M. C. Ilippeau, Caen, Ilardel, 1852, pag. 41) « le plus compiei que nous connaissons », in un capitolo, intitolato: « de l' Aimant », svolse poi lo stesso concetto più ampiamente, traendone allusioni ed allegorie morali. Per lui, come già per S. Cipriano {Uh. de duplici martyrio), e per molti altri compilatori di Bestiari, nel diamante, che solo può essere rammollito dal sangue del caprone , è simboleggiato il cuore indurito de' peccatori, cui può intenerire soltanto il sangue spai*so da Gesù Cristo per la loro redenzione.

(1) Narducci, art. cit. pag. 128.

192 V. FINZI

brevissimi capitoli, l' ultimo de' quali tratta delle pietre e margarite.

Gioverà ancora ricordare, come nelle Biblioteche Fiorentine si trovino tre altri lapidarli italiani, dei quali il primo conservasi nella Nazionale, (Sezione Palatina), il secondo nella Riccardiana, ed il terzo nella Mediceo -Lau- renziana.

I."" Il Codice Palatino, ora segnato : « E. 5. 4. 33. » cart. in fol, del secolo XV, contiene dal recto della carta 32 al recto della carta 51 un lapidario, dove si descrivono 60 pietre, dal Diamante all' Emathìte (1).

W II Codice Riccardiano, citato nel catalogo del Lami sotto il titolo « Natura e virtù delle pietre preziose » e segnato: « 0. 4. n.° XL », è ora il cod. n. 1050 della stessa Biblioteca. Contiene 14 operette, delle quali le prime undici di carattere del secolo XIV, e le ultime tre del secolo XV. L' operetta n. 12 (la prima del secolo XV) compresa nelle carte 116, recto, alla 117, recto, contiene la descrizione delle seguenti 16 pietre : Granato, Topazio, Smeraldo, Rubino, Zaffiro, Diamante, Balastro, Calcidonio, Sardonio, Amatisto, Nichelo, Barillo, Aspido, Lighore, Achate e Grisolito (2).

III.° Il Mediceo-Laurenziano. membranaceo in fol. del sec. XIV, intitolato « Libro de le virtudi de le pietre pretiose etc. » che trovasi nelle carte 143 a 146 del Cod. Pluteo LXXIII n.« 43 (3).

(1) Narducci, art. cit. pag. 128-29.

(2) Narducci, art. cit., pag. 129.

(3) Di codesto Codice, già descritto brevemente dal Montfaucon {Bibliotheca Bibliothecarum mss. nova, T. I, col. 382."), dal Bandini {Catal. Mss. Codd. Bill. Mediceo-Laurentìanae, t. V, 283), e dal Narducci (art. cit. pag. 126 e segg., 309 e segg.) fa pure menzione il Pannier (op. cit. pag. 21 in nota). Il Pannier peraltro non fa che riferirsi a ciò che dice il Bandini del suddetto Codice, del quale trascrive il titolo con qualche inesattezza.

DEL POEMA « DE LAPIDI BUS PR^ETIOSIS » 193

Questo codice doveva contenere, come appare dal- l' indice dei capitoli la descrizione di sessanta pietre , e cioè : Diamante, Agathe, Aletorio, Diaspro, Zaffiro, Calci- donio. Smeraldo, Sardonio, Onichonyo, Sardo, Grisolito, Berillo, Topasio, Grisopaso, Giacinto, Amatisto, Celidonyo, Gaghote, Magnete, Corallo, Alabandina, Corninolo, Car- bunchio, Lyus, Etryte, Selenithe, Gargatromeo, Cerauno, Heleutropia, Garacithe, Episcites, Hemartites, Abesto, Pianites, Sada, Medo, Galizia, Exancontolito , Holonite, Prasyo, Cristallo, Galatida, Orithe, Lena, Lypera, Eadros, Yris, Androdinia, Optalio, Margarita, Pancheron, Albscito, Salcofano, Melohites, Ciecolito, Pirithes, Diacodos, Dronysa, Grisollito e Grisopano. Ma in realtà non ne descrive che quaranta, poiché si arresta al cap.° intitolato de la vertù del Prasyo, che è il 40.''

Ciò premesso, non ci rimane che esaminare il La- pidario volgare, contenuto nel cod. Estense VII B. 5, che fra i codici italiani della Biblioteca Estense è segnato col n.° 92. Esso è cosi descritto nel Catalogo ragionato di Antonio Lombardi (1) : « Honorius Augustodunensis : De mundo et tempore seu potius de imagine mundi. Item Lapidarium. Liber latine et italice scriptus. Cosmo- graphia et chronologia vetus appellari potest hoc opus epistolis latinis, deinde italica tot lingua versis extructum. En titulus lapidarli italice tantum scripti: == Incipit La- pidarium. Per proverbio antigamente se disse che in le prete et in eie paroUe et in el erbe si sonno le vertute e che ciò sia ventate eli è manifesto sufficiente mentre appresso gli savii di questo mundo desfaciendole et des- truendole ==. Cod. membr. in V saeculi XV, partim longis lineis, partim vero in duas columnas dispertitus. Ad calcem habetur index Capitum Cosmographiae ».

(1) Il Catalogo stesso si conserva ms. nella R. Biblioteca Estense. Voi. Ili, Parte I. 13

194 V. FINZI

La descrizione, che di detto Codice ci porge il Lom- bardi, oltre che essere incompleta è, come si vedrà, ine- satta (1). Codesto Codice, della fine del secolo XIV, membranaceo in 4.^ è alto cent. 26 e largo 19, di fol. 60, con le rubriche in rosso e le iniziali rosse e azzurre, di cui una parte è a due colonne (da fol. 25 a a 59 d). L' ultimo fol. (il 60.") è nel recto a 3 colonne : nel verso finisce a metà della 1.* È segnato: VIL B. 5.

Consta esso dunque di 4 parti. Nella prima (fol. 1 r 48 e) si ha una copia latina, non però completa, del- l' « Imago mundi » , coli' esposizione in volgare ; nella seconda dalla 2.^ metà del f. 48c a f. 49 b si leggono alcuni capitoli d' anonimo autore ; nella terza si trova un Lapidario in prosa italiana (da fol. 49 e alla prima metà del fol. 58 b) ; nella quarta si comprendono 3 capitoli di un bestiario in volgare (dalla 2.* metà del fol. 58 6 a fol. 58 d). Dal fol. 59 a a 60 e? si ha l' indice dell' Imago mundi (2).

Il nostro lapidario è preceduto da un lungo prologo, che comincia: « Icipit lapidarium. Per proverbio antiga- mente se disse che in le prete, et in eie parolle, et in el erbe si sonno le vertute, e che ciò sia ventate, eli e manifesto sufficientementre apresso gli savij di questo mundo desfacievole et destrucievole » . Finisce : « .... et multi s e inganati a questo ponto deo gratias. Amen. Expliciunt vertutes lapidari] ».

Vi si descrivono brevemente le seguenti 77 pietre (3) :

(1) Del suddetto Codice ha fatto menzione recentemente il Prof. Camus in un suo scritto dal titolo : « l codici francesi della R. Biblioteca Estense » [Rassegna Emiliana, Anno II, fase. V, Novembre 1889J.

(2) Di codesta traduzione dell' « Imago mundi » è nostro proposito fare oggetto di uno studio speciale in un prossimo lavoro.

(3) Non sarà inopportuno l' avvertire, che mentre nel prologo si dice : % che delle petre che se parla in questo libro si e per numero 79 »,

DEL POEMA « DE 1.4 FIDI BUS PR.4ETI0SIS » 195

Alabastro, Ametisto, Alletorio, Achites, Anbro, Agitides, Alambandina, Ametites, Acuntalito, Andromadama, Berrillo, Kalamita, Corallo, Corniola, Calcedonio, Cielidonia, Cris- tallo, Cerano, Calcofeno, Carbon, Cals, Calculus, Cotis, Diamante, Diacodes, Dionesis, Docta, Engranata, Echites, Elitropia, Epitites, Euideos, Grisso-passo, Gagates, Gala- tilles, Gerachite, Gagatroneo, Grisolito, laspo, lagungo, lacincto, Ipistiro, lencia. Iris, Ligurio, Liparea, Lazula, Margarita, Menoficis, Mellachita, Medono, Mellanites, Onicho, Opatalio, Orietes, Peonia, Petites, Prasio, Panthera, Paris, ParaQo, Qiierin, Quadris, Robin, Rebea, Rabri, Rellanico,

Rame, Rabrutes, Satin, Sardo, Sardonio, Sadda, Sillenito, Silex, Smeraldo e Topatio.

Al lapidario stesso segue, come si disse più sopra, un bestiario di tre capitoli, nel quale si parla delle virtù del lupo, dell' anguilla e del punbiolo. Invero, in quasi tutti i bestiari, che ci venne fatto di esaminare, si accenna alle virtù del lupo, ma in pochi si dice ciò che troviamo affermato dal compilatore del Codice Estense. Omettiamo, per brevità, di riferire qui il passo suddetto, che può ve- dersi a fol.586 58 e: avvertiamo solo, che esso s'accorda con quanto scrive Alberto Magno in due luoghi del citato suo libro « delle virtù delle herbe, delle pietre e degli animali ». « Se alcuno egli dice porterà hgato r occhio del Lupo, cioè l' occhio destro nella manica

nella tavola delle pietre, colla quale si chiude il prologo, non se ne com- prendono che 78. Si è omessa però dal copista la descrizione dell' Ema- thites, cosicché, in sostanza, le pietre descritte nel Lapidario Estense sono 77. Come si vede, benché ve ne manchino alcune di quelle contenute nel lapidario di Marbodo, non poche se ne trovano nel cod. nostro, che furono tratte da altri lapidarii. Vi sono poi disposte in ordine alfabetico (non però rigoroso), « a ciò eh elle come è detto nel prologo se possa trovare più tosto ».

196 V. FINZI

destra, niuno mal huomo e cane gli potranno nuocere (1) » . Ed in un altro cap.° « del lupo contra la epilentia [epi- lessia] » : (( se alcuno porta seco 1' occhio del Lupo,

gli giova alla vittoria, et alla audacia, a far fuggire, e te- mere l'inimico (2) ».

« El figato del Lupo è detto ancora nel Codice Estense secho e tridato cun melle et dal bevere alli reschaldati del figato, perfetamente sanara, e somigliemente quelli ke che (sic) chage della luna, et gli smaniosi, et etiamdio el suo dente canino chi 1 apichara al collo del

lunatico (3) ». Orbene, ciò si vede confermato da

Plinio in più luoghi della sua Storia Naturale (4), e dallo stesso Alberto Magno (5).

Il punbiolo altro non è che il piombino, detto anche Uccel Santa Maria, Martin Pescatore, Uccello della Madon- na, Uccello di S, Nicola (6) ecc. Linneo lo chiama alcedo ispida, come già da Alberto Magno era appellato alcyon (7).

(1) lib. 3, cap. 19 « de l'occhio del Lupo ».

(V) Op. cit. lib. cit.

(3) Cod. Estense, fol. 58 ò.

(i) Cfr. lib. 11, cap. 37, lib. 28, cap. 13 e 14, e passim.

(5) De animalibus, lib. 22.

(fì) Alcune note sulla varia nomenclatura di codesto uccello ci furono comunicate dal dotto Ab. D. Giuseppe Mazzetti, Membro della Società dei Naturalisti di Modena.

(7) De animalibus, lib. 23 al cap.: « alcyones ». Gioverà ancora avver- tire che in lombardo il martiri pescatore é detto piombiti e piombei, in veneto piombiti, in romano piombitio. Cfr. Pokorny Dott. Aloisio. Sto- ria Illustrata del Regno atiimale : versione dal tedesco di Michele Les- sona e Tommaso Salvadori, Roma Firenze, Loescher, 1876, 8.°, pag. 82, e nota 1.* Il « Dizionario del dialetto Veneziano di Giuseppe Iberio » ci pure la voce Pimbiolo, che è molto aflìne, come ognuno i)uò vedere, a Punbiolo del Codice Estense.

DEL POEMA « DE LAPIDI BUS PRAETIOSIS » 197

« Moltissime favole assurde dice il Figuier (1) furono sparse sul loro conto (cioè dei martiri pescatori). Altre volte si attribuiva loro la facoltà di indicare, dopo morti, la direzione del vento, di far seccare il legno, sul quale si posavano. Il loro corpo disseccato si credeva po- tesse allontanare il fulmine, dare la bellezza, produrre la pace e l' abbondanza. Anche oggi, in certi paesi, si crede che la loro spoglia ripari i panni e le altre stoffe dalle tignuole ».

« Les Grecs croyaient scrive il Larousse (Diction- naire etc. alla voce « Alcyon) que l' alcyon faisait son nid sur la mer, et ils appellaient jotirs alcyoniens les quinze jours pendant les quels cet oiseau était suppose couver ses oeufs à la faveur de la calme des flots, sept jours avant et sept jours après le solstice d'hiver.... »

Il che concorda, con quanto si legge nel Cap.*^ del bestiario Estense relativo al Punbiolo, intorno a siffatta credenza, nonché col seguente passo tratto dall' opera cit.* « De Animalibus » del Vescovo di Ratisbona : « Dicunt .... quidam, quod mari tempestuoso ova sua {alcyonum) obiecta, statim. tranquillitas inducitur (2) ».

L' ultimo capitolo del nostro Codice è consacrato al- l' anguilla. « L' anguilla ivi si dice si hae virtute, chi toUe la felle et el figato, e sechello et messello cun vino et deallo a bevere a eh il volle in ascoso, si no porrà mai più bevere vino. E se tu vuoi fare per un altra manera, toy l' anguilla et fala morire in vino e dagie bevere ».

(1) Luigi Figuier, Gli uccelli: 2." ediz. ita)., Milano, Treves, 1873, pag. 139-40.

(2) De animalibus, cit. lib. 23, cap. cit. Cfr.: B. Latini: // Tesoro, lib. V, cap. XIV « Della natura degli alions, ovvero alcioni ».

198 V. FINZI

A questo proposito non sarà inopportuno riferire ciò che scrive pure Brunetto Latini nel suo Tesoro : An- guilla è un pesce, che nasce di limaccio di terra, cioè

di mota ; di cui gli anziani dicono, che chi bevesse

del vino ove fosse annegata, non avrebbe più voglia di bere vino (1) ». Non è improbabile, che il Latini abbia voluto nella dizione generica « anziani » comprendere Plinio , il quale scrive : « MuUus in vino necatus vel piscis rubellio vel anguillae duae, item uva marina in vino putrefacta iis qui inde biberint taedium vini adfert (2) » .

Ecco pertanto il testo del Lapidario e del Bestiario, secondo la copia contenuta nel Codice Estense :

Dott. Vittorio Finzi

Soltobibliotecario nella Biblioteca Estense.

(1) Libro IV cap. I.

(2) Op. cit. lib. 32, cap. 10. Cfr. : S. Isidori Hispalcnsis: Op. cit- lib. 12, cap. VI ; Ilugonis a Sancto Victorc : Op. cit. lib. 2, cap. 20.

DEL POEMA « DE LJ PI DI BUS PRAETIOSIS » 199

ICIPIT (1) LAPIDARIUM. PeR PROVERBIO ANTICAMENTE SE DISSE CHE IN LE PRETE, ET IN ELE PAROLLE, ET IN EL ERBE SI SONNO LE VERTUTE, E CHE CIO SIA VERITATE , ELL E MANIFESTO SUFFICIENTEMENTRE APRESSO CLI SAVIJ DI QUESTO MUNDO DESFACIEVOLE ET DESTRUCIEVOLE.

Per le virtute delle parolle le qualle dice el prevede (2) al altare ìq el offitio della messa, 1 ostia che pare pane morto, deventa corpo vivo, el vino che s e in el calice deventa sangue vivo. Anchora savemo che 1 aqua et molte altre chose deventa sancte per virtute di parolle cun el singno della croxe. Anchora savvemo, e vedemo alla fiata che per certe parole se constrence gli demonii, et esseno day suoi luogi, et apare a nui per diverse manere, et si responde ay suoi sconguramenti, et obedisse ay suoi comandamenti, unde igh vano et vene, e stano, et fano ciò che viene commandato destramente.

Et guest e provato per arte de aere et daqua et de terra, et de fooco, et anche per molte altre chose, et arte che se fono cun parolle et cun dicti, si chome larte notoria, et ydea. An- chora vedemmo per le virtute delle buone parolle li homini che eno stranii deventa amisi e fasse di grandi servitii. E parolle rei {sic) et malvasie li homini che se amici deventano crudelli nimici, et confundeseno gravementre.

Per le virtute che se in el erbe molte infirmitate guaris- seno, et quegi che se retornati in sanitate per virtute derbe se vegnire ad infirmitate, si chome la cepola et la ciguta, et per lerbamena. Anchora savemo chella peonia sie bona alla empilexia, la celidonia (3) a quigli che a rea veduta, la sem-

(1) fol. 49 e.

(2) Nel Du Gange (Glossarium mediae et infimae latinitatis, T. VI), alla voce Prevedo leggiamo : « Prevedo^ a Longobardico Prevede^ Presbyter, Sacerdos ».

(3) fol. 49 d.

200 V. FINZI

previva a quigli che al de male. Elio musclo, altresì la ciguda a quegli che 1 omo volle alcidere, per lo papavero se fae dor- mire, lo ysopo per torre la tose. El pollezolo fiorito per curar el stomaco.

Per le vertute che se in le prete chi le tene et chi le porta ordenatamente receve molte gratie et scampa da multi periculi. [Inde nui vegemo chella calamita tira a si el ferro, e fassel movere senza tochare. El diamante fora tute le priete. El chalcedonio e lambro leva le paiusche chi lo scalda frican- dello. El corallo he bon alle febre. El iaspo per stagnare el sangue. El topatio per le maroede. Et per che molto se puote dire delle parolle et delle herbe et delle priete suffltientemente (1) segundo che nui avemo veduto et provato multe fiate. Per la quale chosa da sapere he, chelle petre de molto {sic) manere in forma et in collor, et in color bone, et reie in savore, et son de in valimento de grande pretio, et in piciolo. Ancora he da sapere, che grande derata he in le pietre, perche delle petre altre si he dure, altre si e tenere, altre si he dare, altre si e spesse et scure. Altre voi stare in auro, altre in arzento, altre in ferro etc. linde la sua generation s e molto desvariata. Si chonm e varietale in le parole, che altre che conduse alegrezza et amore, et altre induse grameza et odio. Et alegrezza aduso el Saphyn et 1 engranata. Et una manera de yaspo. Et altre genme che aduse grameza et question , chome onico nosiando presente. El sardo el qual gieta la virtute. Anchora (2) mo digamo delle petre ke altre sono, che se la virtute sua in per- petua si chome la calamita che tira a se el ferro. Altre vi sono ke perde la virtute per piciola chosa, si chome el diatodes, et el grisso passo, et per quello chelli homini alla fiata se crede fare molte chose le qualle igli desidera per aiutorio de le ver- tute le quale he en le petre abiandole spessa fiata cumplise ciò chelli vole. E questa se chosa provata de longo tempo.

(1) [a pie di pagina, ma d'altra mano:] lascemo stare delle doe sciencie, et digemo delle vertu delle piere.

(2) Colla sillaba ^n finisce il foglio 4.9 ^, e colle 2 sillabe rhora comincia il fol. 50 a.

DEli POEMA (( DE LAPIDIBVS PRAETIOSIS » 201

linde biato quel honmo che senza alchuna provisione receve in don dalchuno, per chel sente la sua virtute et anne utilitate secundo quel da quel chelle valle. Egli aviene si chome a quello che a grande sete, et si sella tolle per bevre asay. Ancho digamo che le petre adorna li vascegli et li instrumenti chelle si metute in le vestimente, et aiuta quegi chelle porta cun si secundo cum se convene da multi periculi et induse multe gratie. Unde perciò gli zentilli homini et gli richi siile richere e siile portano per questo entendimento tuto che no gle giove quel eh egli crede. E questo gli avene, perche gli le comprano a pensatamente et siile tolle, et anche no gle possa valer tuto. E se quele vale alchuna cosa e perciò egli si viene honorati et recevuti et apreciati, et alchune fiate non puoe fare quello che gli credeno in diti et in fati et etiandeo vediando le persone che a a far cun egli no 1 osa dire per grande cativitate de chuore, et questo fasse tuto le prete elle parolle chesse disse per la giente chene (?). E spesse fiate eglien stissi non sae che gli viengna honorati per tanto, ne apreciati, ne obediti ne (1) recheriti per multe chose, cun ciò sia eh egli no iano più baylia. Alla fiata ne noi sa fare ne porave fare chome queglien stesi chel porta ra [sic) e vorave 1 avero en so aiutorio et a sua demandanza, e de questo spessa fiata se fasse infra si merave- glia et tiene la gente quasi mata. Ma si se exalta in suo chuore quegli che in la mente he savii. E si se tene da meglo. Si diseno che Ile comprehensione ha vertute en certe chose , et in certe gratie. Et questa si se viva prova che nuy vedemo gli grassi e sanguinei per la magior parte sie gra- tiosi donore et de biene, gli magri de briga, e de travaglia, gli collorici de ardimento, gli mellanconici de multi pensieri. E gli flenmatici de grande vanitate per pegreza. Et per questo gli esentili homini per vertute del sangue che gli habunda e per le prete chegli anno e per li brevi chegli porta cun sie che tale fiata egli noa sa per che le mu- glerò cellatamente geli aloga in qualche cosa, egli non descazze si malamente cora fae laltra zente, che non ha de queste chose.

(1) fol. 50 b.

202 V. FINZI

E per ciò no se savere noma per astrologia. Unde per lo mio conforto chi depo avere fide habia, et a cui en ven donate si ne toglia volentera et alegra mente, e si le porte cun si sa via- mentre, si come se conviene in quella parte, et in quel logo, et abiale in quel metallo, chelle se volle tegnire. E chille ano et chille portano guardesse chegli no faza chosa per la qualle egli perda la vertute, e se pur far el volle, metalle via in des- parte sinatanto chegli a conplito quel fatto e poy le toya. Et io possa {sic) dire in testimonianza de dio, chome le foe donate a federigo imperatore (1) no sapiendo elio (2) et elio me le mostrava e diceame, el me donato cotalle prete elle bone, et eo gle di- ceva la vertute et comelle se volle portare et da que le se volle guardare chelle no perda la vertute, e chome io li dicea ell[i] credeva e si facieva, und elio si debe a sai, et asai ne portava cun sie, altre in capo, altre in la centura, altre a coverto, altre a descoverto, altre a carne nuda, altre per altra manera. Et ma- nifesto si e, che gli Ri, e gli baroni, e gli parlati della glesia siile porta cun sie. Si per le virtude, si chome per biene stare. E no porta delle cative corno e cristallo, challamita, onico, ma si porta Robinni, lagunzi, Safinni, Smeragdi, etc. Et da questi grandi homini e possenti sin a tolto exemplo gli piciolli. Et chome gli homini de mezza mane, et al quanti religiosi. Unde da ciascun savemo chel zova e torna a grande profecto. Et per- ciò volle avere grande senno a vivere et a brigare 1 un cun laltro. Vero e che fede vuole e chi no 1 avesse puocho gli porebe valere. Si chome nui savemo che alla fiata alquante in deviene in cantare sse false blastema et priega , ma alle mal- late che gle vene alle mane toiando la soa con'eza,o la binda,

(i) Si allude ivi indubbiamente a Federico II di Svevia. 11 che ci condurrebbe ad affermare, che il traduttore fosse vissuto ai tempi di codesto imperatore, del quale era in relazione cosi stretta, da inspirargli fiducia e da offrirgH il suo consiglio. Il volgarizzamento, che abbiamo nel codice Estense, è pertanto una copia tratta da quello scritto da un contemporaneo dello Svevo Imperatore. Ma di esso non ci venne fatto di trovare alcuna notizia.

(2) fol. 50 e.

DEL POEMA « DE LAPIDI BUS PRAETIOSIS » 203

0 Ila starlera, o brage, et segna in croxe sopra e sospira et sbaaglia, e spesso mesura tre fiate et sputa in terra, et alttre [sic) cativitate fasse e disse privatamentre, e poi disse per dare vista al fatto, disse . iij . patri nostri e dariti . iij . charitate, e metiti questa centura sotel capizalle del lecto, et aven chel mal gua- rise, 0 chel vi zova, o el guarise (1), no per vertute di queste malvasitate, ma per vertute della sua grande fede, e per chel non e condenato anchore a la morte, anch el sia agravato del male, per mala guarda de se, o per caxion della natura, la qual receve coruptione per molte caxione, le quale essere mudan^a di venti, puza grande, coniution (2) de pianeti, nation de stella novella, tropo caldo, tropo fredo, tropo tormento, fatiga, tropo suto, tropo moio, tropo grameza e fame, tropo sete e tropo fatigar, e tropo lavorai chomel membro della natura, et almen in chose contrarie a si, che 1 inverno, e Ila primavera non e buono alla femena, la estate (3) non e bon agi omini. Altresì nosco usare chosa tropo contra la natura, et troppo usire subitamente delle suoe ussance. In perciò, che molto po- ressemo dire delle parolle, del erbe e delle prete, non e algun che Ile debia tegnire a viltate ne a svilarle, per ciò che deo le a create cun vertute et alla nostra utilitate, chi Ile savesse bien cognoscere. E dicemo chelle se volle donare, et no com- prare, ne torlo per nesun modo, ne per nesun ingegno de avi- dimento se nno per donno, e per gratia, elle donate valeno, et giova a quegli eh elle anno chosi, pur eh elle non siano corrote per dui modi, 1 uno si e eh elle no sia entrate in el mare del sablon che se in india, in el qual mare se alguna gentrasse, ella non a più vertute, ma belleza no perde pero. Laltro modo si e selle se tegnute adesso fazando chosa per che elle perda sua virtute. Et dicemo pur delle preciouse , no delle altre. Vero he che en le prete le qualle no ven dite pre- ciouse, si e in mi. per le bellece de fuora, et per virtute as-

(1) Colla sillaba se della parola guarise comincia il fol. 50 ^.

(2) congiunzione.

(3) la està della [in margine, della stessa mano].

504

V. FINZI

cosa si he quatro (1) per numero almen, e Ile quatro entro le tute si m e viso eh elle sia più preciose delle altre, no j>er belleza, ma per virtute de grandissima utilitate. Et per piciolo presio. L una he silex. L altra he cotis, la terga he molendinaris, la quarta e calamita. Silex ciò he la petra che gietta foucho. Cotis he la petra da gufare el ferro. Molendinaris ciò he la petra da masinare. Calamita he la pera che mostra la tramun- tana agli marinari che vano per pellago. E queste pere si se tale che senga queste li homini non potrebe ben vivere longa- mentre, se non cun tropo grande fatiga, chi en pressa bene la veritate. Ben e vero eh eli e altre petre necessarie agli homini più per utilitate che per belleza, chome quella da fare calcina da murare muro. Si e veritate che multe he le prete, che ae de grande virtute, le quale se sa per viva prova. Et altre n e assay le quale a virtute, ma no se sanno. E questo essere ben per asai raxone. Et in per ciò de quelle pietre, de le qualle nui avemo veduto prova, voremo parlare, et delle altre voiemo tassere, a ciò che questo libreto no porte parolle vane, cun ciò sia cosa che Ile multe pere, de le qual dura la vertute a say, et altre siile perde per tropo veglieza, ou eli e tropo conplite, per tropo giunventute. Anche he da sapere che delle petre che se parla in questo libro, si e per numero 79, et metemole per alphabetto, a ciò chelle se possa trovare più tosto, et a ciaschuna dissemo le vertute, el collore, et en qual chosa se volle ciengere, e da qual lato le se volle portare, et da ciò che 1 omo se de guardare, a ciò chelle no perda la vertute (2), et he queste per nome.

Alabastro. Anetisto. Alee torio. Achates. Anbro.

lapides

laspo.

lagungo.

Iacinto.

Ipistiro.

Relanico.

(1) fol. 51 a

(2) fol. 51 b.

DEL POEMA « DE LAPIDIBVS PRAETIOSIS »

205

Alabandina.

Rame.

Argitides.

Rabrutes.

Amatites.

Robin.

Aconcalito.

Rebea.

Andromardaraa.

Rabri.

Berillo.

Ligurio.

Calamita.

Liparea.

Corallo.

Lazula.

Corniolla.

Margarita.

Calcedonio.

Mellachita.

Gellidonio.

Medono.

Gi'istallo.

Melanites.

Cerrano.

Menofitis.

Calcofeno.

Onicho.

Carbon.

Orietes.

Calcina ve! cais.

Optalio.

Cotis.

Calculus.

Peonia.

Diamante.

Petites.

Dionisis.

Prasio.

Dota.

Pantera.

Diacodos.

Paris.

Engranata.

Parago

Echires.

Querin.

Emathites.

Quadris.

Entropia.

Safin.

Epitites.

Smegraldo.

Euideos.

Sardo.

Grisso passo.

Sardonio.

Gagagates.

Sadda.

Galaciles.

Salenito.

Gerachite.

Silex.

Gagatroneo.

Topatio.

Grisolito.

Jencia.

Jris. -./,«

206 V. FINZI

Alabastro (1) he una petra blanchiegna et turbulente, et entremesciata de pliisior coluri, et he petra torbeta et tenera, et tornissesse, e fassene de begli vasegli, et de begli bosoli per tegnire unguenti et altre confectione. Et questa petra si a vertu in dare Victoria contra y suoi ni mici in bataglia et ciaschuna mescla si a vertute in achatare nouvele amistate si de femine come de mascli. E si a vertute d amore a servarlo nelli amici antiqui, et in recovrare li amici perduti se gi he vivi. Et he un herba che a nome allabastro, et hae quelle medessime virtute che a la petra, ma chastamente se vuole portare et tiegnirla m nudamente in panno nuovo de lino o de banbaxo. De ametisto.

Ametisto he una petra sanguinea, clara, et lucente, tenera a taglare, et venea ditta d india, et enne de cinque manere, et la più viva in color claro et sanguinea, et si e megiore, et a questa vertute ke 1 ave da d enbriare, la fa vegnire lu homo bon vegiatore de note, no lassa multiplicare in chuore li rei pensieri. Et se egli venne, tosto sen vanno, et meigiora 1 entendimento el seno sopra le cose grande. Et he un erba che a nome amaristo che a queste medessime virtute ke a la petra. ÌEt le (sic) petra e 1 erba se volle tegnire dal latto sinestro o in or 0 hen rame. De alletorio.

Allettorio he una petra blanchegna et torbollenta et sspesa (sic) et trazzie al (2) collor de cristallo, et dello calcedonio, e trovasse in lo ventre del capone. Et comenza a nascere da poi eh eli a terzo anno, o quatro anni, et he complito in cres- simento de virtute de fin a vii, et non eresse pine d uno granello de fava comunale. Et ha queste virtute, che chi 11 a cun si non vegnir morto in batagia, ne porrà perde questione in corte, et tolle la sette chi la tenne in bocha, et fasse aver gratie in catare amici nouvegi, et saver conservare gli amici antigi ad amore, et fasse la persona gratiosa in recevere honore et pla- sir da ogne homo, e servitore de deo, et esser bonno parlente, et ordenatamente favellare et vertuose le suoe parolle, e falò esser forto, e fermo, et piascevele a tute persone. Anchora move

(1) fol. 51 e.

(2) fol. 51 d.

DEL POEMA « DE LA PI DI BUS PRAETIOSIS » 207

molto la volumta a luxuriare. Unde ella he multo bona alle mugiere che no viene bien amate day suoi mariti, et en per ciò ke suoi mariti le amano. Ella se vuelle portare in bocha. Et per le altre vertute che se dite, la se vole portare in auro dal lato dextro, e vorave sempre tochare la carne nuda. De achite.

Achites he una petra la quelle viene negra, e goza si si {sic) chome vena d acqua, et trace al collor d aqua marina e trovasse en 1 isola de creta et in india, et intranbe he bone, et a questa virtute chi la a cun si, vede onne incantamento, ne no esser fatto herbe ria che gi nossa de niente. Et he buona a convocar gli demonii et gli spiriti per arte de negromancia. E fa esser la persona amore volle (1) e piascevole ad ogni per- sona, e falò devenire grande, et lonsienghero et biello parlere, et rende la persona forte. Et he contraria ad onni tosicho. Unde eh ella ha cun si no puote essere atosichato per alcuno sottigia- mento. Si valle a quegli chi minuise la vista. E fae revegnire colore alla persona nelle galte tochandolesse. E fa la persona plaxevelle a deo per buono amore spirituale fazando buone (sic) o- nore. E fa schanpare 1 uomo da multi periculi. Et he una herba che ha nome achates, et ha altre tante virtute, et vuolesse portare in auro, e non e forcia da qualle lato della persona. Si bissogna chella persona se guardi dal peccato della charne e dal speriurio etc. Be anhro.

Anbro he una petra, eh e fata per forza, et he facta del blanclio de 1 ovo coto, al quale se da collor de zafarano, et poi se mete a sechare al sole, et se ne tagia per grosso, et per sotil, et per minuto, et enfilasse en fillo et ongiesse in olio de fora. Quantt el sta più al sole, el deventa più duro et più cliaro. Et ha questa virtute, eh il frega forte per mane el olle, eh il sehalda, el leva le paiusce, si gen tene adosso. De agitide.

Agitides he una petra quasi simile a argento, et hae gotte in se simile a oro, et ha questa virtute, chello he più forte in puncta del diamante, et hae quatro chantoni, et he bona contra gli nimiei. Un de ehi 11 a cun sie no esser morto

(1) Colla vocale a finisce il fol. 51 ^ e col resto della parola more- volle comincia il fol. 52 a

208 V. FINZI

ne (1) presso (sic) se no da deo, et volesse porta in azziale. De alamhandina.

Alamhandina he una petra quasi asomigiante a calcedonio in collere, excepto eh ella scrosega alquanto, et he men del sardio assay. Et ha questa virtute chel fa descorere el sangue, che cason ogni mese alle femene esse per la natura sua, et fa el bon sangue crescere in le venne, e posse tegnire chome la volle. De ametite.

Ametites he una petra simile a lume sigilem (?). Et ha questa vertu chillae cun si, chel vede onne incantamento, et no poe noscere alchuno malefitio. De acontalito.

Acuntalito he una petra che a gota pentigle de coUore, et he pizo la petra, e trovasse in libia, et ha vertute de tute le petre segondo la pentigla del collor. De andromada (sic),

Andromadmna he una petra quadra chome un dato, et he simile ad argento, et he chom el diamante dura, et viene dal mare roso (sic), et trovase in el sablon su per lo lito, et ha questa virtute, che chosi tosto chome on la vede algun, che sia irato, chosi tosto va via quel ira, et vene de buono senno. De berriUo.

Berrillo he una petra che vene de india, et trazze a smeragldo per color verde. Ma la sua verdeza he pallida, ciò he smorta, et he de dece manere, altre he bianche e dare etc. ma el miiore he pallido, et che tm forte al verde et zallo. El so più bello taglio (2) si e de vi cantoni, et ha queste vertute, chel valle centra gli inimici privati et pallesi unde igli perde el suo vallore chome igli he davanti da quegli eh eli a con si. Si valle a metere concordia in le questione, e no poe essere presso (sic) in oste ne in bagia (sic), ne morto. E fasse la persona venire humele, et pliascevole et induse gratia a migiorare 1 en- ziegno ad inprendre el seno delle parolle. Et he buono al male de fìgato, et he bon a torre gi sospiri et le grameze de chuore, et y rotegli della golia. E sana gli ogli ke a sangue, et lagreme el fracito. E eh il strenge in mane, le mane deventa scorente

(1) fol. 52 b

(2) fol. 52 e

DEL POEMA « DE LAPIDIBUS PRJETIOSIS » 209

in si. E chi sella mete intro la pelle del odo, si viene multo honorato in quella da quighi chella a fare. E chi 1 ae cun si a carne nuda, et alla coverta, viene amato quasi per zilosia dal su più streto conpagno. Unde le femene el rechere molto per cason di suoi mariti odando (?), et ben valle, et vollesse portare in auro. De calamita.

La Calamita he una petra souza et negra, et ha collor de ferro no aguzzato ruzinente , ella bona chilla spezza deviene pellosa, et gretosa, et tras el fero a si, e fasel movere inverso quella parte che la se volge, et enne de due maniere, luna con- traria a laltra, luna el tira a si, laltra el chaza da si. Ma per amor de doe, ciascuna ha questa vertute chillae cusie sia molto bie (sic) parlare et dire le suoe parole aconcamente, et la polvere sua he bona alle plage (1) et alli ^tropici et alla splenza et alla femena. Si e bona alle femene che a guera cun soi mariti, cun ciò sia chosa che y gli se rende paxe et amore, et mollto {sic) crede ciò chelle disse. Et e bona questa petra ad ogni in- cantamento fare et a convocare gli spiriti per arte di nigromancia. A che mo digemo cheli e una herba che a nome callamita, et altri disse camamilla, et ha questa vertu medessima, et anche più de ciò che a la petra, e volse tegnire in ferro. De corallo.

Corallo se trova in mare rosso, enfm cheli e entro le le- gnosa, e ramosa a modo de rame de radixe, et he verde, e si tosto com eli e fora de laqua, ella viene pietra naturale. Et en- ne de due maniere, ciò he bianco e rosso, et he più vertuoso el rosso chel bianco in certe chose. Et dicemo brievemente eh el rosso ha queste virtute eh el e buono a stagnarci el (sic) sangue del naso , et de sotto , ciò he ciò he (sic) per la verga , et per la natura della femena , et per lo culo. Et he buono al male unde se chade alla fiata, e si e boono contra la (sic) unbre et gli spaventi de nocte, et he buono per fare multiplicare gli fructi, et gli guadagni, et la ventura et ciascuna vicenda, et he buono contra la tempesta, et contra y thoni, et contrai pollvello che sol levare alle fiate per le strate et per le place, et he buonno per fare el chuore

(1) fol. 52 d.

Voi. m. Parte I, U

210 V. FINZI

ardito et vigoroso et seguro. Et si he buono per multi altri periguli, et quanto eli e più rosso, tanto he megior in virtute (1), et quant eli e più grosso, vollesse portare in auro castamente, se volle portare dal lato sinistro, o vero in argiento, ma più vale in auro. El blancho ha queste medessime virtute, ma no si pienamente. De corniola.

Corniola he una petra rossegna in collor cliaro et torbo- lente et somegiante di collor de carne fresca lavata cun aqua. Volse tegnire in oro, et ha queste virtute che tochando la carne o in deto o al colo, la humilia le ire de quegli che parla soperbamente et sopra animo et sia bonna ad ongni disco- rente sangue, et al fluxo delle femene che solle vegnire ogni messe (sic) almen una fiata ciò he en la luna novella, et quand ella comenza de cressere. Be calcedonio.

Calcedonio he una petra smorta e pallida in collor blan- chiegno et torbollente et cliaregno. L altro he bruno e spesso, et lo terzzo (sic) he multo spesso et negro quasi, et ciaschuno ha questa virtute eh el gieta fuogo cun li a^alini, e eh il frega forte el se scalda e si tira a si la paglia, e eh il tene al collo forando e tochi la carne, indusse gratia de vencere pleidi in pallazo , e tolle via le ire ay zudessi, si he bon centra le fan- tasie, e 1 umbre di spiriti, et conserva la sanitate in buona (2) condictione. Be cielidonia.

Cielidonia he una petra, che nasce in el magon delli cel- lesini e se trova del mese d avosto, et hene de tre maniere, 1 una rossa, laltra verde, la terga negra, et he petre sozze et puzollente et ha queste virtute, che la rossa he buona al mal della luna et al ira smaniosa, et contra ogne dollor d anima, e da one debillitate de spirito, si fa essere la persona tuta piascevolle ad altri, e buono parlente, et questa petra se vuole tenire in drapo de lino dal Iato sinistro. La verde valle ad aquistare altrui amore tochando la persona cun ella, et tocando chosa da manzar chome pomo, pero, figo, et chome chosa da bevere, chome vino, et volse tegnire in drapo de lino novo. El negro valle oltra tuli

(\) fol. 53 a

(2) Colla voce ona dell' aggettivo buona comincia il lol. 53 *>.

DEL POEMA « DE L4PIDIBUS PRAETIOSIS » 211

gli noscevoli humuri, chome rogna, lagreme, sagro e cola- tura d ogli et de orecle, et he buona a ciascuna fefebre (sfc), et de scazare onne ira et inclarisse el vedere, et induse gratia d enrichere, e de venire a buono conpliraento de chosa commenzata, e volese tenere in drapo novo castamente. De cri- stallo.

Cristallo he una petra clara et biancha, et -he aqua zel- lata in tropo fredo logo, ella o regna per onne tempo in ale- magna, et ha queste virtute eh el gieta fuocho cun 1 azalino (1), et he bon a tore sete et a refredar tosto el gran calor, e re- torn al late sendo tridato in polvere o destenperato cun aqua freda, o cun boiedura, o cun buiedura de la sangue.

Cerano he una petra fatta cun una sagitta inbarbata, et he quella petra che chade dallo trone, et he en color quasi del cristallo, e del calcedonio, et ha questa virtute che chi 1 ae cum si 1 e vencedore delle soe questione et delle suoe prove, et non poe morir de thone, ne perire in aqua, e s eli e nesuna cassa {sic) 0 torre, ove sia questa petra, el thone no li noscere, e fa soniare de buoni sonii, e no lassa esser morto in batagla. Et enne de due manere, et volesse portare chastamente in chuoro.

Calcofeno he una petra negra et ha virtute in tornare la voce a cha {sic) la a perduta, et he fato come un roco et volesse tenire in recalco.

Carbon he una petra sozzia et negra, et scura, et enne XII, et la migior petra luce di nocte et in ciaschun luogo scuro. Due he le megiore, 1 una che a una vena blancha sicome la fosse omeda , 1 altra e quella che a gote si chome d oro da uno Iato e da laltro (2), e questa he la megior et rende gran- dissima luce de nocte in nell loco chella se, et ciascuna ha nome Rubin, et volle se tegnire in oro, o in arcento, et no h {sic) altre vertute, se nno che luce de nocte, et trae la pagia a si che la scalda.

(1) Colla sillaba no della parola azalino (acciarino) comincia il fol. 53 e.

(2) Colla sillaba tro dell' aggettivo altro comincia il fol. 53 ^.

212 V. FINZI

Cals he una petra chota in fogo, e quando la petra per si e bianca la ven bouna calcina, et a questa vertute che chi la bagna la vene bugiente, et desfasse in polvere. Mesclata cum ollìo, guarisse le posteme, et rosega la carne, e no lassa crescere la ria carne in le plage, et chomorpimento et aqua, a modo de spongia cota in cagolla, et ponilla in loco pelloso, fa cadere y pilli, e no gli lassa più vegnire.

Calculus he una petra che nasce in la verga et in le rene, et ha questa vertute, che sendo in la verga, ella induce venti, dollori, e no lassia pissare.

Cotis he una petra da guzare, et ene de duo maniere, luna da aqua, laltra da oglio, et ciaschuna si a queste vertute chel polvere cun spuada (?) costrenge el sangue del naso me- tuto alle tempie, et agulza (sic) el ferro et onne metallo.

Diamante he una petra negregna et he pontuta, et volesse (1) tegnire in fero, et dal lato sinestro, e ha questa vertute, che 1 e si forte, chel fora et tagla onni petra, et non se poe rumpere senno in sangue caldo di becho, chome 1 esse dalla golia. An- chora hae queste vìrtute chesscle (?) suso la calamita, o sotto quela no mov el ferro, et he bon a larte de negromantia, e tolle le paure che viene de nocte per gli spiriti, et e contraria al tosego, a 1 invidia, ay pleidi, et alle tenzone, et induse sanitate, e Ila conserva, et da Victoria contra gli nimici, et induse gratia d enrichere, si conserva le amistate, e da gratia de chatar delle altre , et vale ad indure pace et amore o sia guera, e dal di che sera in dito, avanti la persona no desca^e de lavere, ma sii multi- plica, 1 avere et li amici, et li buoni proponimenti et le buone gratie. Unde ella he petra da vantalo ad averla cun si.

Dìacodes he una petra la qual somiglia al berrillo torbol- lente, et ha queste virtute, chil mete in uno vasso d acqua el fa parere grande meravegie et incantamenti de spiriti, et quii porta cun si ad algun morto o sopra scpultura averta, el perde la vertute, et volse tegnire in oro et in argento, e vale multo alle convocatione de spiriti.

(1) Ibi. 54 a

DEL POEMA « DE LAPIDIBUS PRÀETIOSIS » 213

Bionesis he una petra negra e (1) e foscha pliena de gote rosengne (sic) et de vene, et ha questa virtute, chi la mete in uno vasello d aqua 1 aqua prende savore et odore de buono vino e no lasa inhebriare.

Doda he una petra che somigia ad oglo zalo, et ha col- lor d aqua verdegna et clara, et ha questa virtute e che no lasa venire 1 omo zeloso de mugiere ne de alguna altra feraena, et volse tenire gento {sic) dal lato senestro.

Engranata he una petra sanguinea, et he multo clara et piena de collor, et ha questa proprietate, che per hore del di e mutata in vista da più a men in belleza. Et enne de tree mainere, ciò e sanguinea, Qalla e biava meno de safin, e la blavegna he megior jaotelco (?) (2) Vero he che ciaschuna hae quella virtute, chelle alegra multo el chuore e 1 anima, e re- move via la melenchonia, et descaza via multe pestillencie, che deven in aere, chome tempestare, et he buonna ali umbre di spiriti, et da vigore a tut el corpo. Et he contraria al tosicho. E rende la persona segura da enbrigamenti extranei in le altrue terre, et dagle gratia da esser honorato entre la gente, et amato. Et de regevere servixii daltrui. Et he un erba che e chosi chiamata, et volesse tenire in oro dal lato sinistro.

Echites he una petra in collor de (3) rubine de ferro, et ha vertute che la e bona contra y dollori degli odi et contr al morso del scorpione, et contra el Auso del sangue, et principale- mente a quel delle femene et contr al vovito (sic), et a stagnar sangue.

Entropia he una petra verde cun gote quasi blavegne et verde chome smeragdi, et havene sparse chome de san- gue, et si a queste vertute che chi la porta chosi en oro, e

(1) f. 54 b.

(2) La parola jaoteleo (?) è di mano diversa da quella cbe ha scritto il codice. Noi l' abbiamo riprodoUa fedelmente, ma senza essere riusciti a comprenderla, fors' anche perchè la pergamena reca le traccie di cassatura. Non sarebbe improbabile che in luogo della parola citata se ne trovasse un' altra, che fu poi cancellata.

(3) fol. 54 e.

214 V. FINZI

soto quella sia un herba che a nome elitropia no puote essere veduto dalguno, e no lassa ensire sangue dalguna plaga, et he contraria ad onne tosicho, e discaza la lem- pesta e li spirili. E da gratia de savere indivinare et de si et daltri ciò che de essere de multe cose, e no forza da quale lato ella se porti. Ma vuole esser in auro.

Epitites he una petra rossa et clara, chi 1 ae cun si non puote essere tradito ne inganato da nesun et ki la lassa al sole, chella se scaldi, ella gieta flamma de fuoco, s ella viene metuta en un vasello che boglia el lassa de bollire, et deventa fredo, si no lassa vegnire o chelle mosche, ne ginzalle, ne nesun altro verme. Si descaza la tempesta da luntano, et gli spiriti, et onne febre calda et Tematica, et volse tegnire in argiento.

Euideos he una petra picholeta et sponzuta, che sempre suda, e mai no s asuga per caldo de sole (1) ne de fuocho, et a questa vertute che chi la mete in uno vasello d aqua freda ella bogle aloe {sic\ e no calla finatanto eh el la petra de bollire.

Grisso passo he una petra, la quale he de di rossa chome fogo, e de note he zalla chome oro, et tene in se multe gote chome d oro, et he petra più torbollente che clara, et ha questa vertute che chi en tocha alguna persona per amore, ella volle gran biene, et far avege oni servisio. E chi de tocha al- chuna persona per male, ella devegnira sorda del senno, et he chome mata, e no esse de questa finatanto eh e Ila no viene to- chata per buono amore cun ella.

Gagates he una petra leve et negra in colore et cliara, et ene de zale, et entranbe anno queste vertute che chille scalda elle tira a si la paggla et ferma y denti che se delle quasi per gotte, e descaza via la gotta. Sella femena viene fumaci di sota d ella, el viene la sua rasone, eli suo fumo he buono a quigli che cadeno del male della luna, et si descacia le bisso et li rangni et li rospi dey luochi, et no gli tornano per iii. misi. Si deschacia gli demonii de corpo aghi (sic) homini. Elli spi- riti convocano per arte. Et he buona la sua lavanda agli ytro- pici, et al figato, et alla spegna, et ahe {sic) vertute contra le

(1) Colla seconda sillaba della parola sole comincia il fol. 54 d.

DEL POEMA « DE LAPIDI BUS PRAETIOSIS » 215

paure de nocte, e contra incantamenti (1) e lolle via ogni dollore de corpo, et fasse via^amente (?) in parturire, e fae savere se una fantessella he polcella per questo modo, che chi lava la petra in aqua e dalla bevere, s eli e polzela ella deventa alegra e comenza a chantare, e s ella no he polcella, ella la pissa e no la tegnire, et deventa grama, smorta et tremo- lenta, et volse lenire in oro.

Gaìatilles he una cenericia, et hae queste vertute, che s eli api^a al pedo, el cresce el lato (sic)^ e chi sella apicha al peteneclo, ella parturisse più tosto et senza tanti dolori. Ghilla lava in aqua, et de quel aqua lave le peccore, elle guarisse della sua rogna, et spandella ogne die in lo pegorille, et gli abonda el late.

GeracJdte he una petra negra, et ha queste vertute, ove he, el no gli poe aproximar mosche, etiamdio sei fosse san- gue fracido, o melle, e chi 1 a cun si viene amato da ogni per- sona, et volse lenire in seta verde.

Gagotroneo he una petra somegiante alla pelle de capri- olo, et ha questa viriate, chi 1 ae cum sìe non esser morto ne preso in ba taglia, ne per altri se no da deo, et vo- lesse tegnire in ferro molle et no in alalie.

Grisolito he una petra zala chome oro, et reluxe cliara, et in collor (2) sem piamente somiglia ad aqua de mare, et hae chotesta vertute che in oro si valle a far cager gli dentti et descaga gli spiriti e gli demonii, et noi lassa veguir le fantasie et ca^ha via le raelenchonie, et megiora sotilmenti 1 encende- mento.

laspo he una petra naturale, et ene de xii. maniere, altre verde quasi smeragdo, allora he spesso, lallora he più grosso de collere, altro he rosso luto, altro verde, altro negro et tene a chalcedonio, altre he en pentigalle di diversi collori et he complito, eli e varo {sic) en gote, et in vene de diversi collori, et a tante virtute chome colluri, et generamente ha queste vir- iate, eh elio stagna el sangue del naso, e Ilo sangue delle femene

(1) Colla sillaba ti della parola incantamenti comincia il fol. 55 ».

(2) Colla sillaba lor della parola collor comincia il fol. 55 b.

216 V. FINZI

che esse de sotto, e descaga le febre e Ila ytropesia, et he buono al parto, et contra le fantasie et alle paure de note et costrenge la luxuria, et tiene la persona chasta e la natura, et scanpa la persona da multi mali picioli, e no lassa noscere (sic) le herba rie, e resana gli ogli dalle bruture, e conforta 1 viso e vale alle meroede. Et da megioramento ad onne piaga sei la tocha spesse fiate, et volesse tenere in arcento dal lato sinistro chastamente. Et he un herba che a nome chosi, che a queste medesime virtute.

lagungo he una petra blavegna e no cotanto chom el sa- phyr, et le virtute le qualle se disseno in 1 engranata (1) unde lezzie de 1 ingranata, e siile saperai, enpercio chel lacon^o e 1 engrana (sic) et el iacinto e tuta una chosa quasi in virtute.

lacincto he una petra molto zalla et piena de collere, et he appellato ingranata, unde llae quelle medessime virtute. Et una erba che viene apellata la^olla hae queste medesime virtute, et chosie se vuole teggnire.

Ipistiro he una pietra rossa, et relucente, et he (sic) queste vertute, chilla mete in mosto, no bughie più et deventa claro, e stae sano et dolzo e sei viene metuto suso ad alto, el non vade stornegli ne ocelli, per bechare ne per fare danno. E eh il mete in el fundo d un grande fliumo, el segli lieva grado nevule, e thocha sei tempo in quel logo, et qil mete al solle, el se schalda e buta fiamma de fuocho, spesse fiate schan (sic) la persona eh ella non può esser tradita ne morta.

lencia he una petra sozzia et negra più che in altro col- lere, et ha questa virtute, che chi se la mete souto la lengua che quanto el gella tiene non esser veduto, et dona spirito di sapere profetizare ciò ke de essere, chom ave merlino, et erage asay de queste pietre, et trovassene nelle gliare degli fiumi che menano giarolle. Unde li latroni et i cantaturi (2) la solleno multo domandar.

(1) Colla sillaba en della parola engranata finisce il fol. 55 ^, o col resto della parola comincia il fol. 55 e.

(2) Colle 3 ultime sillabe della parola cantaturi comincia il fol. 55 ^.

DEL POEMA « DE LAPIDIBUS PR.4ETI0SIS > 217

Iris he una petra che somiglia al cristallo, perche la se blancha e cliara , e trovasene in el mare rosso, e ha questa vertute, che chi Ha mete al sole ella mostra 1 arcunbe (?) allae pareane et ay muri, et entorno, e de ciiotalli collouri.

Ligurio he una petra che someglia al brunco del qualle se fa le canpane, et ha questa virtiite che chillae cum si, scanpa dolouri del ventro, et de debillitate del stomaco, si stagna el sangue, e retorna bel collere che sei frega alle gotte, linde le femene eh entende ad amore 1 ussano molto, et chi la scalda èva la paglia.

Liparea he una petra vara de molte magie, et ha questa virtute, che ci {sic) lae cun sie andando a cacare ordinatamente, el gle viene gratia de pigliare delle salvaisine, et sei vae ad oxellare el no torna senza oxelli.

Lacula he una petra blancha, che sente de bianco mar- more, et fasene bono azuro, segundo come la e bona in collere.

3Iargarita he una bianca a la qual si dito perle, e nasce in el corpo della ballena eh e pesse de mare, e trovansene nelli caparoQolli longi et in multe chape de mare et concriasse della roxate del ciello ogni (1) nocte per li scorgi che s avreno et no cresce plui de grossa noxella. E quanto elle he bianche et pliu grosse elle suno megliore, et ha queste vertute, eh ella stae bene et rende nominanza de grandeza, et de richeza, e conforta molto el chuoro, el spirito et dagli grande forteza et strenze la grande solutione. Unde gli medissi la fae alla fiata tridarla in porere, et meterla in confectione ay centili homini.

Mellacliita he una petra somegiente al laspo, e someglia al smegraldo, excepto chel he plii spesso, et ha questa vertute chella scampa gli fanciulli de contratura, et dall malie della luna, et de spaventi, et volse lenire in pano de lino nuovo ascousa tuta.

Medono he una petra, che se verde et negra, e no hae nessuno perfecto collere, et ha virtute in scliarire el verde et en guarire le podrage et le femene dal parto. E volesse lenire api- cata, cun capilli et cun lana.

(1) Colla sillaba gni della parola ogni comincia il fol. 56 ».

218 V. FINZI

Mellanites he una petra che ha collor de mele cotta, et ha questa virtute chi Ila tenne in bocha, ella fa dolce alla bocha.

Meìioficis he una petra che ae collor de terra uno pocho calla, et hae questa virtute, che Ila polvere de quella piantata suso un apostema, o en altra plaga non lassa (1) sentire dol- lore de cavo, el qtial fa el medico, et chi la mescla con bouno acieto forto, et bagnisse le mane, et poi pigia un fero abrasiato di fuoco in mane, el no porrà niente, ne no scotera niente.

Onico he una petra somegiente al collor delle dite delle mane, et per entre vienne blancha, et altro ne quasi negro et anche questo viene alquante fiate de dui collori, gio he blanchie- gno et negriegno, et e ciaschun spesso, et ha queste vertute, chi Ila porta al collo, o en le dite delle mane tanto quant el gielo tiene, eli sta de mala voluntate, irato , gramo et spauroso. Ma sei sardo incontra, el perde tuta la virtute finatanto che gel sardo. Non e forga da qual lato el se tiegna.

Opatalio he una petra che ae in si multi collouri et diari, et gli anno a modo de macie. E tante vertute ha, quanti y collouri, et a tute le vertute de quelle petre che se de cotalli collouri, e vollesse tegnire in conficion, che sia fata a divisione de metalli ciò he de oro et de argento e de othone etc. Et ca- stamente se volleno portare.

Orietes he una petra in collor negra et clara retondell et ha macie verde. Le suoe vertute se riee {sic) et dannose, e quanto a deo et al mundo, et perciò nelle (2) dicho. Unde chi Ila trova no Ila teglia e no Ila porti cun si, sei no volle avere mala ventura.

Peonia he una petra che a virtute in fare parturire via- gamente la femena gravida, e piera rotunda et he pregna, et ha collour negro chome la radice che viene appellata peonia, e vollese tegnire in mane.

Fetites he una petra et ha queste vertute chi Ila strenge in mane ella scota la mane chome foucho o prona.

(1) Colla seconda sillaba della parola lassa comincia il fol 50 ^.

(2) fol. 56 e.

DEL POEMA « DE LAPIDI BUS PRAETIOSIS » 519

Prasio he una petra che ha collor de fuora de porro verde, et hae in se blanchece, et ha queste vertute eh ella conforta 1 viso et s il pegiora e retornallo in suo stato.

Fanthera he una petra che ae in se grande verietate (sic) de collori, et no he callor alguno eh ella no habia in si, et chi Ila guarda in el solle si li trova et velli tuti perfecti, et hae tante virtute quante varietale ella hae de collori. Anc- chora dicemo eh ella hae tute le vertute delle altre petre, et perciò sella buona et bella, et non se porebe conperare per al- cuno precio, unde questa petra viene d india. Et anche se vuole vedere spesse fiate, et tienirlla in una confectione, che sia d onne mainerà de metallo e gli metalH naturalmente piciori, chome plumbo, stagno, rechalco, couro, ramo, argiento (1) et oro. Unde chi vuoile vedere la sua virtute, sapia le vertutte de tute 1 altre.

Paris se una petra blancha, et he quasi cliara,. ne no a vertute se nno polverizzata. Unde chi a tropo sallato in alchuno cosinato, s el gli mete de questa polvere el menima.

Parago se una petra negra negra, et cun questa se prova gli dinari, 1 oro e 1 argiento per fregarlo suso cun mella.

Qiierin se una petra sozia de collere et de forma, et tro- vasse in lo nido delli galli de paradisso , et viene dito a questo usello upega, et ha questa virtute chilla tiene sot el chavo del lecto de nocte in dormando, vede quante meraveglie et grandi incantamenti, et chi volle savere 1 altrui credenza, metegella sot el chavo dormando, e poy domandi, et el dirae la ver- tute del quel eh el domandara.

Qiiadris se una petra che se trova in el chavo del avol- turo, et vai centra onne chosa nocievolle, et fae crescere el late, e gli pieti, se igli ne viene tochati.

Bohin se una petra rosa (sic)^ no molto bella in vista et ha nome charbon, et luce al scuro, et enne XII, el bono luce de nocte, et ha una vena blancha, et ciaschuna a tropo grande vertute. Und el rosso, el calo, el sanguineo, e ciaschun delli altri per

(1) fol. 56 d.

220 V. FINZI

le vertute non se potrebe paghare in dinari che chi llae in oro et portallo chastamente (1), si ven amato, servito, et honerato, et apresiato et honerato, et viene a honore et a grandeza et a ri chezie. Schanpa de multe vendete de suoi nemici, no chage in mane del malfacturi, et sei desidera bene alchuna chosa, et el sai de sii va quasi onni chosa ben, non esser morto a gla- dio, ne presso (sic) in bataglia ne morire de morte subitana, si gli cresce onne bona ventura avanti, si che fato se vae sempre de bene in meglio, et si se vuole tenire dal lato dextro. Et se cun la petra fosse della cilosia si valle mieglo, et he un erba si- gnata in la foglia.

Rehea se una petra da dui scorci daqua dolce et he ro- tundella et se un poco chavata da un latto et se naturalmente freda et humida, et la polvere de quella valle alla pizattura del scorpione et dy rangni, et dey ebani rabiosi s ella s e bruxata. Si valle ad onni plaga sechare degli suoi, et secha bene le le- greme de gli occli.

Rahri se una petra, et he rossa, et altramente se appellata bollo arminio, et viene de armeni, et ha queste vertute, che Ila se tiene forte alla lengua, e stagna el sangue unde 1 esse.

Bellanico se una petressella, che se trova in el ventre della chalandra de india, et se cliara, et lucente et pinticlada de di- versi colori, et propriamente di collour violato et sanguineo. Et ha cotesta virtute (2) chella se volle tegnire in bocha, ciò he sotto la lengua, e quando la luna he prima, el sae indivinare ciò chel de avere o de bene o de male per tuto quel messe, fogo negli poe noscere niente.

Rame se una petra piciola e valle a intropici, et muta collori, unde alla fiata ella e blancha, alla fiata se rossa, et alla fiata se fesca ove el sole pare.

Rdbrutes se una petra molto clara et lucida, et blancha chome cristallo, et ha questa vertute, chi lae cun si in sua biava (?) 0 in arcento, et puoi in oro, el ven honorato, amato et pretiato molto, e per questa receve de grandi servisii, et

(1) Colle ultime 3 sillabe della parola chaslamente comincia il fol. 57 a.

(2) Colle ultime due sillabe della parola virtute comincia il f. 57 ^

DEL POEMA « DE LJPIDIBUS PRAETIOSIS » 221

non puoe essere atossichato el vino nell aqua, ove la sse lava questa petra. El resana el figato, et la spengna.

Safìn se una petra biava et cliara in collor: la migliore se orienttalle no multo cliara, et hae en si puncti chome oro en modo de polverelli reluce in si a modo di stella. Und ella e più sozza che bella. Ma bella se buonna, et volesse tegnire et por- tare in arcento, dal lato sinistro et chastamente. Et hae queste vertute che chi lae cun sie he gratioso, in metre paxe et in tractare concordio, et en li plaidi. E valle a trovare amistate buone, in recovrare le perdute, si descaga ogne febre et con- forta 1 anima, el chuore et el viso, el stomacho, et strenge el sudore, et eli sangue del naso, e Ila infirmitate delle (1) fe- mene, si descenfla ogni enfiatura, e no lassa andare el male più avanti e destrenge le posteme, et vince el tosicho, et ain- cide gli rospi e gli scorpioni e gli rangli. Et tegnalo davanti gli suoi ogli, et la bocha, et tolle via onne infirmitate d ogli cioè maculata sangue, inflature d oglie, et lacrime, et encliarise el viso, et he buono alla magranicha, et reduse onne plaga a sanitate, et chi llae perduta si Ila recovra. E fasse vencere gli suoi plaidi et prouve. E fasse venire gli buoni pensieri et gli buoni proponimenti. E fae 1 omo gratioso et aver bona nome- nanga, et esser honorato in la zente et fasse crescere le richece, et conserva quel chel trova in valimento. Und ella in- duce et senno et gratia da guardarse dalle brige et dallae tra- vaglie per perdere el suo avere. E valle al parturire et altre vertute asay. Et per ciò no se porrave per presio comperare. Et he petra multo davantagio et aiuta in [sic) poveri homini, et a ensir de povertate et de miseria.

Smeraldo he una petra verde et cliara, et enne de XII maniere, et el migiore ha con si goute, simile chi la guarda soutilmente a rame, o ver a sale, over a piunblo, et quant ella e pine, sie migiore, et ha queste virtute, che 1 enduce richece a chil porta, e da gratia a parlar biene, et cun dolzi paroule che piaceno multo a chi Ile scholta. Et fae vencere le suoe prouve et li suoi pleidi. Et se buona al mal della (2) luna,

(1) Colla seconda sillaba della prep. delle comincia il fol. 57 e

(2) fol. 57 d.

222 V. FiNZi

allegra el viso et fai soutille. Et fa vegnire el spìrito molto sot- tile a sapere chose asai. Et fasse la persona molto stabille, et bien recordevelle, e si dischacia la tempeste et le paure delli spiriti, et induce sciencia multe volte a profetizare molte chose che de vegnire, et altre virtute a say, e no lassa deschaciere la persona cheli non habia da lavorare dela sua arte, et vol- lesse tenire in oro dal lato dextro, et chastamente.

Sardo se una petra rossa, et tiene questa virtute, che Ila tien el chuore allegro et conforta 1 anima, e fae la persona vi- gorosa et ardita. Et sotiglia la mente ne le chose, e no lassa noscere le herba rie negl incantamenti, et volesse tenire in ar- gento, e non forza da qualle lato el se tiegna.

Sardonia se una petra che tiene trii collouri, blancho, negro e rosso ciò he diari. Et a questa vertute, chel fa la per- sona humele chasta et vergun^iosa, et vollesse tiegnire in ar- gento, et no foiTia da qualle lato.

Sadda se una petra, et somiglia al prasio. Ma si ae questa vertute, chella no lassa malie arivare gli nouclieri in porto, et vollesse tenire in luocho inpegollato.

Sillenito se una petra piciolla et somiglia al laspo. Ma ella reluce et he cliara, et ha una madia molto blanchia, e fata chome la luna cornuta, et a questa vertute, eh ella recun- pra tuti gli amori e Ile amistate perdute (1) et reduce onne infirmo a sannitate, et sia qualle malie el voglia, et vollesse tegnire in oro et tochare la carne, et sia da qual lato lon voglia.

Silex s e una petra rossa et gieta fuocho cum 1 azalino.

Topatio se una petra zalla, et enne che trasse in rosso, et he cliare, et quella *che se zalla somigia a oro, et ciascuna ha questa vertute, eh ella e buona al male della luna, e destrenc el mal delle femene e valle alle merhoede et alle lagreme degli ocgli. E no lassa morire de morte subita na, et da grande richece, et de avere amore dalle persone e volesse tegnire in oro, et no forza da qualle latto si vuole tochare la charne.

De marcio, en li die caniculari se alguno torrae la cesilla de nido, et quella aderberà ligandogli un fìllo de seta alli pici,

(1) Colle due ultime sillabe della parola perduta comincia il fol. 58 a.

DEL POEMA « DE L.4PIDIBUS PR.4ETI0SIS > 223

et in elio quarto die la visitarai et alcìderay tu gli troverai tre petre intr el ventre, una delle qualle serae rossa, la secunda blancha, la tercia verde, le vertute delle qualle de sopra se, si chome dice 1 lapidario.

El libro comen^a a favellare delle petre, e complesse a questo loco, per la qual chosa nui laudemo dio el quale ne ha dato gratia de sapere parlare, e de sapere cognoscere molte chosse in questa vita. Ma volemo dirre (1) una parolla sopra le petre , che ciascchuna quanto s e mescliata de diversi collouri, 0 de magie, o de vene, tanto e più vertuosa, anche no para più bella. Et perciò a quellor chen challe guarde le bone soutillemente a queste chose. Et he da sapere, eh el poe si ben aver vertute la petra picciola chome la grande. Anche la no sia tanto apreciata. Et multi s e inganati a questo ponto deo gratias. Amen.

Expliciunt verfutes lapidarij

De virtute lupi.

La vertute del lupo s e chi bevera el suo sangue, deventara rabioso, et per alchuno modo no se puoe sannare. El suo oglo dextro portato ascossamente farà grandi facti de sua persona. E eh il porterà adesso, tutte le bestie selvatiche et desmetege fugira, et queluy che I avera questo oglo dextro porrà passare seguramentre dentro y suoi inimici, et noi tochera, e sera libero, et venzerae ogni cassione e rassione, et tute le fantasme chacera via et deschacera onne vigor de febre. La pegora no passa mai de sopra la pelle del lupo. El figato del lupo, secho e tridato cun melle et dal bevere alli reschaldati del figato perfettamente sanara, e somigliemente quegli ke che {sic) chage della luna, et gli smaniosi, et etiandio el suo dente canino chi 1 apichara al collo del luna- tico, ciò he, chi cha^e della luna o navamente chi se spaventato de die, e de nocte, et per sonnio terribelle perfectamente sarae (2) liberato. Loglo dextro del lupo, el primo nodo della cauda inscembre portati propriamente in uno vasello d oro farae po- tente glorioso et honorevole et virtuoso et richo, et dalle femene molto amato et braciato, quegli che llavera sopra de si no pora

(1) Colla seconda sllaba della parola dirre comincia il fol. 58 ^.

(2) fol. 58 e

2*24 V. FINZI - DEL POEMA « DE L4PIDIBUS PRAETWSIS »

avere postema, et se algun avesse postema, et sera tochato cun quello el guarirà spetialemente intro gli ogli. El felle de se secho et chaldo et tridato cun aqua volle essere spesso et ongiere gli ogli si gi purga sopra ogne dolore ressana. Se tu toray 1 osso del collo del lovo apichato al collo de chi a male de pasmo grevemente sera sano.

La virtute del punhiolo s e questa eh el fasse figioli in el mare et de fina che li figioli s e in le ove el he bona^a, et da poy che y figioli vola in mare, el deventa multo reo tempo in mare. Se tu torray gli ogli de questo osello et secharli, et metreli in uno panno de lino, et ponilli de oliavo d uno che dorma volentera, over averae el male della dormia, el no porae più dormire. E eli {sic) porterà quegli ogli sopra de se, no porae avere paura d alchuna tempesta. E s el nocliero de la nave portara questi ogli sopra de sie, non aver paura de tempesta ne de mina, et governara ben la nave, et somigiante- mente chi porterà el suo cuore adoso, el sera pacifico et amato da tute persone et sei se congiunzera in mezo degh suoi nimici (1) no porrà essere dannato ni da vernie, ne da tempesta, ne da folgore, ne da tempesta de mare, el sera in gratia de ogne homo, et el chuoro de quello medessimo sei se mette in la soa pelle propria, et mittigi de 1 oro. Gli peschaturi pigiara multi pissi se gli avera el cavo ovver el ventre sopra de sie. Si sana indemoniati. Si colorai 1 oxello brussato cun le suoe penne, sei sera questione, briga ne controversie in alchuna chasa si metera pace.

L anguilla si hae virtute, chi tolle la felle et el figato, e sechello et messello cun vino et deallo a bevere a eh il volle in ascoso, si no porrà mai più bevere vino. E se tu vuoi fare per un altra manera, toy 1 anguilla et fala morire in vino e dagie bevere. Anche hae un altra vertute, toy V anguilla et brusella, et da la povere {sic) a chi tu voy, che abia male de stomacho, de presente sanara.

V. FiNZi.

(1) Colla sillaba ullima della parola nimici comincia il fol. 58 d.

MISCELLANEA

OSSERVAZIONI DI UN LETTORE

Vili.

Ambra (1).

Ogni scienza ha una casa. L'uno vi sta di suo e r altro a pigione, chi a tetto e chi giù in cantina : e alla porta ci sono cento uscieri con tanto d' occhi e tanto di mazza, cosi che l' entrare non è facile ed è pericoloso, a chi viene di fuori, averci l' aria di padrone. Aiuto fra buoni vicini, ma con semplicità e con modestia.

Questo libro, parlando a' geologi, discorre anche sulla storia di una parola : e , se a que' misteri della na- tura, non oserei metter bocca , direi quasi metter l' oc- chio, di quello che fecero e dissero gli uomini non sarà ardimento soverchio il rintracciare la verità, o conten- tarsi di non abbuiarla.

Cominciamo dal Genesi (2, 12). Alla conchiusione del Martini (2) intorno alla voce bedolah\ dopo lunga ed erudita dissertazione, arriva anche il Gesenius nel

(1) A proposito del libro L' ambra nella storia e nella geologia di A. Stoppani, Milano, 1886.

(2) ft II vero senso di questa voce , dice il Martini , è sconosciuto » <pag. 8).

Voi. Ili, Parte I. 45

226 MISCELLANEA

Thesaurus (1, 180): i settanta ci danno il rubino (av^pa^), le perle il Diodati, seguace dei vecchi rabbini, e il Bun- sen, nella maestrevole sua versione, lascia intatta la pa- rola. Quel pSsXXtov dei greci, poi accattato dai latini, ha r aria di straniero e si vorrebbe collegare con la voce semitica: che se alcuno domandasse se il bdelUum sia stato assomigliato a gomma (1), gli risponderebbe forse il bdellium arabicum che è in Vegezio (p. 6, 12, 1. 5).

Che helektron ed helektros si spieghino opportuna- mente col ruc indiano, e accennino a splendore, è opi- nione di Giorgio Curtius (2); da non darsi come indi- sputata, benché probabile.

Ma V ambra"! Qui divento cattivo per forza. Dice il libro (pag. 9) che i latini più tardi preferirono amber, ambrum, àmbarum. 0 come più tardi? Intendiamoci: se tutti i libri scritti in latino ci dessero la storia dei nostri vecchi, quale Babilonia! No, no: quando gente che scri- veva latino si trovò a dar nome a quella cosina lucente, e non rammentava il succinum, tolse quello che correva sulle bocche di tutti, e se lo vesti alla meglio. L' ambra è araba: e se intorno alla genesi delle parole avessimo sempre la stessa sicurezza, saremmo fortunati davvero. Da queir "anbar ( da pronunziare dmbar ) derivò dunque, oltre alla voce nostrana, V dmbar degli spagnoli, Y alam- bre dei portoghesi e il resto.

Tanto anzi entrò nell'uso spagnolo che opportuna- mente il Mahn, nelle Etymologische Untersucìmngen (n. LV), ne trasse anche V amarillo, e fu approvato dal Dozy (Glossate 189); l' uno e l' altro ritengono che il nome dato prima all' ambra grigia sia stato trasportato alla gialla.

(1) « Ignoro se il Bdellium di Plinio sia stalo identificalo con al- cuna delle gomme odorose che si conoscono attualmente » (pag. S).

(2) a I greci chiamaronla elektron che vuol dire cosa splendente » (pag. 8).

MISCELLANEA 227

Chi non vuol correre, e inciampare, non pensa di certo alle genti germaniche (1). I tedeschi, dal quattro- cento in poi, dissero appunto bernstein (e barnstein) e barnsteen gli olandesi (2); ci ha che vedere il bru- ciare, il brennen. Nei secoli precedenti, i tedeschi, in- tendo i tedeschi veri del mezzogiorno, non i sassoni di settentrione, dicevano gismelzi, g esmilzi (da smelzan, fondere ).

Un' altra voce abbiamo noi , cioè carabe , come i francesi hanno carabé. Dice la Crusca che la voce è araba, e dice bene ; benché fosse meglio avvisare che se la presero gli arabi, ma che, di nascita, è persiana : quelli usano kdhremdn, kdhrabd, kdrabe, ì persiani kdh-rubd e kah-rubd (Vullers 2, 787), che è proprio quella che tira la paglia: il turco copia (kehribdr, kehnibd) , e il greco rinnovato xtxptp-Triapi, laddove con apigapK; ac- cenna air ambra grigia , e cosi il turco a kehrubd ag- giunge gara (negra) quando pensa alla gagata.

L' etimo persiano ci fa pensare all' indiano tma- grdhin (che prende le foglie), se non che codesto è un nome del zaffiro , come trnamani ( gemma dell' erba ) ; dove non si credesse a qualche lessico che cosi chiama r ambra.

(1) « Io credo molto più probabile quello che dicono altri i quali fanno derivare la parola ambar dal belgico anbernen che vuol dire ardere, bruciare ... . Bernstein deriva evidentemente da brennen (anti- camente bernen) che significa appunto bruciare » (p. 9, ecfr. pag. 11).

Fonte è il Belloguet: « L'ambre se nomme en irlandais omra, om- bra et ornar, écossais id., doni Brandes, p. 288, fait deriver le terme franpais que je croirais plutòt d' origine germmique {anbrennen, brùler), ainsi (juc le mot irlandais qui est isole dans cette languc ». Ethnogénie gauloise I, 169.

(2) Nell'olandese di medio evo bernincsteen e barningsteen: e il verbo si scrive in più maniere bernen , berrenen , barmn , barrenen e bornen; come si può vedere nel Vervvijs, {Middelned. Woord).

228 MISCELLANEA

A nessuno nuoce la poesia ; ravvivatrice così de' geo- logi come dei linguajoli: e giova rammentare la lagrima di Agni che diventa elettro, l' oro argenteo, a quel modo che il pianto delle Faetontiadi si tramuta nell' ambra ; come ce lo dirà Adalberto Kuhn (Aegyp. Zeìtung 1873, pag. 23) : e chi avesse curiosità dell' elettro, che è forse Vasem degli egiziani, può consultare il Lepsius (Memorie di Berlino, 1871, pag. 43).

Molti punti oscuri veggo da lontano : non già V ir- landese, che da altre nazioni (1) ebbe la voce arabica {ómra, ómbra, ornar), ma mi arresta un nome dato al- l'ambra nel gallese, che è gtvefr: e mi arresta ancora quella serie di parole che ci offrono il lituano (jantaras), il russo (jantaf), il boemo e il croato (jantar) (2); segui gli slavi anche il magiaro (gyantdr), che copia insieme i tedeschi col borostydnkò, che è proprio bern- stein (kò = pietra).

Dunque, e questo mi preme, parlando d'ambra la Crusca aveva ragione (3).

IX.

Con parole briose e con grande ricchezza di pro- verbi, alla spagnola, il sig. Giuseppe Jordana y Morera

(4) Come dal francese l'ebbe la lingua che dirò germanico -scozzese, nel periodo mediano, dopo il secolo XV : ove troviamo lammer = V am- bre. Cfr. Murray, The dialect of the southern counties of Scotland Lond. 1873, pag. 58.

(2) Nello sloveno antico jantari. Nel cattivo latino dei bassi tempi e' è un gentarum.

(3) Piccoli errori di slampa che vogliono correzione sarebbero ko- koi-noor (2) invece di koh-i-nùr (o noor all'inglese): Xiyyoupiov (0) per XuYYOiiptov : inacquale benjllos (27) invece di inoequales hcryllo Ouv. 5, 37): jaceat (28) invece di jacet (Mart. IV, 59) e, nello stesso luogo vieta invece di vincta; dove si avrà a ritoccare la vei*sionc.

MISCELLANEA 229

pubblicò nella Revista contemporanea di Madrid (1887, tomo LXV, pag. 232-246) un suo passatempo vernacolo e lardellato, sopra V uso delle voci caramillo e sisallo. Vi si studiano con diligenza grande le tradizioni dei bo- tanici e dei vocabolaristi: e si conchiude che caramillo 0 carambillo (1) è il nome della Salsola vermiculata, detta invece sisallo nell'Aragonese e diversamente al- trove ( a Madrid tarrìco , in Alicante barrelleta , sosa in Orihuela e via via): che poi xixallo o jijallo, come scrivono alcuni, non è detto che per errore corrispon- dere al codeso o citiso; che il cytisiis è una leguminosa.

Di qui muovo per venire ad un'altra osservazione. Avverte il Jordana che primo a registrare la voce cara- milla fu il Velàzquez de la Gadena, nel suo Pronoiincing dictionary of the spanish and english langiiages , stam- pato a New York nel 1852 ; ma anche nel 1832, e certo nelle edizioni anteriori, ci dà, caramillo, glassivort, sal- twort. Salsola kali, il vocabolario del Baretti rifatto dal Neuman (2).

Se proprio abbia raccolto la voce il Baretti fino da quando diede fuori il suo volume (nel 1778), giudichi chi può consultarlo (3): nelle nostre biblioteche lo cerco inutilmente per vederlo , e dai librai d' Inghilterra , per

(1) Como, por igual metaplasmo, se dice malamente carambelo por CARAMELO. (JoRDANA, pag. 235). Il DiEZ {Gram. Il*, 372) cita dombo sp. e (381), tómboro pori, [dove e' è anche tómoro e cómoro]. Tutti pensano a flambé, flamber e a grembo. A rovescio avviene in lomo ( = lombo), palomo (= palombo).

(2) Neuman and Baretti 's Dictionary of the spanish and english languages. Boston, 1832.

(3) Nel più recente de' lessici stampati fuori di Spagna, nel Nuevo diccionario espanol-alemdn di L. Toliiausen (Leipzig, Tau'chnilz 1888), e' è : caramillo ( e carambillo ) = Salzk^aut : jijallo = Geisklee e citaso

'=: Gleisklee, codeso = Zoltiger Geisklee. Qui è citiso alla latina: nel Jordana la voce é sempre baritona.

530 MISCELLANEA

comperarlo. Non sarebbe male che dei pregi di quel vo- cabolario, come dell' inglese e italiano, si trattasse parti- colarmente ad onore dell' illustre piemontese , ardito e imprudente nelle battaglie di critica, paziente ed accurato nella erudiziona delle lingue.

Dicevo ricco di proverbi il Jordana, ed eccone uno (alla pagina 245): biisque V. a Marica por Rdvena{ì)y e di certo la Manetta non si troverà. Sarebbe a vedere se lo scrittore tolga il detto ai libri o se veramente viva sulle bocche del popolo. Intanto aggiungo quello che forse sfuggì nelle battaglie fatte sulla interpretazione della Maria per Ravenna. La rammenta il Cervantes e quello che vi aggiunge serve di commentario ; o venga solo dal grande poeta, o sia memoria di tradizioni del secento; cosi che lo spagnolo rinvigorisse quello che forse si in- tendeva allora anche in Italia. Il luogo al quale accenno è nel capo ottavo della seconda parte nel Don Chisciotte : asi sera buscar a Dulcinea por el Tohoso, corno a Ma- rica por Ravena, ó al bachiler en Salamanca. Troppi ce ne sono!

Prima di lasciare le parole di Spagna, ad una mi arresto che, un pochino in maschera, vive anche tra noi. Il paravento è detto flomba a Milano, e piombo a Siena, e, se non erro, anche a Roma. Il paravento non è, come dicono i tedeschi, la parete spagnola"! (spa- NiscHE wand): e infatti lo spagnolo dice biombo. Dice cosi, sensale dello stromento e del suo nome; perché questo non è che cinese e pronunciato alla giapponese.

(1) Meno buono è tra gli spagnoli questo uso di Rdvena per Ra- vena. Agli sdruccioli tirano assai: (cfr. Césana =r Cesena) e cosi si vendicano dei nostri, ostinati a mutare in Cordova anche Cordova.

Noto che Ravenna dicevano anche i greci : e a' greci e a Strabene, penserà chi vuole cercare il mare: (il geografo dice V. p. 213: che de- clietai d'oy mikron t(^s thelaltùs meros en tais plómmyrisin ).

MISCELLANEA 231

Ecco in che maniera: il cinese dice ping-fung (1), e il giapponese, accomodando alla sua bocca la voce stra- niera, ne fa biyó-bu (scritto bi-ya-u-bu), come si può vedere nel Hepburn (a folcUng screen).

De' Spagnolismi e francesismi scrisse poche note Anger Antonio Meschia maestro elementare in Zanga- rone albanese, (Bologna, 1884). Beate le scuole, i gio- vani, gli ispettori, i ministri se non ci fossero che i Meschia! L'uomo dotto e ingegnoso che si nasconde, non troppo bene, sotto umili veste, non che un tocco di campanello, e avrebbero ad accorrervi molti e da molte parti per aiuto. Cercare e dire dove lo spagnolo si abbraccia fraternamente con l' italiano , che bella ed utile fatica! più triste, ma necessaria, è quella di vedere le strette non amorevoli del padrone, e i segni rimasti della servitù nelle parlate delle provincie, dove Spagna fu più a lungo potente e prepotente.

Sulla storia dei suoi in Italia cominciò uno spa- gnolo a darci un libriccino che ne tirerà dietro altri: e che presso di noi andrebbe sfrondato insieme e nu- trito, scemandovi le parole, crescendo i fatti, rivedendo i giudizi. Il volume ha questo titolo: Estudios sobre la grandeza y decadencia de Espana. Los espanoles en Italia, por D. Felipe Picatoste. Madrid, 1882, voi. I (p. 357).

E. Teza.

(1) Secondo la grafia del Morrison, edizione 18G5, voi. II, 170 e I, :208 e del Wells Williams, 70-2 (Dict. I87i).

11 \\ Basilio scrive pCng (2257) -f fòng (12271): sarebbe un co- privenlo. Ma é a vedere a pag. 159 il noslro dotto friulano.

DANTIANA

Pare cosa strana che spesso il Per me si va nella città dolente inviti all' imitazione quegli scrittori che mo- strano della D. C. non ammirare quasi che la iscrizione infernale. E che dice a chi non abbia avanti gli occhi la intera facciata? Ma, perché i capricci non hanno il do- vere d' essere ragionevoli , non bisogna sofisticarne : a una compiuta conoscenza dell' ammirazione venuta di fuori al poeta, è necessario si raccolgano tutti i docu- menti, anche i più piccini (1).

Eccovi un francese e la sua traduction libre de V in- scription [aite par le Dante, en italien, pour la porte de V enfer:

Porte des éternels supplices; Dernier séjour de toiis les vices: Lieu d' horreur qui fut erige Pouf engloutir 1' ange rebelle ; Pour venger sur 1' homme inildèle Le divin amour outragé.

(1) Lcggesi neir eccellente libro dello Stedman sopra i Poeis of America (Boston, 1889), che il più dei traduttori inglesi, Wrighl, Cay- ley, Ford, Rossetti, delia iscrizione infernale fecero sti'azio. Meglio degli altri, secondo il critico poeta, riusci il Longfellovv, solo che il

Throwjh me the way is to the city doleni mutasse la chiusa a questo modo: to the woful city (pag. 212).

MISCELLANEA 233

Franchis le seuil du gouffre immense; Méchant, ton arj'ét est diete: Pouf toi s' ouvi e V eternile ; Pour toi se ferme 1' espérance.

L' autore è certo amico della libertà : e infatti è suo nome Lazzaro Niccola Margherito Garnot (1). Di lui, buon soldato, valente matematico, nobile petto nella sventura e nella potenza , racconta con brio e con garbo Fran- cesco Arago (2) : il quale , dinnanzi all' Accademia delle scienze, rispettoso al regno nuovo sulla canzonetta del re Béranger, di volo rammenta i saggi di poesia leggera e festiva del giovane borgognone. Ma anche nell' età ma- tura, e nella vecchiaia, il generale consolò gli ozi del- l' esilio coi versi : e più volte ne stampò, e a Lipsia, nel 1821, sei canti del Don Chisciotte: e poi, tre anni in- nanzi alla morte, tutto raccolse negli Opuscules poétiques du general L-N-M. Carnot (Paris, 1820). Qui sono i pochi versi che ristampo (p. 54), qui la canzone a Nice del Metastasio che comincia Grazie agi' inganni tuoi, e che suona in francese (pag. 299) Reprends, Zoe, ton coeur pervers, qui imitazioni da Yriarte, da Gellert, da Jacobi, da Kòrner, da Gleim, de Schiller (// guanto) e da Goethe.

Di Goethe e' è solamente Le tombeau de l' amour (pag. 237).

(1) Lascio al generale tutti i suoi nomi perché egli se ne porta dietro le sigle anche nel frontespizio. Questa abbondanza usa in Inghil- terra e in Germania ; comincia a piacere un po' troppo agli italiani, e sarebbe da cercarne le ragioni. Nelle altre chiese non so; ma Calvino, nella Ordonnance sur les noms de baptéme, del 1546, vietava les don- hles noms. Il riformatore, come l'imperatore degli imperatori, era un grande maestro di idee, e aveva insieme l'occhio alle minuzie della vita.

(2) Carnot, Diographie lue en séance pub. de l' Acad. des scien- ces, le 2i aoùt i837. Oeuvres, Paris, 1854, voi. I, pp. 511-633.

234 MISCELLANEA

Belles ! pleurez sur le tombeau d^ Amour :

Las! il est mori. Eh quoi! mori sans retour?

Ah/ sans retour, je ne le certìfie:

Il meurt d' un rien, un rien lui rend la vie.

La poesia, nei Lieder ha adesso il titolo di Scheintod; ma altrove si chiamava Amors Grab e v' era avvertito co- me fosse roba di Francia. Sarebbe uno dei tanti casi ne' quali i versi, pellegrinando, tornano a casa e la gente di casa non li conosce più.

In questo volume leggonsi ancora due poesie, una originale, una imitata (p. 280,290), di Lazzaro Ippolito, figliuolo del generale e padre del Presidente.

E. Teza.

CNA PAGINA DA RIVEDERE iNEL MESSAGGIERO DI T. TASSO

Che nelle opere di Torquato Tasso abbondi la erudi- zione scandinava nessuno direbbe di certo : e non è strano che air occhio stanco dei critici sfugga quel poco che e' è e la mano correttrice resti intorpidita. Tante cose si guar- dano e non si veggono, in una lunga vita, che alle di- menticanze dei colleghi bisogna essere benigni censori; e delle arti dei censori, anzi che lo sbraitare e il gonfiarsi, ha maggior pregio quella che aiuta, anche nelle minu- tezze, a far meglio. Che se il confuso andirivieni dei proemi sta sempre male, bruttissimo è quando appunto si tratta di ricerche piccine, di errori piccini, di facili cor- rezioni.

Del Messaggiero vi sono due lezioni, una del 1580, una deir ottantasei : prendete quest'ultima, o nella stampa del Rosini (Opere IX, p. XVII) o in quella del Guasti {Dialoghi di T. Tasso. Firenze 1858, I, 293) e vedete dove il poeta filosofo vi mette innanzi streghe stregoni e stregonerie.

Questa è una giunterella che il Tasso fece al suo no- bile discorso, che nella lezione più vecchia di scandinavo non c'è ombra; ma lo scandinavo salta fuori, con molti nomi e molte tradizioni, e non ci vuole Edipo ad indo-

236 MISCELLANEA

vinare che ogni cosa è tratta dall' Historia Olai Magni; poniamo dalla edizione basileense del 1567.

In che modo il Tasso rifacesse, vedremo subito alle prime parole.

« Non hai tu letto che Regnerò, re di Svezia, a guisa di un altro Ercole perseguitato dalla matrigna, com- batte un esercito di larve e di fantasmi notturni? » (p. 243: io cito sempre la edizione del Guasti). E il latino, al capo XII che tratta de pugna cantra Faunos, (Libro III, p. 108) dirà : Regnerus, sueticus pugil et rex, adversus obscoenis- simas nocturnorum portentorum catervas, a Thorilda no- verca, muUere crudelissima, immissas, noctem dimicando permensus , luce reddita, varias larvarum formulas et inusitata specierum figmenta passim arvis incidisse co- gnoscit.

Poi viene un Germone (p. 293) e leggerai Gormone, « oltre la Buarmia » e leggerai Biarmia ; « in luoghi privi di ogni luce » {in loca lucis expertia p. 108).

Non Erito ma Erico è l'uomo che aveva un cap- pello, e « dovunque il rivolgeva, subitamente da quella parte spirava il vento desiderato ». (p. 293). Ericus rex Suetiae, tam famìliaris erat.. daemonibus ut, quocumque verteret pileum suam, confestim inde optatus ventus a- spirar et (capo III p. 112).

« I fìnni il vendono a' mercanti » (p. 294), continua il Tasso: e intenderai, non del cappello ma del vento. (Solebant finni.. negotiatioribus., ventum venalem exhibere. Gap. XVI pag. 114).

« Agberta figliuola del gigante Vagnosto {Hagberta Vagnosti gygantis filia)... si credeva che potesse tirar giù il cielo, sospender la terra, condurre i fonti, intenerire i monti ecc. » (p. 294); dove il condurre non mette so- spetto così sulle prime, ma riscontrato col fontes durare

MISCELLANEA 237

(cap. XV p. 113) del testo, va rimutato in indurare e così s'oppone all' intenerire dei monti.

Seguono Adingo.. Gruttunna.. Almerico., e dovrai ritoccare i due ultimi facendone Gutrunna e Jarmerigo (Handingus.. Guthruna.. Jarmericus: (1) cap. XV p. 114).

Il Tasso rammenta le «pentole riversate» (p. 294): e infatti , nella basileense, che è ornata di non tristi in- tagli in legno, c'è anche la imago mulieris cum olla ef- fusa. (Gap. XV. p. 114).

Stanno bene Oddone , Ghilberto , il suo maestro Cutillo ed Adingo. (Oddo, danicus pirata, cap. XVIII

p. 116, magnum (2) Gilebertum praeceptorem Cutìlliim

cap. XX p. 117 Hadingus capo XIX p. 117); ma Ai- tino, « vecchissimo oltre tutti gli altri incantatori » (p. 294) va mutato in Ottino {Othinus maior atqiie senior inter magos: capo XIX p. 117).

E. Teza.

(1) Nel Compendio di Olao Magno {Genfium septent historiac hre- viarium.. Amstel. 1009, a pag. 90) per errore è dello Larmm'cus. Ma chi non fidasse nell' allra edizione confronti ancora l' Jarmericus del Granimalico Sassone.

(2) Magum Gilbertuìn nel Compendio p. 102.

ANCORA SU GARZO

La stampa delle laudi corlonesi era già stata compiuta insieme con quella delie pagine da me premesse, quando il sig. Paolo Galletti pubblicò nel Giornale di Erudizione (Firenze, II, 9-10) due documenti notarili del 1299 che danno il nome del nonno e del bisnonno di Francesco Petrarca. Ser Petraccolo, notaio pubblico, vi è detto figlio di ser Parenzo dell' Incisa, notaio anch'esso; e questi vi è alla volta sua detto ser Pa- renzo di Garzo dell' Incisa notaio. Dunque il nonno del Petrarca fu ser Parenzo, e fu suo bisnonno un Garzo. Qui vien subito in mente a me, e credo debba venire ad altri, un'ipotesi: Garzo è nome pochissimo comune: avremmo forse innanzi in questo bisnonno del grande poeta l' autore delle laudi ?

Metto da parte l'atavismo, che sarebbe argomento da far sorridere; intendo quello della poesia; ma Garzo laudese fu dottore, e non è improbabile che dottore, cioè notaio, fosse il bisnonno del Petrarca, come furono dottori e notai il nonno ed il padre: frequente allora la tradizione familiare delle professioni. Dunque per la professione anche l'atavismo, lino a un certo segno, pare argomento in favore della identità de' due Garzi. Guar- diamo a' luoghi: l'Incisa è, come tutti sanno, nel Valdarno; non lontana molto da Cortona, E nulla vieta che si supponga la dimora di Garzo, bisnonno del Petrarca, a Cortona, come no- taio 0 forse come giudice; e nulla d'altra parte afferma in modo certo che Garzo autore delle laudi e de' Proverbi (se e un autore solo, come sembra probabile) nascesse e dimorasse a Cortona: altro non sappiamo infatti se non che le laudi sue furono presto note e raccolte in quella città. Resta il tempo.

MISCELLANEA 239

Neppure per questa parte vi è sconvenienza alcuna : dal Petrarca convien risalire al bisnonno per ire generazioni; alla metà del secolo XIII si giunge di necessità per avere il Garzo donde egli ebbe origine ; e di quel tempo abbiam visto che fu il Garzo delle laudi.

Tutto questo osservo, molto dubitando, per mera ipotesi: Ma anche le ipotesi sono ne' doveri della critica.

Ho da aggiungere che le laudi XIV e XXXI furono edite nella Antologia della poesia italiana (seconda edizione, Li- vorno, Giusti, 1885) dal prof. Ottaviano Targioni Tozzetti, di su una pergamena, che è guardia a un codice del R. Archivio di Stato in Pisa datato del 1271 : il Targioni Tozzetti ne diceva essere « il carattere indubbiamente de' primi del secolo XIII, se non pili antico » (pag. 53-54). Ma la Rivista critica della letteratura italiana (III, 3, marzo 1886) negò tanta antichità, e attribuì la scrittura di quelle laudi al secolo XIV e pure ai principii di esso.

G. Mazzoni.

DUE NOTERELLE DANTESCHE

Neil' epistolario a stampa di Tommaso Stigliani (1), poeta e critico del secolo XVII, epistolario importante per diversi rispetti, sono due lettere che commentano due passi della Divina Commedia. Una di esse, con la data del 4 settembre 1643, è indirizzata al cardinale Or- sini a Bracciano ; 1' altra, con la data del 27 febbraio 1644 al duca Paolo Giordano Orsini, pure a Bracciano: am- bedue poi sono scritte da Roma (2).

I due passi della Divina Commedia, dei quali il poeta fa la sposizione, sono nel XXIII (31-33) e nel XXXIII (34-36) del Purgatorio, e i commenti dello Stigliani, che crediamo giustissimi e che perciò indichiamo all' attenzione degli studiosi, differiscono alquanto da tutti gli altri antichi e moderni, si che sarà bene illustrarli.

II primo adunque è:

Parean le occhiaie anella senza gemme: Chi nel viso degli uomini legge OMO, Ben avria quivi conosciuto 1' emme.

Ora, devesi osservare che nell' interpretazione di questa terzina tutti i commentatori antichi e moderni,

(1) Lettere del cavalier fra Tomaso Stigliani. In Roma, per An- gelo Bernabò, 4664,

(2) Op. ciL, pp. 148 e 216.

MISCELLANEA 241

salvo qualche lievissima eccezione, si copiano Tun T altro. Iacopo della Lana, ad es., dice:« Alcuni sono stati ch'hanno detto che la figurazione del viso degli uomini è mo' in questo modo : gli occhi sono gli 0 e la M forma in que- sto modo, che le ciglia cogli tempori sono le estreme gambe dell' M, e lo naso si è la gamba dimezzo ». Il Vellutello commenta: « Chi nel viso degli huomini, ne la faccia dell' huomo, le due tempie ed il naso col fronte di sopra fanno questa lettera M, gli occhi due 0, posti r uno tra la prima e la seconda, 1' altro tra la seconda e la terza gamba dell' M, talmente che vi si può legger OMO » . Cosi il Landino, il Daniello, il Benassuti, il Bian- chi, il Fraticelli, il Casini, ecc. Lo Stigliani invece consi- glia una nuova interpetrazione del versetto dantesco. Egli dice: Quando la testa dell'uomo è ridotta a teschio, il naso prende la forma di un' M, perché 1' osso di mezzo si assottiglia talmente che si va a porre nella stessa di- rezione degli altri due che nella parte inferiore formano le occhiaie. In tal modo leggerebbesi cosi: OMO.

Ognun vede quanto quest' interpetrazione sia più giusta ed evidente, e quanto riproduca il concetto espresso dall'Alighieri, il quale poco prima avea detto:

Negli occhi era ciascuna oscura e cava, Pallida nella faccia, e tanto scema, Che dall' ossa la pelle s' informava (1).

cioè r ombra , espiante i suoi peccati da oltre cinque anni, era talmente scemata di carne, che la pelle pren- deva forma dalle ossa; cosi gli spositori. Onde Dante, il quale, come spiega il v. 32, avea conoscenza di quella leggenda, notissima del resto nel medio evo, che cioè sul volto degli uomini si leggesse la parola OMO, se ne

(1) Purg., XXIII, 22-24.

Voi. Ili. Parte L 16

242 MISCELLANEA

ricordò davanti ai golosi; e, colpito dalla figura dell' M che leggevasi nella conformazione degli ossi nasali, disse: Coloro che nel viso degli uomini leggono la parola OMO, bene avrebbero conosciuto, cioè più evidentemente avreb- bero quivi letto la lettera M.

li secondo passo esposto dallo Stigliani è, come ho detto, il seguente:

Sappi che il vaso che il serpente ruppe, Fu, e non è ; ma chi n' ha colpa creda Che vendetta di Dio non teme suppe (1).

Il commento di questo serpente era difficile pel cardinale, difficihssimo pel poeta, il quale a dare la vera interpetrazione di esso trovavasi imbarazzatissimo. L'Or- sini poi era appassionato della Divina Commedia e, a dir dello Stigliani, « aveva gran prattica in queir oscuro libro ». Qui però megho di una nuova esposizione trat- tasi di una dilucidazione agK antichi commenti del Della Lana, del Vellutello, ecc.; ed anche lo Stigliani afferma a eh' alcuno l' abbia di lontano , come odorato, e non abbia poi saputo spianarlo ».

Il seicentista adunque crede che l'Alighieri alluda ad un antichissimo uso superstizioso, eh' ebbero prima i Troiani, poi i Romani ed in seguito i Cristiani. Cita in- fatti Virgilio che nell' Eneide fìnge che Enea , dopo aver offerto la vivanda all' ombra di Anchise , vede dalla se- poltura uscire una serpe la quale, mangiato il cibo, si rintana (2), cita Ovidio nell'ultimo libro delle Metamor-

(1) Purg., XXXIII, 34-36.

(2) Tandem Inter pateras, et evia pocula serpens Libavitque dapes, rursusque innoxius imo Successit tumulo, et depatta altana liipiit.

Virgilio, Aen., V, 91-93.

MISCELLANEA 243

fosi (1), Tacito, Apuleio e Sant' Agostino. Dopo ciò rilega alle sue ricercbe l' interpetrazione adottata anche dai mo- derni commentatori, della vigilanza cioè da parte de' pa- renti dell' ucciso al cadavere di lui per vietare all' ucci- sore, nello spazio di nove giorni, di poter mangiare colà una suppa e in tal modo proibir loro di potersi vendi- care ; giunto poi a questo punto il poeta viene alla parte imbarazzante del commento. Egli naturalmente condanna a Dante le irose parole lanciate all'indirizzo della chiesa, e dice che i papi non sono « usurpatori delle rendite temporali, ma legittimi Signori di quelle, e liberi dispen- satori, come da' buoni Teologi è stato mostrato. Onde empietà , e irriverenza , più tosto che sentenza , o giudi- ciò, viene ad essere quella d' un privato Cristiano, il qual voglia porvi bocca, non toccando tal decisione a noi ». Dobbiam forse rimproverare allo Stigliani queste frasi? Io per me non posso fargliene un addebito; e, franca- mente, dò ragione allo Stigliani quando si meraviglia « che quel volume non ostante questa bestemmia, e moltissime altre più esecrabili, le quali contien per tutto « si sia si lungamente preservato dalla prohibizion de' Superiori, e tuttavia si preservi ». Anzi trova nella libera lettura del poema una giustificazione ingegnosa « che la sua ventura è stata scrive lo Stigliani, ed è, la sola oscurità del suo inchiostro : perché essendo egli da pochi inteso, pochi può scandalizzare, i quali ancora savi, il compati- scono, e nessuno il denunzia all' Inquisizione. Cosi ap- punto per quel che dicono i Naturalisti, avviene alla sep-

(l) Sunt qui, quum claiiso putrefacta est spina sepulcro, Mortari credant humanas angue medullas.

Ovidio, Metani. , XV, 389-90.

pel fatto che anticamente credevasi che dalla spina del cadavere umano nascesse un verme.

244 MISCELLANEA

pia, la quale per salvarsi dalla caccia del pescatore, sparge similmente il suo inchiostro nativo, ed in questa guisa, oscurata T acqua intorno a stessa , si fabbrica la co- modità alla fuga, ed allo scampo ». Non fu infatti proi- bito il Landino, e mentre d'una medesima opera si per- metteva il testo si vietava il commento? Ricordiamo que' tristi tempi di servaggio , e giudichiam poi degna- mente il poeta cortigiano. Il quale chiude la lettera col dire: « Or lasciamolo in somma correre per le mani dotte, mentre per altro n' è degno, e condoniamo i suoi errori al buon zelo, che li cagiona ».

M. Menghini.

GUIDO GUINIZELLI PODESTÀ A CASTELFRANCO

A carte cliij recto del Memoriale dell' anno 1270 che porta il n." 11 tra i conservati nell'Archivio di Stato bo- lognese (1), si trova il seguente documento, in data die ultima mensis decembris :

D. Guido condam domini Guinuzelli (sic) de principi- bus fecit suum procuratorem dominum Jacobinum domini zacharie de sancta maria in duni presentem, ad Recupe- randum a comuni bononie quinqiiaginta lib. bon. et vi- gintiquinque corbes frumenti, quos denarios et frumentum habere debet prò feudo potesterie castri franchi a dicto comuni; ex instrumento mei Petri bonincontri Cazalune notario, facto odie bononie ante stacionem dicti Jacobini, presentibus domino Giberto domini zacharie de sancta maria in duni, zacharia suo filio, Guidone Capello et Petro de Raymondinj testibus.

La menzione di un Guido figliuolo di Guinicello, la sua discendenza dalla famiglia dei Principi (2), il tempo

(i) Comincia: Hic est liber Memorialium Contractuum dehitoriim... etc, factus et conditus per me Petrum Bonincontri cazalune notarium in primis sex mensibus Regiminis Nobilis viri domini Guidonis de Co- rigio potestatis.... etc. sub anno dominj Millesimo Ducentesimo Septua- gesimo Indictione terciadecima.

La prima data registratavi è die quinto exeunte madio.

(2) Cfr. Benvenuti de Rambaldis de Imola Comenium super Dan- tis Aldigherij Comoediam, Florenliae, typ. G. Barbera; t. IV, p. 121.

I

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in cui Fatto fu steso, tutto concorre a farci ammettere per certo che il documento si riferisca al massimo Guido, talché sarà utile esaminarlo per vedere se ne possiamo trarre qualche nuova notizia da aggiungere alle assai scarse che ci restano sulla vita del poeta. La cagione del suo credito verso il comune di Bologna è specificata con le parole prò feudo potesterie castri franchi; ma qual è il preciso significato di questa frase? Lo vedremo quando avremo stabilito il particolar valore da darsi nel nostro caso alla parola feudum , la quale secondo noi qui non può significare se non stipendio o mercede. Che il vocabolo possa talvolta interpretarsi così, è accennato dal Du-Cange (1) quando scrive : « Feudi nomine saepius donata videre in sequentibus est officia seu ministe- ria vel emolumenta iis adscripta; quod a prioris huius vocis notione alienissimum est »: e più chiaramente dal Rezasco nel cui Dizionario italiano storico ed ammini- strativo (pag. 420, §. XXIII) si legge che feudo può va- lere stipendio o provvisione d' ufficiale, secondo la se- guente espressione d'un documento pisano composto tra gli anni 1313-1323: « Abbia catuno per suo feodo, ca- tuno mese, lire quattro » Ma una prova anche più manifesta che il vocabolo nel nostro documento ha tale significato è porta dai documenti bolognesi della fine del sec. XIIP, ed in particolare dagli statuti compi- lati dal Comune tra gli anni 1250 e 1267 raccolti e pub- blicati per cura di Luigi Frati (2)1; quivi infatti ricorre ogni momento, spiegata in modo da non lasciare alcun dubbio,

(1) Glossarium med. et inf. latinitaiis, Niort 1885, L. Favre edit.; Tom. IV, p. /tG5, col. III.-^

(2) Statuti di Bologna dall' anno i250 all' anno i267 pubblicati per cura di Luigi Frati bibliotecario Municipale. (Bologna, R. Tipografa, 1869-77; in tre voli.)

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la parola in questione. Ad esempio nel Sacramentum po- testatis bononie che trovasi negli statuti dell' anno 1250 il podestà doveva giurare (1): « Item non concedam feudum vel meritum alicui de ciuitate vel districtu nisi prius quam eligatur ei fuerit ordinatum; nec alicui ofiQtiali extraordi- nario concedam ultra X libras bon. prò suo feudo, vel emolumento ». x\ncora nel Voi. Ili degli stessi Statuti la rubrica del §. LXXII (2) dice: « Quantum sit feudum potestatis et eius iudicum militum et notariorum » ; e nel paragrafo relativo si determinano gli annui stipendi di questi ufficiali del Comune. Bellissimo è poi il seguente esempio tolto dagli interessanti « Parlamenti ed epistole di maestro Guido Fava, pubblicati di recente, secondo il cod. Vaticano 5107, dal prof. Augusto Gaudenzi in ap- pendice all' opera « I suoni , le forme e le parole del- l' odierno dialetto della città di Bologna » (3). Il parla- mento n.° 43 (p. 142) è il modello di una lettera de comunitate ad militem ellectum in potestatem, e nelle ul- time righe dice appunto cosi: « Unde vestre generositati praecamina mittimus affectione piena et dilectione non vacua , ut potestariam dignemini recipere supradictam , firmiter conosentes quod prò vestro feudo libras mille habebitis a communi et fenum et paleam abundanter ». Non solo i presenti ma molti altri passi da me raccolti negli statuti di Bologna e fuori di essi mi autorizzano pertanto a rendere la frase latina prò feudo poteste- rie castri franchi con le parole : per pagamento o sti- pendio della podesteria di Castelfranco e ad ammet- tere in conseguenza che nell' anno 1270, sulla fine del quale fu steso l' atto riportato di sopra, il poeta abbia tenuto

(1) Voi. I, p. 58, lin. 1 del capoverso.

(2) A pag. 152.

(3) Edita in Torino, E. Loescher, 1889.

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questo ufficio. Dalla presente notizia, di cui non è altri- menti ricordo, si possono dedurre alcune conseguenze. Castelfranco sullo scorcio del sec. XIII, per la sua grande importanza come terra di confine verso Modena (1), era tenuto ed ufficialmente dichiarato « speculum et speciale membrum populi et comunis bononìe » tanto che si stabili- rono persino disposizioni eccezionali in vantaggio del podestà e del capitano che reggevano questo comune a nome di Bologna (2). Per ciò tale podesteria affidata a Guido Guinizelli comprova anzi tutto la denominazione di vvr prudens, elo- quens datagli da Benvenuto Rambaldi (3) e fa testimo- nianza dell' alta stima in cui prima dell' esigilo fu tenuto dai suoi concittadini: inoltre poiché sappiamo che i po- destà di confine doveano secondo espressa disposizione dei nominati statuti bolognesi (4) aver superato il venti- cinquesimo anno di età , dimostra che il Guinicelli neir anno 1270 era senza dubbio per lo meno assai presso alla trentina.

(1) Statuti degli anni 1259-62 (Voi. Ili, p. 322) « Hec sunt no- mina terrarum de confmio : montivellium, aulivetum et crespellanum, Ceula pluma^ium ungolam, castrum franclium.... » etc.

(2) Statuti dell'anno 1262 (Voi. Ili, p. 384). Rubrica: Quod in ca- stro [rancho esse debeat unus potestas et unus capitaneus prò comuni hon.

Quia castrum franchum speculum et speciale membrum populi et comunis bon. reputatur, Statuimus.... etc.

(3) Op. e loc. citati.

(4) Statuti del 1250. (Voi. Ili, p. 149, §. LXVI). Rubrica: Quod potestates de confinio sint maiores XXV annorum.

Ordinamus quod potestates de confmio debeant esse etatis XXV an- norum, adminus, et ibi debeant commorari continue nec recedere de po- testaria sua sine licentia potestatis data de conscilii voluntate: et ha- beat prò suo feudo secundum quod actenus consuetum est ab hominibus terre sue, et insuper tres soldos bononiorum a comuni prò qnolibcl die prò sua Capitanaria et lectos et Ugna et hospicium temperate et non plus.... etc.

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Chi ha letto l'importante articolo « Guido di Guini- zello de' Principi e Guido Ghisileri » pubblicato due anni or sono su questo stesso giornale (1) dal ch.mo dottor Ludovico Frati può qui obbiettare che questa mia dedu- zione importa ben poco perchè nel 1270 Guido non solo era prossimo ai trent' anni, ma certo aveva varcato questa età, se fino dall' anno 1250 egli possedeva una casa pro- pria lungo la via Castiglione come risulta da un passo degli statuti bolognesi del tempo. Se non che sopra tale fatto mi permetto esprimere dei dubbi che spero non sembreranno infondati. Lo statuto citato dal Frati, nella frase che ci interessa dice testualmente cosi: « .... ante domum principum que est domini Guidonis in strata ca- stillionis ante sanctam luciam » (Voi. Ili, p. 85).

Ora il Guido de' Principi qui nominato è proprio il nostro poeta ? (2) La risposta si può trarre dai seguenti documenti inediti che si trovano a carte 4 verso del me- moriale compilato dal notaio Martino di Agnella nell' anno 1270, portante il n.° 12 tra i conservati in Archivio (3).

(1) Serie nuova. Voi I, parte II; p. 5 segg.

(2) Questo dubbio fu già espresso dal prof. A. Gaspary nella Zeit- schrift fiir romanische philologie {Wll, ^Ib) colle parole seguenti : «Frati » meint (p. 15) eine Erwàhnung Guido 's schon 1250 (15 Jahre vor dem » àltesten bis jetzt bekannten Datura) gefunden zu haben ; allein es scheint » doch nicht sicher, dass der Guido, der in den Statuten von Bologna » damals als Besitzer eines Hauses der Principi gennant ist, der Dichter » war, da, wie Frati selbst bemerkt (p. 18), der Name Guido in diesem j> Geschlechte sehr haùfig vorkommt ».

(3) Comincia: Hoc est memoriale Contractuum et vltimarum volun- tatum.... etc, scriptum per me Martinum Agnelle tempore Nobilis Mt- litis domini Guidonis (uno strappo nella pergamena impedisce di leggere alcune lettere che si possono congetturare da altri memoriali dello stesso anno: de Corigio uene)... rahilis potestatis Ciuitatis Bononie et ymole. In anno domini Millesimo ducentesimo septuagesimo indictione xiij.

La prima data segnatavi è die secundo intrante Januario.

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Eodem die [se. xij Intr. Jan.]

Dominus guido condam domìni Tomaxij de princi- pibus dedit licentìam et parabolam domino guinicello suo filio emancipato ab eo ex Instromento fìobacontis de pre- damala notano, ut ipse guinicellus Recipiat a domina si- mona condam Simonis Jacobi, sponsa et futura vxore ai- bici fila dicti domini guinicelli, et confiteat recepisse ab ea octingentas lib bon, prò dote diete domine Simone et obliget et obligare possit quandam petiam terre aratiue praline et vineate cun vna domo cuporum.... etc.

Eodem die.

Dominus Guinicellus filius domini guidonis de prin- cipibus emancipatus a dicto suo patre ex Instrumento Ro- bacontis de pretamala notario, ut dicitur , fuit confessus habuisse et recepisse a domina Simona filia condam Si- monis Jacobi aidrate, sponsa et futura vxore albici fllii dicti domini guinicelli In dotem et dotis nomine ipsius domine Simone octingentas lib. bon. ex Instromento phi- lippi condam petricoli notari.... etc.

È dunque evidente che nel 1270 viveva in Bologna un Guido di Tommaso de' Principi, forse parente di Guido di Guinizello, ma certo da non potersi confondere con lui : Guido di Tommaso nel 1270 vedeva prossimo a conchiu- dersi il matrimonio di Albizzo, figlio del figliuolo suo Gui- nizello con Simona del fu Simone di Giacomo (1), il che

(1) Il MONTAFENI Caprara, Notizie genealog. mss. della famiglia Principi, presso la Biblioteca Univ. di Bologna ricorda otto documenti re- lativi a Tommaso dei Principi, venti relativi a Guido di Tommaso, e uno ad Albizzo di Guinizello: sono quasi tutti atti di compra e vendita rica- vati dall' archivio di S. Francesco che ora conservasi nell' Archivio di Stato bolognese. Mi manca il tempo e l'opportunità di consultarli, nel- l'originale, ma certo meriterebbero un diligente esame.

MISCELLANEA 251

dimostra che doveva essere giunto ormai ad una età piut- tosto avanzata. Ora non è assai verosimile che a lui anzi che a Guido di Guinizello appartenesse la casa ricordata negli statuti del 1250? Noto per incidenza che Guido di Tommaso fu anche sopranominato Suzzava ; infatti nei memoriale dell' anno 1270 scritto da Zagnibello di Al- berto Fabro (voi. n."" 12 tra i conservati in Archivio, carte Ixxxv verso, in data die louis decimo aprilis), si legge riportato un istrumento di mutuo a favore di Ci- priano di lacobino Algarde dove figura: D. Guinicellus Guì- donìs sugare de principibus. Constatata V omonimia dei due Guidi contemporanei, è ovvio far osservare che da qualunque documento sia stato citato o si citasse in avvenire por- tante il solo nome « Guido de Principibus » non è più lecito ricavare notizie sicure sulla vita del poeta, giacché si potrebbero con altrettanta probabilità riferire al Guido di Tommaso che vedemmo più sopra.

Resta inoltre da decidere se Guinizello padre di Guido e il Guinizello figlio di Guido di Tommaso e padre d'Al- bizzo, che figura nei due atti riportati, siano o no una sola persona: la cronologia dei documenti dei quali di- spongo non esclude quest'ultima ipotesi perchè se da uno di essi si ricava che Guinizello padre di Guido era morto il 31 dicembre dell'anno 1270, ciò non autorizza affatto a negare che egli potesse vivere ancora il dieci d'aprile del medesimo anno, tempo in cui abbiamo il D. Guinigellus d. Guidonis sugare de principibus nel me- moriale di Zagnibello d' Alberto Fabro. D' altra parte una circostanza di fatto mi costringe, malgrado di tutto questo, ad ammettere come sicura la contemporaneità di due Guinizelli dei Principi e però non credo di dovermi affrettar troppo a identificare, su dati non del tutto certi, i due personaggi sopra nominati.

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È noto che in Verona esiste anche oggidì una tomba portante la seguente iscrizione (1) :

^ SEPULTURA . Domini . GUINICELLI . D^ . PrmCIPIBws. D^ . BONONIA . et . SUORwm HEREDUM . MGCLXXX III .

Poiché sulla età e sulF autenticità delF iscrizione non può esser dubbio (2), resta dunque assodato che circa nel-

(1) L' arca sepolcrale è appoggiata all'Abside della Chiesa annessa al Collegio Convitto Provinciale. L'iscrizione corre sopra una sola linea sul listello inferiore dell'arca stessa: nel riprodurla diedi in corsivo le lettere mancanti bensì, ma indicate da segni di abbreviazione. Avverto che la croce iniziale, la S di sepultura, e le tre prime lettere di Gut- nicelli non ci pervennero complete, ma piìi o meno manchevoli, non cosi per altro che la lettura non sia assolutamente sicura.

Le lettere UL di sepultura e LL di Guinicelli sono in monogramma e la e^ è indicata dal solito segno tironiano, somigliante a un 7.

(2) A questo proposito mi è grato aggiungere qui una accurata de- scrizione paleografica della iscrizione stessa, che devo all'amicizia del ch.mo Prof. Carlo Cipolla al quale ripeto i più vivi ringraziamenti : « Il carattere é quello usato sulla fine del secolo XIII°, vale a dire è un gotico un poco trascurato , che non raggiunge la regolarità piena e completa che costituisce la caratteristica del gotico del secolo successivo. Gli apici sono bensi talvolta prolungati, ma sempre senza esagerazioni, anzi con relativa sobrietà, sicché ben si accomodano con la indicata epoca. Per dir tutto, aggiungerò che l'insieme dell'epigrafe, e anche qualcuna delle sue parti, pur considerata a sé, ricorda piuttosto il maiuscolo dei libri che non il carattere epigrafico, tanto poco è curata, specialmente in alcuni siti, la somighanza rispettiva delle lettere e la dirittura della linea sulla quale le lettere si succedono. Se esaminiamo i punti che di- vidono parola da parola anche qui si ripete il medesimo fatto, cioè la stessa deficienza di uniformità: per vero alcuni di questi punti sono di forma triangolare e quindi epigrafici; ma altri sono semplici punti di forma rotonda. Avviene ancora che mentre i punti a triangolo qui sono d'ordinario collocati alla metà dell'altezza delle lettere, invece i punti rotondi sono al basso, cioè alla base delle lettere slesse, cosi come accade nella scrittura hbraria. Altra particolarità notevole dal lato paleografico.

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l' anno 1283 venne a morte in Verona un Guinizello dei Principi che dobbiamo guardarci dal confondere, come da tutu si è fatto fin qui, col padre del poeta bolognese. Vedem- mo infatti che Guinizello padre di Guido era già indicato col quondam sulla fine del 1270: invece il Guinicello dei Principi sepolto a Verona con ogni verisimiglianza non sarà venuto in questa città prima dell' anno 1274, quando seguì la prima cacciata da Bologna della parte dei Lam- bertazzi e conseguentemente dei loro seguaci, tra i quali erano anche i Principi (1). Ciò posto di tutte le testimo- nianze raccolte sul nome di Guinizello dei Principi da L. Frafi nello studio citato quali e quante sono le certa- mente riferibili al padre del poeta?

Soltanto una larga esplorazione dei documenti con- temporanei potrà forse porre in chiaro le cose ed io, nella speranza che altri se ne occupi, mi limito intanto ad esprimere un altro dubbio che pure da accurato studio dei documenti attende la sua soluzione.

La massima parte dei ragguagli biografici su Guido Guinizelli fu ricavata da atti che parlano di un Guido condam domini Guinicelli Magnani ovvero de Magnanis. <L Da qual progenie discendesse Magnano (dice il dottor Gaetano Monti presso il Fantuzzi(2)) dalle nostre me-

la troviamo nel segno di abbreviazione sovrapposto alle lettere d. Sia che la d debba significare domini, sia che debba interpretarsi per de, il se- gno d'abbreviazione consiste in una Uneoletla, la quale sovrasta alla d. senza tagliarla toccarla : talora sarà rettilinea, talora curvilinea, ma non é mai una virgola, che tagli la coda superiore della d, come é in- vece l'uso ordinario ».

(1) Si veda il catalogo delle famiglie di parte Lambertazza nella Historia di Bologna del R. P. M. Cherubino Ghirardacci, Parte \\ pag. 248-49 (Bologna, G. Rossi 1596).

(2) Notizie degli scrittori bolognesi raccolte da Giovanni Fantuzzi, Tom. IV, p. 345 segg.

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morie non può raccogliersi; esso mai il figliuolo nominati si trovano di altra maniera se non cosi sempli- cemente D. Magnanus, Dominus Guinicellus de Magnanis. Non vuoisi però confondere esso Magnano padre di Gui- nicello, con Rolando Magnano, che viveva circa lo stesso tempo, da cui la nobile famiglia de' Magnani trasse ori- gine TI) . La discendenza di Guido di Guinicello di Magnano dalla notissima famiglia Magnani, anche dopo F avverti- mento del Monti, fu sostenuta da Ottavio Mazzoni Toselli (1), e a me mancano i mezzi per discutere proficuamente se egli in ciò avesse torto o ragione: credo non di meno che la questione sia tutt' altro che risolta. D'altra parte mi domando: poiché nessuno dei documenti allegati dal Monti e da quanti dopo lui studiarono in proposito, at- testa che Magnano, o Guinicello suo figlio, o Guido di Guinicello di Magnano appartenessero alla famiglia dei Principi, possiamo noi legittimamente affermare che il Guido quondam domini Guinizelli Magnani sia tutt' uno col Guido condam domini Guinizelli de Prìncipibus del documento da me pubblicato ? Quando considero che Guinizello dei Principi, padre di Guido, apparisce già morto neir anno 1270, laddove Guinizello di Magnano, an- ch'esso padre di Guido nel novembre dell' anno 1274 viveva mentecatto nella città di Bologna (2), io mi sento

(1) Nei suoi Racconti storici estratti dall'Archivio criminale di Bo- logna, Tom. Ili, p. 3i5 segGf.

(2) Pare almeno che (juesla notizia possa ricavarsi con certezza dal documento III.° riferito da L. Frati a p. 24 dell'art, cit., dove in data die ix ex. Nov. MCCLXXIV, un Jacobinus Buvalelli curator generalis domini GuiniQelli mentecatti è incaricalo di fare l'inventario dei beni ipsius domini GuiniQelli Magnani.

Al contrario in un volume contenente le liste dei seguaci di parte Lambertazza banditi dal comune neU' anno 1274 e conservato attual- mente neir Archivio di Stato di Bologna , a carte xvj recto, lin.

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tratto a dubitarne fortemente ed a chiedere se non si devano ben distinguere e separare quattro persone diffe- renti, confuse fino ad ora soltanto per una singolare ma fortuita omonimia.

Se ciò fosse sarebbe necessaria una assai rigorosa cernita dei dati biografici relativi al poeta, e molte fra le notizie che passano per sicure andrebbero irremissibil- mente cancellate dalla sua biografia.

Flaminio Pellegrini.

H-13, tra i banditi maiores si trovano: d. Guido, d. Jacobus, d. Al- bertus fratres, fillij condam dni GuiniQeli magnani. Le due attestazioni sincrone a tutta prima sembrano inconciliabili tra loro, ma io credo che si possa risolvere l' apparente contradizione notando che la sopra ricor- data lista dei banditi dell' anno 1274 è veramente una copia trascritta nel 1275 dal catalogo originale, con aggiunte di banditi e confinati del- l'anno in corso. (Comincia: In nomine domini Amen Anno eiusdem millesimo ducentesimo septuagesimo quinto Indictione iertia. Exemplum cuiusdam libri de quarterio porte sancii proculli in quo libro scripta sunt nomina hominum partis Lambertaciorum de dicto quarterio qui li- ber sigillatus erat et dicitur esse factus tempore domini rolandi pula- lij... etc. Rolando fu podestà l' anno 1274). Non é molto verosimile che il trascrittore, avendo notizia della morte nel frattempo avvenuta di Gui- nizello aggiungesse di nuovo il condam? Nel caso bisognerebbe ammet- tere che Guinizello sia morto o negli ultimi giorni del 1274 o durante l'anno seguente.

UN CANZONIERE DEL SECOLO XVII.

Se alcun saprà, che sarà ben più d'uno (Se questi scrìtti miei vivran qualch' anno) Ch' i' homai settuagenario sentii affanno Di amor, di risa ei non sarà digiuno.

Sonetto 67.

Un giorno del 1597, Bartolomeo Burchelati, fisico e poeta trevigiano, chiamò a i suoi figliuoli, per consi- gliarsi « d'intorno allo spendere in far stampare le cose sue ». (1)

Gli amici lo pregavano di pubblicare le molte opere rimastegli manoscritte, allora che la stampa era ritornata in Treviso, e eh' egli le aveva dato asilo nelle sue case, già consumate dal fuoco e dal furto, e poscia da lui ani- mosamente ristorate spendendovi mezzo migliaio di du- cati. Ma forse gli amici non tenevano bene a mente quanto misero fosse il successo dei libri che il Pietoso (2) andava pubblicando in Treviso.

(( De' libri di già stampati disse il Burchelati ai suoi figliuoli parte ci è morta in casa, parte ci è stata denegata dagli eredi de gli impressori, parte costataci venti , r habbiamo data per dieci , et .per otto , perché si pubblicasse , parte 1' oblivione ce l' ha rubbata , e cose tali: a baratto poi, ci convien pigliar libri, che non vor-

(1) Catalogo di tutte le opere che sin hora ha composto il dottor Burchelati; In Trevigi appresso Evangelista Dchucliino 1597. Prefazione.

(2) B. Burchelati fu il Pietoso fra i Cospiranti di Treviso.

MISCELLANEA 257

remmo , overo tome insieme a prezzo contro nostra voglia: et venti altre occorenze sinistre eh' io non racconto, oltre che siamo in quest' angolo ridotti , ove , non trattando le opere nostre de pane lucrando, (et chi ne voi, ne tratti) ci bisogna comperare la stampa a contanti (1) ».

Ai figli queste ragioni bastavano ; e ce n' erano anche d' avanzo per consigliare il padre. « Se vorrà alcuno qualche libro de' nostri, con la Dedicatoria profumata, ò pur senza di quella, che spendi egli, et non noi; bastandoci la spesa dell' oglio , et della carta ; oltre a tanto lucro cessante, che si rivolta in danno emergente, per le occupationi che porta lo scrivere per mandar in luce, si perché vuole il presente secolo, che il Medico sia puro Medico, come 1' asino è puro asino (2) » .

Il fisico famoso avrebbe potuto persuadere a' figliuoli che sarebbe stato più vantaggioso partito quello di far stampare i suoi libri e poi venderli nelle loro case : ma r animo suo nobile e dignitoso rifuggiva da quel mercato. Faceva anzi , a questo proposito, un' osservazione, eh' io ricordai più d' una volta leggendo 1' avvertenza, che certi poeti pongono sulle copertine elzeviriane dei loro Canzo- nieri : Vendesi presso V autore. Diceva il Burchelati : « il fare imprimere à suo costo, et à sua stanzia vendere i libri, che l' huom si trahe della fantasia , mi par proprio un mangiare i brani delle proprie membra ; e colui che la sera va alla bottega per torre i danari della vendita del giorno, pizzica della natura del roffiano, che prima che se ne vada a letto, vota la borsa della sua femmina. Io sosterrò prima il disagio, che ingiurar la virtù facendo meccaniche 1' arti liberali (3) » .

(1) Catalogo citato Prefazione.

(2) Catalogo Prefazione.

(3) Catalogo Prefazione.

Voi. Ili, Parte I. 17

258 MISCELLANEA

Padre e figliuoli convennero in una sola deliberazione: di far stampare in Treviso, appresso Evangelista Dehuchino, un Catalogo delle opere edite ed inedite fino allora com- poste dal dottor Burchelati. Il Catalogo è diviso in due parti: nella prima sono segnati i titoli delle opere pub- blicate fino all'anno 1597; nella seconda, quelli delle inedite. Alcune di queste ultime furono più tardi pubbli- cate in Treviso, vivente l' autore ; molte rimasero inedite ; alcune altre, composte dopo il 1597, naturalmente non sono ricordate nel Catalogo. Una di queste ultime io credo di aver ritrovata a Montebelluna : ma, prima di venir a parlare di essa, vorrei dimostrare come il Bur- chelati ne sia veramente l' autore ; quali sieno le varie cagioni per cui rimase inedita; e, finalmente, come si possa spiegare il fatto, eh' essa si trovi a Montebelluna.

Il libro in bianco, in cui l' opera è scritta o trascritta, appartenne già ad Uberto Gifanio, che lo donò a Giovanni Wilmael, come risulta dall'epigrafe della pagina 13.^: Hub. Giphanius, humaniss. adulescenti Joanni Vilmalio, Jngelstadii 1595. È in sedicesimo (mm. 153 X 100) di pag. 158, rilegato in carta pecora, su la quale, da una parte sta impresso il nome e lo stemma gentilizio di Giovanni Wilmael con l'anno M. D. XCV.; dall' altra, l'in- scrizione = Deus, tempus. regit et. Fortunam. = Come e da chi lo avesse poi il Burchelati sappiamo e' importa di sapere ; potremo tuttavia osservare , eh' egli diede asilo alla stampa nelle sue case, e che più volte trovossi ingolfato, anche contro voglia , ne' com- merci librari.

Il titolo dell' opera è questo : Sonetti di Bartolo- meo Burchelati fisico, settuagenario, in lode di bella,

ET ONORATA FIGLIA TRIVIGIANA AMANTE AMATA. La Semplice

enunciazione del titolo toglie ogni dubbio suH' autenticità del Canzoniere: vi è detto chiarissimamente ch'esso è opera

MISCELLANEA 259

del Barchelati. Ma chi volesse altre prove , n' avrebbe a dovizia. I suoi settant' anni il poeta li ricorda, direi quasi, in tutti i sonetti del Canzoniere ; e la professione di fisico anch'essa è spesso ricordata:

pesano i settanta

Anni sul dorso mio, e opro gli occhiali, E fo profession di honor, di nome.

Il Burchelati era ammogliato; prese anzi tre mogli; ma una per volta soggiunge argutamente il mio Angelo Marchesan (1). Or bene: alle tre mogli ed alle molte e pregevoli opere del fisico trevigiano accenna chiaramente il sonetto trentesimo:

Que' primi Amori miei, che ne' verd' anni

Io essercitai con triplicata Laura:

De' quai la mente mia pur si ristaura

Scorgendo que' gioiosi e accorti inganni: Se ad alcun cai saper: veder si affanni

Li Tirocini miei, già posti à 1' aura :

Itisi attorno ornai da l' onda Maura

A r Indiana, a gli ultimi Britanni. Co' quei vedrà la Rosa, Amor, la Caccia,

L' uccellaggione, il giuoco, l' erbe, i sogni :

Le serie, le giocose, e le lugubri. Indi r opre Academiche, i Delubri

Co' loro Elogi : e sovra 1' altre agogni.

Quanto, che il Libro Memorando abbraccia.

Qui ciascuno intende qual sia il Libro Memorando del Burchelati, e come l' autore avesse ragione di dirlo memorando, se, per esso, Giovanni Bonifaccio faceva quest' aggiunta alla seconda edizione della sua Istoria

(1) A. Marchesan. U Università di Treviso. (Studio ancora inedito).

260 MISCELLANEA.

di Trivigi: « Questo medesimo anno 1616 , Bartolo- meo Burchielato Fisico Trevigiano diede alle stampe una sua voluminosa opera inscritta , Commentariorum memorabilium multipUcis Historiae Tarvisinae locuples promptuarium libris quatuor distributum ; nella quale si vede con quanta diligenza, e quanto affetto egli sia andato da i più antichi, e reconditi luoghi di Trivigi, e da antichi sepolcri raccogliendo ogni cosa memorabile, che potesse a detta sua Patria apportar laude, e or- namento; nella qual fatica, siccome ha mostrato V ec- cellenza del suo ingegno , cosi s' è fatto degno che Trevigi , e i Trivigiani tutti gli abbino obbligo im- mortale (1) ».

Si ricordano, nel Canzoniere, i Cavalieri della fa- mosa Giostra di Treviso, Augusto Rinaldi, il Marconi, il Sile, la Piazza de' Signori, la Chiesa di Santa Catterina ; che più? il nome stesso del poeta è adombrato in al- cuni luoghi:

Bench' io sia di pili figli e Y avo, e il padre, E ondeggi, non che in Burchio, in fragil nave.

Ma, come dissi, queste prove ulteriori dell'auten- ticità del Canzoniere non sono necessarie davvero.

Molti in vece saranno coloro ai quali sembrerà strano che un fisico e storico illustre, come il Burchelati, scri- vesse a settant' anni un Canzoniere amoroso. A costoro, i quali vorrebbero che il Medico fosse puro Medico, come r asino è puro asino, basterà dare a leggere il Catalogo delle opefe di Bartolomeo, perché cessino dalle maravi- glie. Cito le Poesie Amorose, le Poco Iloneste, e i Cin- quanta Madrigali sopra il bel petto di nobil giovanetta.

(1) Giovanni Bonifaccio. Istoria di Trevigi, Venezia, Albrizzi MDCCXLIV; li Ediz. pag. 547.

MISCELLANEA 261

Ma, concesso pure che l' opera sia del Burchelati, il manoscritto è autografo ?

Il confronto di esso con le schede autografe , conservate nella Biblioteca di Treviso, mostrò la grandissima somi- glianza e, direi quasi, la identità del carattere. Ma, an- corché non fosse stato possibile questo confronto, tuttavia le correzioni del sonetto ottantesimo sesto, le note in margine, le trasposizioni della parole Fine per nuove ag- giunte di sonetti, e, specialmente, quella nota dell'ultima pagina Voglio finir col sonetto 304 del Petrarca, tanto al proposito mio , erano indizi sufficienti per stabilire l' autografia del codice.

Varie, a parer mio, furono le cagioni per le quali r opera rimase inedita. Ho già accennato alla delibera- zione presa dal Burchelati di non voler più spendere il denaro dei figli nella pubblicazione delle opere sue. S' aggiunga ora, che il poeta innamorato era settuage- nario ; non ancora ventenne l' amante. E qui si tratta di una fanciulla vera ; di una Maria Maddalena, bella et ho- norata figlia trivigiana, che ha uno zio, e due brutte sorelle, maritata l' una, invida e donzella l' altra. E non ci resta pure il dubbio se questa bella figlia trevigiana neir ardor degli anni serbasse la fredda e sola virgini- tate, 0 se andasse a marito: poiché il poeta, contento di un amore platonico, celebra anche il generoso consorte di Maddalena, un Parte , bellissimo giovine trevigiano. Maddalena ebbe tre figli, due le premorirono, uno le sopravvisse; ella morì giovane ancora, e fu sepolta addi 29 Gennaio 1625 in S. Catterina di Treviso. Il poeta ci dice di più ancora:

Quattro anni è stata, et cinque mesi à punto

Congiunta in matrimonio Maddalena,

Di affanni per lo pili, di dolor piena,

Da che il Parte se n' è con Lei congiunto.

262 MISCELLANEA

Qui, dunque, non si tratta di una donna teologale; ma di una bellissima fanciulla viva. La critica, quella ma- gistrale, che ama ingrossare le quistioni più semplici ed ottenebrar le più chiare, con tutta la sua buona volontà, non potrebbe questa volta ricercare se Maddalena, piut- tosto che vera donna, sia un simbolo magari della vita umana, la quale, posta fra due amori, austero platonico r uno, seducente voluttuoso 1' altro, a questo desiderosa si volge, e n'ha sventura o morte. No: queste belle a- strazioni non sono possibili. Maddalena é proprio una bella et honorata figlia trevigiana) e il poeta l'ama perché è bella, perché è buona. Ma non vuole eh' ella , amante di un settuagenario, divenga favola del volgo:

lo vo' celar a bello studio il Nome Di Costei, che si m' ama : eh' amo, e adoro, Se m' è lecito dir ; per cui mi moro, E mi rinasco e non so dirne il come ;

Meno di Lei n'accennarò il Cognome, Perch'ella, che lodo, e tanto honoro, Non fia biasmata, ò morsa da coloro, Che si addossan d' altrui fastidi, e some.

Temeva anche, se l'amore fosse divulgato, che i parenti della fanciulla ne la rimproverassero acerbamente :

È passato in proverbio, che il sospetto: Ne sia d' amor compagno : onde colui Disse al suo amico: Non sareste vui Amante, se non foste anco sospetto.

Tal' io, eh' amo costei con puro affetto. Non vo' dir che geloso sia, eh' altrui Mi tolga, quanto si godiam fra nui, Ma ben eh' e suoi si accorgano i' sospetto ;

Et che pertanto à Lei sia fatto oltraggio Da questi : ond' io da lor sia in odio tolto : E mi si levi favola, ò canzone.

MISCELLANEA . 263

Come poi il poeta, nel Canzoniere, abbia deriso ed infamato V invida sirocchia di Maddalena e il povero Novello, che, per la dote 1' aveva sposata, dirò più in- nanzi : ma, da quello che ho detto fin qui, io credo, che manifesta apparisca la cagione per la quale il Burchelati non ha pubblicato l' opera sua. E come avrebbe potuto farlo, viventi lo sposo, lo zio, la sorella, il cognato della fanciulla amata? Com.e senza offendere la Maddalena, e far zimbello del volgo?

Il Canzoniere del Burchelati rimase, dunque, inedito ; ma come potè essere trovato a Montebelluna ? Qui non è possibile che fare una congettura. Un discendente di- retto del Burchelati fu canonico della Collegiata di Mon- tebelluna, e vi ebbe residenza e possessioni. Teneva egh per gastaldo un Bergamo , il quale, in vita e più ancora in morte del canonico, aggiunse, come usano i gastaldi, molta roba del padrone alla sua, ed al suo cognome quello di lui : avemmo cosi i Bergamo -Burchielato. Che il libro del fisico trevigiano passasse in questo modo alla rustica progenie, è probabile ; ma non lo si può affer- mare con piena certezza.

Un' ultima questione, che potrebbe essere sollevata, è questa : il Canzoniere è un' opera distinta, ovvero una parte di altra opera inedita? Nel Catalogo delle opere inedite è registrata la seguente: Poesie volgari divise in libri sette, e sono : Le Pietose, Le Amorose, Le Gravi, Le fune- briy Le Dire, Le Poco Honeste, Le Cartone. La Biblioteca di Treviso non ha inscritta, eh' io sappia, ne' suoi indici quest' opera a stampa inedita. Tuttavia, anche non conoscendo cotesto Poesie volgari divise in libri sette, si può benissimo risolvere la questione. Nel Canzoniere non è detto, indirettamente accennato, ch'esso sia parte di quella Raccolta (Le amorose) ; e poi esso , che forma un tutto artisticainente compiuto, non può appartenere

264 MISCELLANEA

alle Poesie volgari, perché quelP opera inscrivevasi nel Catalogo del 1597 come già apparecchiata per le stampe e quindi completa ; mentre il Canzoniere è certamente posteriore al 1600. Infatti, ne' primi sonetti del Canzo- niere , il poeta ci dice che la sua bella non è ancora ventenne ; e noi sappiamo eh' ella stette quasi cinque anni in matrimonio, e che mori non ancora trentenne nel 1625 : dunque, il Canzoniere fu scritto fra il '15 e il '25.

Veniamo ora ad esaminarlo particolarmente (1). Sono 113 sonetti scritti prima del matrimonio della fan- ciulla amata (col numero ottantesimo sesto son due; il cin- quantesimo primo è la traduzione del latino che gli sta a fronte); seguono 18 sonetti scritti dopo il matrimonio, un carme latino, un sonetto dello Speroni; vengono poi cinque sonetti in morte della donna amata, e, da ultimo, il so- netto trecentesimo quarto del Petrarca. Il sonetto qua- rantesimo sesto è in versi sciolti ; riprendendo l' ultimo verso del sonetto precedente, formano coroncine i sonetti -~ 51, 52, 53 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77 89, 90, 91, 92, 93 97, 98, 99 . La prima parte del Canzoniere finiva col sonetto 112 (111); e 1' autore aveva terminato scrivendo :

// Fine MDCXX V Agosto.

Poi cancellò II Fine, e, aggiunto un altro sonetto, tornò scrivere:

Il Fine MDCXX ne' primj di Settembre.

(1) Noto che le parti del Canzoniere non furono chiaramente distinte dall'Autore per segni o per frapposizione di pagine bianche: la piima parte vi é distinta con la nota ripetuta 11 fine . . . , ma la seconda ho creduto di poterla distinguere dalla terza per il <;olore più sbiadito del- r inchiostro e per T argomento affatto diverso.

MISCELLANEA 265

Sotto r ultimo sonetto della terza parte e del Can- zoniere e' è una nota importante: —- 1625 di 29 Genaro, sepolta in S/^ Catterina . E, nella pagina seguente, ultima del libro, sta scritto : Voglio finir col sonetto 304 del Petrarca tanto al proposito mio. L' autore trascrive il sonetto « Donna, che lieta co 'l principio nostro ...» ; e pone da ultimo :

// Fine 1625 di 11 Febr. nel giorno di Carnevale.

Ho detto che il Canzoniere del Burchelati fu scritto 0 trascritto nel libro di Giovanni Wilmael. Esaminando il manoscritto, è facile accorgersi, che tutti o quasi tutti i sonetti furono ricopiati. L' autore doveva trascriverli dalle sue schede ; perché , al numero 86 , ricopiata la prima quartina del sonetto « Chi fìa giammai , se non qual io che vogli . . . » , s' accorse che quello era stato già trascritto ; cancellò, e pose in nota È posto il primo . Però, non volendo lasciar in bianco quella pa- gina, si pose a trascriverne un altro, « Disperate lo più scrivon gli amanti ...» ; ma anche quello era stato ri- copiato ; dovette, dunque, cancellare nuovamente, e scrivere qui avanti . Trascrisse allora l'ottantesimo sesto nella pagina seguente. Più tardi, nella pagina dove aveva sbagliato due volte la trascrizione, pose un altro sonetto: cosi avemmo YSQa e VS6b.

Uberto Gifanio, donando il libro a Giovanni Wilmael, vi scrisse una sentenza di Tertulliano; Primum quodque verissimum; adulterinum quodcumque posterius. Il Burchelati, ricopiando in quel medesimo libro il Canzo- niere, s' accorse che quella sentenza condannava il suo amore senile; e cercò di giustificarsi, ponendo come e- pigrafe del libro questi due versi :

266 MISCELLANEA

Di Età senile giovenil pensieri :

Non però son, cred' io, vani o leggieri.

Ma sembra che la sentenza di Tertulliano gli stia quasi sempre dinanzi, mentre compone i suoi sonetti in lode ó\ bella, et honorata figlia trivigiana amante amata. Non e' è cosa sulla quale egli maggiormente insista , quanto sulla possibilità di amare platonicamente in vec- chiezza. E polemizza per ciò in versi con Sennuccio, col Marconi, con un quadragenario, con tutti. Anche Salomone, nel suo dottissimo libro, ammonisce i vecchi a non voler confondere la loro bianca chioma coi morbidi e biondi capegli inanellati di amanti giovinette: Bartolomeo ricorda quel passo della Scrittura ; quasi tormentato da uno scru- polo religioso, lo commenta ne' suoi Sonetti; e a Dio, bellezza unica e vera, chiede perdono d'aver troppo a lungo delirato per quella nuova bellezza terrena. Reli- giosissimo doveva essere il Burchelati, se, gemendo nel- r agonìa un suo figliuolo, egli, dimenticandosi quasi d'es- ser padre, potè chiedere in versi a Dio che glielo togliesse pure piuttosto che dovesse per sventura cadere in pec- cato. Ma d' amare un' altra donna, vivente ancora la ma- dre de' suoi figli , il buon vecchio si confessa a Dio si pente: e, se il volgo di ciò lo rimprovera, egli scende a disputare anche col volgo, sostenendo che si può pensare ai bisogni della moglie , all'educazione de' figliuoli , amando pure platonicamente un' avvenente fanciulla. E cosi, quasi non bastasse la tarda vecchiezza a rendere freddo quel- r amore platonico, e quindi priva di vita e di sentimento r opera poetica ; si aggiunge anche la necessità di com- battere, in tutto il Canzoniere, le sentenze di Tertulliano e di Salomone, e V opinione del volgo che condanna gli amori senili.

MISCELLANEA 267

Ma qual' è la storia e la natura dell' amore di Bar- tolomeo Burchelati per Maddalena Parte?

Bartolomeo aveva preso tre mogli, ed era sui set- tant' anni, quando gli parve che una bellissima fanciulla a lui volgesse amorosamante gli sguardi. Dapprima cre- dette che r amore della fanciulla,' se pure era amore, non fosse che un fuoco di paglia ; poi si convinse eh' era a- more caldo, nobile, sincero. Da quel giorno il povero vecchio si senti rinascere in cuore tutti i dilettosi inganni della sua giovinezza; e, dimentico della triplicata Laura e de' suoi settant' anni suonati , segui la Maddalena alle Giostre, nelle Chiese, per le vie. Tutte le furberie degli amanti tornano in campo: e il fisico settuagenario, il fa- moso fondator d'Accademie, passando dinanzi alla casa della sua fanciulla, tal volta si ferma a parlare con lo zio per vederla, tal' altra passa oltre senza badare a lei, che lo sbircia attraverso le gelosie della finestra:

So, che sei dietro a quella gelosia, E mi vedi, e mi guati e osservi, ch'io Non bado punto à la tua volta : e il mio Voler dal tuo diverso par, che sia.

Non è cosi, mia vita, anima mia ; Egli è, perché non pagarne il fio: Gonoe à dire, esser favola del rio Volgo frequente, che mi guarda in via.

Gli sguardi debbono essere furtivi, i colloqui segreti ed in luogo opportuno ; e' è l' invida sirocchia, che tutto spia, che tutto vede, desiderosa di fare uno sregolato scorno alla sorella; c'è il volgo frequente che guarda nella via, che segna a dito in piazza. 11 popolino non scherza: le donnicciuole di Treviso hanno lo scilingua- gnolo sciolto, e potrebbero accompagnare il fisico illu- stre, lungo il Galmaggiore, gridando:

268 MISCELLANEA

Un vecchio, e' homai de guatar le pietre, Spiar le belle figlie à la fenestra, E starsi lìsso a rimirarle in faccia !

E, allora, addio dignità, addio gloria ! È meglio, dunque, appagarsi di un amore studiosamente celato, e ricambiato. Io celar a bello studio il Nome Di Costei, che si m' ama, eh' amo e adoro . . . Di saper cura, eh' io stia ben, eh' io V ami La mia angioletta . . . Se, in presenza d' altri, dovranno volgersi le spalle, {Contentati, ben mio, se ben ti volgo II tergo per la fac- cia . . . ) tuttavia le belle occasioni per mirarsi desio- samente non mancheranno: sarà nella Chiesa durante la Messa, sarà nella Piazza durante la Giostra. Ma pure è impossibile che la maledetta sirocehia non s' accorga una volta di queste tresche amorose. S' accorge : e vuol to- gliere, co' suoi vezzi, l' amante alla sorella. Qui le ire, le imprecazioni del vecchio fedele. Intanto un anno era pas- sato: e il poeta seguitava a celebrare la sua fanciulla.

Per beltà naturai, ò pur divina,

Gh'è 'n Lei, nel corpo, e ne la mente pari.

Quando s' accorse che un Cavaliere di Malta gio- strava con lui, per rapirgli la donna amata. Fin che si trattò di fare il generoso a parole, l'amante settuagena- rio non si peritò di consigliare alla sua bella:

.... convienti amar giovane vago, Che di te possessor ne sia e marito;

ma ora che il giovane vago è venuto, e giostra con lui, e gli contende tanto tesoro, egli dimentica volentieri quel generoso consiglio.

MISCELLANEA 269

S'è cieco Amor, non è però cieco Quei, eh' ama : onde geloso egli s' accorge, Quando aggiugne un rivale : e ne lo scorge Da minim' atti, ó moti, ó guardar bieco.

Un Gavalier di Malta hor giostra meco. Che '1 veggio, mentre lieti gli occhi porge Ver te giolivo : ed hor s' abbassa, hor sorge Per riscontrarsi co' suoi sguardi teco.

Lodo il giudicio, ch'ei ti ammira bella Sopr' altra qual si sia : ma, eh' ei, eh' è Frate, Vogli far à l' amor, non gli conviene.

Dirassi, meno à te, Dottor, che sene, Ed ammogliato sei . ben stia . ma s' ella M'ama, anch'io n'amo la sua gran beltade.

Ma, finalmente, il buon Dottore si persuase, che non era giusto umano sacrificare una vezzosa fanciulla al- l' impotente amore d' un fisico settuagenario ammogliato per la terza volta; comprese che la fanciulla non poteva più a lungo preporre la vecchiaia di lui alla balda giovi- nezza di un bello innamorato. Prese, dunque, congedo; e n'aveva le sue buone ragioni:

Torno al congedo, à la licenza io torno Da te, leggiadra, e gratiosa figlia : Non ti sdegnar, non prender meraviglia : dir che al nostro amor si faccia scorno.

Confesso il torto haver ; ma s' io soggiorno In questa vanità : la tua famiglia. La Città, il volgo homai mi annota, e piglia Per vano, per leggier, per capostorno.

Maria Maddalena, volendo pompeggiar matrona, la mano di sposa al generoso Parte: il poeta, non po- tendo oramai far altro di meglio, loda ed approva la scelta, e si consola pensando al corruccio che n'avrà r invida sirocchia :

270 MISCELLANEA

È pur venuto il destinato giorno Che fatta sei la Sposa, anima bella : E 'n la futura notte, di Donzella Diverrai Donna, e andrai con l'altre intorno.

Ne la lutta di Amor lieto soggiorno, Notte, e giorno farai, leggiadra, e snella, Con gran dispetto de la tua sorella. Che credea farti un sregolato scorno.

Ma r invidia sir occhia, benché superba e brutta, trova un Novello, il quale, non avendo ancora due peli sul mento, se la piglia per averne la dote : cosi anch' ella ha trovato

non frale barca.

Che r ha levata : onde al marito varca : Non so se ad oprar l'ago, ò la conocchia.

Il vecchio poeta, seguendo de' poeti volgar lo ante- signano, ama la sua signora anche maritata, anche madre di tre figli; ed è contento s'ella si degna di guardarlo graziosamente: altro non vuole, altro non desidera. La Maddalena, dopo quattro anni e cinque mesi di matri- monio, cade malata; e si vede

Giovane sana e bella, non ancora Al sesto lustro giunta con l' etate Cader, quasi repente uscir di vita.

Questa veramente è la storia esterna di quelFamore; ma l'essenza di esso io credo che tutta sia rinchiusa nelle due quartine seguenti:

Semplicità di cor puro e innocente Dirammi alcun, eh' egli è cotesto amore. A cui dirò, eh' è pizzicor di core Al pizzicor del mio corrispondente.

MISCELLANEA 271

Un sol voler, una medesma mente Di cibarsi co gli occhi a tutte 1' ore L' un r altra, 1' altra 1' un, fuor d' ogni errore: Questo è il nostro gioir, non altramente.

È UQ amore molto semplice, e, sotto certi aspetti, ridicolo. Un pittore , che avesse avuto agio di stu- diare la vita trevigiana e i costumi di quel tempo, se la semplicità e la causticità del suo ingegno lo portassero a ciò, potrebbe ritrarre e, direi quasi, rappresentar quel- r amore in un quadretto fiammingo. Una nobile fanciulla, che, sorridendo, spia dalle finestre semiaperte di un an- tico palazzo trevigiano; e, giù nella strada, il fisico set- tuagenario, che passa co' Dottori suoi amici, i quali, non ignari della tresca amorosa, lo guardano cosi di sottec- chi maliziosamente per godere del suo imbarazzo. Baste- rebbe: tutto il Canzoniere non ci rappresenta nulla di più. Sono quelle occhiate furtive dalla finestra, sono i sogghigni e le dispute degli amici, che danno il tema a quasi tutti i sonetti del Canzoniere. Lotta di passioni con- trastate non c'è: Bartolomeo ama la Maddalena, ma cosi per un pizzicor di core, e per niente altro ; e poi egli è settuagenario ed ammogliato per la terza volta. Quando la sua bella va sposa ad un altro uomo, egli non si so- gna neppur di fuggire come Jacopo Ortis, quando ebbe perduto Teresa : e perché avrebbe dovuto fuggire il po- vero vecchio ?

È vero ch'egli tal volta vorrebbe darci ad intendere che l'amore gli era scala per salire fino a Dio:

Emmi scala il decoro di costei, La beltà, l' onestà, gli alti costumi. Al Cielo, a Chi la fé' candida e pura.

Parole ! Egli non pensa a nobilitare e santificare il suo amore se non quando commenta i proverbi di Sa-

272 MISCELLANEA

lomone ; o quando vuole scusarsi con Dio d' aver fatto ali' amore in Clìiesa, durante la Messa. L' amor suo è veramente un pizzicar di core; la sua più bella prattica è quella di guattarsi à la sfuggita.

Non e' è passione ; non e' è, dunque, vera poesia nel Canzoniere ; e pure l' arte è tale da farci tenere in maggior conto il Burchelati come poeta. Ha qualche stra- nezza secentistica: ma, più di frequente, ha giuochi di parole. Quand' egli raffigura in un Burchio (Burche- lati) ; e, per ricordare il nome dell' amata Maria Madda- lena, scrive questo verso

MA EIA fortuna voi eh' io sia dannato ;

ricorda i giuochi del Petrarca, ma mostra anche come de' poeti volgar lo antesignano avesse più di buona grazia e di buon gusto nell' eseguirli. Ama anche i bisticci : (( Donna, che Donna sei divina e dono . . . » ; e il so- netto decimo sesto non è che una continua ripetizione delle due parole viva e vita:

Ho detto, e 'I dico, e dirò sin, eh' io viva, Gh' amo, che voglio amar sin e' barrò vita Da le fascie n' ho havuto questa vita. Che rimarrà per fin, eh' io vivo, viva.

Sarà anco dopo morte, e sempre viva Questa mia voglia, che m' apporta vita : Et vita tal, che pili lodevol vita Non lìa, che amar, ond' alma eterno viva.

Chi non ricorda le parole del personaggio Bisticcio nella farsa della Villana di Lamporecchio? « Tu ti picchi? anch'io mi picco alla tua picca. Se hai la pecca di aver pacche non t' appicco, ma non pecco se ti spicco o spacco il capo cupo e do alla parca un parco porco. » Ma de-

MISCELLANEA 273

gno veramente di un fisico è il sonetto cinquantesimo quarto, che comincia cosi:

M' ami tu, perch' io t' amo : io son primiero Ad amarti, mio ben, poniam sei gradi. Tu il settimo m' aggiugni, poi che aggradi Riamarmi : ed io 1' ottavo agiugner chero :

Ma tu vi aggiugni il grado nono in nero, Mentre mi soprafai, e al mio amor badi : Quand' io ti riamo più, perché se 'n vadi Il nostro amor si gareggiando altero.

Leggendo, la prima volta, il Canzoniere appena tro- vatolo mi venne in mente quel verso di Fedro : « Garbo - nem, ut aiunt, prò thesauro invenimus ». Poi, rileggen- dolo e studiandolo, mi parve eh' esso fosse ancora una delle migliori opere poetiche del Burchelati: certamente, per queir episodio amoroso della vita di Bartolomeo, il Canzoniere è più storico di un' autobiografia.

È, insomma, un'opera della quale dovrà necessaria- mente tener conto chi si ponga a studiare la vita e le opere del famoso erudito trevigiano, per darci un lavoro più compiuto di quelli del Mazzuchelli, del Cenni e del Ser- nagiotto.

Montebelluna, Febbraio 1890.

Augusto Serena.

Voi. Ili, Parte I 18

DODICI RISPETTI POPOLARI INEDITI

Io credo che T illustre autore degli Studi su la poe- sia popolare italiana abbia nettamente definite, parlando de' rispetti e degli strambotti, le relazioni che corrono, in questo genere di poesia, tra la forma aulica e quella popolare. « Riconosciuto dice adunque il D'Ancona, che negli strambotti e rispetti delle stampe e dei co- dici del quattrocento si vuol ripr.odurre la maniera di poetare propria del popolo, è necessario ammettere che l'imitazione non fosse fatta a caso, ma sopra esempj di qualche notorietà. Se non che, ognun ben comprende come sia ben difficile il poter dire: questi e questi fu- rono i Canti che il popolo della città e del contado pos- sedeva in quel tempo: ma potrebbe anch'essere che un giorno una qualche felice scoperta ci conducesse a co- noscere quel che desideriamo (1) ». E sta bene: ritornando però due anni dopo sull'argomento, il D'Ancona rico- nobbe insolubile la questione che potrebbe sorgere quando si volesse stabilire se il letterato abbia imitato il popolo, 0 questo l'altro (2), perché il fatto stesso che sin dal quattrocento, cioè sin da quando in Toscana la poesia aulica non isdegnò di ritemprarsi nella rozza, ma robusta,

(1) Al. D'ancona, La poesia popolare italiana, Livorno, Vigo, 1878, p. 144.

(2) Giornale di filologia romanza, II, 181.

MISCELLANEA 275

vergine, purissima poesia popolare, la quale, confessia- molo pure, rinsanguò per tanto tempo le vene del pe- trarchismo, si hanno codici e stampe, dove il rispetto e lo strambotto è scritto cosi come il popolo ancor oggi lo canta, questo fatto, ripeto, prova all'evidenza che, se vi fu a partita aperta di dare e avere tra la poesia colta e la popolare, e conto corrente sempre aperto fra i ri- matori illustri e plebei » (1), questi ultimi, per segui- tare il frasario mercantile, non ebbero molte cambiali passive da scontare; almeno nel periodo de' codici.

E poi trovando, per esempio, uno strambotto attribuito da un codice al Giustiniani e da un altro, con qualche variante, attribuito al Poliziano, è forse necessario to- gliere dal repertorio poetico del senatore veneziano una poesia per darla all'umanista toscano, o viceversa? Non mi pare. E che, il popolo, ancor oggi, non canta il me- desimo rispetto, 0 strambotto che sia, a Firenze, a Ve- nezia, a Roma, in Sicilia? E uno stesso canto popolare non può essere stato fermato in iscritto tanto dal Giu- stiniani quanto dal Poliziano?

Queste considerazioni mi muovono ora a pubblicare una serenata di rispetti, che ho tutta la buona ragione di credere inediti, tolti dal codice barberiniano XLV, 27, sconosciuto, per quanto io ne sappia, agli studiosi di poesia popolare. Tali rispetti, se bene per la forma si avvicinino a queUi che il D' Ancona trasse compiuta- mente alla luce nel 1878 (2) dal celebre codice perugino, non hanno però, com'essi, alcune di quelle forme an- tiche, che l'illustre editore ebbe a riconoscervi.

Il codice barb. XLV, 27 misura 23 X 18, di e. 105 num. , è cartaceo del secolo XV ; è preceduto, oltre che

(1) D'Ancona, Studj, p. 322.

(2) In appendice agli Studj.

276 MISCELLANEA

da due solide guardie membranacee, da due carte, pure membranacee, che forse costituivano la legatura primi- tiva. Sulla prima è scritto: « Pistole composte per meo pecorj et per giouan ghuiducci, », e infatti, per buona parte, cioè da e. 1^ a metà della e. 103^^ il codice con- tiene moltissime « pistole mandate a più giovane, donne, maritate, uedoue, monache et pulzelle come legiendo ue- draj », le quali epistole per la purezza del dettato sa- rebbe non inutile disseppelire ; quindi, a e. 103^ « co- minciano parecchi begli rispetti » che arrivano sino a 105^ dove terminano nel modo seguente : « Finito le pi- stole e rispetti per me fracescho picchardj questo di 26 di diciembre 1473 ».

Certamente, qui potrebbesi ricercare a chi spetti la paternità de' dodici rispetti, eh' io non saprei davvero dare al Piccardi, il quale certo, come fu l'amanuense delle pistole, cosi copiò anche le poesie; le quali torse non devono attribuirsi meno ai due scrittori di cose amatorie, e forse il menante trovò in qualche codice, e, trovatele nella materia conforme alle epistole, ricopiò in coda a queste ultime.

Per finire, dirò , quanto al metodo da me seguito nella stampa, che ho tentato di dare il testo leggibile, e cioè ho sdoppiato le consonanti, o cambiato 1' u in v, ho tolto Vh dove era esuberante e ho rammodernato la punteggiatura; d'ogni mia innovazione ho però diligen- temente fatto cenno nelle note, nelle quali ho anche in- dicato i gruppi uniti di parole.

M. Menghini. I.

Io sono il tuo servo e tu se' il mio signore, tu se' colei che mi mantieni la vita, tu sse' colei che sempre a tutte Tore vorre' vedere la tua faccia pulita.

MISCELLANEA

277

Deh, non fuggir che tu mi schianti il core, giamai da te non vorrei fare partita; s' ì' dormo o ueghio il tuo nome chiamo, si come quel che sommamente bramo.

1. lituo; etusse; ilmio sìngniore. 2. tusse; chemimantienj ;

lavila. 3. tusse; senpre atutte; lore. 4. tatua. 5. denon-

fuggire chettu mischiantj licore. 6. datte. 7. si; oveghio il tuo. 8. comequello chesomamente.

Il sesto rispetto del cod. perugino (D'Ancona, 443) dice:

Tu se' mio primo amor, tu se' mia stella, Io son tuo servo, e tu se' il mio signore. Tu m' accendesti al core una fiammella. Che m'arde sempre e strugge a tutte Tore.

E il Poliziano (ed. Barbèra, 206): Benché sie mio signore, io servo umile,

II.

Io non posso fuggir quel ch'amor vuole il qual più vii di me già fé' ardito, e lui mi stringe a dir queste parole le quali tu odi e vuol pure ubbidito esser da me, si come egli esser suole; sicché se per me in ciò fosse fallito lui ne riprendi e a me perdonanza ti priego, doni, dolce mia speranza.

4. nonposso fuggire; chamor. 2. Uguale; dime; giaffe. 3. ellui; mistringie; adir. 4. lequali ; hubbidito. 5. damme; egliesser, 6. perme indo. 7. amme. 8. dolcie.

278 MISCELLANEA

III.

L'alta belleza tua e lo splendore de' tuoi vaghi occhi e de' costumi ornati, l'onestà cara e '1 donnesco valore e' modi e gli atti più ch'altri lodati nella mia mente anno lui per signore, e te perdona in tal guisa scemati, ch'altra cedente mai fuor che la morte a cacciarnegli fuori non sare' forte.

i. Latta; etto. 2. detuovaghi; edecostumi. 3. tonestà chara; etdonnescho. 4.. emodi; egti ;] chattri. 5. neltamia; sìngniore. 6. ete; intat guisa. 7, chaltra; chettamorie. 8. achacciarnegti.

È, con notevoli varianti, il 76.° rispetto del codice perugino (D'Ancona, 457):

L'alta bellezza tua e lo splendore Della tua vaga luce 'I bel parlare. Gli onesti modi e '1 vago tuo colore M'ha mille volte e pili passato il core; Per modo tal che sempre a tutte l'ore Gonviemmi nella mente suspirare: Pregar ti voglio, dolce anima mia. Raccomandato il tuo servo ti sia.

IV.

Di queste cose, donna, nasce un foco che giorno e notte l'anima martira, sanza lasciarmi trovar posa o loco pianghonne gli occhi e '1 petto ne sospira; e consumar mi sento a poco a poco di questo ardor che tanto in me s'aggira;

MISCELLANEA 279

però ricorro alla tua virtute

sol mi convien s' i' voglio aver salute.

1. nascie unfocho. 2. chegiorno enotte lanima. 3. ol- locho. 4. pianghonne gliocchi elpetto nesospira. 5. chonsumar misento apoco apocho. 6. ardore chetanto imme saggira. 7. ri- chorro allatua. 8. michonviene sivoglio.

V.

Per dirti le mie pene i' son venuto, deh piacciatj, fanciulla, d'ascoltare, e non guardare al suono del liuto, ascolta le parole del cantare. Dice il proverbio che '1 tempo perduto giammai nel mondo si può racquistare; trista a colei che perde giovineza e chiede ritrovarse in sua vechieza.

1. lemie; ison. 2. de; dascoltare. 3. enoguardare; ai- suono; delliuto: 4-, leparole delchantare. 5. dicie cheltenpo. 6. sipuò. 7. acolei (?); forse il Piccardi raddoppiò per isbaglio Va di trista. 8. echiede ritrovarsse insila.

Il 79.*' rispetto del codice perugino (D'Ancona, 457) dice :

Per dirti l'animo mio ci son venuto, Ti piaccia, donna, volermi ascoltare, E non guardare al suon eh' è qui venuto, Ascolta le parole del cantare; Dice il proverbio che '1 tempo perduto Giammai indietro non pliò ritornare: Sciocca è colei che crede restorare. Quando i capei cominciano a imbiancare.

280 MISCELLANEA

VI.

Deh piacciati d'udir le mie parole,

datti buon tempo e non lasciar per nulla,

che d'ogni tempo non son le viole

e sempre non si sta fanciulla,

quand' altri è vecchia ella si duole del tempo perso e non vale una frulla; le vecchie son poi buone a dar consiglio quando le giovani hanno alcun periglio.

i. depiacciatj; dudire; lemie. 2. buontempo enollasciare. 3. dogni tenpo; leviole. 4.. esenpre nonsista; il verso è evi- dentemente monco. Forse manca la voce bella. 5. quandaltrj. 6. deltenpo persso; novale. 7. levechie; adar chonsiglio. 8. legiovanj ; ano alchun.

VII.

Prendi piacere innanzi che trapassi, bella fanciulla, il fior degli anni tuoi, che '1 dolce tempo trapassar tu lassi prima, pentuta tu ne sarai poi; piangerà il tuo dolore gli occhi bassi che farà tolto quel che dar puoi; el tempo passa e tu non ti provvedi arai maggior dolor che tu non credi.

1. piaciere inanzi chetr apassi. 2. deglianni tuoj. 3. chel dolcie tenpo; tulassi. 4. tunesaraj poj. .5. piangierà lituo. 6. chettarà; quello chedar. 7. eltenpo etu nonti provedj. 8. magior dolore chettu nonchredj.

Oltre al citato rispetto del codice perugino (n.° 79) vedi un rispetto che il Carducci attribuisce al Poliziano (ed. Barbèra, 194):

MISCELLANEA 281

Prendi bel tempo, innanzi che trapassi, Gentil fanciulla, el fior degli anni tuoi: Se '1 dolce tempo trapassar lo lassi, Prima pentuta tu ne sarà' poi E prima piangeran gli occhi tuoi lassi; El pentirsi da sezo non vai poi: Tristo a colei che crede ristorare. Quando e' capei cominciono a imbiancare.

Cfr. altresì il VII strambotto del Giustiniani dato in luce dal D'Ancona {Giorn. di filolog. romanza, II, 185) e lo strambotto pubblicato dal Gian, Ballate e strambotti del sec. XV, {Giorn. stor. d. lett. ital. , IV, 49), in cui Ted. annota: « Ma troppo lungo sarebbe il venir no- tando gl'infiniti riscontri che nella poesia colta popola- reggiante si potrebbero trovare con questi che sono i motivi prediletti del popolo ».

VIII.

r crederei aver tanto pregato

che fosse isvolto ogni santo romito,

e crederei che fusse piegato

ancor di marmo o sendo profferito (?);

sendo il tuo servo tanto tempo stato

sol per servire al tuo viso pulito;

i' son tuo servo, o rosa colorita,

e sarò infin che durerà mia vita.

1. ichrederrej. 2. fossi ; ognisanto. 3. echrederrej. 4. dimarmo; ssendo. 5. iltuo; ienpo. 6. altuo. 7. ison; cholo- rita. 8. infino chedurerà mie.

IX.

Tante bellezze porta il tuo bel viso chiunque le vede innamorar lo fai,

282 . MISCELLANEA

0 fanciulleUa nata in paradiso pili bella di te non vidi mai. Quand'alzi gli occhi e fai un certo riso se fussi morto suscitar lo fai; perché ci sia ancor dell'altre belle se' come 'I sole in mezzo delle stelle.

1. belleze portta iltuo. 2. chiunche levede inamorar. 3. inparadiso. 4-. dite nonvidi maj. 5. quandalzi gliocchi effai uncierto. 6. sucitar. 7. cista; dellaltre. 8. comelsole in- mezzo.

Ricorda il rispetto perugino n.° 57, specialmente ne- gli ultimi due versi:

Gara speranza che mantien la vita, Dolce diletto che nel mio cor stai, D'ogni bellezza voi sete fornita Più ch'altra donna ch'io vedessi mai; La faccia tua di rose colorita E di viole ingarofalata l'hai; Benché ci sia dell'altre che sian belle. Voi siete come luna infra le stelle.

E il Poliziano (ed. Barbèra, 228):

A formar cosa sopra l'altre belle. Tu pari il sole in mezzo delle stelle.

X.

Chi sare' quel crudel che non t'amassi, dama bella, e' tuoi costumi begli? e quel bel viso che '1 mio cuore passi con quegli occhi lucenti e begli? faresti innamorar la terra e i sassi e per le selve innamorar gli uccegli;

MISCELLANEA 283

e se tu fossi al servo un po' piatosa al mondo non fu mai più bella cosa.

4. sare; chrudele chenontamassi. 2. etuoi. 3. belviso chelmio chuor. A. quegliocchi; lucienti. 5. inamorar laterra e- sassi. 6. perite inamorar gliucciegli. 7. essettu; alservo unpo- piatosa. 8. nonfu.

È, con qualche variante, il quinto de' 125 rispetti contenuti nel ed. perugino:

Chi sarà si crudel che non t'amassi. Gentil fanciulla, e '1 tuo bel viso adorno? El tuo bel viso dentro al cor mi passi, E' tuoi occhi leggiadri tanto belli. Faresti innamorar le pietre e i sassi, E per le selve innamorar gli occelli: E se tu fussi a me punto piatosa, Al mondo non saria più bella cosa.

XI.

A mme non giova più stare sagreto, a me non giova andar cogli occhi bassi, a me non giova l'esser mansueto, e non mi giova il misurar de' passi; a me non giova cantar ne' star cheto, a me non giova e' sospiri mie lassi, a me non giova carità speme, a me non giova s'io ti vo bene.

\. amme nongiova. 2. ame nongiova; cogliochi. 3, ame nongiova tesser. 4. enomi; itmisurar. 5. alne nongiova chantar nestar. 6. ame nongiova esospiri. 7. ame nongiova charità. 8. ame nongiova sio tivo.

284 MISCELLANEA

XII.

r farò fine a questi versi stanchi, a groliar la tua virtù corretta, e '1 viso che son vermigli e bianchi di rose e fiori e alcuna violetta. Se Tarco e la saetta avessi a' fianchi fra l'altre iddee tu saresti eletta; ma crudeltà ti fa dal ciel ribella, che dama cruda non può esser bella.

1. /; aquesti; verssi; 3. elviso cheson. 4. alchuna 5. larcho ellasaetta. 6. frallaltre. 7. chrudeltà tifa dalcielo. 8. chruda nonpuò.

ERRATA-CORRIGE

Non avendo potuto rivedere da me le bozze dei Proverbi di Garzo pubblicati in appendice alle Laudi Cortonesi del secolo XIII, devo, a mio mal grado, soggiungere queste correzioni al testo e alle varianti, pregando i lettori di averle presenti.

C. Appel.

Nell'avvertenza premessa, alla lin. 17, leggerai quattro (non tre), e alle lin. penult. e ultima : quasi al tutto conforme al testo edito dal Giu- llari (G), e appartenente....

Proverbi, II, 3: Arte parte ] che. 4. Togli il punto dopo richegga. Varianti, II, 2. Leggi: Sta in margine nel W. Ili, Var. i. facie PB\^ {invece di sacie GL). 6 case e e. 7?.

8. g. e. e. a {invece di 9 e. e. a.). IV, Var. L Aggiungi: pel caldo L. V, 8. Agg. virgola dopo dato.

Var. V, 9: ischusa {non Fschura). 11: e a. è a r. B} {non e a. e a. r.). 12 Aggiungi: e avaro LB}.

VI, 12: va invece al n.° 5. Ibid.: laudar, non laude.

Var. VI. Leggi sempre GP in luogo di P. VI, 1. Agg. escha fa viuega jR» et r.] acorte R^. 2 Esce per bocca LB}. che uomo t. P. È anche in LB}; pare anzi la lezione buona. i. Agg. di] per LB^. luogho B^. 5 lo si. LB^. 6 con] B^. 8 Seguo nel testo la lezione di GLP. e] con p. B^. 10 p. v.] più sta B^. 12. remila L (non P). nel T emistichio seguo LB^ (non P) laude GPB^; lautar B'.

VII, 9. può', non può.

Var. VII, 7. Agg.: schura B^.

286 e. APPEL ERRATA-CORRIGE

Vili, IO. Agg. virgola dopo basta.

Var. Vili, 5. Agg. soprella R^. 8. Agg. Grande B>. ^ suo R^ (non /?»). 11. Agg.: e] /?l IX, 5: fallire, non follire. 12. ^^r. virgola dopo giudicha.

Yar. IX, 9. codidia R^ {non còtidia). X, 1. Agg. virg. dopo acarognia; e nella nota leggi soi acharognier, non s' acharognier. Var. X, 1. acaragnia L. (won caragnia) 9. è manca a R^. 12. Rotto R^; e confortato R^*. XI, Var. 11. passera a p. QPR^ (non GP). XII, 3. spesso. 5. Agg. virgola dopo gratta.

Var. XII, 5 Leggi: manca a LR^ (non Lfì*). XIV, Var. 2. ^^r^r. destrierj R^ chaual /?i chaualieri R^. E nella penult. linea aggiungi un 7 innanzi a manca a GP. 11. Agg. tuttora é 1. R^. XVI, 6. Togli i due punti dopo dado.

Var. XVI, 7 Qual ti vedi... cotal ti p. L.

XVII, Var. 2. ^^f. che non a L.

XVIII, 5. Stato, non Stata.

Far. XVIII, 6. /l^r^. al J a /J^. 8. Agg. fa] la fìl 12. S che s. {non I che s.). XIX, Var. 3. Le^^i L in luogo di R^ dopo dinuidia e insidia. XX, 10. (La numerazione è spostata). Var. XX, 15. Agg. Vanagrolia R^ XXIII {non XIXII), 1. Agg. virg. dopo s'infangha, e dopo s' inchiude (3). 8. è fino. Var. XXIII, 1. leggi: in su] in L; su per la R^. 10. Agg.: launque R^. XXIV, 3. questa somma canta {non, tanta).

Var. XXIV, Un. 4, leggi: Pero che nomi itrametto di più per- lungare.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS

Incipit stemma dictaminis magistri Guidonis Fabe Bononiensis (R).

Quasi modo geniti infantes lac concupiscentie rationabile sino dolo cum exultatione suscipite, hominis utriusque dona (1) gratissima dulcedinis affectate, quo de celesti gacofilatio manu benivola nobis contulit rex magnifìcus et eternus, eadem in aureo candelabro sua piotate constituens ut lucerent singulis et profìcerent universis Sed cur per nubes incendimus ? lam omnia sint aperta: ecce novella surrexit gratia, abicite pro- cul vetustatis errores, ut viri doctissimi soUicite precaventes ne ignorantie vel cecitatis fermento massa vostre prudentie cor- rumpatur. Advenite nunc omnes (2) ad viridarium magistri Gui- donis, qui dona Sophie cupitis in venire, ubi dulces avium cantus resonant et suaviter murmurant a fontibus rivuli de- scendentes, flores similiter apparent vernantes et lilia venu- statis, rose quoque speciose consurgunt, et cjnnamomum et balsamum ac viole non desinunt redolere (3); ibidem etiam pra- tum ridet amenum, et arbores cuncti generis sunt inserte, que ventorum impetum introire non sinunt ne solatia turbarentur, sed suis frondibus auram levem immittunt et umbram pre-

(1) dieta B. 0.

(2) letantes add. V.

(3) circa cynnamomum et balsamum viole et cet. P.

Voi. Ili, Parte I. 19

288 EDIDIT A. GAUDENZI

bent gratitudinis et quietis. In hoc siquidem tante felicitatìs loco sunt dictamina purpurata, colores reperiuntur rethorici, et iuxta platanum ad fluentia aquarum sedet sapientia Salomo- nis, per quam viri scolastici decorantur et clarescit machina mundialis. Et licet nichil in humanis inventionibus sit per- fectum, hic tamen quantum ad eloquium dictatorie facultatis vitia qua sunt fugienda plenius edocentur et patent que ser- vari debeant documenta, sine quibus errant qui ambulant et non vident qui talia non observant. Ne igitur prestolatio tam desiderabilis fructus longius fatiget mentes avidas sociorum, apertis thesauris offero munera pretiosa que sui magis utili- tate relucent quam reniteant exteriori decere; quibus me- diantibus tenebris relegatis, ianua dictaminum sit pulsantibus aperta, ita quod in regali mensa omnes qui mecum fuerint discumbentes, tamquam superne rationis satietate repleti, nec recedant famelici, nec umquam appareant sitibundi.

I.

De vitiis evitandis et virtutibus inserendis (1).

Quia scire malum non est malum, sed peccatum est po- tius operari; cum huius rei peritiam habere debeat unusquisque, ut que sint nocitura, docente notitia, fugiat, quod aliter num- quam posset, et faciat, inspirante Domino, que sint insta ; ad modum serentis qui terram spinis ac tribulis purgat ut fructus mundus appareat et sincerus, ad similitudinem illius qui studiose vas lavat, ut eiecta sorde antiqui vitii ad novi saporis dulcedinem preparetur; iterum (2) eo perspecto quod virtutes plantari non valent, nisi ea que sunt contraria ex- tirpentur (3); priori facie vitiis extirpatis do regulis subsequen- ter tractemus prosaici dictaminis et doctrina.

(1) De vitiis extirpandis et virtutibus informandis P.

(2) iteruraque P.

(3) Codd. expientur, excipientur et sirailia.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 289

n.

De vitto vitando in ^principio dictionis.

In primis quidem breviter est sciendum, quod illud dicta- men vitiosum dicitur verborum positione, cum in principio plures dictiones ponuntur ab eadem littera incohantes, ut « Sosias in solario soleas sartiebat suas »; et illud « 0 Tite Tati tibi tanta tyranne tulisti? ».

HI.

De vitiis in fine dictionis vitandis.

Nota insuper o lector , quisquis es , qui ornate vis loqui , quod illud tamquam vitium est in epistolari dieta- mine cautius evitandum, ut plures dictiones vel distinctiones in eadem sillaba terminentur. Exemplum de dictionibus: « di- ctasti, scripsisti, fecisti quod voluisti ». Exemplum de eadem terminatione distinctionum : « Omnes in Domino gaudeatis , et non amplius in vanitatibus seculi confìdatis ut, de miseria ubi habitatis ad celestem gloriam veniatis ».

IV.

De accentu inhibito.

Item scias, amice, quicumque desideras habere dulcedi- nem rethorice venustatis, quod in nostro dictamine rythmica est vitanda species, ut si dicam. « Cum revolvo moriturus, quid post mortem sum facturus, terret me terror venturus, quem expecto non securus ». Si autem accentus rythmicus in- teger defuerit, et consona dictionum coniunctura (1), ne respuas prosaico tale dictum , quod est multipliciter commendandum. Exemplum: « Sapicntia merito cunctis rebus preponitur, quia per eam opes et nobilitas assignantur ».

(1) lunatura P.

290 EDIDIT A. GAUDENZI

V.

De eisdem consonantibus sibi concurrentibus (1) removendis.

Generaliter autem urbanitatis causa teneas prò doctrina, quod ad cautelam specifico de quibusdam: quia si dictio in r desinit, sequens non incipiat ab eadem ut « error Romano- rum »; in m, ut « magnum malum »; in x^ ut « rex Xer- ses » ; in w, ut « lumen novum » ; in 5, ut « bonus sonus », et sic de ceteris. Nam ex bis vitium generatur, quod cage- phaton potest, seu turpis sonoritas^ vel asperitas appellari. Et dicitur cagephaton a. cacos ^ quod est turpe, et phonos, quod est sonus, unde cagephaton, idest turpis sonus.

VI.

De vocalium concursione vitanda.

Preterea de vocalibus teneas incunctanter quod vitiosum est nimis, si una dictio desinit in vocalem unam vel plures, quod sequens dictio incipiat a vocali una vel pluribus. Exem- plum de una, ut « diligo animam tuam ». Exemplum de plu- ribus, ut « Dominus illuminatio mea et salus mea, etc. »; et spe- cialiter, quod est deterius, ab eadem, ut « lauda, anima mea, Dominum »; et idem in similibus. Hec de Consilio procedunt, sed necessitatem non inducunt. Quod si punctus planus inter- veniat, stare potest, ut in hoc exemplo: « personam tuam di- ligo omni tempore, sicut possum ». Iterum ubi cadat punctus medius, verbi gratia cum dico « ignoscat Deus malitie nostre, et nobis pie conferat sue gratie largitatem ». Sic ergo labora, si vis dictamen habere politum, ut dictio si fìniat in vocalem, a con- sonante sequens assumat principium, et si terminetur in con- sonantem, alia sumat initium a vocali; nam propter hoc ma- gis currit dictamen, et hiatus ac turpis sonoritatis vitium re- movetur. Exemplum : « Vere diligenda sunt illa qua corpori proflciunt, et anime non obsistunt ».

(1) Al. occurrentibus.

GUIDONIS FABE SUMftLY DICTAMINIS 291

VII. De vitio iterate dictionis.

Nulla dictio semel posita sepius iteretur, nisi sit de na- tura sermoiiis, et causa necessitatis evidens hoc requirat, ut in hoc exemplo: « Petrus et Martinus multa crimina commi- serunt; propter quod Martinus suspendio traditur, et Petrus in insulam deportatur ». Nam fastidium generat dictio multo- tiens repetita (1), ut ibi: « cuius rationis ratio non extat, ei rationi ratio non est fìdem adhibere ».

Vili. De quinque principalibics vitiis evitandis.

In summa nota et collige (2) de predictis, quod in dieta- mine ista quinque vitia precipue sunt vitanda. Primum est colUsio, idest stridens et rixosa contentio sillabar um ; ut « bel- li ferratos postes portasque refregit ». Secundum est frenum, scilicet quando aliqua dictio desinit in r, et sequens incipit ab r, ut « error Romuli ». Tertium est hiatus, qui provenit ex frequenti vocalium concursione, ut in eo: « Ovius ovio ovanti animo eius ». Quartum est metacismiis, scilicet quando aliqua dictio desinit in m, et sequens incipit a vocali, ut « honorum hominum auctoritatem amo ». Quintum est laudaeismus^ sci- licet quando aliqua dictio desinit in Z, et sequens dictio inci- pit ab ?, ut « sol lucet ».

IX.

De vitiis sententie.

Quatuor equidem modis committitur vitium in sententia: primo, quando partes epistole sibi non respondent. Exemplum:

(1) iterata 0. P. V.

(2) nostra intellige P.

292 EDIDIT A. GAUDENZI

« Sacerdotalis dignitas est aliis preferenda, quia temporalia spiritualibus non equantur. Notifico itaque dilectioni vestre quod rectores scolarium Bononiam sunt reversi. Quapropter vos rogo ut me reddatis de vestra continentia certiorem ». Se- cundo cum dictatio, materia dimissa, volat et per ambages vagatur. Exemplum: « Tue dilectioni duxi litteris presentibus consulendum, ut in tali vico domum edificare debeas honora- bilem et decoram. Nam dilexit Dominus sue domus decorem, et dicitur, sicut nosti, Faciamus Me tria tabernacula , Ubi unum, Moisi unum, et Elie unum ». Tertio quando prò ni- mia brevitate confusionem et obscuritatem incurrimus. Exem- plum. « Rogo te de factis meis, quia mea tua sunt, et de continentia nescio, et prò negotio Martini sic facias in omni- bus prospere ». Quarto committitur vitium in sententia quando, mutato mediocri stilo, humilem materiam in sublimem, vel altam in mediocrem aut humilem variamus, quod maxime vi- tiosum dignoscitur. Non enim verborum ornatus debet in tan- tum servari quod sententie gravitas ommittatur, quia non bene stabit vocum edificium , quod non roborabit sententie funda- mentum. Exemplum: « Celestis altitudo consilii mundo pereunti consuluit, cum per incarnati verbi mysterium a nexibus dia- buli hominem liberavit. Inde est quod ipsius amore vos rogo, ut mei semper memoriam habeatis ». Ecce quomodo stilus fuit in prima parte turgidus et inflatus, in secunda cecidit in aridum et exanguem.

X.

De vitiosis eccordiis.

Vitiosum preterea quinque modis censetur exordiura. Primo, si difficilis sermo fuerit et verba inusitata : exemplum « Fructus centesimus tunc seronti tribù itur, cum quis ad pe- nitentiam per elemosinam revocatur. Inde est, quod illa que pauperibus erogasti tibi putes celesti tabernaculo preparata ». Secundo vitiosum est exordium illud, quod ex verbis constat nimium apparatisi exemplum « Mulier speciosa diligitur, que

GUIDONIS FARE SL'MMA DICTAMINIS 293

urbanitatis et facundie gloria decoratur ». Tertio vitiosum est exordium, quod non coheret narrationi, nec oriri Yel pro- cedere videtur a causa : exemplum « Celestis pietas duas in seculo constituit potestates, ut earum moderamine et mutuo suffragio singula gubernentur. Notifico itaque tibi, quod per Dei gratiam a Romana curia sanus et incolumis sum rever- sus ». Quarto exordium non caret vitio quod nec benivolum, docilem vel attentum reddit animum auditoris : exemplum « Qui naufragia pertulit, multa incommoda tolleravit ». Quinto vitiosum est exordium, quod in plures casus potest accommodari : exemplum « Cum homo bonum exequitur, Deus veraciter honoratur ». Hoc potest dicere quilibet pietatis opera faciendo, et hoc idem sibi aptare poterint commode rectores provinciarum cum iugulant homines et pena debita feriunt delinquentes (1).

XI. De vitio narrationis.

Narratio prolixa nimis dicitur vitiosa, ut si a gemino su- matur ovo initium : verbi gratia ecce aliquis scolaris diffuse narrat per singula qualiter in via fuit ei veniendo Bononiam (2), quomodo magistrum elegit, hospitium quesivit, in mane tempe- stive surgit, in nocte vigilat, ad scolas vadit, cum sociis mora- tur et proficit sicut potest. Non debuit tanta fundere : suffecis- set enim dixisse: « Noscatis quod, post felices » vel « infelices eventus viarum, cum honesta societate Bononie Dei gratia atque vestra, sanus et incolumis in studio laudabiliter persevero ». Item narratio dicitur vitiosa, si sit confusa ; quod accidit cum ordo rei gesto ommittitur: exemplum « Sciatis quod fìlius olim domini Andalotis in tali castro habet filiam domini Hugo- lini ». Hic confuso narravit, ordinem rei gesto dimisit, et ideo vitiosum dixit. Debuisset enim dicere : « Noveritis quod Petrus fìlius olim domini Andalotis, in sero post cenam cum

(1) transgressores P. Y. transgressores delinquentes 0.

(2) Romara V.

294 EDIDIT A. GAUDENZI

armatis multis accedens ad domum domini Ugolini, sibi fi- liam suam abstulit violenter, et nocturno silentio per civita- tem deducens eamdem, ipsam in tali castro detinet tamquam suam ». Item narratio dicitur vitiosa que, non sit probabilis nec vera nec veri similis, ut si dicam de homine mortuo ultra mare : anno preterito : « Sciatis quod talem homi- nem externa die vidi Bononie , qui de vestra continentia me quesivit ». Item narratio vitiosa dicitur , que non explicat locum vel temporis qualitatem; ut si dicam « Noveritis quod Petrus interfecit Martinum ». Debes enim dicere loco tali, et tempore.

XII. De vitto petifÀonis.

ludicatur autem finaliter petitio vitiosa, que in se nec iu- stum continet, utile, necessarium vel lionestum, ut si petas quod papalis dignitas imperiali celsitudini supponatur: hoc non est iustum, quia non debet Dei vicarius temporali do- mino, sicut nec anima corpori, subiacere. Utile non esset, immo dampnosum, quia proptera superbiret: necessarium non esset, cum multi sint qui velint et possint tantum officium exercere ; honestum non esset, ut, centra dispositionem divinam secularis persona spirituali preesset, et anelila domine premineret.

XIII. Be vitio dictaminis reprobando. (1)

Ad hoc comprendiose notabis, memorialiter retinendo, quod dictamen illud in quo una dictio brevis et altera fortis et inusitata ponitur, vituperabile reputatur, ut si dicam : « Tibi presentibus affatibus interminor ne imperium intrare debeas ubi fur(2) non sinitur permanere ». Item nota quod illud

(1) De reprobando vitioso dictamine V. 0.

(2) Codd. plerìque frui.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 295

dictamen vitiosum habetur quod in prima vel secunda prola- tione non protest intelligi , si bene legatur pariter et distincte, ut patet ex precedenti exemplo. Item fugere debemus et ut vitium evitare longam verborum continuationem, que et audi- toris aures et oratori s spiritum ledere consuevit. Item nota quod omnis defectus nimius (1) nec usualiter approbatus est vi- tiosus. Item amphibologicas orationes yitare debemus, que magnum prestant impedimentum , sicut Tullius in secundo Rethoricorum aflSrmat. Et est amphibologia ambiguitas di- ctionis vel orationis, ut « iste fuit natus ante patrem ». Generaliter autem nota quod verba dubia et figurativa, vel barbarismus et soloecismus et cetera sunt vitanda et a nostro dictamine resecanda, que per Priscianum et Donatum in gram- matica declarantur.

XIV. De perfecto dictamine.

Vitiis itaque penitus eiectis, in summa teneas quod omne dictamen commodum et perfectum tria requirit: bonam gra- maticam, perfectum sensum locutionis, et verborum ornatum. Si autem hec tria dictator fecerit, perfecte dictabit. Sed ad minus nec latinitas desit, nec sententia generosa: et si orna- tum adhibuerit, tunc dictamen quod triplici mixtura fulgebit laudari merito poterit et communi iudicio confirmari.

Incipit secunda pars, de omnibus reguìis que faciunt ad artem utiliter adnotatis.

Properate sitientes ad fontem gratulanter, et bibite con- fidenter omnes qui cupitis rethorice venustatis dulcedine satiari. Et non vos terreat si non habetis argentum vel aurum : nam absque ulla commutatione paratum est poculum universis scien- tie salutaris, quod multa cum aviditate non mediocriter, sed

(1) minus P.

296 EDIDIT A. GAUDENZI

sufficienter dilectio vestra siiscipiat ad Dei lauderà, et studen- tium commodum et honorem. His igitur premissis, ut quili- bet sub competente habitu et serena facie nec non et debita vocis modulatione loquatur, sub compendio videamus quid sit pronuntiatio , et consequenter quid sit prosaycum dictamen, et unde dicatur.

I.

De pronuntiatione.

Pronuntiatio est vocis , vultus, gestus modulatio cum venustate. Dictamen est ad unamquamque rem, idest ad unam- quamque materiam, competens et decora locutio, quia non suf- ficit, quod aliqua sciat dicere qui nosse debet dictare de omni materia que de facto posset occurrere. Competens dici- tur quantum ad congruitatem vel incongruitatem, tam bone sententie quam recto gramatice. Decora dicitur quantum ad ornatum verborum. Et dicitur dictamen a dicto dictas quod est frequentativum huius verbi dico dicis. Dicitur autem prosaycum a proson, quod est longum, quia, nec legi metrico vel rythmice subiacens, congrue se potest extendere.

IL Quid sit epistola.

Epistola est libellus absenti vel absentibus destinatus, et dicitur epistola ab epi^ quod est supra, et stola vel stolon, quod est missio , quod supra id quod nuntius posset mit- tentis affectum declarat. Nam propter oblivionem mentis et multiplicitatem negotiorum et discrimina viarum multa essent preterita, que epistola quasi speculum (1) representat.

(1) epistolare speculum P.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 297

III.

Quare fuerit epistola inventa.

Epistola fuit inventa duabus de causis. Prima fuit ut amicorum secreta per eam celentur, unde dicitur ab epistola quod est ahscondo. Secunda causa fuit, ut melius quam nun- tius exprimat que mandantur. Nuntius enim de omnibus re- cordari non posset; nam omnium habere memoriam, et penitus in nullo peccare potius est divinitatis quam humanitatis. Si non esset epistola, quo modo possent esse Inter duo secreta, que sciente nuntio dicerentur? Et ideo non immerito fìdelis nuntia dicitur secretorum, que crimen amici celat, verecundiam tegit, et absentes quantumcumque remotos inducit tamquam simul essent presentia corporali.

IV. De partibus epistole.

Epistola vero domui comparatur: et sicut ad compositio- nem domus tres partes veniunt integrales, paries scilicet , fun- damentum, et tectum ; ita dicendum est quod tres sunt tan- tum partes epistole integrales, licet quidam asserant esse plures, scilicet exordium, narratio, et petitio. Et sicut in domo secundarie sive constitutive sunt infinite partes, ut lapides, cementa et Ugna et cetera que ad domus compositionem acce- dunt, ita in epistola secundarie partes sunt infinite; quia largo modo quelibet littera, sillaba vel dictio pars epistole dicetur, et sic essent innumerabilis. Et quia salutatio ponitur et pre- mittitur, quamvis non sit pars epistole, videamus quid sit salutatio, et unde dicatur.

V. Difflnitio salutatioms.

Salutatio est quidam titulus scribentium nomina mani- festans, quia cum dicitur « Petrus Martino salutem »; et di-

298 EDIDIT A. GAUDENZI

citur « Incipit liber Horatii », sicut per talem titulum scimus nomen auctoris, ita per talem salutationem , tamquam per titulum dictum cognoscimus cuius sit epistola, et cui mittatur. Vel salutatio est quoddam ineifabile gaudium mentis, quod aliqua voce vel actu exprimi non potest, eo tamen animus move- tur ad optandam salutem alicui per verba tertie persone, quod ideo contingit, quia epistola mittitur inter absentes tamquam inter presentes. Et dicitur salutatio quasi salutis optatio , nara illum salutamus, quem sanum esse cupimus.

VI.

De que considerantur in salutationibus.

In salutatione semper ista considerentur: que sit persona mittentis, que recipientis, et qui vel quale sit illud quod mit- titur et optatur ; quia non debet salutatio a qualitate vel statu personarum discedere vel discrepare, sed earum merita distin- guere et dignitatem , condicionem , subiectionem , ordinem , parentelam, dilectionem, professionem, gentem vel patriam desi- gnare : et sic adiectiva circumscribere quod singula suum locum teneant sortita decenter : et si ille cui scribitur litteratus fuerit de litteratura ; si honestus, de honestate ; si strenuus miles, de strenuitate et fortitudine; si nobilis, de nobilitate; si eloquens et legalis, [et] de ipso laudetur: si fidelis, sapiens et virtuo- sus, de fide commendari debeat et sapientia pariter et virtute, ut videre poteritis in salutationibus infrascriptis.

VII. De propria commendatione tollenda.

Item nota quod in salutatione non debent poni nomina que pertineant ad laudem mittentis sed tantum recipientis, cum scriptura testetur « Os alienum te commendet, non tuum », et in alio loco dicat « Omnis laus in proprio ore sordescit ».

GUIDONIS FABE SUMMA. DICTAMINIS 299

Vili.

Generalis doctrina omnium salutationum.

Distingue igitur, o lector , ad generalem doctrinam omnium salutationum habendam, quod, si scribit par pari, persona recipientis premittitur. Exemplum : « Venerabili in Christo fratri A. Dei gratia episcopo Ostiensi B. eadem gratia epi- scopus albanensis in Domino salutem »; et sic de ceteris. Si maior minori, sive minor malori, maior persona prefertur: verbi gratia cum prelati, rectores vel domini suis subditis scribunt, vel alii maiores suis minoribus et e converso, in ordine tam ecclesiastico, quam etiam seculari. Item quidam dicere voluerunt quod, cum minor scribit suo malori semper debet causa subiectionis salutatio reticeri; quod non est verum, nisi ille cui scribitur sit summe maior, ut si episcopus aliquis scribat domino pape. Si vero sit mediocriter maior, ut si epi- scopus scribat suo metropolitano, recto salutatio poni potest. Sed ins^ecta mera veritate papam et imperatorem posset qui- libet salutare, nisi usus solummodo repugnaret, qui est in talibus imitandus. Item cum maior scribit mediocriter minori, et minor est subditus, maioris persona premititur, ut episco- pus canonicis vel aliis clericis suis. Ideo autcm dixi « me- diocriter minori » , quia si sit multo minor vel vilis persona, ut puta qualis persona canonicus, capellanus, aliquis sindicus vel clericus modici loci vel quasi inlitterata persona, semper maior preponetur, licet talis minor non sit de iurisdictione sua : et idem in laicis. Quod si mediocris persona minori scripse- rit, servatur arbitrio dictatoris quam velit premittere aut postponere in ordine salutandi, ut si notarius scribat alieni scriptori. Item si manifesti sibi scripscrint inimici, semper mittentis persona premittitur, et ubi salutatio ponitur, dicas « prò salute merorem » ut inferius apparebit in salutationibus adnotatis. Propterea dixi « manifesti », quia si occulti fuerint inimici, se ad invicem salutabunt.

300 EDIDIT A. GAUDENZI

IX. Quomodo debeat salutari aliquis delegatus (1).

Item si iudex fuerit delegatus, quia vice super commisso negotio fungitur delegantis, sicut delegans scriberet, ita per- sonam suam in salutatione ordinet delegatus, ut patebit ex salutationibus infrascriptis.

X.

In quo casu propria nomina in salutatione ponantur.

Item ut sciatur quis cui vel preponi debeat vel postponi et quomodo quilibet se debeant salutare, nota, ut subsequentia melius apprehendas, quod nomen recipientis in salutatione poni debet in dativo casu, et nomen mittentis in nominativo casu, cum dictioni buset adiectivis utrique persone convenientibus. Exem- plum « Amico dilecto B., G. salutem cum plenitudine gau- diorum ».

XI.

Specialis doctnna omnium salutationum.

Ne igitur obscurus flam cum brevis esse labore, quod in genere posui , nube clarifìcata, sub specie demonstretur, ita quod maiores cum minoribus et iuniores cum senioribus in quolibet ordine peritiam habeant salutandi.

XII. De filio ad parentes.

« Reverendis parentibus A. et B. pre cunctis mortalibus metuendis, honorandis , diligendis, G. eorum devotissimus fìlius

(1) De iudicibus delegatis P. V.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 301

unicus » vel « minimus , salutem cum reverentia filiali », vel « cum filiali devotione salutem», vel «filialem reverentiam cum salute », vel « filialis reverentie famulatum », vel « om- nimodam in omnibus reverentiam », vel « salutem, et siquid in mundo salubrius est salute », vel « salutem et quidquid boni Joseph vel lacob prebuit suo patri » vel « suo patri potuit exoptare ». Potest tamen causa reverentie tacere salutem, ut loco salutis dicat: « G-. devotus eorum filius quidquid potest servitii vel honoris », vel « quicquid potest reverentie vel honoris », vel « se ipsum totum » , vel « quicquid devo- tionis vel subiectionis , et reverentie potest », vel « se promtum ad omnia genera famulatus », vel « paterna sem- per vestigia imitari » vel « nunqiiam paternis preceptionibus contraire », vel « semper suis parentibus facere que sint grata ».

XIII. Be parentibus ad filium.

« A. et B. parentes », vel « A. pater et B. mater: G. bene- dicto filio suo quidquid Ysac lacob contulit cum salute », vel 4L salutem cum dilectione perenni » vel « salutem et be- nedictionem » vel « salutem et scientie capere documenta », vel « salutem et Salomonis scientia illuminari », vel « salutem et illustrari scientia » vel « eloquentia Ciceronis », vel « sa- lutem et honorum consortia imitari », vel « salutem et gra- tiam a Domino promereri », vel « salutem et bonis moribus informari », vel « salutem et benedictionem quam filio pa- triarcha », vel « salutem et paterno benedictionis augmentum », vel « cum paterna dilectione salutem », vel « de bone in me- lius feliciter prosperar! », vel « salutem et nunquam vacare a philosophicis documentis », vel « salutem et scolastico mi- litie insudare », vel « salutem, et que sint iusta facere et honesta », vel « salutem, et mala fugere et inhonesta vitare » vel « salutem , et prcstolatum amicorum gaudium adimplere meritis proprie bonitatis ». Mater vel pater sic separatim seri-

302 EDIDIT A. GAUDENZI

beret. « Unice spei et gaudio singulari G-. suo dilecto et be- nedicto filio, C. devotissima eius mater » vel « D. genitor, salutem et salutis eterne fructum et fìlius ». Et fìlius e converso pa- rentum quemlibet salutabit. Si pater vel mater fuerit in digni- tate, sic scriberet: « G. Dei gratia talis episcopus » vel « prelatus » vel « talis abbatissa, P. suo fìlio benedicto salutem et prosperi- tatem ».

XIV. De parentibus ad malum filium.

« A. et B. parentes, G. utinam vocando fìlio prò sa- lute maledictionem » vel « prò salute angustiam et do- lorem » vel « prò salute verecundiam et dolorem et ob- brobrium sempiternum », vel sic : « G. maledicto filio suo salutem prò meritis » vel « salutem quam meruit » vel « non salutem, sed ut Cajn malitie societur », vel « nunquam cor- poreis oculis revidere »; vel « salutem quam Lucifer cum ire filiis acquisi vit », vel « salutem , et nunquam a meretricum natibus separari » vel, « maledictionem et lupanaris sordibus suffocari », vel « bestiarum dentibus lacerar! », vel « inter cau- pone pocula » vel « ad caram et potationes consumere dies suos », vel « inter fures et ioculatores » vel « pocula interire ».

XV.

De film ad duros parentes.

« A. et B. parentibus utinam meritis evocandis, C. eorum solo nomine habitus fìlius salutem et quam tenetur reverentiam am- pliorem », vel « salutem et paterna aperire viscera indigentie filiali », vel « salutem et paterne pietatis afi'ectum circa filios exercere », vel « salutem et filialem carnem odio non habere », vel « salutem et errantem filium cum virga pietatis ad man- datorum semitara revocare », vel « salutem, et non denegare filio necessaria ministrare », vel « salutem et cordis duritiara

GUIDONIS FASE SUMMA DICTAMINIS 303

per (l)pietatis misericoriam (2) removere », vel » salutem, et ino- pie filiali succurrere, malignorum mendaciis reprobatis » vel « sa- lutem, et illum non deserere quem natura creavit », vel « sa- lutem et illi consulere cui deesse non possunt, ratione vel consuetudine prohibente », vel « salutem et delinquentis peccatis ignoscere redeuntis ». Si autem fìlius vel fìlia fuerit in dignitate , sic scriberet : « A. Dei gratia episcopus talis loci » vel « prelatus » vel « abbatissa, reverendis parentibus A. et B. » vel « dilecto genitori B. » vel « honorabili ac carissime sue matri C, salutem quam sibi ».

XVI. De fratre ad fratrem.

« Peramando fratri » vel « carissimo » vel « peramabili » vel « diligendo et honorando » vel, si maior fuerit « metuendo do- mino atque fratri suo B. , C. cum fraterna dilectione sa- lutem », vel « salutem et fraternum amorem », vel « salu- tem et fraterne dilectionis affectum », vel « cum sincere di- lectionis affectu », vel « salutem et optati successus augmen- tum », vel « salutem cum fraterne dilectionis ardore », vel salutem et omne bonum », vel « salutem, et siquid salute pretiosius invenitur », vel « salutem et quam sibi desiderat sospitatem », vel « salutem quam sibi ». Et idem in soro- ribus, ut « diligendo sorori B. morum elegantia plurimum deco- rate », vel « salutem cum fraterna dilectione ». Et dativos con- vertas in nominati vos, et habebis responsivam. Si vero fratrum (3) aliquis erit in dignitate, sic dices: «Venerabili domino atque fratri G. Dei gratia episcopo fiorentino, A. et B. seipsos cum fraterna dilectione ». Si autem erit abatissa, sic dices: « Domine ac sorori plurimum venerande V. Dei gratia abbatisse talis loci, A. et B. cum fraterna dilectione salutem ».

(1) ad R.

(2) Codd. miam.

(3) frater tuus 0.

Voi. Ili, Parte I. 20

304 EDIDIT A. GAUDENZI

XVII.

De consobrino ad consobrinum.

« Amantissimo » vel « honorabili » vel « amando aut diligendo seu « peramabili consobrino suo S., V. salutem et puram di- lectionem », vel « sincerum amorem », vel « cum sincere dilectionis fervore » vel « salutem et prosperitatem », vel « pro- speritatis augmentum », vel « debiti honoris augmentum », vel « salutem et vite longitudinem cum honore », vel « sa- lutem in longitudine dierum vite », vel « salutem, et corporeis inspicere oculis quem mentis affectibus contemplatur », vel « debitum honorem, atque res et habitum retinere », vel « sa- lutem et honori habito debitum cumulare » vel « aggregare » vel « sodare », vel « salutem, et sua negotia feliciter pertra- ctare » , vel « presentia mala fugere , et futuris utilitatibus previdero ».

XVIII. De nepote ad patruum clericum.

« Reverendo patruo, immo patri, unico benefactori et do- mino speciali », vel « unico post Deum spei, benefactori pre- cipuo, portui salutis, et refugio singulari », vel « venerabili pa- truo, immo in Christo patri et domino metuendo », vel « re- verendo patruo, immo domino atque patri ubique suis meritis commendando, G. Dei gratia episcopo Mutinensi dignis lau- dibus et proprie bonitatis meritis honorando »; vel « tam sa- pientia quam honestate morum et omnimoda bonitate laudando » vel « multa sapientia et honestate fulgenti, D. salutem et totius promtitudinem famulatus » vel « salutem et promtum semper devotionis afFectum ». Vel taceas salutem, et dicas : « D. om- nium suorum nepotum minimus promtum senper et debitum in omnibus famulatum », vel « quicquid devotionis et reve- rentie potest » vel « sui commendationem et promtissimum famulatum » vel « dcbitam in omnibus reverentiam » vel

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 305

« debitum in omnibus famulatum » vel « se ipsum totum ad beneplacita et mandata » vel « debite reverentie famulatum », vel « debiti famulatus obsequium » vel « promtum devotionis obsequium » vel « se totum cum sincere dilectionis obsequio » vel « sui commendationem in omnibus cum perenni promti- tudine famulandi ». Et secundum hunc modum minores et subditi prelatos et pastores poterunt salutare.

XIX. De nepote ad patruum laicum (1).

« Viro probo et discreto, avunculo ac domino metuendo G., V. scolaris Bononie, suorum nepotum minimus salutem cum promtitudine serviendi », vel « salutem cum sincere dilectionis perseverantia » vel « quicquid fìdelitatis et servitii potest », vel « salutem, et gaudiorum semper ad vota successus » vel « salutem et successibus abundare (2) », vel « salutem, et si quid melius » vel « ad vota successus prosperos cum salute », vel « salutem et seipsum », vel « salutem et quicquid potest ser- vitii » vel « honoris », vel << salutem et bonis omnibus abun- dare », vel « salutem et sui commendationem cum promtitu- dine serviendi », vel « salutem, et sospitate omnimoda gra- tulari ».

XX.

De prelato ad nepotem suum.

« Gerardus Dei gratià » vel « Dei miseratione » seu « misera- tione divina » vel « sola Dei providentia » vel « sedis apostolico di- gnatione » vel « quamvis inmeritus » vel « licet indignus » vel quamquam non suis meritis, episcopus » vel « prepositus » seu

(1) ad avunculum clericum P.

(2) successus successibus augmentare P. successus successibus abundare 0.

306 EDIDIT A. GAUDENZI

« archipresbiter, plebanus, prior » vel « abbas » vel « talis loci prelatus » vel « rector solo verbo et non opere, dilecto nepoti suo C. scolastice militie Bononie commendato salutem et bene- dictionem a Domino » vel « salutem in Domino » vel « salu- tem, et fructum reportare scientie ac honoris », vel « salutem et Salomonis sapientiam et Ulixis astutiam et Ciceronis elo- quentiam imitar! », vel « salutem et mutare mores cum tem- pus postulat aut res. »

XXI.

De laico ad nepotem scolarem.

« Rainerius (1) talis iudex » vel « miles » seu « mercator » vel « campsor, peramando nepoti suo insistenti Bononie sco- lasticis disciplinis salutem, et optinere sapientiam Salomonis», vel « salutem et dilectionem » vel « salutem et honoris debiti incrementum » vel « salutem et gratiam apud Deum et homines promereri », vel « salutem et prosperis fugare sinistra », vel « salutem et honoris debitum incrementum. »

XXII De amita vel matertera ad neptem vel nepotem.

« Diligendo nepoti V., B. eius amita » seu « matertera cum sincera dilectione salutem » Nepti sic scribituri : « Sue pera- mande nepoti B., V. salutem cum intimo amore. »

XXIII. De nepote ad amitam.

« Reverende amite » sive « matertere B., R. eius devo- tissimus nepos » vel « devotissima neptis, cum promtitudine « gaudiorum » vel « cum sinceri amoris alFectu. »

(1) Gerardus P. V. 0.

GUmONIS FASE SUMMA DICTAMINIS 307

XXIV.

De consanguineo ad consanguineum.

« Dilecto et peramabili consanguineo V. civi Bononiensi , ... Mutinensis(l)civis salutem cum sincere dilectionis constantia.»

XXV.

Generalis salutatio ad jparentes et ad alias personas.

« Reverendis dominis A. presbitero, B. avo et C. avie, et peramabili patri D., et dulcissime matri E. , carissimis patruis

F. et G. , metuendis avunculis H. et I. , honorabilibus et sa- pientibus dominabus K. et L. amite et matertere, providis et discretis fratribus M. et N., et dilectis sororibiis 0. et P. , et diligendis consobrinis Q. et R. , et S. socero, T. honeste uxori, strenuo consanguineo V. , et precordiali amico X. et vicino Y. , et ceteris dominis, vicinis et amicis non modica laude di- gnis, C. Bononie vigilans in scolasticis documentis » vel « di- sciplinis, salutem cum reverentia et dilectione perenni ». Re- verentia redditur presbitero et parentibus, dilectio personis aliis appropriatur. Et convertas dativos in nominativos, et sic habebis responsivam salutationem.

XXVI. De amico ad amicum.

« Suo speciali et precordiali amico dilectissimo » vel ami- corum precipuo » vel « dilectissimo et carissimo amico » vel « discreto, sapienti et peramabili amico » vel « amicorum non ultimo, A. morum claritate repleto » vel « amico suo pre mundi ceteris diligendo V. , B. salutem et amorem » vel « sa- lutem et omne bonum ». vel « salutem cum indissolubili amo-

(1) V. civi Ferrariensi, G. civis Parmenais. P. V. civi Senensi,

G. civis Pisanus 0. V.

308 EDIDIT A. GAUDENZI

ris vìnculo » vel « cum sincere dilectionis affectu », vel « sa- lutem et amicitie fìrmitatem » vel « consuete dilectionis con- stantiam », vel « salutem et prosperos ad vota successus » vel « ad vota successus prosperos cum salute » vel « successus successibus augmentare » vel « prosperis successibus abun- dare », vel « salutem, et siquid possit melius inveniri », vel « salutem et siquid saluberius est salute » vel « salutem et plenitudinem gaudiorum » vel « salutem quam sibi. » Si au- tem dominabilis amicus fuerit, ita scribes: « Precordiali do- mino et amico » vel « speciali tamquam domino et amico P. honestate morum fulgenti » vel « multa sapientia deco- rato I. salutem, et quicquid dilectionis et servitii potest » vel « salutem et votiva continuo perfrui sospitate » vel « salutem et illesam omni tempore amicitiam conservare. » (1)

XXVII. De socio ad socium.

« Socio carissimo » vel « precordiali » vel « dilecto et pe- ramabili socio B. scolari paduano, G-. olim socius eius, nunc scolaris Bononie salutem et scientie capere documenta » vel « salutem et facundiam consequi Tullianam » vel « salutem, et de gradu ad gradum prosperitatis ascendere peroptatum » vel « salutem et philosophie palatium introire » vel « ad scientie plenitudinem pervenire » vel « salutem et ad pedes phi- losophie crebris vigiliis accubare » vel « salutem et per sca- las sapientie (2) adscendere, et Dei et hominum gratiam invenire », vel « salutem, et ad perfectionem venire iuris tam canonici quam civilis », vel « salutem et illa in terris discere que ho- minibus placeant et angelis in excelsis », vel « salutem et vi- sione mutua gratulari », vel « salutem, et scientiam acqui- rere et divitias congregare », vel « salutem et optata semper

(1) P. add. vel « dilecto et carissimo amico » vel « discreto » vel « sapienti et peramabili amico ».

(2) A.L philosophie.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 309

perfrui sospitate » vel « sanitate », vel « optati honoris aug- mentum », vel « salutem et scientiam acquifere et divitias congregare », vel « salutem et omnimoda perfrui sospi- tate » vel « omnimoda felicitate gaudere », vel « salutem et cuncta que desiderat optinere » vel « salutem et omnia habere prò beneplacis voluntatis » vel « ad benepla- citum voluntatis », vel « salutem et haurire aquas de fontibus scientie salutaris. »

XXVIII.

De scolaribus et discipulis ad magistros, et e converso.

« Domino magistro A., variis scientiis redimito » vel « lit- teratorie militie cingulo redimito » vel « floribus eloquentie purpurato » vel « spectabilis eloquentie ac scientie viro, iu- ris prudentia et facti experientia redimito » vel « morum pre- rogativa conspicuo, et honestatis gloria rutilanti » vel « septi- formis sapientie luce fulgenti, V. salutem et in scolis philoso- pbie militiam exercere » vel « salutem, et ea scire vel decere in terris que placeant angelis in excelsis », vel « salutem cum promtitudine serviendi » vel, « quicquid devotionis et reve- rentie potest » vel « seipsum totum in omni genere subiec- tionis. Magister sic suo discipulo scribit: « Dilecto socio et pera- mabili discipulo L, magister P. salutem cum sincere dilectionis fervore » vel « salutem et suam (1) gratiam. »

XXIX.

De subdito ad prelatum.

« Unico spei, singulari refugio et benefactori precipuo do- mino P. talis loci prelato, V. suus clericus subditus et fidelis seipsum totum ad beneplacita et mandata », vel « venerabili in Christo patri et domino speciali V. Dei gratia dignissimo

(1) dilectionem V. benivolentiam P.

310 EDIDIT A. GAUDENZI

episcopo vel archiepiscopo », vel « tali prelato, multa sapientia et honestate fulgenti, V. talis subditus quicquid devotionis et re- verentie potest » vel « sui commendationem in omnibus cum perenni promtitudine famulandi » vel « se totum, et obedien- tiam et reverentiam et devotionem perpetuam. » Et recurre superius ad titulum de nepote ad patruum clericum, ubi u- berius invenies verba qua presentibus convenient.

XXX.

De subdito ad dommum laicum.

« Summe probitatis ac magnifìcentie viro domino suo G-. Orlandino (1) multa laude et honore digno »... « talis eius fìde- lis » vel « vice comes » vel « castaldus » vel « procurator » vel « talis burgensis » vel « administrator » vel « negotiator » vel « negotiorum gestor » vel « vassallus » vel « subditus, promtum semper et fìdele servitium » vel « quicquid poterit » vel « seip- sum totum in omni genere famulatus » vel « fìdelitatis », vel « salutem, et quicquid potest servitii » vel « honoris », vel « se totum ad beneplacita et mandata », vel « salutem et honoris debiti incrementum. »

XXXI.

De domino ad fideles et marito et uocorem et e contrario.

« Dilecto fìdeli suo P. vassallo, vicecomiti » vel « ca- staido, G. de Martino (2) salutem et suam gratiam, » vel « sa- lutem et omne bonum. » Et si vellet, dominus nomen suum rationabiliter posset preponere, et artem et regulam seque- retur.

Maritus sic uxorem salutat : « D. dilectissime uxori sue, C. salutem cum indissolubilis amoris vinculo ». Uxor sic

(1) G. de Plaude P. G. de Corlando 0. G. de Rollando V.

(2) de Rollando P. V.

GUIDONIS FABE SU^fMA DICTAMINIS 311

maritum : « Viro et domino pre cunctis metuendo B., C. devo- tissima eius uxor » vel « fìdelissima, salutem cum perpetue dilectionis costantia. »

XXXII. De imperatrice ad reginam.

« A. Dei gratia Romanorum imperatrix et semper augu- sta, Oc. eadem gratia illustrissime regine Francorum salutem cum desiderabilis prosperitatis augmento. ».

XXXIII. De consanguinea ad consanguineam.

Consanguinee sic se salutant : « B. pulcritudine ac morum elegantia plurimum decorate, M. uxor talis salutem cum pleni- tudine gaudiorum. »

XXXIV.

Ad dominas et mulieres sic scribitur ante factum.

« Nobili et sapienti domine, vel nobilissime ac sapientissime domine B. (1) duchisse Austrie, vel A. marchiane Estensi, vel comitisse Campanie, capitanee vel vai vassorisse » vel «tali domine, forma et morum et elegantia decorate » vel « forma et sensu pluri- mum relucenti, V. se ipsum totum » vel « quicquid sibi » vel « quicquid poterit » vel « si aliquid valet salute pretiosius inveniri » vel « salutem cum fidelissimo servitio » vel « sa- lutem et quicquid fìdelitatis et servitii potest ».

(1) D. P.

312 EDIDIT A. GAUDENZI

XXXV.

Ad muUeres post factum.

« Anime sue dimidio, pre cunctis viventibus diligende » (1) vel « specialissime amice, domine C, D. animam et corpus et si plura posset » vel « quicquid habet et videtur habere » vel « C. amice dulcissime forma, sensu et genere decorate » vel « anime sue dimidio, et oculorum suorum lumini, C. formo- sissime ac pretiosissime domine, amice dulcissime, A. ineffabi- lem iocunditatem » vel « illud gaudium mentis quod voce vel actu exprimi nunquam potest » vel « super aurum et to- pation relucenti domine C. amice dulcissime, V. quicquid po- test, et si ultra posset » vel « tot salutes et servitia quot in arboribus folla, quot in celo fulgent sidera, et quot arene circa maris liti ora. »

XXXVI.

De potestatibus^ comitibusy rectoribus et consulibus inter se et ad subditos, et coìivertitur. (2)

« Miriflce bonitatis ac sapientie viro domino A. potestati Bononie dignis et magnis laudibus et decorato, B. potestas Cremone salutem, et sui regiminis exitum gloriosum. » Pro magnis vero negotiis apponitur consilium, prò maioribus totus populus civitatis, hoc modo: « Nobilibus et sapientibus viris domino G. potestati, excelso Consilio, ac honorate communi- tati civitatis Mediolani, U. Bononie potestas, consilium et po- pulus universus salutem cum honoris et glorie incremento » vel « salutem et totius felicitatis augmentum » vel « salutem, et prospero semper abundare successu » vel « salutem et de hostibus feliciter triumphare » vel « salutem et in omnibus prosperare » vel « salutem cum indissolubili amoris vinculo » vel « salutem, et amoris perpetui fìrmitatem ». Rectores sic

(1) diligendo V. R.

(2) e converso P.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 313

potestati « Egregio et prudenti viro domino A. potestati Bono- nie, C. et D. (1) eiusdem civitates rectores salutem et prosperita- tem. » Consules sic scribunt : « Nobilibus viris consulibus Pla- centinis I. et V., (2) consules Mutinenses salutem et dilectionem ». Potestas et consilium sic consulibus: «Ariprandus Faba(3) Bono- mo potestas et eiusdem civitatis consilium A. et B. consulibus ville Nonantule » vel « Burgi Panicalis » vel « castri Sancti lohannis, et toti eiusdem loci populo salutem et omne bonum ». Consules et potestas sic dominis: « Viro egregio (4) U. Bononie potestati et Consilio universo multa sapientia et bonitate propria commen- dandis, A. potestas de Monte Alto (5) » vel « consul castri Plumatii » vel « ville Mutine » aut « burgi Galere (6) salutem et seipsum » vel « quicquid potest servitii vel honoris » vel « se ipsum totum ad beneplacita et mandata » vel « salutem et honoris debiti in- crementum ». Subditi sic Inter se : « Nobili viro et plurimum sapienti A. potestati Castri Novi, (7) G. potestas Galere (8) salu- tem cum sincere dilectionis affectu ». Consules sic Inter se: « Pro- vidis et discretis viris, amicis et vicinis carissimis A. et B. con- sulibus Bagnarole (9), C. et D. consules talis loci (10), salutem et suum servitium et amorem. »

XXXVII.

De regibus, ducibus et marchionibus inter se etad subditos (11).

et convertitur.

« Glorioso et excelso viro », vel « illustri et preclaro viro domino I. Dei gratia felicissimo regi Franchie, dignis et magnis

(1) B et C P.

(2) A et B. P.

(3) Sic P, V, 0. A. R.

(4) nobili « vel » egregio P.

(5) de Monte Bellio P.

(6) burgi Bonconventi 0.

(7) Castri Fracti P.

(8) Castri Maculi P. talis castri V.

(9) Pan ig arde P.

(10) Vetrane P.

(11) De magnis ad subdtitos P.

314 EDIDIT A. GAUDENZI

laudibus decorato, B. eadem gratia illustris rex Ungarie » vel « alme urbis Senator illustris, salutem, et optata semper felici- tate boari » vel « salutem et amoris perpetui fìrmitatem « vel « salutem et totius altitudinis incrementum ». Duces sic inter se scribunt : « Magnifico et potenti domino G. illustri duci Spoleti quem ubique terrarum proprie bonitatis merita recom- mendant, A. illustris dux Austrie salutem, et de inimicis trium- phum ». Marchiones sic inter se scribunt : « Inclito et pre- claro viro domino I. excelso marchioni Mentis ferrati quem fama commendat et gloria militaris, V. (1) Estensis et An- conitanus marchio salutem et prospera prosperis cumu- lare ». Comites inter se sic: « Magnifico et potenti viro domino Guidoni (2) de Tuscia honoratissimo comiti palatino, quem decus exornat, fama, liberalitas, probitas et curialitas appro- bata, lohannes de Gavinana (3) comes Romaniole salutem et cuncta que desiderat optinere ». Et sic scribunt sibi magni et potentes viri et mundi principes, et barones magni subdi- tis : « F. Dei gratia rex illustris Francorum » vel « talis dux, marchio, comes « aut » princeps, I. de tali loco suo fideli salu- toni et suam bonam voluntatem ».

XXXVIII.

De militibus inter se.

«. Inclito et potenti » vel « nobili et illustri » vel « ma- gnifico et preclaro ac strenuo militi, domino Salinguerre Fer- rariensi multa discretione conspicuo et dignis laudibus com- mendato » vel « nobili et prudenti viro domino Rolando (4) ho- norato militi Mutine » vel « multa laude et honore digno vel quem fama militaris decorat, et gloria recommendat,

(1) A P.

(2) G. P. A. V. Armaleo 0.

(3) Guarmatia V. Magatia 0.

(4) Rolandino P.

GUIDONIS FABE SUMMA. DICTAMINIS 315

lacobus de Prindiparte (1) Bononie salutem cum promtitudine ser- viendi » vel « de gradu prosperitatis ad graduili adscendere peroptatum ». Et sic omnes milites se salutant.

XXXIX.

De regibus inter se, et quomodo scribant domino imperatori.

« Federico Dei gratia victoriosissimo Romanorum impe- ratori et semper augusto, P. eadem gratia rex Francorum sa- lutem et obsequium ». « Illustrissimo et feliciter trium- phanti domino F. Dei gratia serenissimo et cristianissimo Ro- manorum imperatori semper augusto, D. eadem gratia alme urbis senator illustris salutem et suum servitium et amorem » vel « talis dux, comes, baro » vel « princeps Capue salutem , et quicquid poterit servitii vel honoris ». Yel dicas: « A po- testas Cremone, consilium et populus civitatis promtum fìde- litatis intime famulatum ». Et si vassallus fuerit, ita dicat : « A. de tali loco fìdelis vassallus diu feliciter imperare » vel « debitum in omnibus fìdelitatis obsequium ».

XL. Quomodo scribitur domine imperatrici et duci Venefia7'um.

« Gloriosissime ac serenissime domine. A. Dei gratia feli- cissimo Romanorum imperatrici, et semper auguste, potestas, consilium et populus civitatis Bononie eius subditi et fideles tam promtum quam devotum in omnibus famulatum ». Duci Venetie sic scribitur: « Preclaro ac magnifico viro do- mino P. fiani Venetie, Dalmatie, Croatie, dimidieque nec non et quarte partis imperii Romanie duci felicissimo, A. po- testas, consilium et populus civitatis Bononie salutem in lon- gitudine dierum et vite » vel « salutem et optata semper fe-

(1) lacobinus de Prendiparte V. 0. lacobinus lohannis R.

316 EDIDIT A. GAUDENZI

licitate beari ». Et eumdem modum servabimus in salutando alias sublimes personas, ut in precedentibus continetur.

XLI.

De imperatore ad imperatorem, et alios.

« A Dei gratia Romanorum imperator et semper augustus magno viro imperatori constantinopolitano et semper augusto salu- tem et pacem et amorem ». Regibus autem dicit « salutem et omne bonum » , et idem dicit amicis quibus vult. Impera- trici sic scribitur : « F. Dei gratia Romanorum imperator sem- per augustus peramabil uxori sue C. (1) imperatrici et semper auguste salutem et amoris plenitudinem ». Aliis sic scribitur : « F. Dei gratia et cet. magno viro P. marchioni de Monte ferrato fìdeli suo, » vel « viris nobilibus et dilectis Y. (2) potestati, Consilio et populo Imolensi, salutem et suam gratiam et bo- nam voluntatem ».

XLII.

Quomodo scribit dominus papa.

Dominus papa cardinales et omnes archiepiscopos, pa- triarchas, primates, episcopos appellat fratres hoc modo : « Gre- gorius episcopus, servus servorum Dei, venerabili fratri pa- triarche Antiocheno » vel « primati Gradensi » vel « archiepiscopo Ravennati » vel « episcopo Bononiensi, salutem et apostolicam benedictionem ». Et nota quod non ponit in litteris suis proprium nomen prelati , sed duo puncta fìunt , inter que remanet modicum spatium carte quod representat proprium nomen; et signifìcat quod non scribitur persone, sed tantummodo di- gnitati; quod patet ex eo, quod dignitas sequitur illud spa- tium cum dicit « episcopo Bononiensi » vel « Imolensi ». Abbates

(1) B. P.

(2) A. P.

GUIDONE FABE SmiMA DICTA^nNlS 317

et priores, archipresbiteros, cantores, prepositos, preceptores, (1) magistros scholarium et cjmiliarchas«dilectos in Christo filios >, dicendo: « Gregorius, et cet. dilectis in Christo fìliis abbati et conventui Sancti Stephani Bononie salutem et benedictionem ». Canonicis, cappellanis et omnibus aliis clericis, doctoribus, ma- gistris, universitati scholarium dicit, « dilectis fìliis » non po- nendo « in Christo » : « Gregorius et cet. dilectis fìliis cano- nicis Imolensibus » vel « clero civitatis Faventie » vel « dilectis fìliis doctoribus et magistris et universitati scholarium Bononie commorantium salutem et apostolicam benedictionem ».

XLIII.

Qtùomodo dominus pajpa scribit imperatori, imperatrici et magnis personis.

« Gregorius episcopus, servus servorum Dei, F. illustri Romanorum imperatori et semper augusto salutem et aposto- licam benedictionem ». Et eodem modo scribit imperatrici, di- cendo: « Gregorius et cet. dilecte in Christo. G. (2) illustri Roma- norum imperatrici et semper auguste salutem et benedictio- nem ». Reges autem et reginas, dominos et maiores principes « illustres » appellat. Exemplum: « Gregorius et cet. dilecto in Christo fìlio illustri regi Francie, Anglie, Ungarie, » vel « prin- cipi Capue, duci Venetiarum » vel « Baverie, » vel « Austrie ». Item « dilecte in Christo fìlie (3) illustri regine Francie » vel « comitisse Campanie salutem et apostolicam benedictionem ». Minores vero appellat tantum fìlios, non dicendo « in Christo »: « Grego- rius et cet. dilecto fìlio nobili viro Salinguerre Ferrariensi, sa- lutem et benedictionem ». Omnibus autem quos salutat indif- ferenter dicit « salutem et apostolicam benedictionem ».

(1) Codd. precentores. E. habet: plebanos, prepositos, archidia- conos, cimiliarchas si ve magistros.

(2) D. P.

(3) F. R.

318 EDIDIT A. GAUDENZI

XLIV.

De nominibus 'principum premittendis.

Nota quod nomen pape semper premittitur, sive scribat aut scribatur ei; et nomen imperatoris eodem modo, nisi scri- bat domino pape. Hoc modo scribitur domino pape : « San- ctissimo patri domino G. Dei gratia summo pontifici, B. illu- stris rex vel regina Francie, comitissa Campanie » vel « talis Comes » seu « princeps, dux » vel « baro » vel « talis sanctimo- nialis virgo Deo dicata » vel « vidua, totius devotionis af- fectum » vel « talis patriarcha, archiepiscopus, episcopus » vel « prelatus » vel « abbatissa et conventus monialium Sancti Vitalis Bononie », vel « A. potestas et consilium ac populus civitatis Bononie», vel « consules et universitas campsorum, » vel « mercatorum » vel « doctores et magistri, et tota universitas scholarium » vel « prepositus (1) et totus clerus civitatis Bononie, pedum obscula beatorum » vel « feliciter Petri naviculam in maris fluctibus gubernare ».

XLV. Quomodo scribit imperator domino pape vel aliis personis.

« Sanctissimo patri et domino Gregorio Dei gratia summo pontifici, F. eadem gratia Romanorum imperator et semper augustus salutem et omnimodam reverentiam ». Aliis omni- bus a domino papa dicit « gratiam suam et bonam volunta- tem » vel « salutem et omne bonum ». Aliis personis sic scribit : « F. Dei gratia Romanorum imperator et semper au- gustus, Iherosolime et Sicilie rex, speciali amico D. eadem gra- tia Ostiensi episcopo » vel « amico carissimo et fìdeli P. eadem gratia episcopo Cremononsi salutem et amorem »; et sic scribit omnibus de regno.

(1) prepositi y. 0.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 319

XLVI.

Quomodo seribit in dignitate posztis.

« Fredericus Dei gratia Romanorum imperator et semper augustus, A. dilecto suo amico abbati Sancti Proculi » vel « tali clerico » vel « magistro » vel « scolari, viro discreto et amico dilecto Bononie commoranti, salutem et bonam vo- luntatem ». Et sic omnes reges scribunt clericis et talibus personis, et alii principes et magnates cum scribunt minoribus, ut « talis dux » vel « princeps A. tali clerico, salutem et dilectio- nem ». Si autem magnis prelatis scriberent, deberent eorum no- mina premittere, ut : « Venerabili in Christo patri domino I. Dei gratia dignissimo patriarche Aquileiensi » vel « primati Gradensi, archiepiscopo Ravennati » vel « Mediolanensi, talis dux salutem et reverentiam et amorem ».

XLVII.

Quomodo seribit episcojpus aì'chiepiscojpo vel de episcopis suffraganeis (1).

« Venerabili in Christo domino A. (2) Dei gratia dignissimo archiepiscopo Ravennati, G. parmensis episcopus salutem et reverentiam in omnibus tam debitam quam devotam » vel « salutem et sinceram in Domino caritatem ». Archiepiscopus vero , suffraganeis suis scribendo , nomen suum et preponere et postponere potest, si placet. Exemplum : « A Dei gratia ar- chiepiscopus Ravennas , venerabili in Christo fratri B. regino episcopo salutem in Domino » vel « dilecto in Domino » aut « venerabili in Christo fratri, tali episcopo, lalis archiepiscopus in vero salutari salutem ».

(1) Quomodo scribunt prelati P. V.

(2) I. P.

Voi. Ili, Parte I. 2i

320 EDIDIT A. GAUDENZI

XLVIII. De epùcopis

Episcopi vocant se fratres hoc modo: « Venerabili in Christo fratri et amico speciali V. Dei gratia episcopo Paventino, M. (1) eadem gratia episcopus Imolensis salutem in domino » yel « salutem cum sincere diiectionis ardore ». Maiores autem episcopos vocant patres et eorum nomina anteponunt, con- siderantes maioritatem esse circa sanctitatem vel honesta- tem vel quoad senilem etatem , nobilitatem , vel sapientiam ampliorem , largas divitias vel civitatem maiorem , vel quia primo fuit in dignitate; et scribunt talibus in hunc mo- dum : « Venerabili in Christo patri, amico et domino suis me- ntis honorando I. Ariminensi episcopo D, Foripopuliensis epi- scopus in vero salutari salutem ».

XLIX. De episeopis ad subditos.

Episcopi vocant filios qui sue iurisdictionis existunt; et nomen prelati mittentis premittitur tali modo : « Henricus (2) Dei gratia Bononiensis episcopus dilecto in Cristo filio tali cap- pellano vel clerico salutem et benedictionem ». Item prelatos subditos vocant fratres hoc modo : « A divina miseratione Mu- tinensis episcopus dilecto in domino fratri abbati sancti Petri » vel « proposito, priori » vel « archipresbitero talis loci salutem in salutis auctore » vel « felicibus aut votivis successibus abundare ».

(1) B. P.

(2) Hearighus R.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 321

L.

Quomodo scribunt episcopi alterìus suhditis.

De aliena quidem iurisdictione clericos vocant episcopi, sicut placet eis, vel « fìlios » vel « fratres » vel « amicos » vel « viros dilectos »; et eorum nomina preponunt vel postponunt (1), inspe- ctis personis secundum generalem superius datam distinctio- nem, sive laici fuerint sive clerici ; (et) licet quilibet clericus prò susceptis ordinibus maior quovis laico censeatur et ita nomen eius semper possit premitti , tamen prelati magna- tibus deferunt et humilitatis causa eorum nobilitatem pospo- nunt. Exemplum breviter ad predicta: « Henricus Dei gratia Bononiensis episcopus dilecto sibi clerico et amico » vel « laico Mutinensi » vel « dilecto in Christo fratri tali canonico Par- mensi salutem in Domino » ; et sic preponitur episcopus : « Dilecto in Domino fratri B. Nonantulane plebis archipresbi- tero » vel « viro provido et discreto domino Manfredino (2) re- gine canonico , intimo et speciali amico talis episcopus sa- lutem in domino ». Sic premittitur laicus: « Viro provido et discreto domino Gerardo Rangoni civitatis Mutine multa laude et bonore digno Henricus summa gratia Bononiensis episco- pus, salutem et dilectionem in Domino ».

LI.

De archidiaconis^ archipresbiteris^ plebaniSy prioribus et cappellanis.

« Reverendo in Cbristo fratri R. fiorentino archidiacono T(an- credus) archidiaconus Bononiensis, salutem cum sincere dile- ctionis fervore »; et sic se salutant archipresbiteri et plebani, priores et prepositi. Archipresbiter sic salutat cappellanum suum :

(1) preponuntur vel postponuntur R. V. 0.

(2) M. P.

322 EDIDIT A. GAUDENZI

« G. archipresbiter talis loci dilecto fratri suo A cappellano talis loci salutem et omne bonum ». Cappellani sic se salutant ad invicem : « Dilecto et precordiali amico » sive « fratri V. talis loci cappellano, M. cappellanus talis ecclesie cum omni eternali dilectione salutem ».

LII. De iudicibus delegatis.

Si index fuerit delegatus domini pape , maior est quo- cumque, ut diximus ; et ita, cuicumque scriberet, posset premit- tere nomen suum, dicendo ; « I. Dei gratia Parmensis episcopus a sede apostolica delegatus venerabili in Christo fratri pa- triarche Gradensi » vel « archiepiscopo Mediolanensi » vel « illustri et glorioso viro regi Anglicano salutem in Do- mino ». Si alterius prelati vel principis delegatus vel vica- rius fuerit, maior est omnibus qui sunt iurisdictionis ipsius; et ista veritatis ratione posset preponere nomen suum , ut dictum est.

LUI.

De consideratìone delegati.

Quicquid autem possit facere delegatus, ne superbire vi- deatur, humilitatis sectetur magistrum, qualitatem sue per- sone inspiciat et officii consideret dignitatem; et scribat ma- ioribus et minoribus secundum regulam prelatis superius as- signatam sic piane, sic suaviter et humiliter ac prudenter, quasi non esset in legatione huiusmodi constitutus.

LIV. De dominis cardinalibus et titulis eorumdem.

Cardinalium sedis apostolico alii sunt presbiteri, alii dia- coni. Item presbiterorum alii sunt episcopi, alii simpliciter

GUIDONIS FABE SIIMM.\ DICTAMINIS 323

cardi nales presbiteri ; inter quos sic diversifica : quia , si fiierit episcopus, dicimus: « Venerabili in Christo patri do- mino T. Ostiensi et (1) Vellitrensi episcopo , talis episcopus salutem et reverentiam » vel « sui commendati onem et promtum in omnibus famulatum ». Si vero presbiter cardinalis, dici- mus: « Reverendo in Christo patri et domino G. tituli Sancti Marchi (2) dignissimo presbitero cardinali talis salutem, vel sei- psum etc. ». Una tamen ecclesia est Rome, que habet titulum (3) « ecclesiam baptisimalem », ut in curia intellexi; et non dicitur (4) titulus talis ecclesie, sed per antonomasiam sic scribitur ei: « Ba- silico xij apostolorum presbitero cardinali ». Si autem fuerit diaconus cardinalis, dicimus ita: « Venerabili in Christo patri magistro Rainerio Sancte Marie in Cosmedin dignissimo dia- cono cardirali, A. potestas, consilium, et commune civitatis Bo- nonie promtum devotionis intime famulatum » vel « talis clericus »'SÌve « laicus, seipsum totum in omni genere famu- landi ». Non enim dicimus « diacono talis tituli », quoniam habere titulum diaconi non dicuntur. Et nota quod titulus nomen ab auctore suscepit, unde dicitur titulus Calixti, quasi ab ipso ecclesie fundatore.

LV. De abhatibus, abbatissis et monialibus.

« Reverendo ac dilecto in Christo fratri multe discretionis ac honestatis viro domino G. sancti Proculi abbati, A. licet immeritus monasterii sancti Stephani abbas , salutem et sinceram in Domino caritatem ». Abbatisse sic salutant se: « Venerabili in Christo sorori A. Dei gratia monasterii sancti Vitalis abbatisse dignissimo » vel « G. Cenobii Sancte Marie Maioris » vel « Sancti Columbani humilis abbatissa in vero

(1) vel R. 0.

(2) Ecclesie Sancte Marie P.

(3) (dest) add. P. V. 0.

(4) non om P. R.

324 EDIDIT A. GAUDENZI

salutari salutem » vel « salutem et orationem in Domino ». Monacha sic salutat suam abbatissam: « Venerabili in Christo matri et domine E. sancti Gregorii abbatisse dignissime, soror A. peccatrix monacha debitam reverentiam cum devota su- biectione », vel « cum pura dilectione ». Monachi sic se salutant generaliter : « Dilecto fratri monache et amico domino lacobo di- screto monache talis loci dominus P. monachus sancti Felicis salu- tem et in Domino gloriari». Monachus sic abbati: « Venerabili in Christo patri et domino metuendo I. Sancti Felicis abbati di- gnissimo, dominus B. humilis eius monachus et devotus seipsum totum in omni genere famulandi ». Laici sic monachis : « Do- mino et amico domino C. monache talis loci, A. laicus salu- tem et reverentiam » vel « devotionem cum dilectione sincera ». Monachus sic monache : « Dilecte in Christo sorori domine A. sancte Margarite moniali propriis meritis honorande, dominus C. monachus talis loci salutem et ad salutis gaudia perve- nire ». Monacha sic monacho, « Domino atque fratri in Chri- sto suis meritis honorando D. monacho : talis loci, A. monacha sancti Vitalis salutem et dilectionem in Domino ».

LVI. De monachis et monaehabus inter se, et de laicis ad eosdem.

Monache sic se ad invicem salutant : « Amantissime so- rori sue in Christo plurimum venerande A. Sancte Marie Maioris honeste sanctimoniali, G. monacha sancti Gervasii sa- lutem in Domino ». Conventui monialium sic scribitur: « Dile- ctis vel revendis in Christo sororibus abbatisse et sancti mo- nialibus talis loci, magister T(ancredus) Bononie archidiaconus salu- tem et ad spensi convivium cum sapientibus virginibus introire ». Generaliter autem possumus eis dicere « salutem et in oratione constantiam » vel « salutem in eo cui angeli serviunt » vel cuius speciem » vel « cuius pulcritudinem sol et luna miran- tur » vel « salutem, et sic transire per temporalia, ut per ea non amittantur eterna » vel « salutem et cum desiderio iugum Domini sustinere » vel « salutem et carnis voluptatos oratio-

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS

325

nibus et vigiliis et ieiuniis edomare » vel « salutem et illam quam mundus dare non potest pacem » vel « salutem et de labore fructum suscipere gloriosum (1) » vel « Dominum facie ad faciem contemplari » vel « de cursu bravium obtinere » vel « semper oleum in lampadibus suis ferre » vel « salutem et celesti sponso piacere, et illibatum servare pudoris annulum et armillam », vel « salutem et ad fructum centesimum per- venire ».

LVII. De heremitis, humiliatis pariter et conversis.

« Dilecto in Christo fratri amico speciali et domino re- verendo B. heremite Camaldulensi sanctitate vite probato et mentis ac corporis honestate, B. heremita sancti Michaelis de Nemore salutem et usque ad veram perseverare coronam ». Humiliati et Deo devoti sic se salutanti « Viro dilecto amico et fratri carissimo A. penitentiam agenti (2) B. humiliatus et Deum timens salutem et die noctuque in lego Domini medi- tari ». Conversi sic se salutant : « Fratri dilecto et amico spe- ciali D. converso sancti Proculi, C. conversus sancti Da- miani salutem et per bonum obedientie ad premium celestis magnifìcentie pervenire ».

LVIII. Salutationes iudicantium.

« Multe sapientie ac discretionis viro domino P., legali et facundo indici Mutinensi, iuris et facti peritia decorato » vel « tam iuris prudentia quam facti experientia redimito, A. index Bononie » vel « talis eius consanguineus » vel « amicus, salutem et in libra rationis sedere et singula sua

(1) de labore denarium V. P. 0.

(2) agentium V.

326 EDIDIT A. GAUDENZI

iudicia trutinare » vel « salutem et in omni suo iudicio ma- trein veritatis inviolabiliter conservare », vel « salutem et cum misericordia per semitam iustitie ambulare ».

LIX. De largis 'pariter et avaris.

« Viro nobili et plurimum curiali D. Domicello ubique propriis meritis honorando Tuschus de Gratia (de) Asinellis (1) salutem et gratis promittere, ac gratis digne postulantibus elar- giri » vel « tali prelato, clerico « aut laico » talis salutem et matrem omnium virtutum consulere largitatem » vel « salu- tem et patientibus necessitatem largitatis dexteram aperire ». Avarus sic potest salutari : « Tali talis salutem, et non num- morum copiam, sed morum venustatem optare » vel « salu- tem, et non denariorum multitudinem , sed maiestatis altitu- dinem adorare » vel « salutem et a cultu divertere idolo- rum » vel « salutem, et non prò lucro burse, sed ad profectum anime ieiunia frequentare ».

LX. Be mercatoribus et agricoUs. (2)

« Dilecto (3) amico suo tali mercatori, L. salutem et de mercimoniis multiplicatum coUigere capitale » vel « sa- lutem et semper lucrum consequi peroptatum » : vel « tali agricole talis ville , burgi , vel vici , (4) talis salutem et ubertatem vini » vel « ipsius oves in fetibus abundare » vel « salutem et tantis abundare successibus, quod ei univer- sitas invideat vicinorum » vel « salutem, et campis et pratis

(1) Asinellis om. YPO.

(2) Ad rustir.hos R.

(3) et precordiali add. R.

(4) loci de villa burgo, vico, castro R.

GUmONIS FABE SOfMA DICTAMINIS 327

culturam assidue adhibere » vel « saluterà, et lactis ubertatem et vini et elei abundantiam infinitam ».

LXI.

In qico casu sctn'batur salutatio, et que verba intelUgantur,

et quare celentur.

Finaliter autem nota quod salutatio debet scribi per da- tivum casum, et in tertia persona tantum ; et pre nimio mentis affectu verbum in salutatione celatur, licet antiqui posuerint, ut ibi « Lucius Catilina mittit Quinto Cetego salutem ». Et in Ovidio : « Hanc tua Penelope lento tibi mittit, Ulixe ». Et in salutatione subauditur aliquod istorum verborum « mittit, mandat, legat, delegat, optat, cupit, desiderai vel affectat », vel aliud verbum quod ad mittendum pertineat, vel ad optandum.

LXII. Que persone non deheant salutari.

Item nota quod non salutantur excommunicati , Saraceni, ludei, vel Patareni, cuiuscumque secte fuerint dum tamen catholicam non sapiant puritatem; sed loco salutis dicitur quod habeant spiritum consilii sanioris hoc modo: « Gregorius epi- scopus, servus servorum Dei potenti viro Saladino » vel « tali , in errore iudaico » vel « pravitate manenti , ad fìdei co- gnitionem venire » vel « derelictam assumere disciplinam » vel « tali excommunicato spiritum consilii sanioris, » vel « pre oculis semper Dominum habere » vel « declinare a malo, et facere bonum » vel « ad viam veritatis redire », vel « tali Spe- roniste » vel « tali Donatista » vel « Leoniste » aut « in tali secta moranti, ad cor unitatis redire et viam veritatis repetere festinantar ». Item non salutantur inimici manifesti, ut dictum est, sed aliquid ponitur salutationi contrarium. Exemplum: « G. Dei gratia comes Panici D. solo nomine comiti de Casa- leccio prò salute merorem ». Vel aliter: « F. Dei gratia Ro-

328 EDIDIT A. GAUDENZI

manorum rex, et semper augustus Othoni persecutori ecclesie incidere in laqueos quos tendit » vel « iram Dei sustinere quantum suis operibus invocavit ».

LXIII. Quando salutatio in epistola non ponatur.

Item quandoque non ponitur salutatio in epistola vel in lit- teris de licentia datis et in litteris dimissoriis, commendatitiis et generalibus. Exemplum: « Nos A. potestas Bononie damus licentiam etc. » vel: « Noverint omnes presentes litteras in- specturi » vel : « Sciant, cognoscant » vel « noverint omnes ad quorum audientiam littore iste pervenerint etc. ». Item salu- tatio reticetur quando scribentes secreta timent et nolunt co- gnosci si epistola caperetur, ut puta cum de proditione vel furto vel morte vel aliqua re turpi tractatur; vel quìa clericus in dignitate, vel rector in officio positus forte scribit alieni mulieri , et tunc per occulta signa debet proprium nomen sub imagine representare, vel incipere ab ipsa narratione, ut illud Ovidii « Nunc oculos tua cum violarit epistola nostros, non respondendi gloria visa levis ».

LXIV.

De iis que sunt in salutatìone ponenda, scilicet nominiòus personarum et locorum ac etiam dignitatum.

Item nota quod nomen loci, nomen persone, nomen mit- tentis, nomen dignitatìs vel officii debet semper in salutatìone apponi. Exemplum: « Petro indici mutinensi » vel « Martino archidiacono Bononie I. salutem ». Petrus, ecce nomen per- sone; indici, nomen officii; archidiacono, nomen dignitatis; Bononie nomen loci.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 329

LXV. Quot modis nomen propì'ium in epistola taceatur.

Proprium nomen quatuor de causis in salutatione tacetur. Primo cum non persone, ut supra diximus, scribitur, sed po- tius dignitati. Secundo quando proprium nomen ignoratur. Tertio quando scribitur duobus equalibus, ne prò prima posi- tione nominis posterior indignetur; et in his casibus digni- tas vel oflScium nominis supplet defectum. Quarto nomen ta- cetur propter confusionem vitandam, ut cum scribitur populo vel societati, aut alieni multitudini.

LXVI. De sublimibus personis.

Item, ut appropriare scias cuilibet quod suum est, nota quod papa et imperator debent dici superillustres ; in clero, primates et patriarche illustres vocantur; episcopi dicuntur clarissimi: metropolitani quoque vel archiepiscopi spectabiles nuncupantur. In laicis vero illustres sunt reges provinciarum, prefectus urbis, presides, conscripti patres et alme urbis sena- tores; spectabiles autem dicuntur daces, comites et marchiones: clarissimi vero sunt barones et valvassores et consules civi- tatum.

LXVII. Circa que religio, pietas et quedam alias habeantur.

Item sciendum est quod relìgio in Dei cultu, pietas erga patrem et consanguineos , officium erga consortes eiusdem nature, obsequium erga patronos, famulatus dominis, obedientia prelatis et revorentia maioribus debetur. Item nota quod omnis orator ista debet considerare : ordinem construendi,

330 EDIDIT A. GAUDENZI

appositìonem verborum, ìntellectum lociitionis, mores homi- num, consuetudines terrarum, et satisfacere toluntati mittentis. Item diligenter debet querere, subtiliter, et videre que sit persona mittentis, ut dictum est, et que recipientis, et que sit fortuna et condicio utriusque, et quod talis sit materia quod ipsius verba illi conveniant cui littera destinatur.

LXVIII. Incipit de exordio.

Viso de salutatione que precedit, sequitur videre de exordio quod statim debet sequi. Exordium sic a Tullio diffinitur : « Exordium est principium orationis, per quod ani- mus auditoris vel iudicis constituitur ad audiendum »; vel « exordium est sermo preambulus ad dicenda ». Et nota quod exordium tria facit; nam reddit auditorem docilem preli- batione materie; benivolum, cum dicit circumstantias rerum et merita personarum; attentum, cum utilitatem tangit, magni- tudinem denotat, vel negotii qualitatem.

LXIX. linde dicatur exordium,

Dicitur autem exordium ab exordior, exordiris^ quìa proprie in exordio, idest in principio debet poni; potest autem in medio et in fine poni. In principio sic ponitur: « Tali pre- lato talis subditus seipsum. Eius liberalitas est precipue com- mendanda, qui priusquam sibi precum instantia porrigatur di- gno beneficio respicit indigentem. Inde est quod vestra bonitas digna laudibus debet non immerito revereri, que suos fideles misericorditer inspicit oculis pietatis ». In medio potest exordium sic aptari : « Talis prelatus A. subdito salutora. Peccasti graviter, sed de misericordia non desperos: quoniara qui vult satisfacere de commissis peccatori venia promittìtiir Salvatoris : noe tibi ecclesia claudit gromium redeunti. Sed

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 331

super conversione peccatoris gaudium est angelis in excelsis ». In fìne sic exordium potest poni: « Si vere scentie cupis acquirere margaritam, peccatum fugias et consortia maligno- rum ; nam cuius mens est vitiorum tenebris oifuscata, non potest splendere sapientie luminari ». Item nota quod exor- dium in tertia persona fìt, et in finali sillaba convenire, et penultima discrepare debet. Exemplum: « Magister Guido ubi- que diligitur, quia sua dictamina comprobantur ». Ecce qua- liter diligitur in tur desinit, et penultima, hoc est gi bre- viatur; et similiter comprobantur in ntur fìnitur, sed penul- tima producitur. Item si in vocalibus distinctiones desinant, vel in aliis consonantibus terminentur.

LXX.

De arenga et differentia eius et exordii.

Arenga est quedam prefatio que ad benivolentiam ca- ptandam premittitur et ornatum, qua utuntur (1) Lombardi et ecclesia Romana in suis epistolis et loquelis. In hoc piane con- cordat exordium et arenga, quod utrumque debet preponi ta- liter et aptari, ut narrationi cohereat et procedere videatur a causa. Sed in hoc discrepant, quoniam arenga non tantum perso- nam tertiam sed primam recipit et secundam. Hoc exemplum videas in decretalibus : « Quanto te novimus in canonico iure peritum, tanto fraternitatem tuam in Domino commendamus, quod in dubiis questionum articulis ad apostolicam sedem re- curris, que disponente Domino cunctorum mater est fìdelium et magistra ».

LXXI.

Sequitur de proverbio.

Proverbium est oratio sententiam continens ante produ- ctam, vel consuetudinem approbatam. Exemplum: « Mus,

(1) maxime add. P.

332 EDIDIT A. GAUDENZI

vipera, ignis in sinu et serpens in gremio non prebent suis hospitibus munera gratiosa ».

LXXII. Quid sit benivolentie captatio.

Benivolentie captatio idem est quod exordium. Potest au- tem sic difRniri : « Benevolentie captatio est quedam laus, qua recipientis animus letatur et benivolus redditur mittenti ». Et nota quod semper benivolentia captatur, ubicumque aliquod ver- bum ponitur quod ad laudem recipientis pertineat et honorem.

LXXIII. Quid sit narratio.

Narratio, ut a Tullio diffinitur, est rerum gestarum vel proinde ut gestarum expositio. Yerbi gratia rerum gesta- rum cum dicitur : « Scias quod Petrus dedit B. archipresbi- tero X lib. et factus est canonicus Ymolensis » vel proinde ut gestarum^ ut si dicam : « Petrus factus est canonicus talis loci simoniaca pravitate ». Et nota quod narratio debet esse bre- vis, dilucida et probabilis; nam, ut ait TuUius in secundo Re- thoricorum in primo libro, quo brevior, eo dilucidior et faci- lior cognitu narratio fìet. Brevis est, cum verbis tantum ne- cessariis expeditur. Lucida est, cum usitatis signifìcationibus, rerum ordine servato, et non longo circuito res monstrantur. Probabilis est si morem sectetur, opinionem referat, et sicut natura postulat exponatur.

LXXIV.

Quid sit petitio, et qualis esse debeat.

Petitio est oratio per quam petimus quod iustum sit, utile, necessarium et honestum, ut si potam quod meo saluti consulas et honori. Circa petitionem honestam ista debent at-

GUmONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 333

tendi : que sit persona petentis et que illa a qua petitur, tem- poris qualitas, loci dispositio et habilitas dictatoris ; et sic est ex precedenti narratione sumenda, ut cum ratione colligat su- pradicta.

LXXV.

Qualiter jpartes epistole disponantur.

Primo debet salutatio poni, quia, nisi premitteretur, non posset sciri de quo dictator narraret. In secuudo loco debet locari narratio, quia nuUus sciret quare salutatio precessisset, nisi narratio revelaret. Tertium locum sibi debet petitio vin- dicare, quia petentis intentio nesciretur, nisi post narrationem aliquid sub petitionis specie poneretur.

LXXVI.

Quomodo epistola possit fieri de aliqim parte eìus, et de qua non possit fieri.

Potest autem constare epistola, licet quodammodo imper- fecte, de qualibet parte epistole: ex sola quidem narratione, ut : « Noveritis quod Bononie sanus et incolumis persevero per Dei gratiam atque vestram, quod audire de vestra persona desidero animo sitibundo, cum vos diligam, et omnia que sunt vobis novit Dominus ad salutem ». Sed si gravis est animus auditoris vel materies odiosa, subito non debet peritus dicta- tor ad narrationem accedere, sed a benivolentie captatione potius exordiri, ut reddatur auditor precabilis et negotii qua- litas excusata. Item ex sola petitione potest constare epistola. Exemplum: « A vestra gratia postulo multa prece, ut inter vestros fideles subditos me dignemini computare ». Ex sola salutatione epistola stare non posset; quia, si dicerem « Petro Martinus salutem », hoc non esset epistola, sed titulus epi- stole. Verumtamen qui dicunt salutationem esse partem epi- stole, quodam modo superficialiter possent dicere, quod hoc esset epistola cum dicitur « Albertus Martino salutem et centum

334 EDIDIT A. GAUDENZI

solidos. ». Set talia non sunt de salutatione, sed in narratione po- nuntur. Item ex solo exordio stare non posset, ut si dicam ali- eni : « Qui recte ieiunare desiderat, ab omnibus debet vitiis abstinere ». Hoc nihil esset, nisi aliud sequeretur. Item non potest stare epistola ex solo proverbio, ut si scriberem alicui sic dicendo: « Irasci columbam non vidimus, nec humanes- sere scorpionem ».

LXXVII.

Quid sit thema et quid materia.

His premissis, de themate videamus. Thema est factum in genere propositum; vel thema est brevis apertio dicendo- rum, per quam auditor loquentis intelligit voluntates. Exem- plum; « Scias quod Bononienses centra Mutinenses exerci- tum iam fecerunt ». Restat videro quid sit materia. Materia est piena et artificiosa verborum ordinatio ex his que in the- mate assumuntur. Exemplum: « Sciatis quod Bononienses, amicorum vocata multitudine copiosa, centra Mutinam iverunt cum suo carrocio tam magnifice quam potenter, et in obsi- dione castri Bacani diutius commorantes ad propria sani et incolumes sunt reversi, sed nec ipsum expugnare castrum, nec aliquam habere victoriam potuerunt » (1).

LXXVIII.

Quomodo inveniatur, disponatur et ordinetur oratio.

Dictator sagax debet esse, diligens et discretus ad inve- niendam materiam suo ingenio congruentem, iuxta illud Hora- tii « Sumite materiam vestris qui scribitis equam » ; et post- quam invenerit, circa dispositionem laboret ut ordinetur sub verborum serie competenti, et postmodum ad colores proce- dat rethoricos quibus depingat eandem ornamento circumpo-

(1) Cfr. Sa VIOLI, Annali bolognesi, voi. II p. 1.^ p.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 335

sito, quasi quodam pallio et fiorifero tegumento : sicque debet scribentem ad loquendum inducere illi persone cui scribitur et littera destinatur, tanquam esset in sua presentia constitu- tus. Exemplum. Aliquis vult scribere suo domino vel amico ut possit a curia litteras impetrare. Qualiter simpliciter dice- ret, si personaliter in presentia sua foret? « Ego rogo domi- nationem yestram de qua multum confido, ut dignemini mihi adiutorium vestrum dare , ita quod in tali causa quam habeo cum Petro possim habere litteras a domino papa ». Ecce, habes materiam: recurre igitur ad dispositionem ipsius hoc modo : « Dominationem vestram, de qua gero fiduciam pleniorem, humili prece rogito incessanter quod mihi vestre liberalitatis et gratie taliter dignemini subsidium impartir!, quod in tali causa, vestra potentia faciente, litteras apostolicas impetrare valeam et habere ». Et ipse rogatus diceret: « Li- benter faciemus quicquid tibi placuerit ». Ex quibus verbis debes responsivam colligere taliter et formare: « Facere cu- pientes » sive « gestientes que tibi debeant esse grata, sic tuo nuntio nostrum dedimus auxilium et favorem quod, se- cundum quod tua petitio requirebat, impetravit litteras utiles et benignas ».

LXXIX. Quid sit sententìa, et quid ad dictatorem pertineat

Sententia est super iis que prius fuerunt dubia vel ve- risimilia interpretatio sapientis. Et licet principaliter ad iudi- cia descriptio talis pertineat, ad dictatores tamen competenter refertur, qui ad similitudinem iudicantium supersedent epistole faciende, interpretantur cum sapientia dictiones , condempnando vitiosa verba, dubia, verisimilia et configurata (1), et ponendo que ad bonam sententiam faciunt et sanum retinent intellectum. Exemplum vitiosum, puta, cum de aliquo sapiente dicitur: « Ad vestram prudentiam platee currunt, et veniunt civitates tam- quam ad illam personam quam diligo, prout scitur, que for-

(1) figurativa P. V. 0. Voi. Ili, Parte II. 22

336 EDIDIT A. GAUDENZI

titudine multa prepollet et coruscat cingulo glorie militaris ». ludicetur hec locutio vitiosa, et talis locutio debita verba que- rat hoc modo. « Ad vestram prudentiam, quam diligo puro corde, recurro necessitatis tempore confidenter, velut ad por- tum ad quem venientes sperata gratitudine non privantur ».

LXXX.

Quid sit dìstinctio, et unde dicatur, et qualiter distinguere deheamus.

Distinctio est quedam cuiuslibet clausule particula, que quan- doque puncto plano, quandoque suspensivo terminatur, vel de- bet rationabiliter distingui et terminari. Et dicitur distinctio a distinguo, distinguis, quia distinctiones ita debet in sua epistola distinguere dictator, quod nulla ex earum conculca- tione generetur ambiguitas in animo auditorum.

LXXXI.

Be punctis et virgulis et regulis eorum.

Punctum est signum distinctionum locutìonis et recreatio spiritus fatigati: etiam est punctum aliud suspensivum, vide- licet quod cum virgula scribitur infra ducta (1); aliud medium ut in colo ; aliud comprehensivum litterarum, quando circum- scribitur littere que (2) (prò) proprio nomine ponitur; et non refert utrum unum coma vel colum aut plura periodum antecedant ; de quibus adhuc dicam apertius per exempla.

LXXXII. Quid sit clausula, et quot distinctiones continere debeat,

Clausula est quedam cuiuslibet tractatus particula que ad minus duas et ad plus septem distinctiones continot, ne obscuritas

(1) vel circuraflexa <xdd. P.

(2) non proprio nomine ponitur P.

GUroONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 337

generetur. Exemplum : « Illius gratia communi . iudicio com- mendatur, que singulis poscentibus ostendit se benivolam et exhibet liberalem ». Exemplum de septem, ut in corrupta que de virginitate ammissa conqueritur iste modo: « Heu dolor inde- fìciens, et o quanta sunt mihi suspiria et lamenta! cum tem- pus virginitatis amisisse me recolo atque diem ; quia prius eram formosa ut lilium, et in conspectu Dei et hominum pul- cherrima sicut rosa fulgebam, et continentie virtute coru- scans quasi fìlia dici poteram angelorum: sed postquam de- floravit me virilis amplexus, perdidi suavitatem odoris, facta sum natura fragilis et corpore vitiosa, et poma convallium inter spinas et tribulos ceciderunt ».

LXXXIII. De punctìs et distinctionibus.

Licet supra quid sit distinctio descripserimus , tamen in- dubitanter scias quod distinctio idem est quod punctum, et ubicumque punctum est, ibi distinctio iudicatur: unde nota quod tres sunt distinctiones et puncta, secundum que omnis scriptura distinguitur et punctatur. Prima dicitur coma^ et est coma particula sensus decisa; secunda cola^ et est cola pun- ctum in quo auditor quiescit, licet aliquid addi possit: tertia est perwdus , et est periodus punctum in quo requiescit tam recitans quam auditor. Coma scribitur cum virgula su- perius ducta, ut in hoc exemplo: « Tue dilectioni facere cu- piens que sint grata ». Cola cum punto sine virgula desi- gnatur, ut in hoc exemplo: « Tibi x lib. imperialium de- stinamus ». Periodus autem cum puncto et virgula inferius ducta describitur, ut in tali suppletione dicti exempli: « ad omnem tua indigentiam repellendam ». Et dicitur peinodus a peìH^ quod est circum^ et oda quod est laus\ inde periodus, idest punctum finale vel laus que in fine canitur.

338 EDIDIT A. GAUDENZI GUIDONIS FASE SUMMA DICTAMINIS

LXXVIX.

Le ordine naturali et artificiali,

Cum autem auri nitor vel metallorum fulgor per se tam- quam insufficiens ad operis venustatem docti requirat artificis peritia decorar!, premisso regularum documento, stilum ad artifìcialem ordinem convertamus. Unde nota quod in con- structione duplex est ordo, scilicet naturalis et artificialis. Na- turalis est ille qui pertinet ad expositionem, quando nomina- tivus cum determinatione sua precedit, et verbum sequitur cum sua, ut « ego amo te ». Artificialis ordo est illa com- positio que pertinet ad dictationem, quando partes pulcrius di- sponuntur ; qui sic a Tullio diffinitur : « Compositio artificialis est constructio dictionum equabiliter perpolita ».

A. Gaudenzi (continua)

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA

APPENDICE

Bandini Sallustio Antonio, Discorso I sopra | la maremma di Siena. I Siena | Tip. Sor- do-Muti di L. Lazzeri | M- DGGGLXXyiI. In 8,' Mi- zione fuori di commercio. Lire 5.

In principio pagg. XXIII e la XXIV bianca. Nella prima carta: XIX aprile MDCCCLXXVII I Secondo centenario della na- scita I di Sallustio Antonio Ban- dini I . Nella seconda carta, non compresa nella numerazione, il ri- tratto col facsimile della firma autografa del Bandini. Poi undici carte col frontespizio, un proemio, una notizia di Sallustio Antonio Bandini, e le onoranze resegli in Siena.

Seguono pagg. 126 col Discorso sopra la marenìma di Siena, l' in- dice delle materie, e due pagine bianche in fine.

Di questa e di alcune altre schede son debitore alla cortesia del chiar.mo Comm. Carlo Negroni, e glie ne rendo pubbliche grazie.

Berni Francesco, Rime , Poesie latine e Lettere edite ed inedite ordinate e annotate per cura di Antonio Virgili, ag-

giuntovi la Catrina^ il Dia- logo contra i Poeti e il Com- mento al Capitolo della Pri- miera. Firenze, Successori Le Mounier, 1885. In 16°

Lire i catalogo Le Monnier.

Due carte non computate nella numerazione per l' antip. e il fron- tes. Pagg. num. XLVIII per la Pre- fazione e un Avvertimento biblio- grafico. Pagg. num. 4.15 per il te- sto; la 4-16 è bianca. Due carte senza num. in fine, la prima col- y Indice delle Materie, la seconda coW Errata Corrige.

Bibbia (La) volgare secondo la rara edizione del I di Ot- tobre MGGGGLXXI ristampata per cura di Garlo Negroni. In Bologna, presso Gaetano Ro- magnoli , MDGGGLXXXII— LXXXVI (i primi otto vo- lumi). Presso Romagnoli Dal- l'Acoua , MDGGGLXXXVI— LXXXVII {i due restanti). Volumi dieci in 8,°

Lire 144. 50 catalogo Romagnoli Dair Acqua.

VoL. I. Pagg. num. LII-592.

340

L. RAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

VoL. IL Due carte senza num. con antip. e frontes. Pagg. num. 662. Una carta bianca in fine.

VoL. in. Pagg. num. 592.

VoL. IV. Pagg. num. 677 e tre bianche in fine.

VoL. V. Pagg. num. XV dei pre- liminari e la sedicesima bianca. Pagg. num. 800.

VoL. VI. Pagg. num. 634 e una carta bianca in fine.

VoL. VII. Pagg. num. 615 e la 646 bianca.

VoL. VIII. Pagg. num. 654 e una carta bianca in fine.

VoL. IX. Pagg. num. 772.

VoL. X. Pagg. num. 594 e una carta bianca in fine.

Fanno parte questi dieci volumi della Collezione di Opere inedite 0 rare dei primi tre secoli della Lingua pubblicata per cura della R. Commissione pe Testi di Lin- gua nelle Provincie dell' Emilia.

Bollichi Bindo da Siena, Ri- me edite ed inedite ora per la )rima volta tutte insieme stam- pate. Bologna, presso Gaetano ::iomagnoli, 1867. In 16, "^

Lire 7. 50 catalogo Romagnoli Dall' Acqua.

Pagg. num. XXXV contenenti an- tip. , frontes. , dedicatoria a Luciano Banchi , Avvertenza dell' editore Francesco Zambrini, e un discorso di Prospero Viani in commemora- zione dell' Avv. Jacopo Ferrari di Reggio: la pag. trentesima sesta è bianca. Appresso il testo del Ironi- chi in pagg. num. 209: la 210 è bianca. In fine tre carte senza num. , contenenti l'Indice Generale delle Rime, la Contenenza del Volume e V Errata Corrige.

È la dispensa 82." della Scelta di Curiosità Letterarie che ha già fornito alla Crusca tanti bei testi.

Capponi Gino, Scritti edili ed inediti per cura Marco Tabarrini. Firenze, G. Barbèra editore, 1877. Voli. 2 in 16. '^

Lire 8 catalogo Barbèra.

VOL. I. Scritti editi. Pagg. VII! contenenti antip., frontes., discorso del Tabarrini ai lettori, e indice del ^volume primo. Una carta non num. con un occhietto precede il testo. Appresso pagg. num. 504.

VOL. II. Scritti inediti. Pagg. XII contenenti antip., frontes., discorso del Tabarrini ai lettori, e indice del volume secondo. Una carta non num. con un occhietto precede il testo. Appresso pagg. num. 472.

Caro Annibale, Gli Strac- cioni. (Senza luogo., anno e tip.., ma in Napoli , circa il 1750). In 12.'

Lire 2 catalogo Romagnoli Dal- l'Acqua.

Pagg. num. 87 ; la 88, senza nu- meri, contiene gli Errori fatti nello stampare.

Del Lungo Isidoro, Dino Compagni e la sua Cronica. Firenze, Successori Le Mounier, 1879-87. Volumi tre in 8." gr. Il primo volume è di- viso in due parti.

Lire 35 catalogo Le Monnier.

VCL. I. Parte i. Pagg. Vni-509; la pag. 510 è bianca. Un cartino coir Errata- Corrige in fine.

Parte ii. Due carte non compu- tate nella numerazione contengono r antip. e il frontes. Ripiglia la nu- merazione arabica da quella della prima parte, e da pag. 511 arriva a pag. 1245; la pag. 1246 è bianca. In fine in pagg. num. alla romana LXXXVI stanno i nocumenti e l'In-

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 34 Ì

dice. Una carta senza num. colla Errata- Corrige chiude il volume.

VoL. II. Pagg. num. XXXV dei Preliminari, e la trentesima sesta bianca. Un facsimile del testo Ah- sburnhamiano. La Cronica, e suo Commento e Appendice al Com- mento e Indice dei nomi contenuti nella Cronica in pagg. num. 643; la pag. 644 è bianca. Da ultimo una carta senza num. coli' Indice del volume.

VoL. III. Pagg. num. XIX dei preliminari: la ventesima è bianca. Pagg. num. 217 coli' Indice storico e if testo della Cronica secondo il Codice Laurenziano Ashburnhamiano: la pag. 218 è bianca. Una carta senza num. coli' Indice del volume.

Gli Accademici citarono il testo della Cronica Fiorentina che sta nel volume secondo , il Testo A- shburnahmiano della stessa che sta nel volume terzo, e le Rime, che stanno nel volume primo.

Emiliani-Giudici Paolo, Sto- ria dei Comuni Italiani. Firen- ze, Felice Le Monnier, 1864-66. Tomi tre in 16.^

Lire 12 catalogo Le Monnier.

VoL. I. Carte tre non comprese nella numerazione con antip. , front, ed epigrafe dedicatoria a Giusep- pina Turrisi-Colonna. Appresso pagg. num. 591, e la 592 bianca.

VoL. II. Carte due non comprese nella numerazione con antip. e front. Pagg. num. 506 e una carta bianca in fine.

VoL. III. Contiene i Documenti. Due carte non comprese nella nu- merazione con antip. e front. Pagg. num. 566. Una caria da ultimo senza num. coli' Indice.

Gli Accademici della Crusca ci- tarono gli Ordinamenti di Giusti- zia e gli Statuti dell' Arte di Ca- limala, che stanno nel voi. IH.

Foscolo Ugo, Poesie. Edi- zione critica per cura di Giu- seppe Chiarini. In Livorno, coi tipi di Francesco Vigo editore Via della Pace N.° 31. 1882. In le.""

Lire 5. Vi sono alcuni esenaplari in carta distinta.

In principio il ritratto di Ugo Foscolo e un facsimile della sua scrittura. Pagg. num. CCXXVIJ dei preliminari e la 228 bianca. Pagg. num. 485 delle Poesie, e la 486 bianca.

Gelli Giovan Batista, Letture edite ed inedite sopra la Comme- dia di Dante raccolte per cura di Carlo Negroni Socio della R. Commissione pei Testi di Lingua. Firenze, Fratelli Bocca editori Torino-Roma-Napoli , 1887. Tomi due in <9.° gr.

Lire 12 vend. Bocca.

VCL. I. Pagg. num. XXXVI-695, e la 696 bianca.

VoL. II. Due carte senza num. con antip. e front. Pagg. num. 639 e la 640 bianca.

A ter^o dell' antiporta di entrambi i volumi sta il ritratto del GelU, ri- cavato dalle antiche stampe fioren- tine.

Gioberti Vincenzo, Del Buo- no. Brusselle, dalle stampe di Meline , Cans e Gorapaffnia , 1843. In 8,' gr.

Lire 6 catalogo Cecchi. Lire 4 vend. Romagnoli.

Due carte non computate nella numeraz. contengono l' antip. colla intitolazione : « Opere edite ed ine- dite di Vincenzo Gioberti. Volume XUlì», e il frontespizio. Pagg. CXX

342

L. RAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

con un' epigrafe dedicatoria del- l' Autore alla propria madre, ed una lunga Avvertenza. Pagg. num. 335 col Trattato del Buono, la Tavola e Sommario. Tre pagine senza numeri in fine : la prima bianca, la se- conda colle Correzioni e Migliora- mentij la terza e ultima bianca.

Gioberti Vincenzo , Degli errori filosofici di Antonio Ro- smini. Edizione seconda. Brus- selle, dalle stampe di Meline, Gans e Compagnia, 1843-44. Tomi tre in 8.^ gr.

Lire 18 catal. Cecchi. Lire 12 vend. Romagnoli.

Tomo i. Due carte con antip., e frontes. Pagg. num. LXXI di pre- liminari, poi una pag. bianca. Ap- presso pagg. num. 380.

Tomo il Due carte con antip. , e frontes. Appresso pagg. num. ^20. Una carta in fine non num. con Correzioni e Miglioramenti.

Tomo ih. Due carte con antip., e frontes. Appresso pagg. num. 402.

Suir antip. di ciascuno dei tre volumi sta impressa l'indicazione: Opere edite ed inedite di Vincenzo Gioberti, e sta pure impresso il nu- mero d' ordine della Collezione stes- sa cui appartengono, che nel suo totale conta 13 volumi, tutti stam- pati in Brusselle. Questi descritti portano i numeri V, VI e VII.

Introduzione allo studio della filosofia. Edizione seconda riveduta e corretta dall' Autore. Brusselle, dalle slampe di Me- line, Gans e Compagnia, 1844. Tomi 4 in gr.

Lire 24 catalogo Cecchi. Lire 12 vend. Romagnoli.

Tomo i. Due carte in principio con antip. , e frontes. Appresso pagg.

num. 367; la 368, bianca, é l'ul- tima.

Tomo ii. Due carte al solito con antip., e frontes. Pagg. num. 479, e tre bianche in fine.

Tomo ih. Due carte al soHto con antip., e frontes. Pagg. num. 467, e la 468 bianca.

Tomo iv. Due carte con antip. e frontes. Pagg. num. 460.

Anche questi quattro tomi por- tano sulle singole antiporte im- pressa r indicazione : Opere edite ed inedite di Vincenzo Giobertij unitamente al numero d' ordine : e sono i volumi I, II, III, IV della Raccolta.

Gioberti Vincenzo, Del Bello edizione seconda corretta e mi- gliorata dall'Autore. Firenze, presso Pietro Ducei (a tergo del frontespizio: Tipografìa Galileiana), 1845. In 8,'' gr. Baro.

Lire 4 vend. Romagnoli.

Carte tre senza num. in princi- pio, contenenti antip. , frontes. e un discorso dell'editore a chi legge. Appresso pagg. num. 315 e la 316 bianca. Una carta in fine senza num. cogli Errori e Correzioni.

Del Primato morale e ci- vile degli Italiani, seconda edi- zione corretta e accresciuta dall'Autore, coli' aggiunta di una nuova Avvertenza. Brus- selle, dalle Stampe di Meline, Gans e Compagnia, 1845. In 8.^ gr. Baro.

Lire 6 vend. Romagnoli.

Due carte in principio senza num. contenenti antip. e frontes. Appresso pagg. num. CDLII con wn' Avver- tenza per la seconda edizione, e la Scusa dell' Autore; e pagg. num. 621 col Primato, le Note, la Ta-

BIBLIOGEAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 343

vola e Sommario. La pag. 622, ultima del volume, è bianca.

Gioberti Vincenzo, Il Ge- suita moderno, edizione origi- nale. Losanna, S. Bonamici e Compagni tii3ografi— editori , 1846-47. Voli. 5 in <9.° gr.

Lire 24. catalogo Cecchi esem- plare in carta grande. Lire io ca- talogo Romagnoli.

VOL. I. Pagg. num. XVIJ, che contengono antiporta coli' intitola- zione: « Opere di Vincenzo Gio- berti Volume Vili », frontespizio, epigrafe dedicatoria a Giulio Ro- becchi, e biografia del medesimo, sotto il nome di Dedica. Appresso tre pagine : la prima bianca, la se- conda con un occhietto, la terza bianca. Segue il Discorso Prelimi- nare che occupa tutto questo primo volume, in pagg. num. di nuova numerazione romana DXVIII. Una carta bianca in fine.

VoL. II. Due carte senza numeri in principio, con antip. che ha l'in- titolazione: (( Opere di Vincenzo Gioberti volume /Z », e frontes. Appresso pagg. num. 631, poi una bianca che è l' ultima.

VoL. III. Due carte senza num.: r antip. col titolo : « Opere di Vin- cenzo Gioberti Volume X )\ e il frontes. Appresso pagg. num. 629, e tre bianche in fine.

VoL. IV. Due carte senza num. in principio: 1' antip. col titolo: « Opere di Vincenzo Gioberti Vo- lume XI », e il frontes. Vengono appresso pagg. num. 624.

VoL. V. E quello dei Documenti e Schiarimenti. Le solite due carte in principio, senza numcraz., che contengono l' antip. col titolo: a 0- pere di Vincenzo Gioberti Volume XII », e il frontes. Appresso pagg. num. 469, e da ultimo tre pagg. non numerate; la prima bianca, la

seconda coll'annunzio tipografico del- l' Opera in discorso, la terza ed ul- tima con una brevissima nota di errori del volume quarto , unde- cimo della serie compiuta.

Gioberti Vincenzo, Apolo- gia del libro intitolato // Ge- suita Moderno con alcune considerazioni intorno al risor- gimento italiano. Parte prima (unica stampata). Brusselle e Livorno, presso Meline, Gans e Compagnia. ( Parigi dalle stampe di Paolo Renouard.) 1848. In 8," gr.

Lire 6 catalogo Cecchi.

Due carte non comprese nella numerazione con antip. e frontes. Pagg. num. LXXI del Proemio, e la 72 bianca. Pagg. num. 460 del- l' Apologia.

Fa parte al solito della raccolta delle Òpere edite ed inedite di Vin- cenzo Gioberti, ma senza numero d' ordine.

Ve n' è un' altra edizione, in for- ma di ottavo più piccolo del pre- cedente, che ha : due carte in prin- cipio senza num. con antip. e frontesp., pagg. num. LVIII col Proemio, pagg. num. 416 col testo diéìX Apologia, la Tavola e Sommario.

Teorica del sovra naturale 0 sia discorso sulle convenienze della religione rivelata colla mente umana e col progresso civile delle nazioni. Edizione seconda ritoccaci dall' Autore e accresciuta di un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo cri- tico. Capola^o, Tipografia El- vetica; Tonno, Libreria Pa- tria, coeditrici. 1850. Tomi due in le.''

344

L. RAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

Lire 5 catalogo Romagnoli.

Tomo Primo. Carte due non com- putate nella numerazione con antip. e frontes. Pagg. num. 407 e la 408 bianca.

Tomo Secondo. Pagg. num. 422. Una carta senza num. in fine col- r Indice.

Gioberti Vincenzo, Del Rin- novamento Civile d' Italia. Pa- rigi e Torino, a spese di Giu- seppe Bocca Librajo di S. S. R. M. , Ghamerot, rue du Jar- dinet,13, 1851. (Parigi. Dalle Stampe di G. Grapelet, via di Vaugirard, 9.) Tomi due in 8.' gr.

Lire 10 vend. Romagnoli.

Tomo Primo. Due carte non num. con antip. e frontes.; pagg. xxviij col Proemio ; pagg. num. 752 del Testo, e due carte in fine: la pri- ma colle Correzioni del primo tomo, l'altra bianca.

Tomo Secondo. Due carte non num. con antip. e frontes.; pagg. num. 862 col Testo; una carta da ultimo colle Correzioni del secondo tomo.

Vi è un' altra edizione, colle me- desime note di luogo, d' anno e di stampatore, pure in due volumi, ma in forma di 16." Il tomo primo ha in principio due carte senza num. con antip. e frontes. ; appresso pagg. XVII col Proemio, e la pag. decima ottava senza num. con una Corre- zione; una carta coli' occhietto del Testo, e il Testo coli' Indice, in pagg. num. 5i0. Il tomo secondo ha dapprima due carte senza num. con antip. e frontes., indi pagg. num. 2 con Testo, Documenti, ed Indice.

Giordani Pietro, Opere, fi- dizione condotta sopra un e- semplare corretto dall'Autore,

e notabilmente accresciuta. Fi- renze. Felice Le Monnier. 1846. Voli 2 ed w?^' Appendice in 16.° Edizione esaurita.

Lire 10.

VoL. I. Tre carte senza num. in principio contengono antip. , frontes., e la dedic. della Descrizione del Fóro Bonaparte a Napoleone I. Ven- gono appresso pagg. num. 566.

VoL. II. Due carte senza num. in principio comprendono antip. e fron- tes. Vengono appresso pagg. num. 567 ; la 568, ultima del volume, è bianca.

Appendice. Porta impresso sul frontes. : A spese di Felice Le Monnier e nel verso dell' antip. : Bastia. Stamperia Fabiani. Due carte senza num. in principio con antip. e frontes. Seguono pagg. num. 138. Tre carte in fine senza num.; la prima è bianca, la seconda con- tiene nel recto V indice, la terza ed ultima l' errata, pure nel recto.

Giusti Giuseppe , Versi editi ed inediti. Edizione postuma, ordinata e corretta sui mano- scritti originali. Firenze, Felice Le Monnier, 1852. in IO."" E- dizione esaurita.

Lire A catalogo Romagnoli Dal- l' Acqua.

Pagg. num. XXII conlenenti antip., frontes., un' Avvertenza del- l' editore Felice Le Monnier , la Prefazione, e la Nota delle edizioni che il Giusti fece o consenti che si facessero delle sue Poesie. Ap- presso una carta non numerata con- tenente un occhietto che precede i Versi. Appresso i Versi, la Spiega- zione di alcune voci tratte dalla lingua parlata, Vindice, tutto com- prèso in pagg. num. 417; la pag. 418 bianca é l'ultima del libro. Disogna tener conto solo della

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 345

prima genuina edizione : non di tutte le ristampe che ad essa il Le Monnier fece seguire, colla mede- sima data: le quali, oltre che sono stampate in carta peggiore, con in- chiostro più sbiadito, sono anche qua e deturpate da vergognosi errori, come quello che a pag. 136, lin. 12, del notissimo verso dantesco

Ogni villan che parteggiando viene fa il mostro seguente: Ogni villan che parteggio viene.

Grazzini Anton Francesco detto il Lasca, Le Rime bur- lesche edite per cura di Carlo Verzone dottore in lettere. In Firenze, G. C. Sansoni editore, 1882. In 8.' gr.

Lire 25 catalogo Sansoni.

Pagg. CXXIV-681; la 682 bianca. Una carta non numerata in fine colle indicazioni tipografiche del giorno in cui fu finita la stampa (21 Febbraio 1882), e del numero degU esemplari stampati (400 in carta giallo-avorio, e 16 in carta a mano di Fabriano progressiva- mente numerati). 11 ritratto del Poe- ta sta dopo la Prefazione, in prin- cipio delle Rime.

Guadagnoli Antonio, Rac- colta completa delle Poesie Gio- cose. Seconda edizione con ag- giunte e vignette. Pisa, Fratèlli Nistri, 1857. Voli. 2 in 12.'' Edizione esaurita e assai rara.

Lire 10 vend. Franchi.

Tomo Primo. 11 ritratto dell'Autore in principio. Pagg. num. 330, tutto compreso. Una carta bianca in fine. Tre incisioni figurano in questo pri- mo tomo ; una a pag. 47 ; una a pag. 81 ; e l'ultima a pag. 197.

Tomo Secondo. Pagg. num. 379 in tutto ; la 380 senza numeri ha un avviso degh editori. Tre incisioni figurano pure in questo tomo secon- do ; la prima a pag. 60 ; la secon- da a pag. 87 ; la terza ed ultima a pag. 177.

Lambruschini Raffaello, Del- l'Istruzione, dialoghi, con la giun- ta d'alcune lezioni dette nell' Isti- tuto di Studi Superiori in Firenze. Firenze, Successori Le Monnier,

1871. In le.""

Lire A catalogo Le Monnier.

Carte quattro in principio non nu- merate con antip., frontes. , dedi- catoria a Gino Capponi e un motto di Quintiliano. Appresso pagg. XVI- 318. Una carta senza numeri in fine coW Indice del Volume.

Elogi e biografie raccolti per cura di Giuseppe Rigutini. Firenze, Successori Le Monnier,

1872. In 16.'

Lire S catalogo Le Monnier.

Due carte non comprese nella nu- merazione per r antip. e il frontes. Pagg. num. V, colla dedicatoria del Rigutini a Gerolamo Alessandro Biag- gi, e un'Avvertenza. Appresso una pag. bianca, e una carta senza num. per l'occhietto del testo. Appresso il testo in pagg. num. 252. Due carte senza numeri in fine, la prima col- r Indice del Volume , la seconda bianca. Oltre gli Elogi e le Biogra- fie sono comprese in questo volume le Iscrizioni Funerarie e Sepolcrali.

Intorno al modo di cu- stodire i bachi da seta. Istru- zione. Quinta Edizione riveduta dall' Autore. Firenze presso G. P. Vieusseux coi tipi di M. Gellini e G. alla Galileiana 1872. In 16.^ Edizione esaurita e rara.

346

L. RAZZOLINl ED A. BACCHI DELLA LEGA

Lire 3 vend. Romagnoli.

Pagg. 292, tutto compreso.

Landucci Luca, Diario fio- rentino dal 1450 al 1516 con- tinuato da un anonimo fino al 1542 pubblicato sui codici della Comunale di Siena e della Ma- rucelliana con annotazioni da Jodoco Del Badia. In Firenze, G. G. Sansoni editore, 1883. In 16, ""

Lire 4 catalogo Sansoni.

Pagg. niim. XV dei preliminari e la sedicesima bianca. Pagg. num. 377 per il testo, e tre bianche in fine.

Libro (II) della cura delle febbri scrittura del buon secolo della lingua allegata nel Voca- bolario della Crusca ora per la prima volta posta in luce dal Gav. Abate Giuseppe Manuzzi. Firenze, Tipografia del Voca- bolario diretta da G. Polverini, 1863. In 12,''

Lire W vend. Gonelli nei primi tempi, e assai meno dopo, come per tutti i seguenti. Vi sono sessanta esemplari in carta comune, trentotto in carta distinta e due in pergamena, come leggesi a tergo del frontespizio.

Due carte in principio, con nu- meraz. romana, contengono il fron- tes. ed un'avvertenza di Luigi Raz- zolini che a richiesta del hbrajo Luigi Gonnelli, divenuto possessore della biblioteca Manuzzi, compi questo e gli altri opuscoli che citeremo in appresso, i quali giacevano non finiti fra le carte di queir insigne lette- rato. Viene in appresso il Testo colla Tavola delle voci e modi alle- gati nel Vocabolario della Crusca, compreso in pagg. num. 27; l'ultima, la venlesimoltava, è bianca.

Libro degli adornamenti delle donne scrittura del buon secolo della lingua allegata nel Voca- bolario della Crusca ora per la prima volta posta in luce dal Cav. Abate Giuseppe Manuzzi. Firenze, Tipografia del Voca- bolario diretta da G. Polverini, 1863. In 12.''

Lire 20 vend. Gonnelli. Edizione di soU LXXVI esemplari, dei quali sessanta in carta comune, dieci in carta distinta, tre in carta colorata, e tre in pergamena.

Due carte senza numeraz. conten- gono il frontes. ed un'Avvertenza di Luigi Razzolini. Seguono pagg. num. 12.

Libro della cura delle ma- lattie testo del buon secolo della lingua allegato nel Vocabolario della Crusca ora per la prima volta posto in luce dal Cav. Abate Giuseppe Manuzzi. Fi- renze, Tipografia del Vocabo- lario diretta da G. Polverini, 1863. In 12.'

Lire 20 vend. Gonnelli. Ediz. di LXX esemplari, cinquanta dei quah in carta comune, dieciotto in carta distinta ed uno in cartapecora, come leggesi a tergo del frontes.

Due carte in principio, con nu- meraz. romana, contenenti frontes. ed una avvertenza di Luigi Razzo- lini. Appresso pagg. num. 58; una carta bianca in fine.

Libro (II) delle segrete cose delle donne scrittura del buon secolo della lingua allegata nel Vocabolario della Crusca ora per la prima volta posta in luce dal Gav. Abate Gmseppe Ma-

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 347

nuzzi. Firenze, Tipografìa del Vocabolario diretta da G. Pol- verini, 1863. In 12.''

Lire 20 vend. GonneUi. Ediz. di LXII esemplari, dei quali quaranta in carta comune, venti in carta di- stinta, due in pergamena come leg- gesi a tergo del frontespizio.

Carte due in principio con nu- meraz. romana, contenenti il frontes. ed una avvertenza di Luigi Razzoline Vengono appresso pagg. num. 22 che comprendono il Testo e la Ta- vola delle voci allegate nelle varie edizioni del Vocabolario della Crusca. Una carta bianca in fine.

Libro di Sentenze scrittura inedita del buon secolo citata dagli Accademici della Crusca ed ora per la prima volta messa in luce dal Gav. Abate Giuseppe Manuzzi. Firenze, Tipografia del Vocabolario diretta da G. Pol- verini, 1863. In 12.''

Lire 20 vend. GonneUi. Edizione di L esemplari, come leggesi a tergo del frontes.

Quattro carte di preliminari con numeraz. romana; la prima bianca, la seconda col frontes., la terza con un' avvertenza di Luigi Razzolini, la quarta con un' epigrafe de- dicatoria del Manuzzi al Guasti. Viene appresso il Testo in pagg. num. 64. Da ultimo due carte senza numeri : la prima colla Tavola delle Voci allegate nel Vocabolario della Crusca, la seconda coli' errata- corrige.

Manetti Antonio, Operette edite ed inedite di Antonio Ma- netti matematico ed architetto fiorentino del secolo XV rac- colte per la prima volta e al

suo vero autore restituite da Gaetano Milanesi. Firenze, Suc- cessori Le Mounier, 1887. In 16.''

Lire 3 catalogo Le Mounier.

Pagg. num. XXXIII dei preliminari e la 34 bianca. Pagg. num. 181 del testo e la 182" bianca. Una carta non num. in fine coli' Indice.

Manzoni Alessandro, I Pro- messi Sposi storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Edi- zione riveduta dall'Autore. Storia della Colonna Infame inedita. Milano, dalla Tipo- grafìa Guglielmini e Redaelli, 1840. In 8.'' gr.

Lire 1 8 catalogo Romagnoli Dal- l' Acqua.

Pagg. num. 864, tutto compreso. Colla pag. 746 terminano i Pro- messi Sposi e colla 747 ha principio la Storia della Colonna infame. Questa celebre edizione fu illustrata con circa 400 disegni dei signori F. Gonin, P. Riccardi , Massimo d' Azeglio, Luigi Risi, Roulanger (di Parigi), L. Riccardi e Giuseppe Sogni, incisi in legno nello stabilimento del sig. Luigi Sacchi di Milano.

Opere varie. Edizione ri- veduta dall'Autore. Milano, dalla Tipografia di Giuseppe RedaellL 1845. In 8.' gr.

Lire 10 vend. Romagnoli Dal' l' Acqua.

Pagg. num. 864, tutto compreso. Edizione adornala di parecchie fi- gure frapposte al testo, che rap- presentano i fatti e le scene prin- cipali, si delle Tragedie che delle Poesie. Fa seguito al volume pre-

348

L. RAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

cedente dei Promessi Sposi, ed è stampato con caratteri e carta simili.

Contiene : Adelchi Discorso sopra alcuni punti della Storia Longobardica in Italia // Conte di Carmagnola Lettre à M. C.*** sur l' unite de temps et de lieu dans la tragedie, ecc. Del Ro- manzo storico e, in genere, de' com- ponimenti misti di storia e d' in- venzione — Dell' invenzione , dia- logo — Sulla lingua italiana, let- tera a G. Carena Osservazioni sulla morale cattolica Inni sacri

Strofe per una prima comu- nione — Cinque Maggio.

Manzoni Alessandro, Opere varie. Edizione riveduta dal- l' Autore. Milano, Stabilimento Redaelli dei fratelli Rechiedei, 1870. In 8.' gr.

Lire 10.

Pagg. num. 955 e la 956 bianca, tutto compreso. Le figure sono le stesse dell' edizione precedente, ac- cresciute di alcune nuove per le aggiunte. E le aggiunte sono, per le Prose : Lettera al sig. prof. Girolamo Boccardo Sul Romanticismo, lettera al march. Cesare d' Azeglio

Dell'unità della lingua, Rela- zione al Ministro della Pubblica Istruzione. Appendice alla Rela- zione — Lettera intorno al libro « De Vulgari Eloquio » di Dante Alighieri Lettera intorno al Voca- bolario — Saggio comparativo del Dizionario dell' Accademia francese col Vocabolario degli Accademici della Crusca. E per le Poesie : Marzo 1821 // Proclama di Rimini.

Martini Monsig. Antonio , Vecchio Testamento | secondo la volgata | tradotto in lingua italiana 1 e con annotazioni di-

chiarato I dall' illustriss. e re- verendiss. Monsignore | Antonio Martini | Arcivescovo di Firen- ze ec. ec. I In Firenze MDGG- LXXXII - MDGGLXXXVir | Nella stamperia arcivescovile | con licenza de' superiori. | To- mi XVII in 5.°

Lire 68 acq. Negroni.

Tomo i [ che contiene il primo libro I del Pentateuco [ o sia | la Genesi | . Pagg. XL di numerazione romana col frontespizio, la dedica- toria a Vittorio Amedeo re di Sar- degna, il ritratto del traduttore di- segnato dal Benigno e inciso dal Colombini, la prefazione generale dell' opera, il breve di Papa Pio VI di approvazione in lingua latina, la versione italiana di esso breve, il titolo e la prefazione particolare del libro della Genesi. Seguono pagg. numerate 372, compreso l'indice.

Tomo ii ] che contiene il secondo e terzo libro | del Pentateuco ] o sia I r Esodo e il Levitico. | Dopo il frontespizio, il titolo e la prefazione speciale dell'Esodo; pagg. sette in tutto e l'ottava bianca. Segue il libro dell'E- sodo sino a pag. 269. Bianca la pag. 270.Poi il titolo, la prefazione speciale e il libro del Levitico sino a pag. 451 che é l'ultima del volume, compreso l'indice, essendo bianca la pag. 452.

Tomo III I che contiene il quarto e quinto libro | del Pentateuco | o sia I i Numeri e il Deuteronomio | . Dopo il frontespizio si trovano il titolo, la prefazione speciale e il libro dei Numeri fino a pag. 236. Innanzi a questo libro dei Numeri sta a pag. 8 una carta della Terra Promessa. Poi da pag. 237 a 448 il titolo, la prefazione e il libro del Deuteronomio, e da pag. 449 a 455 r indice del volume. Bianca la 456.

Tomo iv [ che contiene i libri | di Giosuè, de' Giudici ] e di Ruth | .

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 349

Da pag. 1 a 1.Ì4 frontespizio, titolo, prefazione e libro di Giosuè : da pag. U5 a 296 titolo, prefazione e libro de' Giudici ; da pag. 297 a 327 titolo, prefazione e libro di Ruth, e poi l'indice del volume. La pag. 328 è bianca.

Tomo v | che contiene i due li- bri I di Samuele j o sia | il primo e secondo de' Re | . Tutto il volu- me, compreso l'indice, ha pagg. 390, cioè: da pag. 1 a 216 frontespizio, prefazione sopra i quattro libri dei Re, il titolo e il libro primo ; da pag. 217 a 390 il titolo, il libro secondo de' Regi e l' indice.

Tomo vi | che contiene 1 il terzo, e il quarto libro | de' Re | . Da pag. 1 a 19-4 frontespizio, titolo e il libro terzo de' Re; da pag. 195 a 379 il titolo, il hbro quarto de' Regi e l'indice, essendo bianca la pag. 380.

Tomo vii | che contiene | i libri de' Paralipomeni, | e i libri di Esdra, i e di Nehemia j . Il volume è di pagg. 508 compreso l' indice. Da pag. 1 a 164 frontespizio, prefazione a' due libri de' Paralipomeni, titolo e libro I; da pag. 165 a 348 titolo e libro li de' Paralipomeni ; da pag. 349 a 410 titolo, prefazione e primo libro d'Esdra; da pag. 411 a 496 titolo, prefazione e libro di Neemia, detto anche secondo libro di Esdra. Segue poscia l' indice.

Tomo viii 1 che contiene I i libri di Tobia, Giuditta, | Esther e i Mac- cabei 1 . Pagg. 503 ; la 504 è bian- ca. Da pag. 1 a 63 frontespizio, titolo, prefazione e libro di Tobia; la pag. 64 è bianca. Da pag. 65 a 142 titolo, prefazione e libro di Giuditta. Da pag. 143 a 212 titolo, prefazione e libro di Esther. Da pag. 213 a 490 titolo, prefazione e libri due de' Maccabei. Da pag. 491 al fine l'indice.

Tomo ix | che contiene ] il hbro di Giobbe, | e i Proverbi | . Da pag. 1 a 271 frontespizio, titolo,

prefazione e hbro di Giobbe; la pag. 272 è bianca. Da pag. 273 a 511 il titolo, la prefazione, il li- bro de' proverbi e l'indice, rimanendo bianca la pag. 512.

Tomo x | che contiene 1 la pri- ma parte de' Salmi | . Dopo il fron- tespizio, la dedicatoria a Maria An- tonia Ferdinanda, Infanta di Spagna, Regina di Sardegna, quindi il titolo, la prefazione e l' indice alfabetico in XXXVI pagine di numerazione romana. Poi da pag. 1 a 372 la prima parte de' Salmi.

Tomo xi | che contiene | la se- conda parte de' Salmi, | e il libro | dell' Ecclesiaste | . Pagg. Vili di nu- merazione romana col frontespizio, il titolo e l'indice alfabetico. Da pag. 1 a 327 la seconda parte dei Salmi. Rianca la pag. 328. Da pag. 329 a 432 titolo, libro dell'Eccle- siaste e indice.

Tomo xii { che contiene | il libro della Sapienza | e l' Ecclesiastico | . Da pag. 1 a 147 frontespizio, titolo, prefazione e libro della Sapienza. Bianca la pag. 148. Da pag. 149 a 547 titolo, prefazione e libro dell' Ecclesiastico. L' ultima pagina è bianca.

Tomo xiii J che contiene | Isaia profeta | . Pagg. 528, cioè : da pag. 1 a 17 frontespizio e prefazione sopra i Profeti in generale; bianca la pag. 18; da pag. 19 a 528 titolo, prefazione, profezia di Isaia e indice.

Tomo xiv | che contiene [ Gere- mia profeta, [ e Baruch profeta | . Da pag. 1 a 384 frontespizio, titolo, prefazione e profezia di Geremia. Da pag. 385 a 430 titolo, la- mentazioni di Geremia. Da pag. 431 a 488 titolo, prefazione, profezia di Baruch e indice.

Tomo xv | che contiene | Eze- chiele profeta, | e Daniele profeta | . Da pag. 1 a 384 frontespizio, titolo, prefazione e profezia di Ezechiele. Da pag. 385 a 536 titolo, prefazione, profezia di Daniele e indice.

350

L. RAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

Tomo xvi | che contiene | i do- dici Profeti ! minori | . Da pag. 1 a 27 frontespizio e prefazione sopra i dodici Profeti minori. Bianca la pag. 28. Da pag. 29 a 468 le do- dici profezie, premesso a ciascuna il proprio titolo, e quindi l'indice del volume.

Tomo xvii | che contiene | il Can- tico dei cantici, e l'indice | . Tutto il volume ha pagg. 360 : da pag. i a 248 frontespizio, prefazione e Can- tico de' Cantici; da pag. 2i9 a 360 i libri del Vecchio Testamento secon- do l' ordine delle cose piìi notabili.

Martini Monsig. Antonio , Nuovo Testamento | del | Si- gnor nostro I Gesìi Cristo | se- condo la volgata | tradotto in lingua italiana | e con annota- zioni dichiarato | dall' illustriss. e reverendiss. Monsignore | An- tonio Martini | Arcivescovo di Firenze ec. ec. I In Firenze, MDGGLXXXYIII - MDGGLX- XXXII I Nella stamperia arci- vescovile ! con licenza de' supe- riori I . Tomi VI in S.""

Lire 24 acq. Negroni.

Tomo i. Di pagg. 415 e la 416 bianca. Da pag. 1 a 20 frontespi- zio e prefazione generale dell' opera ; da pag. 21 a 272 titolo e vangelo secondo Matteo; da pag. 273 a 390 titolo e vangelo secondo Marco; da pag. 391 a 415 avviso al lettore, saggio di varie lezioni tratte dal testo greco e in- dice.

Tomo n. Di pagg. 527 e la 528 bianca. Da pag. 1 a 259 frontespizio, titolo, prefazione e vangelo secondo Luca ; la pag. 260 é bianca. Da pag. 261 a 527 titolo, prefazione, vangelo secondo Giovanni, varie le- zioni del testo greco e indice.

Tomo m. Di pagg. 520. Da pag. 1 a 286 frontespizio, titolo, prefa- zione e gli Alti de' santi Apostoli. Da pag. 287 a 520 titolo, prefa- zione, lettera di Paolo apostolo ai Romani, varie lezioni del testo greco e indice.

Tomo iv. Di pagg. 462 e 2 bian- che in fine. Da pag. 1 a 278 fron- tespizio, titolo, prefazione e le due lettere di Paolo apostolo a que' di Corinto ; da pag. 279 a 337 titolo, prefazione e lettera di Paolo apo- stolo ai Galati ; poi bianca la pag. 338; da pag. 339 a 400 titolo, prefazione e lettera di Paolo apo- stolo agli Efesini ; da pag. 401 a 462 titolo , prefazione , lettera di Paolo apostolo ai Filippesi, varie lezioni e indice.

Tomo v. Di pagg. 384. Da pag. 1 a 40 frontespizio, titolo, prefazione e lettera di Paolo apostolo ai Co- lossesi (il titolo per errore dice agli Ebrei); da pag. 41 a 96 titolo, prefazione e le due lettere di Paolo apostolo ai Tessalonicesi ; da pag. 97 a 180 titolo, prefazione e due lettere di Paolo apostolo a Timoteo ; da pag. 181 a 200 titolo, prefazione e lettera di Paolo apostolo a Tito; da pag. 201 a 210 titolo, prefazione e lettera di Paolo apostolo a File- mone; da pag. 311 a 384 titolo, prefazione, lettera di Paolo apostolo agli Ebrei, varie lezioni e indice.

Tomo vi. Di pagg. 448. Da pag. 1 a 55 frontespizio, titolo, prefazione e lettera cattolica di Giacomo apo- stolo ; bianca la pag. 56 ; da pag. 57 a 149 titolo, prefazione e le due lettere di Pietro apostolo; bianca la pag. 150; da pag. 151 a 221 titolo, prefazione e tre lettere di Giovanni apostolo; bianca la pag. 222 ; da pag. 223 a 2 iO titolo, pre- fazione e lettera cattolica di Giuda apostolo ; da pag. 241 a 448 titolo, prefazione, Apocalisse di S. Giovanni apostolo, vane lezioni e indice.

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 351

Mazzei (Ser) Lapo, Lettere di un notaio a un mercante del secolo XIV con altre lettere e documenti per cura di Cesare Guasti. Firenze, Successori Le Mounier , 1880. Volumi due in 16."

Lire 8 catalogo Le Mounier.

VoL. I. Due carte non computate nella numerazione con antip. e frontes. Pagg. CXLIII del Proemio e la 144 bianca. Pagg. num. 443 del Testo e la 444 bianca. Due carte in fine : la prima colle Giunte e Correzioni, la seconda bianca.

VoL. n. Due carte non compu- tate nella numerazione con antip. e frontes. Pagg. num. 465 per il testo, e la 466 bianca. Una carta in fine colle Giunte e Correzioni.

Medici (de') Lorenzo ed altri. Ballatette del Magnifico Lorenzo de' Medici et di 'm esser Agnolo Politiani et di Bernardo Giam- burlari (sic) et di molti altri. Senza alcuna nota tipogra- fica, ma: A petitione di ser Piero Pacini da Pescia. In 4." Rarissimo.

Lire i74. 11 vend. Gradenigo. Oggi varrebbe assai di piìi.

Sono carte trenta con segnatura a-d di quaderno, eccettuato d terno. Sul frontespizio sta un intaglio in legno rappresentante il ballo di do- dici ragazze nella cantonata del Pa- lazzo Medici di Via Larga, e Lo- renzo che stende la mano ad una giovinetta inginocchiata. I tre versi seguenti sono al di sotto :

Se intender uuoi della storia leffecto Et di questa brigata qui presente Volgi la charta et leggi quel sonecto.

Nella seconda faccia leggesi in fatti un sonetto che comincia: Per

Voi. Ili, Parte I.

dar dilecto a voi lettor mie pra- tichi ecc. Nel fine del hbro veg- gonsi triplicatamente impresse le armi della città di Pescia, col titolo Piscia.

Modo di fare | il vino alla I Franzese. | Secondo 1' uso de migliori paesi | di Francia. | In Firenze | Nella stampe- ria di Bartolomeo Sermartelli e fratelli | MDGX. j In 4.*^ pica. Rarissimo,

Lire 10. La Libreria Dotti di Firenze fece nel 1889 la riprodu- zione a facsimile di quest'opu- scolo in 25 esemplari, oltre a 2 in pergamena.

Ha nel frontespizio l' impresa della stamperia con una tarta- ruga e il motto Festina lente. Consta di sei carte; una bianca in principio ; la seconda ha il fronte- spizio; le tre seguenti il testo; l'ul- tima è bianca. La stampa è in bel carattere corsivo.

Niccolini Giovan-Batista , Arnaldo da Brescia, Tragedia. A spese dell'Editore. 1843. E nel tergo del frontespizio: M arsiscila, Tipografia degli e- redi Feissat maggiore e De- monchy. In 16.'' Edizione esaurita.

Lire 4 catalogo Romagnoli Dal- l'Acqua.

Due carte non comprese nella numeraz. contengono frontespizio e un discorso dell'Autore ai lettori. Vengono appresso pagg. num. 408, nelle quali si leggono la Vita d'Ar- naldo scritta dal sacerdote Giovan- Batista Guadagnini bresciano, la Tra- gedia, le Note e i Documenti Sto- rici. Da ultimo una carta senza num. contiene V errata nel recto, e nel verso é bianca.

23

352

L. KAZZOLINI ED A. BACCHI DELLA LEGA

Edizione di 3000 esemplari, im- pressa a Marsiglia, ed a spese di Felice Le Mounier.

Si trova una ristampa colle stesse indicazioni tipografiche, ma indu- bitatamente eseguita a Lugano. È im- pressa in carta più scura, e con caratteri assai piìi pieni dell' edi- zione originale; ha due carte com'essa non num. in principio con fronles. e discorso ai lettori; ma il testo vi è com- preso in pagg. num. 427 (la 428 è bianca), e in fine non vi è errata^ giacché gli errori furono corretti ai loro luoghi.

Niccolini Giovan - Batista , Opere. Edizione ordinata e ri- vista dall'Autore. Firenze, Fe- lice Le Monnier, 1844. Tomi tre in 16° Edizione esaurita.

Lire 10 catalogo Romagnoli Dal- l'Acqua.

VoL. L Contiene: Discorso sulla Tragedia Greca. Polissena. Ino e Temisto. Edipo. 1 Sette a Tebe. Agamennone. Medea. Matilde. Na- bucco. Pagg. num. XCVI-460. Una carta senza num. in fine coli' Indice.

VoL. II. Contiene : Antonio Fo- scarini. Giovanni da Precida. Lo- dovico Sforza. Rosmonda. Beatrice Cenci. Poesie varie. Due carte sen- za num. con antip. e front. Pagg. num. 496. Una carta senza num. in fine coli' Indice. Il ritratto di Giovanni da Procida, ricavato da un mosaico della cattedrale di Salerno, precede la tragedia del suo nome.

VOL. III. Contiene: Prose. Iscri- zioni. Due carte non comprese nella numerazione con antip. e frontes. Pagg. num. 427 e la 428 bianca. Una carta senza num. in fine con l'Indice.

Filippo Strozzi tragedia corredata d'una vita di Filippo e di documenti inediti. Firenze,

Felice Le Monnier, 1847. In 16.^ Esaurito.

Lire 4 catalogo Romagnoli Dal- l'Acqua.

Pagg. num. CXXIV-366. In fine una carta senza num. coli' Indice e V Errata- Corrige. In fronte al volume sta il ritratto di Filippo Strozzi , tolto da un quadro in tavola, esi- stente nella Galleria Strozzi di Fi- renze, e dietro alla pag. CXXIV si trova un fac- simile della scrittura dello Strozzi medesimo.

Piccolomini Aless. , L' In-

strumento della filosofia. In Vinegia per Giovanmaria Bo- nelli, MDLII. In 8.' Raro.

Lire 6 vend. Romagnoli Dal- l'Acqua.

Sono carte 456, tutto compreso, con segnatura A-V di quaderno, ec- cettuato V duerno, e numerazione arabica regolare di carte (2-155) sul retto d'ognuna. La carta 156 è bianca. Dopo il frontespizio viene la dedicatoria dell'Autore al Car- dinal di Mendozza, in data di Roma alti 30 di Marzo 1550. Appresso il Testo, diviso in quattro libri e cor- redato della Tavola delle cose no- tabili. In fine son ripetute le note tipografiche del frontespizio.

Parafrasi | di Monsi- gnor I Alessandro | Picco- lomini I Arcivescovo di Pa- TRAS, I Sopra le Mecaniche d' Aristotile, tradotta da | 0- restc Vannocci Biringucci , Gen- I tilomo Senese. | {Stem- ma cardinalizio Mediceo. ) I Con Licentia de Svpe- RiORi. I In Roma per Fran- cesco Zanetti. 1582. | In 4.*^ Raro.

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 353

Non ne conosco vendite.

Libro di pagg. num. 127, nelle quali sono compresi il frontespizio, la dedicatoria del Vannocci al Car- dinale de' Medici , il suo discorso ai lettori, e la traduzione della Pa- rafrasi del Piccoloinini; e di pagg. cinque senza numeri in fine, quattro per la Tavola, una, 1' ultima, per le indicazioni tipografiche. Ha segna- tura A-Q di duerno, e R di sole due carte. Ha moltissimi intagli in legno frapposti alla stampa. In fine ha ripetute le stesse note di luogo, di tipografia e d' anno, che si leg- gono sul frontespizio. L' esemplare della Biblioteca Universitaria di Bo- logna, su cui ho compilato la pre- sente scheda, è appartenuto ad 0- razio Tigrini, il quale l'ha riempito di postille, vi ha unito davanti e di dietro due quaderni di aggiunte proprie manoscritte, e in fondo al testo ha dato il seguente giudizio del traduttore : « Il s.or Oreste D Vannocci Biringucci nella pre- » sente traduttione et comentatione » a mio giuditio si è portato be- » nissimo, anchorché in alcuni lo- » chi da me trascoi-si et annotati » senza molta consideratione non » satisfacessero cosi a pieno, il che » ho fatto per tornarli poi a rive- » dere ».

Pulci Luigi, Lettere a Lo- renzo il Magnifico e ad altri. Nuova edizione corretta e ac- cresciuta. In Lucca, dalla Ti- pografìa Giusti, MDGGGLXXX- VI. In <9.°

Lire 5. Edizione di 350 copie, 10 delle quali in carta maggiore.

Pagg. num. 199, tutto compreso- La pag. 200 non num. contiene r indicazione degli esemplari slam- pati, qui sopra trascritta.

Rime (Le antiche) volgari secondo la lezione del Codice Vaticano 3793 pubblicate per cura di A. D' Ancona e D. Gomparetti. Bologna , presso Gaetano Romagnoli (^ primi tre volumi)^ e presso Roma- gnoli Dall' Acqua (i volumi quarto e quinto)^ 1875-1888. volumi 5 in

Lire i9 caial. Romagnoli Dal- l'Acqua.

VoL. I. Pagg. XX-528.

VoL. n. Due carte senza num. con antip. e frontes. Pagg. num. 425 e tre bianche in fine.

VoL. ni. Due carte senza num. con antip. e frontes. Pagg. num. 402. In fine tre pagg. di Aggiunte e Correzioni e tre pagine bianche.

VoL. IV. Due carte senza num. con antip. e frontes. Pagg. num. 422. Una carta senza num. colle Aggiunte e Correzioni.

VoL. V. Quattro carte senza num.: la prima è bianca, la seconda e la terza contengono antip. e frontes., la quarta una epigrafe dedicatoria a Francesco Zambrini. Appresso pagg. num. 541; la 542 è bianca. In fine una carta senza num. col- V Errata- Corrige. A pag. 309 co- minciano le Annotazioni critiche * del Prof. Tommaso Casini. A pag. 497 gli Indici degli Autori e delle Rime.

Questi cinque volumi fan parte della Collezione di Opere inedite 0 rare dei primi tre secoli della Lingua pubblicata per cura della R. Commissione pe Testi di Lin- gua nelle Provincie dell' Emilia.

Storia di Tobia e di Tobiolo e della Cintola di M. V. che si conserva in Prato, testi di lingua citati nel Vocabolario, il primo non più stampato e 1 al-

354

L. RAZZOLINl ED A. BACCHI DELLA LEGA

tro a più sincera lezione ridotto dall'Abate Giuseppe Manuzzi con note. In Firenze, dalla Stamperia all' insegna di Dante, 1832. In 12.''

Lire 20 vend. Franchi (es. in- compiuto). Lire 20 vend. Gonnelli (es. compiuto). Assai meno dappoi. Vi sono alcune copie in carta distinta e in pergamena.

Carte quattro di preliminari > la prima bianca; la seconda ha il frontes. e nei verso una i- scrizione che dice : « Ediz. di L V esemplari » . La terza carta ha una dedic. dell' Ab. Luigi Razzolini ad Antonio Cesari, e la quarta ha una avvertenza del medesimo. Seguono pagg. num. 95; la 96 senza num. ha V errata-corrige. Questo opuscolo giaceva incompiuto fra i Hbri del- l' Ab. Giuseppe Manuzzi ; alla morte di lui lo acquistò dagli eredi col restante il Librajo Luigi Gonnelli il quale lo ornar dei preliminari ed ultimare di note all' Ab. Luigi Razzolini che si giovò per tal lavoro di alcune incomposte schede tro- vate fra i manoscritti del Manuzzi medesimo. Qualche copia se n' era già veduta in commercio , man- cante delle quattro carte dei pre- liminari, e giungeva solo a pag. 84 con la nota LXV; dal RazzoUni fu messo insieme il restante.

Taddeo (Maestro) da Firen- ze, Libello per conservare la sanità con una ricetta inedita volgarizzato nel buon secolo delia lingua allegato nel Voca- bolario della Crusca ora ri- messo in luce dal Gav. Abate Giuseppe Manuzzi. Firenze, Ti- pografìa del Vocabolario diretta da G. Polverini, 1863. In 12'

Lire 20 vend. Gonnelli dappri- ma, e meno dappoi. Ediz. di

LXX esemplari, come leggesi a tergo del frontespizio.

Pagg. IV che contengono il fron- tes. ed un'Avvertenza di Luigi Raz- zolini che ultimò anche questo la- voro, rimasto imperfetto per la mor- te del Manuzzi. Seguono pagg. num. 12 che comprendono il Testo e la Tavola delle Voci allegate nel Vo- cabolario della Crusca.

Torini Agnolo, Breve rac- coglimento della miseria uma- na, testo di lingua non mai fingui stampato. Imola , tip. d' Ignazio Galeati e figlio, Via del Corso, 35. 1877. In 8.°

Lire 10 vend. Romagnoli Dal' l' Acqua.

Comincia il volume con una carta bianca, non computata nella nume- razione, ma bensì nella segnatura. Pagg. num. XXXIII contenenti an- tip', frontes., epigrafe dedicatoria, un sonetto di Alessandro Ronola, la prefazione dell' editore Francesco Zambrini; la pag. trentesima quarta è bianca. Quattro carte senza num. col Sommario dell' Opera. Pagg. num. 282 col testo dell' Opera stessa e l' Indice. Una carta bianca in fine.

Edizione fuori di commercio, ti- rata a piccol numero d' esemplari, con lusso tipografico, e pubblicata da Francesco Zambrini nel terzo anniversario della morte di sua ni- pote Cleha Vespignani. Gli esem- plari ne furono dati in regalo a parenti ed amici.

Trattato di Dottrina Cri- stiana, testo di lingua ora ri- dotto a buona lezione, coH'a- iuto di quattro antiche stampe e di due codici manoscritti, da Francesco Zambrini. Bologna, Tipografia delle Scienze, Piazza

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI LINGUA A STAMPA APPENDICE 355

S. Martino, 1859. In 5.° E- dizione di soli 132 esem- plari.

Lire 3 catalogo Romagnoli Dal- l'Acqua.

Pagg. num. 40, tutto compreso.

Vasari Giorgio, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architettori con nuove an- notazioni e commenti di Gae- tano Milanesi. In Firenze, G. G. Sansoni editore (Tip. e Lit. Garnesecchi. Firenze, Piazza d' Arno) , MDGGGLXXVIII- LXXXV. Tomi nove in

Lire 72 catalogo Sansoni.

VCL. L Pagg. num. YIII-698. VOL. IL Pagg. num. 692.

VoL. in. Pagg. num. 7U. Una carta bianca in line.

VoL. IV. Pagg. num. 654. Una carta bianca in fine.

VOL. V. Pagg. num. 660.

VoL. VI. Pagg. num. 662. Una carta bianca in fine.

VoL. VII. Pagg. num. 729 e tre bianche in fine.

VoL. VIII. Pagg. num. 629 e tre bianche in fine.

VoL. IX. Contiene Indici, Aggiunte e Correzioni. Carte tre non comprese nella numerazione, con antip. front, e dedic. dell'editore a Gaetano Milanesi. Pagg. num. 267 appresso; la 268 è bianca. Due carte senza num. in fine, la prima coli' Indice, la seconda colle indicazioni e le date della stampa.

Di questa edizione importantis- sima gli Accademici citarono la De- scrizione dell' Apparato, i Ragio- namenti e le Lettere che si tro- vano nel tomo Vili.

UN^ EPISTOLA IN VERSI AD A. CAMPESANO

I.

A quel poco che il Cinquecento produsse di schietta poesia pastorale e villereccia non sarà male aggiungere un' epistola anonima , e a quel che sembra inedita , la quale appunto loda i piaceri della vita campestre. Essa si legge in un codice della Biblioteca Universitaria di Pa- dova, ed è direttta a M. Alessandro Campesano (1).

Sono circa dugento versi endecasillabi sciolti, che per la fattura buona e non di rado eccellente , e' indu- cono a sospettarne autore un ingegno poetico non comune. Il poeta , immaginando che gli amici biasimino il suo lungo dimorar in villa , come quelli che stimano il miglior modo di vivere trovarsi nella soddisfazione del- l' ambizione e dei mondani godimenti, enumera i mali, che vengono all' uomo dalla città e ad essi contrappone le compiacenze e i vantaggi che vengono dalla campagna, terminando coli' augurare a stesso di poter fornire i suoi giorni tranquillamente in villa.

(1) Ms. N** 186 segnato « Raccolta di varie poesie senza indice », composto di fascicoli appartenenti ai sec. XVI, XVII, XVIIl, legati in cartone foderato di pergamena, di fogli 398: 18, X 22. L' epistola si legge a carte UO a - 145 6. ed é di mano della metà del secolo XVI.

e. PANIZZA un' epistola IN TERSI AD A. CAMPESANO 357

Ci si presentano tre questioni : chi è 1' autore del- l' epistola ? è essa inedita ? e chi è questo Alessandro Gampesano , cui è diretta ? Non ostante un antico pro- verbio che consiglia a non mettere il carro davanti ai buoi, ci conviene incominciare dall' ultima , risolvendo la quale ci apriremo la via per spiegare le altre ed appa- gheremo contemporaneamente una legittima curiosità ri- guardo a queir oscuro scrittore, che peraltro il Marucini non si peritò di chiamare ammirando poeta (1).

Egli nacque in Bassano il 9 aprile del 1521 e, fatti i primi studi nella città natale, fu mandato dal padre, Pietro Gampesano, celebre fisico e medico, alle Università di Padova e di Bologna, ove ebbe a maestri il Bonamico e r Alciato ed ove intese allo studio delle Belle Arti , Scienze e della Bagion civile (2). Sparsasi la voce della sua grande dottrina, nel 1542, avendo egli appena sorpassato il quarto lustro di età , fu nominato Lettore di Giurispru- denza nella Università Padovana, ma abbandonò ben presto quella cattedra per ritirarsi nella nativa Bassano (3). Gausa di ciò fu la morte del padre suo la quale tanto lo addo- lorò, che da allora in poi egli, già per natura inclinato

(1) Thesaurus Aniiquitatum et Historiarum Italiae, Laurentii Ma- rucini; Bassanum; Lugduni Batavorum MDCXXIII, pag. 7.

(2) Tutte le notizie sul Gampesano, che non fossero particolarmente segnate, sono tolte dai libri seguenti: Raccolta calogeriana di Opuscoli scientifici e filologici, t. XXII; Nuova Raccolta d' Opus, scient. e filol. t. XVIII, r una e V altra edita da Simone Occhi in Venezia ; Rime scelte, di' alcuni poeti bassanesi che fiorirono nel secolo XVI, nuovamente rac- colti e delle loro Vite arrichite da Giambattista Vergi. In Venezia, Appresso Girolamo Dorigoni, i 769 ; Thes. Antiq. et Hist. ecc. del Maru- cini, un' edizione del quale fu fatta anche a Venezia da Grazioso Perchacino nel 1577 in i.°, e finalmente: G. I. Terrazzi, Di Bassano e dei Bas- sanesi illustri, Bassano, Baseggio, 1847.

(3) Fasti Gymnasii Patavini Iacobi Facciolati opera collecti, Palavii, Typis Serainarii, apud Ioannera Manfré, MDCCLVII, pag. 131.

358 e. PANIZZA

alla quiete, s' allontanò dalle cure e dai rumori del mondo per condurre tranquillamente i suoi giorni in una villa situata non lungi dalle rive del Brenta in compagnia della moglie, che da una sua lettera, scritta nel 1543 a Giuseppe Betussi (1), sappiamo avere egli tolta nell'età d'anni 23; ma ignoriamo il casato e il nome di lei.

In questa quiete campestre Alesssandro scrisse la maggior parte de' suoi lavori in prosa ed in rima coli' armoniosa , e ornata maniera più delicata di quel tempo. A Bassano compariva solo quand' era chiamato a comporre le discordie e le liti de suoi concittadini, ai quali era caro per gli intemerati costumi , l' indole pacifica e i modi urbani e gentili. È naturale che un uomo di tanto ingegno e di così grande coltura si avesse 1' amicizia di quelli, che in allora si distinguevano nelle lettere e nelle scienze; ed infatti da chi ci parla di lui e da quanto apprendiamo dal suo Testamento (2) sappiamo che il Campesano contava fra i suoi amici più cari Lazzaro Bonamico, professore di belle lettere a Padova, Francesco Sansovino, Faustino Amico, gentile poeta bassanese, Andrea Alciato, stato suo professore di Giurisprudenza a Bologna, Antonio Avenghi, noto lette- rato e poeta pedantesco, Ottaviano Maggi, segretario del veneto senato e buon cultor delle Muse, non che Giu- seppe Betussi , al quale ultimo il Campesano indiriz- zava la or ora accennata lettera, dove lo pregava di salutare in suo nome Gaspara Stampa. Il Betussi lasciò scritto di lui che fu uomo universale in tutte le scienze e dotato di tutte quelle buone parti, che potessero cadere in degno e qualificato gentiluomo Era buono e da

(1) Cf. nel T. XVIII della N. R. Fu pubblicata assieme ad altro del Campesano e di rari autori da Paulo Gerardi in Venezia nel 1544.

(2) Leggesi per intero nel t. XXII della Race. Calog.

un'epistola in versi ad a. campesano 359

bene, letterato, virtuoso e cortese, affabile, liberale, osser- vatore degli amici fin dopo morte, caritativo, ospitale, magnanimo, conosciuto e stimato da infiniti (1). E il Marucini parlando nel suo Bassanum dei Bassanesi il- lustri, del Campesano dice: «... nobilissimi Domini, Doctoris luris, Philosophi, Oratoris et Poetae admira- bilis ; orationes enim ipsius et carmina ut curiosissima sic optima, dignissima sunt, quae in unum edantur » . Il Terrazzi loda i suoi versi e riferendo il detto del Cardi- nale Valiero vescovo di Verona, che soleva chiamare il Campesano penna celeste, deplora che la maggior parte dei suoi scritti sia andata perduta. Il Brentari, per ul- timo, mette il Campesano fra i Petrarchisti degni di spe- ciale ricordo (2).

Molti letterati e poeti, come furono di lui amici ca- rissimi e come lo chiamavano consultore delle opere loro, cosi gli dedicarono rime e lo nominarono nei loro com- ponimenti con affetto e rispetto. Lazzaro Bonamici gli diresse un' epistola latina, in cui, parlando delle persone a più dilette, dice:

In quibus et nostrae decus urbis candide longe Primus Alexander (3).

Faustino Amico gli dedica pure un' epistola la- lina (4), dove lo chiama fortunato, perché si può go-

(4) Parole riportate dal Verci nelP op. cit.

(2) 0. Brentari, Storia di Bassano e del suo Territorio, Bassano, Pezzato, 1884. Colgo quest'occasione per ringraziare pubblicamente il prof. Brentani, che gentilmente mi favori varie notizie sul Campesano.

(3) Lazzari Bonamici, Bassanensis, Carmina et Epistolae una cum eius vita, a Joanni Vergi conscripta, et nonnulla Carmina F. Amici et A. NovARiNi et JoANNis CoTTAE. Vcnetiis , apud Antonium Graziosi, MDCCLXXXVI.

(4) Iyì. Faustino Amico era coetaneo di Alessandro Campesano ; do- lalo di grande ingegno, benché morto sul fior degU anni seppe darne delle splendide prove.

360 e. PANIZZA

dere la pace della campagna senza amarezze, che gliela turbino ; e quindi anch' egli fa V elogio di questa vita. Francesco Sansovino, che per desiderio del nipote Raf- faello gli innalzò un monumento nella Chiesa di S. Gio- vanni Battista in Bassano, gli dedicò una satira in terza rima, che incomincia:

Poi eh' è giunto al suo fin l' amico vostro, Alessandro gentil, piangon le genti. Ma di che sorte genti io non vel mostro (1).

E in morte di lui , Marco Stecchini , buon poeta bassanese, scrisse un sonetto, il quale merita di esser riferito per mostrare in che conto fosse tenuto egli al suo tempo. Il sonetto , a quanto pare , fu scritto per esortazione di Lattanzio Persicini , poeta bellunese di- morante allora in Bassano , che indirizzava appunto allo Stecchini questo suo , ove piange la morte d' Alessandro e prega l' amico d' eternarne coi versi la memoria.

Stecchin, ben si può dir, che '1 mondo sia Privo d' ogni suo onor, d' ogni suo bene. Poiché '1 gran Gampesano, ultima spene Di noi, tolto n' ha morte invida e ria.

Or mesta errando andar Filosofia Quinci si scorge per deserte arene. Secche son le chiare acque d' Ippocrene E chiusa è di virtù l'aperta via.

(1) Sette libri di Satire di Lodovico Ariosto, Ercole Bentivo- GLio, Luigi Alemanni, Pietro Nelli, Antonio Vinciguerra, Francesco Sansovino e d' altri scrittori con un discorso in materia della Satira, di nuovo raccolti per Francesco Sansovino. Venezia, Appresso Fabio et Agoslin Zopini Fratelli, MDLXXXIII; pag. 173 e segg.

un'epistola in versi ad a. campesano 361

Lassi noi, siam rimasi in questo inferno Privi di luce senza il nostro Sole Colmi d' affanno, e d' aspro duolo interno ;

Del pianto invece, tu forma pai'ole, E 'n chiaro stil rendi il suo nome eterno, Gh' io piangerò dall' uno all' altro sole.

Marco Stecchini allora probabilmente dettò questo sonetto, che si può considerare come epitafio del Cam- pesano :

Qui giace il Campesan. Di pianto asperga Ogni almo spirto quella sacra tomba, E al suo gran nome ancor, eh' alto rimbomba. Tacito miri, e in lui si specchi, e terga;

Che vedrà poi come da terra s' erga Qual bianco Cigno, o candida Colomba, Degno che d'Arno sol la chiara tromba Cantasse lui, che su vive e alberga.

Questi fu, mentre visse, a Febo amico, Ed ir solca cantando in novi accenti Cose, che pon pili che metalli e marmi.

Ahi orba Patria, ahi cittadin dolenti. Spento è il ben vostro, ed io nudo, e mendico Sempre piangendo andrò con mesti carmi.

Sentite queste lodi, non deve destar meraviglia quella del Marucini or ora accennata. Che il Campesano sia stato in rapporto con molti illustri del tempo , potrebbe mostrare un volume di tutte le lettere a lui stesso dirette , a cui egli accenna nel Testamento , se gli esecutori i Magnifici et Eccellentissimi M. Valerio Sale e M. Zerbin Ronzoni, coi cinquanta scudi d' oro a ciò destinati e coli' aiuto di M. Antonio Querenghi, avessero ottemperato al desiderio del Campesano pubblicando questa

362 e. PANIZZA

raccolta. Tale impressione non fu mai fatta e così, oltre il mancarci molti particolari che avrebbero potuto recar vantaggio alle nostre ricerche, ci restano ignote delle let- tere, che forse avrebbero gettata della luce su altre que- stioni. Finalmente al Gampesano è diretta 1' epistola qui pubblicata, della quale discorreremo fra breve.

Nessun fatto importante, nessun episodio romanzesco venne a turbare la ritirata e tranquilla esistenza d' Ales- sandro, il quale mori la notte del 12 Giugno 1572, al- l' età di anni 51, in Bassano.

Il suo testamento può dirsi lo specchio fedele del- l' uomo giusto, colto e gentile ; in esso egli annovera tutti i principali suoi amici, facendone onorata ed affettuosa menzione e non dimenticandosi di salutare con tenerezza il suo poderetto, diletmo diversorio, ove visse si a lungo e compose i suoi versi. Fu sepolto nella Ghiesa di S. Gio- vanni Battista e sul suo sepolcro venne incisa l'epigrafe, eh' egli stesso s' era apparecchiata :

Alessandro Gampesano

uomo amico di sapere

e di vita ritirata

è qui sotterrato

ricorda a tutti il vivere

in modo che del morire

non si dimentichino

et prega chiunque è di

animo candido che non

gli spiaggia desiderargli

cortesemente un riposo

ETERNO

VISSE ANNI LI MESI II GIORNI III

E MORÌ DEL MDLXXII

un'epistola in versi ad a. campesano 363

Egli stesso nel Testamento, ove raccomanda al ni- pote Raffaello i suoi propri componimenti, parla di versi volgari e prose, scritti su un libro bianco in quarto foglio parte per ricreazione dell' animo e sua propria inclina- zione, parte, per obbligo. Le prose devono esser state orazioni e studi in materia di filosofia; il Trieste ag- giunge che il Campesano aveva anche scritti legali , ma a proposito della cura con cui furono custoditi , osserva : « . . . . è avvenuto che la sita ordinazione non fu eseguita e quindi li suoi scritti negletti si sono smarriti e consumati senza nome e senza gloria poco

dopo la morte di lui con vergogna degli eredi ».

Dignissima quae in lucem edantur dice il Marucini di tutti i lavori del Campesano, e fermando 1' attenzione sui versi continua « : . . . . verum quod iussisset Testa- mento , ut Dominus Raphael Campesanus , amantissi- mus Nepos et haeres alia combureret, alia autem Carmina vernacula conservaret , gratiam mihi hanc praestitit vir nobilissimus ipse ea omnia cum iudicio ut legerem, atque seligerem, qui etiam ipse oh insitum optimarum litera- rum amorem, quanti momenti aestimandae veniunt Odae rhytmicae , Cantilenae, Carminaque sonora Patrui , me suadent saepiusque incitante, amìcus integerrimus et Pa- tricius limati iudicii voluit tandem petitioni meae assen- tiri atque ad memoriam nobilissimi Patrui, cui multum dehet, conservandam, desiderium meum explere, unde me illi plurimum debere confiteor » .

Il latino è barbaro, ma basta per farci capire che qui il Marucini intende parlare della edizione dei versi scelti del Campesano, assieme a quelli d' altri illustri poeti, da lui procurata (1) , e senza dubbio 1' aggettivo verna- ci) Rime di diversi autori bassanesi raccolti dallo Ecc.mo M. Lo- renzo Marucini. Venezia, Appresso Pietro de' Franceschi e Nepoti, 1576.

364 e. PANIZZA

cula equivale all' italiano volgari. Il Terrazzi dice che le poesie d'Alessandro sono gentili e le prose forbite ed eleganti, onde il già citato detto del cardinale Valiero, ma soggiunge , in ciò d' accordo col Trieste , che quasi tutte sono andate perdute.

Onde è forza accontentarci di quello che ci è rima- sto , cioè dello scarso numero di poesie sparse qua e nelle raccolte, dalle quali pur si può avere un' idea del valore del Gampesano come poeta (1). In quanto alle prose di lui, abbiamo alle stampe due lettere nella Nuova Scelta di Lettere (2), ed altre raccolte dal Sanso vino (3); delle orazioni e degli scritti filosofici e legali, nulla.

Per noi dunque resta solo il poeta ; sul quale è da dire che Alessandro Gampesano fu petrarchista , come ce ne furono infiniti nel cinquecento; ma che nelle sue rime non si nota imitazione servile: esse riescono eleganti, accostandosi alla maniera usata dal Petrarca, ma conservando sempre un carattere individuale. Il Gampe-

(1) Oltre che nelle raccolte del Verci e del Manicini, trovano versi del Gampesano anche nelle seguenti: Rime di molti eccellentissimi Autori^ Venezia, Gioliti, 1548. Rime di diversi raccolti da Lodovico DoMENiCHi, Venezia, Gioliti, 1546-49. Rime spirituali, Venezia, Al segno della Speranza, 1550. // Tempio della Signora Donna Gio- vanna d' Aragona, fabbricato da tutti i più gentili spiriti , e in tutte le lingue principali del mondo. Prima parte. In Venezia, per Plinio Pie- trasanta, 1554. Rime di diversi in morte di Monsignor Fenaruolo, accennato dal Vergi. Delle Rime di diversi nobili uomini ed eccel- lenti Poeti nella lingua toscana, lib. II. In Venezia, appreso Gabriel Gio- lito de' Ferrari, 1547. Rime diverse di eccellentissimi Autori nova- mente raccolti, lib. I. In Venezia, Giolito, 1545.

Ciascuna di queste raccolte contiene un numero limitato di versi del Gampesano, i quali anche per lo più vi si ripetono.

(2) Ne parla il Vekci.

(3) li Sansovino nel suo Segretario (Venezia, Carampello, 1596) an- noverando tutte le opere sue parla di Nove libri di lettere amorose scritte da lui stesso, dal Gampesano ecc.

UN* EPISTOLA IN VERSI AD A. CAMPESANO 365

sano non è indifferente a ciò che canta, e la passione si sente viva per entro ai versi di lui.

Gli argomenti trattati sono vari, ma il preferito dal nostro poeta è l' amore ; ond' è che amorosi sono quasi tutti i suoi componimenti. Come accadde ai più tra i lirici del cinquecento, anche il Campesano, passando at- traverso al platonismo e al sensualismo , prese ad argo- mento delle sue ultime poesie la religione e la filosofia.

Vediamo ora l' Epistola diretta al Campesano , per poi passare alle questioni che restano.

n.

A. M. Aless.o Campesano.

Mentre io mi stetti questi giorni andati Nel solitario mio dolce soggiorno, Dolce soggiorno e caro; fra me stesso Venni pensando alcuna volta intorno,

5 Campesano gentil, a i gran romori Et a i molti discorsi , eh' i miei amici Qui facessero insieme a meraviglia Sopra il mio lungo dimorar in villa : Et come quel, che penetrar poteva

10 Col penser nel secreto de' lor cori , Et sapea ciò che per adietro questi Havesser detto del mio star lontano Da la nostra Città, tenni per fermo. Si come fu, che con diversi modi

15 Me ne biasmasser tutti unitamente; Credo parendo lor, ch'ambir gli honori. Esser ne' magistrati , et ne i ridotti Spender il giorno con la notte appresso. Sia la pili bella et pili felice vita,

366 e. PANIZZA

20 Che si possa menar qua giù fra noi.

0 stolti, e in tutto ben privi di lume,

Se pensan questo, et discerner non ponno Quante difformi faccie et quanti mostri Sotto quei belli immascherati volti,

25 Sotto quei dolci inganni stiano ascosi. Chi non sa che gli honori, e i magistrati. Il soprastar a gli altri e '1 commandare , Sono cose ch'ogniun brama, e desia Spinto da occulta forza di natura,

30 Che mal grado di noi tutti ci dona

In preda a i sensi e a gli appetiti ingordi? Ma se r huom si rivolge a la ragione E 'n se stesso ristretto alza la mente A contemplar la vera essenza e tutte

35 Le qualità de le mondane cose;

Come in un specchio chiaramente vede

1 profondi pensieri et 1' alte cure ,

Il sempre travagliar, gli affanni immensi, I gravi pesi, e 'I non haver mai pace ,

40 Gh' arrecan seco questi nostri honori Et queste nostre misere grandezze; Le quai col forte e indissolubil nodo De la sfrenata ambition legati, Ci conducon pian pian fino a la morte

45 In volontaria servitute avolti. Lo star poi di continuo ne' ridotti A consumar il tempo in cicalare, Et dar opera al gioco et a la gola. Lassando la sua casa, e i suoi negoci,

50 II governo de' figli e de la moglie, E tutt' altri pensieri in abbandono ; Ch'altro vuol importar, sol che dar bando A ogni virtute e ad ogni buon costume; Et spender 1' bore in otio inerte e vile,

55 Per un breve piacer vano et fallace? Quanto è pili dolce et più beata vita,

un'epistola in versi ad a. campesano 367

Quella che vive 1' huom nella sua villa ,

Lontano da gli affari et da i travagli,

Et di tristi pensier bbero e sciolto: 60 Vita tranquilla senz' alcuno affanno.

S'ode in villa cantar il rosigniuolo,

Et mille altri augelletti dolcemente

Che si svegliano insieme con 1' aurora

A salutar a gara il novo sole. 65 Le rose, le viole e i bei Narcissi

Con altri fiori a la stagion novella

Spù-an soave odor ne i florid' horti ;

Et gli alberi et la terra si riveste,

Questa di verde herbetta, et quei di frondi. 70 Ridono i prati, le campagne, e i colli;

Et ne' cori gentil si van destando

Novi pensier d' amor e novi ardori.

Gran meraviglia et molta gioia insieme

Ci porge il riguardar le lieti biade 75 Crescer pian piano ne i solcati campi;

Dopo farsi mature; et ne la state

(Mercé de la benigna antica madre)

Renderne il grano tanto largamente;

Indi mirar di varii frutti ornarsi 80 Gli arbori ne i giardini, et ne i vigneti

Pender V uve da i rami in tal maniera.

Che non si può veder cosa pili bella:

Opre tutte stupende di Natura.

Voi sapete. Signor, cui sono grati 85 Gli esercici rural, quanto diletto

Si prenda d' uno inserto, che si faccia

D' alcun frutto pregiato , di sua mano ;

Come faceste voi quel del marrone

Nel vostro bel poder sopra la Brenta. 90 Si sente anchora un' estrema dolcezza

In piantar gli arboscelli, et poi formarli:

E 'n condur rivoletti d' acque vive.

Per irrigar le languidette piante Voi. Ili, Parte I 24

368 e. PANIZZA

Et adacquare le assetate herbette. 95 Lascio di dir il piantar de le viti,

Il maritarle e '1 podarle, co 1 resto,

Di quanto studio in lor por si convenga:

Di che son piene pili di mille carte

Et d'antichi scrittor et di moderni. 100 dirò qui come si faccia il vino,

Pretioso liquor; '1 cascio e '1 mele,

la cura de greggi e de gli armenti;

le meravigliose opre de l'Api;

L'Api, ch'adunan l'odorate cere. 105 Con che s' honora il gran Motor del Cielo.

seguirò pili avanti in raccontarvi

Le tante et si diverse altre fatiche

Del buon agricoltor honeste et degne:

Ciascuna de le quai ci riempie il core HO Di somma et smisurata contentezza.

Quanti son poi li spassi et i sollazzi,

Che r huom si piglia ne la sua villetta?

Io mi ricordo a le volte andar dietro

Ad una lepre per buon spatio d'hora; 115 Et co '1 romor de' cacciatori esperti

Talhor condurla ne le reti tese;

Talhor seguirla con veloce corso

Per le campagne co i levrieri avanti.

Et vedermela al fin presa su gli occhi, 120 Con mio contento et piacere infinito.

Non altramente che mi sia avenuto,

104-105. È palese che il poeta ebbe in mente ([iicsti vei-si del Rncellai (Le Apiy V. 34-:^2 ; nelle Opere di G. K,, Bologna, Zanichelli, 1887; pag. 4):

« con studio e con ingegno

Da poi compongon l'odorate cere l^er onorar l' indagine di Dio. »

Cosi in altri luoghi dell' epistola possono notai'si, ma meno [»alesi, reminiscenze dalle Api stesse.

un' epistola in versi ad a. campesano 369

Quando ch'ascoso in una folta siepe

Et co '1 finto fischiar e '1 giocolare

De la civetta pazza a gli uccelletti 125 L'insidie ho posto; et poi fattone preda

Con i lacciuoli et co '1 tenace visco ;

Et ben empito il mio carnier da canto,

Tutto allegro mi son tornato a casa.

Non vi rimembra, quando quella sera 130 Lungo le rive del Volone andammo

Con quei duo vostri a gambari et a rane.

Ridendo tanto dolcemente insieme?

Che sollazzo fu quello? che diporto,

Da tenerne memoria in sempiterno? 135 Molti sono i trastulli de la villa;

Senza fine i piacer lieti e giocondi.

Ma quello de gli studi et de le Muse

Avanza tutti gli altri di dolcezza,

Si come vince il Sole di splendore 140 Tutti i lumi del Giel lucenti e belli.

Et qual volete voi maggior dolcezza,

Che ritirato in qualche loco ameno

Remoto dal commercio de le genti.

Viver tra i libri? et bora presso a un rivo 145 Di chiara, fresca et mormorante acquetta

Scherzar con Febo et con le dotte suore;

Hora guidato in più secreta parte

Da più nobil penser volger gli scritti

D'Aristotele eccelsi et di Platone, 150 E intender i secreti di Natura,

Pascendo 1' alma di celeste cibo ?

Che la prima Materia vaga e ingorda

Si vesta d' ogni volto et d' ogni forma,

Et se ne spogli poi; che '1 Giel sovrano 155 Si mova con veloce eterno giro.

Seco volgendo tutti gli altri intorno.

Forse con alcun dolce alto concento;

Qual sia il corso del Sole e de le stelle

370 e. PANIZZA

Erranti , e i varii eclissi de la Luna ;

160 Di ciascun elemento la virtute;

Le potenze de l'alme; et qual di loro Muoia col corpo, e qual resti immortale; Come in aria si generi la pioggia, La neve, la tempesta, et le comete,

165 E i folgori spavento de le genti; Et come si condensino i metalli Ne le profonde parti della terra; Onde vengan gli borri bil terremoti. Onde il furor de' venti ; fracassando

170 Questi le navi, e quei le gran cittadi. Giova appresso conoscer la natura Di ciascuno animai, terrestre, alato. Et che'l mar pasce procelloso e fiero; contento di ciò, levarsi a volo,

175 Et co '1 don de la mente in ciel salito Contemplar tutte le sustanze eterne, Et la prima cagion de 1' universo ; In cui come in chiarissimo cristallo Non pur risplende ogni cosa presente,

180 Ma le passate anchor et le future. Quivi s'acqueta et si riposa l'alma Come in suo vero fin : gioisce, et gode Di quello immenso et infinito bene, Sempre ben, sempre buon, sempre uniforme,*

185 Et beato, et perfetto, et sempiterno. Ò felici color, cui dato è gli occhi Fissar de l'intelletto in tai concetti. Et dispensar in lor tutti i pensieri. Hor eccovi i bei fiori, eccovi i frutti,

190 Che si colgono in villa più soavi Del nettare et ambrosia de gli Dei. Però quei Scipioni et Cincinnati E Curii et altri Cittadin Romani,

190. Il ms. Chi si.

un' epistola in versi ad a. campesano 371

Che, lasciati i governi e i magistrati, 195 Dopo molte vittorie e gran trionfi,

Si ridussero a star ne i lor poderi

Con l'animo tranquillo e riposato,

L' inteser bene. Et ben l' intese anchora

11 buon Diocletiano Imperatore, 200 Et Attalo fra i re forse il più ricco:

Quando sprezzati i regni e i lor thesori,

Questo si diede a la virtù rurale,

Quello elesse Salona per sua stanza,

Dove forni 1' avanzo de' suoi giorni '205 In godere i diletti villerecci.

Di questi huomini illustri et eccellenti

r vo' r orme seguir, signor mio caro.

Dica ciascuno pur ciò che si voglia.

Et mi biasmi a suo senno; che gran parte 210 Dil tempo che mi resta da passare

In questa valle di miseria piena,

M'ho proposto di spender a la villa,

E 'n quel dolce otio viver a me stesso.

m.

L' autore dell' epistola è evidentemente un amico del Campesano; e due versi (13-14) dell' epistola stessa ci dicono anche che è un poeta bassanese. Infatti in essi si legge:

... del mio star lontano Da la nostra città

Tanto più che il poeta, indirizzandosi al Campesano, parla d' amici, i quali dovevano trovarsi nello stesso luogo,

202. Cosi il ms. In margine fu poi corretto vita^ che sembra veramente lezione migliore.

372 e. PANIZZA

in cui era Alessandro e dove era ritornato dopo il sog- giorno in campagna, come dimostra il qui dei versi se- guenti :

Et a i molti discorsi, eh' i miei amici Qui facessero insieme ....

Dati questi indizi, che hanno tutta 1' apparenza della cer- tezza, si può lasciar da parte ogni altro, che per la sua amicizia col Campesano potesse indurci a crederlo autore della epistola , e volgere invece la ricerca soltanto ai poeti concittadini d'Alessandro, per vedere se alcuno fra essi abbia scritto.

Quanti s' occuparono di Bassano e delle sue glorie artistiche e letterarie, notano una rigogliosa fioritura poe- tica nel secolo XVI, che appunto prosperò in quella città, e dei principali poeti fanno la biografìa e 1' elogio. Cosi sono illustrati Marco Stecchini, Valerio Sale, Marco Gar- dellini, Faustino Amico, Lorenzo Marucini, Lazzaro Bo- namico, Giuseppe Betussi ed altri molti.

Ma di tutti questi non uno presenta ragioni spe- ciali per cui si possa con fondamento ritenerlo autore della nostra poesia. La mancanza assoluta di dati personali nella epistola rende quasi impossibile non solo la ricerca, ma ben anco una supposizione un po' fondata circa l'ano- nimo poeta : onde è forza accontentarsi di attribuirla ad un poeta bassanese , che fiorì verso la metà del secolo XVL

Che poi r epistola sia inedita, con certezza non mi è dato affermare; tuttavia, considerando che nelle molte raccolte di rime di Bassanesi e in molte altre di rime di poeti del Cinquecento essa non si trova; che indub- biamente il Verci, diligente editore dei poeti della sua città e che assai ci teneva alla gloria di questa, se Fa-

un' epistola in versi ad a. campesano 373

vesse conosciuta, non avrebbe tralasciato di pubblicarla; che infine dal manoscritto ove si legge, per quanto ap- pare, non fu mai tratta alla luce, è permesso ritenere che probabilmente essa non fu ancora data alle stampe. Con tale conclusione, che ci pare possa esser accolta, ter- miniamo r illustrazione di questa epistola, la quale, chi ben osservi, meritava per la sua intrinseca bellezza d' es- sere messa in luce.

C. Panizza

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI.

I.

Un libretto del prof. Attilio Tambellini che, traendo da un codice del secolo XVI della Gambalunghiana di Rimini una versione inedita in endecasillabi sciolti del carme epitalamico su Peleo e Teti Catullo, additava nel co- dice stesso una Rosmunda (1), mi pose sulle tracce di un testo della tragedia del Rucellai, a me rimasto ignoto quando ne curai criticamente la edizione (2). Recatomi a Rimini posso ora compiere per questa parte il mio la- voro ; molto lieto che il manoscritto non ne alteri in nulla le conclusioni.

(1) Epitalamio di Peleo e Teti^ manoscritto del secolo XVI esistente nella Biblioteca Gambaluru/a di Rimini (Nozze Bonini-Gobbi), Rimini, 1888. Questo Epitalamio è probabilmente la versione, j^nà smarrita, del- l'Alamanni; cfr. una mia recensione nella Rivista Critica della kit. ital, V, 2, febbraio-marzo 1888, col. 49-51.

(2) Le opere di Giovanni Rucellai, Bologna, 1887: su* mss. e su le stampe principali della Rosmunda, cfr. ivi a pag. 259-288.

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 375

Il codice D. IV. 52 proviene, come vi è scritto entro, Ecc bihliotheca Josephì Garampi ; misura centimetri 12 X 17; è legato in tutta cartapecora. Sulla costola, in carattere del secolo scorso, a quel che pare, si legge : Epitalamio \ di \ Catullo \ di \ Luigi Alamanni \ e del- ia spediz. I di Clem. VII \ co7itro Siena \ 1526. Ma è da notare che quest' ultima scrittura dell' anno è di mano diversa dal resto e più antica. Quella del testo è della metà del secolo XVI. Il manoscritto conta 85 carte non numerate. Con la 1 a comincia subito l' Epithalamio di Catullo, che va fino alla 13 &; la 14 a è bianca. Nella 14 b comincia anonima la Tragedia di Rosmunda, che va senza interruzione alla 50 a, con lacune per lacerazione di carte, che segnerò più oltre. Nella 50 h comincia Copia hre- vis Clementis VII stimmi ponti flcis Comissario suo in expeditionem Senensem; cui seguono fino alla 84 h altre lettere sulla spedizione medesima : tutte del giugno e lu- glio 1526 : Le seguenti sonno le copie delle lettere delti Octo della Pratica di Firenze sopra la antedecta me- desima eoopeditione di Siena scripte ad Francesco de Monte; con le risposte relative.

Avendo dinanzi il testo curato da me, noto le va- rianti d' una qualche importanza o di lingua o di senso.

376 a. MAZZONI

TRAGEDIA DI ROSMUNDA

ACTO PRIMO.

Rosmunda, Nutrice, Choro.

1. homai.

2. il sembiante.

7. empie.

8. dal nostro.

11. misero mio padre.

13. sepolchro.

14. bench' inferma.

19. pietose revolgi.

24. bosci.

26. privarte.

27. menarte.

32. vidde.

33. vuol pur che i morti.

36. insepolto.

37. si gli è senso.

38. anticho.

42. comanda.

43. et al bel Gange e al Nilo.

46. Delle nimiche genti e d'Albuino.

47. tu voi.

48. restate. 56. perderò.

64. d' honore et di prudentia.

75. rotte vinte et sperse.

77. rimasi in morte.

78. bosci. 88. il viso.

102. inimico.

114. vegno.

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 377

115.

prendaren.

118.

domandiam. Il ms. distingue V una dalV altra

le strofe.

131.

adorno.

132.

miseri costoro.

134.

staranno.

135.

vita.

139.

nata.

141.

assai chi muore in fasce.

149.

irne presi.

150.

rubello.

153-54.

Et variar fortuna - Pili che non varia el moto de

la Luna.

Acro SECONDO.

Nutrice, Rosmunda, Choro, Falisco^ Nuntio.

11.

paurose.

13.

te sei.

17.

dira.

19.

E un disse.

27.

Eccogli e' son venuti.

29.

Segue a parlare la Nutrice.

43.

la guerra tien co' vivi,

46-47.

NUT. Cioè Nuntio, Cfr. la nota a pag. 269.

47.

a pie d' un fonte.

50.

vieni al Re, verrai con meco.

55.

Mai in vita. Prima era scritto Ma: la stessa

mano aggiunge poi V i.

65.

le tue opre.

69.

più grave et più doglioso stento.

70.

non ti resta.

80.

a quel gradita.

98.

di mia madre.

100.

ove hor tu sei.

378 G. MAZZONI

102. in la Thessina.

104. E preso.

107. la chiave.

119. et del tuo padre.

121. E sarò (sic) senso alchun doppo.

129. per mill' altri modi.

130. Dopo questo verso, che termina la pagina, per

mancanza di una carta si salta al v. 165.

171. al di et poi l'ombra a la.

174. la rosa al maggio, il laccio il (sic) verno.

180. Donasti et l'alta mente m\i2i. Aggiunto cC altra

mano teco tra et e alta.

Acro TERZO.

Alhuino Re, Messagieri, Rosmunda, Choro, Nutrice, Falisco.

2. delle tormi equestri.

8. gittare.

9. a cani a lupi a gì' orsi. 10. stati imperii o regni. 17. teselo.

28. Manca nel ms,

30. audace.

34. ove sarebbe.

46. G'incontramo in Rosmunda et altre.

50. a tagliarli.

52. che l'avea.

54. quante e quali.

60. possuto.

64. seppellì.

69. dispregiata et rotta.

82. anzi al mio.

83. fie danno anzi mi fia.

84. r uscir.

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 379

87.

doglia ben.

89.

poter lui vestir.

91.

pare.

104.

contra al suo.

111.

fecion.

118.

fecion.

121.

del capo.

131.

di ciò che tu vuoi.

135.

Et come l' una de le due.

146.

Ciò che a la tua.

149.

semplice.

151.

Lasciela.

154.

Le saranno.

156.

non ero io.

157.

giovenetta.

159.

la nebbia.

160.

traporla.

161.

La fé.

163.

Liberamente qualch' altra parola.

164.

homai.

181.

ira 0 disdegno.

182.

Dove consiste 1' util de lo stato.

190.

se gli serai.

201.

adunque eh' io la prendi.

202.

consiglio quel.

223.

t' arreco.

226.

Forse quel eh' io ho meco.

239.

Fra gli altri mal.

244.

finalmente.

248.

che non vi uccida.

253.

luoco tanto

255-56.

che la morte - L'ultima cosa è de le.

257.

a tutti i mali.

258.

non ha.

266.

Dio voglia.

271.

prender diletto d'alti'ui doglia.

273.

ne la morte.

5«U

G. MAZZONI

275.

eh' ei non mi.

278.

ch'io non sono.

281.

Come il ti vuol.

282.

Io mi credea.

284.

Bipetuto due volte, in fine della carta e a prin-

cipio della seguente ; ma poi qui cancellato.

287.

stillanti.

288.

grande è sempre.

297.

curi 0 mostri.

300.

et gli altrui letti.

304.

converria.

313.

ricognosce il bene.

319.

gratie.

322.

s'el corpo.

327.

miseria desiar.

332.

questa tua risposta.

333.

andar pili presto.

339.

vi potrai.

349.

eh' ho agiunto.

354.

Nemica de la pace.

364.

non posson.

365.

Nemico et destruttor del sangue nostro.

366.

s' apri.

374.

però che.

376.

puoi tu vietarli.

379.

Accomodar.

389.

poi mai.

393.

darai in preda.

398.

Hor resterà.

403.

le sepoltura.

406.

a vendicarlo.

411.

quelle agnellette inanzi.

412.

et misere fanciulle.

415.

inseme.

416.

de le qual.

417.

facci.

423.

posserlo.

KOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 381

425. 0 stratii.

430. che veramente.

438. Aveza.

441. quel eh' io.

449. gratie.

463. Andianne.

473. Del crudel suo nemico.

487. cielo eterno.

488. Dalla.

495. È congelato.

512. palustri.

517. 0 peso.

518. eh' a nessun. 521. sphere.

523. Manca nel ms.

525. modi.

Acrro quarto. Amalchide, Choro, Servo, Rosmmida, Nutrice.

10. 0 miserabil.

22. Et ditegli.

25. 0 Amalchide. Cosi sempre questo nome.

37. sendo vero.

40. onte et dispetto.

46. ond' io mi.

54. Ch'era qui presso chi tanto.

66. iacere.

81. che hai veduto.

82. cosa.

87. il pensar.

95. la richiese.

99. Manca nel ms.

102. Quindi.

107. quel horribil.

382 G. MAZZONI

109. Che rim bomba van tutte.

HO. poste.

118. con sua mano.

119. nel contarsi.

120. scendean.

122. infra vermiglie.

125. qual sendo.

126. Da le lode.

130. mi racapriccio tutta.

133. teselo di Gomundo.

136. L' empi.

138. Perpetua fine et fo con teco pace.

140. teselo.

141. beve. 145. Et disse. 149. Et quanto.

152. Con la tremante.

153. al basso. ;

158. 0 miserande.

159. suoi nemici.

163. me ne venni alhor.

164. al lecto.

165. veggio là.

166. Gh'escon di fuora. 0 Dio che sarà questo?

170. teselo.

171. Chi haria.

172. Fussi si crudo e inexorabii fiero. 174. d'orientai gemme.

179. con la figlia tua.

183. di Rosmunda.

188. Et da il sepolchrq.

189. Come moita sarò, ardi M mio corjK).

190. Me' che tu puoi in si doglioso stato. 201. anticho seggio.

216. A quel empio signore.

221. a pezi.

222. chi vuol morire.

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 383

223. a vendicar.

224. vaglia.

225. a ciascun. 229. eh' agiungne. 232. ciò che tu vuoi. 238. * El non si disiò. 240. presto questo. 245. nostra.

252. Qual s' altre volte vi è stato.

255. Perché.

260 e segg. Il Coro è la canzone edita a pagg. 285-86. 3. Soflferir.

9. 0 come.

16. Dalla tua alla sphera.

24. t' haggio.

28. Vergi n eh' io non t' observi.

32. miserie. Come è da correggere nel testo ^ che ha

per errore di stampa misure.

Acro QUINTO.

Serva, Bosmunda, Choro.

8.

Come, signor.

14.

Narrarmi.

21.

Per consiglio.

23.

vostra.

27.

I veli che gli havia,

36.

rosciar.

44.

spuma.

46.

come fornace.

52.

teselo.

54.

sue sanguinose.

58.

lo prese.

59.

lo rinvolse.

60.

portarlo.

Voi.

HI, Parte I.

25

384 G. MAZZONI

61. nel ciel, come ogniun vede.

62. umane cose. 66. Al non esser.

75. Causa di distrugger tanti Regni.

Come apparirà a chi riscontri nel luogo loro queste varianti, il codice riminese non porge nessun aiuto per la costituzione del testo. Manca anch' esso della sestina che fu il coro originale dell'atto quarto; e qua e difetta di versi necessarii al senso. Nondimeno, avendo già date le varianti di altri manoscritti e delle stampe antiche, ho creduto bene offrir qui agli studiosi anche questi ele- menti di non inutile raffronto.

IL

L'amico mio prof. Antonio Virgili, in cui la cortesia è pari alla dottrina, mi ha, a più riprese, inviati certi accenni al Rucellai che si trovano nelle filze strozziane del R. Archivio di Stato in Firenze. Non sono di molta importanza, ma ribadiscono date o giudizii. Eccoli qui.

In una lettera di Michele De Sylva al cardinale Sal- viati, senza data, ma certamente scritta da Roma e nel decembre 1524 (come dice il contesto e conferma il fatto che essa si trova tra le lettere di quel mese), sono pa- role che alludono alla riforma ortografica del Trissino, accettata dal Rucellai tanto fervidamente che alcuno poto scherzando attribuire la malattia mortale di lui a que' ma- ledetti 0 chiusi ed o aperti (1): « Magnum proventum omegomastigus annus hic attulit; e molti più ne sareb- bero, se Ridolfi eos non aperte oppugnaret: pure non

(1) Cfr. Opere di G. Rucellai, ediz. cil., pag. LIX.

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 385

restano con tutto questo molti non fare el debito. Le loro opere sono già stampate, et non penso che a questa ora M/ Christofano stia senza : perciò non le mando al- trimenti a V. S. R ™^ » È chiara Tallusione alla Sofonisba uscita, con quella sua curiosa mistura di tipi greci e la- tini, nel luglio e poi di nuovo nel settembre di quel- ranno (1). Ridolfì, di cui il De Sylva scrisse il nome in cifra, è il cardinale Niccolò; messer Christofano è il Car- nesecchi, uno de' segretarii del Salviati. Tornando per incidenza sulla canzonatura, lo stesso De Sylva, pure ai Salviati, pochi giorni dopo, il 6 gennaio 1525, dolendosi di non vedere risposta alle sue lettere: « La suplico di novo che almanco facci scrivere ad Alessandro suo o al signor laccbo suo padre che le mie lettere sono o non sono arrivate costà. E questo mi basta, come ad uomo che non temo che le materie di li omeghi et sue ade- renti 0 simili cose possino niente fra il grande e netto e costantissino animo di V. S. R.""^, e mia purissima unica e perpetua servitù. » Alessandro, mi avverte il Virgili, è il Del Caccia.

Sulla malattia del Rucellai una lettera di Iacopo Sal- viati, qui sopra nominato, al figlio cardinale, scritta in Roma il 26 marzo 1525, conferma la testimonianza già da me data di un Rernardo, forse Rernardo Rracci, in data del 31 di quel mese stesso (2): « Il Castellano, come credo ara inteso V. S. ha gran male, et a questo di parve che migliorassi. Oggi mi è stato detto che è pegiorato. Il male è forte dubioso. Iddio lo aiuti. » E mentre il pover uomo si stava morendo, proprio in quelle ore, il De Sylva, certo senza malizia, scherzava ancora

(1) B. MORSOLIN, Giangiorgio Trissino, Vicenza, 1878; pag. XIX.

(2) Opere di G. Rucellai, ediz. cit., pag. LVIII-LX.

386 G. MAZZONI

sugli omeghi : « Intra li w meghi è venuta fuori una altra opera intitulata ad me, et in nome di uno bellissimo scrip- tore, molto più da M/ Christophoro che da entrare in questi pelaghi de la lingua. » Anche qui Christophoro è il Carnesecchi.

III.

Neil' opuscolo Lettere inedite di alcuni illustri italiani, stampato a Milano nel 1856, per festeggiare le nozze Cavriani-Lucchesi-Palli, dal canonico prof. Braghi- rolli fu edita una lettera del Rucellai ad Isabella di Man- tova, datata di Roma, 26 febbraio 1516. A me, nel rac- cogliere quelle poche lettere del Rucellai, sfuggi : ne ebbi l'indicazione da Giosuè Carducci, e la copia di sull'auto- grafo, che si conserva nell'Archivio Gonzaga in Mantova, dal prof. Raffaello Putelli, cui rendo le debite grazie. Di fuori : A la lll,^'^ Excell.^'^ Madama Isabella la MarchesJ^ di Mantova sua signora.

III.™^ et excell.""^ Madama. Dopo ogni humile et de- bita Reverentia ecc. Io prenderò fiducia in Vostra Ex.*'^ ; et la causa è perché Messer Roberto degli Strozi mio Nepote, figlio che fu di Messer Roberto Strozi che mori nel facto d'arme del Taro, viene costi solo perché la Ex.^'* del Signor Marchese Vostro consorte lo cognosca, et recognosca nel fìgluolo quella medesima servitù et de- votione che già recognobbe in suo Patre. Et appresso con tucta la efficacia del mio cuore prego Vostra Ex.*'^ le piaccia prestargli ogni aiuto et favore perché recuperi le sue possessioni paterne. Non gli sarà grave per la sua innata humanità introdurlo alla Ex.*'* del Sig.' Marchese et raccomandarglielo in tucti quelli modi che le paranno più al proposito. Del che, appresso li altri benefici che

NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI 387

mi ha facti, di questo particulare gli barò perpetua obli- gatione; et tanto mi fia grato ogni piacere che Vostra Ex.*^* gli farà quanto venissi ne la mia propria persona: da quale so che porto affectione non piccola, non per miei meriti ma per sua regale natura et gentileza. Non le dirò altro, salvo che gli raccomando quanto più posso Messer Roberto et me suo servo Giovanni Rucellai. In Roma a XXVI di Febraio 1516. Di V." III.'"^ Ex.*'^

Servitore Giovanni Rucellai.

IV.

Col raffronto del Diario di Paride De Grassi potei negare la rappresentazione della Rosìnunda che si affer- mava comunemente avvenuta negli Orti Rucellai sugli ul- timi del 1515 0 su' primi del 1516, in presenza di Leone X; come già il Morsolin aveva avvertito che nessun do- cumento attesta la rappresentazione della Sofonisba nel 1515 (1).

Il prof. Morsolin stesso, parlando nel giornale La Provincia di Vicenza (VII, 52; 23-24 febbraio 1888) del mio volume, rammentò a tal proposito utilmente un'altra testimonianza negativa: ed è Topuscoletto raris- simo di Zaccaria Ferreri da Vicenza, Itinerarium Bivi Leonis decimi Ponti ficis Maximi^ stampato a Roma nel 1516. Il Rucellai vi è nominato, ma soltanto perché accolse il pontefice a splendido banchetto negli Orti: se la rappresentazione fosse stata fatta , come dunque ne avrebbe il Ferreri taciuto?

(l) B. Morsolin, Giangiorgio Trissino, ediz. cil., pag. 92-93.

388 G. MAZZONI NOTERELLE SU GIOVANNI RUCELLAI

« Post ea dum reditum [Leone X] Latiam decernit ad Urbem Tuscaque Ioannes Oricellaria Proles Pontifici sobrinus agit convivia, quae sunt Florida doctiloqui Tempe et viridaria patris, Nuncia venerunt, ut Ferdinandus ab orbe Raptus erat, qui iam felici sidere gessit Regia sceptra, diu gentem moderatus Hiberam. »

Ho creduto bene riferire quei versi, perché troppo facilmente potrebbe sfuggire agli studiosi, in un giornale politico di provincia, la scrittura del prof. Morsolin.

G. Mazzoni.

IL DUCA D'ATENE NELLA POESIA CONTEiMPORANEA 0

Il 9 di maggio del 1342, quando il duca d'Atene per sollecitazione di alcuni mercanti fiorentini comparve al campo presso Lucca con cento cavalieri francesi guidati dai nobili Manno e Uguccione Donati, Firenze lo salutò quale suo salvatore! Essa lo conosceva digià; che egli vi era venuto otto anni prima vicario del duca di Calabria, cui Firenze dopo la rotta d' Altopascio aveva conferito

(*) Questo, che ora presento, è il primo saggio di un lavoro che ho in animo di scrivere sulla poesia storica italiana.

Mi sono giovato principalmente delle opere seguenti: C. Paoli, Della Signoria di Gualtieri duca d' Atene in Firenze, in Giornale Sto^ vico degli Archivi Toscani, voi. VI, e Archivio Storico Italiano, Serie HI, T. XVI; F. T. Perrens, Histoire de Florence, T. IV. Le poesie qui ricordate sono: Serventese in morte del duca di Calabria, edito in La- menti de' secoli XIV e XV a cura di A. Medin, Firenze, 1883; La- mento di Firenze per la perdita di Lucca e Lamento del duca d' Atene in Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI a cura di A. Medin e L Frati, voi. I, Bologna, 1887 (di questi due Lamenti ricordo solo l' e- dizione più recente) ; Stanze di P. dell' Abbaco in Poesie inedite di Pa- golo dell' Abbaco pubbl. da E. Narducci, Roma, 1864; Ballata del Pucci per la cacciata del duca d' Atene in Arch. stor. it. Serie e T. cit. ; Sonetto di Pietro d' Anselmo edito da C. Paoli in Giornale Storico della Letteratura Italiana, voi. I; Canzoni di Agnolo Torini Bencivenni, che il Paoli inseri nei soli estratti del suo lavoro sul duca d' Atene pubblicato ne' periodici sopra citati.

390 ANTONIO MEDIN

la signoria per salvarsi dalle armi e dair ardire di Ca- struccio.

Forse il cattivo governo del duca Carlo, venuto due mesi appresso, contribuì a piegare maggiormente V animo dei Fiorentini in favore di Gualtieri; il quale, al dir di Giovanni Villani (cui fanno eco altri cronisti contempo- ranei), seppe reggere saggiamente la città e « fu signore savio e di gentile aspetto » (1). E tuttavia egli, vicario del duca di Calabria, dovè esercitare, sia pur con mode- razione, tutti gli atti di vero despotismo; cioè:

Tutte le Signorie fé' giurare Per lo signor che veniva d'accanto; E' Priori insaccati fé' annullare, E fece d'altri nuova 'lezione; Pognàn che poco ci avessero a fare (2).

Cosi Antonio Pucci parafrasando la Cronaca del maggior dei Villani. Ma i Fiorentini si trovavano allora in quello stato di scadimento politico, nel quale gli uomini sentono il bisogno di essere dominati; e del despotismo non si accorgono, purché moderatamente esercitato.

Il 30 di luglio 1326 con isplendido corteggio di baroni e cavalieri « bene a cavallo e in arme e in ar- nesi T> (3) il duca Carlo entrò in Firenze, che lo accolse a grande onore quasi assoluto padrone della città; e se il Villani si diffonde a narrare le pompe di questo in- gresso, il Pucci, descrivendolo, allargò nel Centiloquio il testo del cronista. Ma le illusioni dei Fiorentini vanirono ben presto: il duca Carlo era a uomo assai bello del corpo, formato; innanzi grosso e non troppo grande; an-

(1) Cronaca, lib. IX, cap. 350.

(2) Centiloquio, canto 64.

(3) G. Villani, lib. X, 1.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 391

dava in capelli sparti, assai era grazioso, di bella faccia ritonda con piena barba e nera, ma non fu di gran va- lore a quello che potea essere, troppo savio; diletta- vasi in dilicatamente vivere, e della donna, e più in ozio che in fatica d' arme » (1) ; sicché ei dimostrò tosto la sua debolezza nelF opporsi a Castruccio e la bramosia di tiranneggiare Firenze, che durante il suo breve sog- giorno di diciannove mesi dovette sborsargli ben nove- centomila fiorini d' oro. Nessuna meraviglia , dunque , se i Fiorentini accolsero con gioia la notizia della sua morte (9 novembre 1328), e quelli che « amavano parte guelfa ne furono crucciosi quanto per parte » (2) : V eroe di Lucca era sparito dalla scena, onde Firenze poteva to- gliersi di dosso il grave giogo pugliese. Pure essa gli fece « per cortesia » (3) un « grande esequio in Santa Croce », ove accorse tanta gente che mal poteva capire nella piazza, nonché nella chiesa: pompe ufficiali e cu- riosità di popolo, nulla più! Nessuna espressione di do- lore, nessun rimpianto sincero; che tali non furono cer- tamente le lodi cantate dai Guelfi « per parte » . Il Pucci

10 dice a giusto e degno, grazioso e cortese » ; e, tacendo i biasimi che gli muove il pur guelfo Villani, dichiara soltanto che

la comim gente ad una boce Furon contenti, per fuggir le spese, E per uscir di fedeltà veloce (4).

11 quale ultimo verso in bocca del guelfo banditore può fors' anco suonare rimprovero al popolo fiorentino ! E se

(1) Villani, X, 109.

(2) Idem.

(3) Questa e la frase seguente sono del Pucci, Centiloquio, canto li-

(4) Centiloquìo, canto li.

392 ANTONIO MEDTN

del Pucci è pure, come io credo tuttavia, il serventese dettato in morte del duca; convien dire, che egli si fece interprete dei sentimenti nutriti dai Guelfi più ostinata- mente neri. Omettiamo 1' esordio , che era tradizionale , e leggiamo i versi seguenti:

Di senno e di prodezza per ogni verso Il duca Carlo ben era compreso: 0 alto Idio, quant' è in par diverso

Tal dolore! Che di casa di Francia egli era il fiore, Gampion di santa Chiesa e difensore; Pien di giustizia, di pregio e d'onore

Era per certo.

Megho potremo prestargli fede quando ricorderà i lamenti della madre, della moghe, dei baroni (1) e quello di re Roberto più d' ogni altro affranto dal dolore, per- ché rimasto senza successione:

Or si comincia il gran lamento e pianto / Per tutto Napoli in ciaschedun canto: Lo re Ruberto si stracciava il manto,

E dicea : Figlio, Dove se' tu, caro e fresco giglio, Ch'eri il mio conforto e '1 mio consiglio? Morte villana t'à dato di piglio,

E mi t' à morto ! Morte villana, fatto m' ài gran torto! Perch' eri il mio sollazzo e '1 mio diporto, Onde mia vita sempre n' ha sconforto

E mai non fina!

(1) Di lutti questi baroni uno solo ci interessa ora: E '1 duca (l'Atteni con assai affanni: Morte dogliosa, dato ci ài affanni

Con flagielio!

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 393

E ricordando quanto disse il Villani in proposito del dolore provato dai Fiorentini alla morte del duca, forse più che adulazione partigiana, dovremo dire vanto tradi- zionale il seguente:

Torniamo al duca, nobile barone, Gh' è seppelito con maggior onore Gh' avesse giammai re o imperatore

In questa viti.

Ma noi a questo punto, abbandonando per ora il Pucci e il suo bel sirventese, chiudiamo la parentesi, e ritor- niamo, per non abbandonarlo più, al duca d' Atene.

Tosto che Mastino della Scala ebbe venduto Lucca ai Fiorentini, i Pisani, che pure ambivano il possesso di questa città, si posero in arme per assediarla: i Fioren- tini, corsi alla difesa, furono sconfìtti la prima volta il 2 di ottobre 1341, e in appresso, dopo molti e sempre infelici tentativi, il 4 di luglio 1342 si arresero cedendo Lucca ai loro rivali. Durante questa sfortunata impresa della « nobile e grande oste e male avventurosa » (1), vi fu un momento che i Fiorentini, convinti dell'inettitu- dine del loro capitano generale, Malatesta de' Malatesti, rivolsero fidenti tutte le loro speranze in Gualtieri di Brienne duca di Atene, che, come abbiamo detto fin dal principio, il 9 di maggio aveva raggiunto il campo a Grignano.

Gualtieri non aveva di Atene che il solo titolo di duca, perché suo padre aveva perduto il ducato insieme colla vita combattendo contro i Catalani sul Cefìso. Non isfornito di una certa valentia militare, venne a cercar fortuna in Italia, indi passò in Francia ai servigi di Fi- li) Villani, XII, I.

394 ANTONIO MEDIN

lippo VI, dopo che nel 1331 gli era andato fallito un tentativo di ricuperare il ducato perduto, tentativo che costò la vita all' unico figlio suo (1). E dalla Francia « il gentile signore e bisognoso pellegrino » (2) venne al campo dei Fiorentini. È noto che il Pucci interruppe il suo Gentiloquio precisamente a questo punto, affermando che gli mancava la prosa per rimare-, segno evidente che non ebbe notizia dei 142 capitoli del libro XI e di tutto il XII della Cronaca. Ciò nonpertanto egli ha voluto in qualche modo colmare questa lacuna col Lamento di Firenze per la perdita di Lucca, nel quale troviamo espresse tutte le speranze che Firenze aveva riposte nel duca: il poeta fa dire alla sua città:

S' io sono fino a qui male arivata, È stata colpa di chi m' à guidata, E de' tapin di cui mi son fidala ;

Che io m' aveggio

(1) Nel Lamento di Gualtieri si legge:

'n giovinetta età fu' adolorato,

Quando al mio padre fu '1 capo tagliato Da la Conpagna; ond'io son sempre stato

Con tormento. Ma, com'io ebi buon cognoscimento. Pensai che ma' i' non sare' contento Fin ch'io non vendicasse a mio talento

Il padre mio. E per poter fornir cotal desio, Fé' tanta gente, tra gU amici ed io, Che verso mie' nemici in punto rio

Andai aflitto. Ed alor fu' con mia gente sconfitto: Per giunta al primo danno, fui trafitto Per modo tal, eh' ancor sospir ne gilto,

E trago guai.

(2) Villani, XI, 136.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 395

Che ciascun fatto m'à di male in peggio, Bench' i' non abbia fatto ciò eh' i' deggio, Credendomi per lor ne l'alto seggio

Trionfare. Or tal signor m' à preso ad aiutare, Ghed i' ò intenzion di vendicare Ogni passata offesa, e racquistare

L'onor perduto. Che '1 franco capitan prod' e saputo, Duca d'Atene eh' è per ciò venuto, Miir anni par che d' onore compiuto

Ci rinfreschi. E seco menerà pochi tedeschi. Ma cavalier taliani e francieschi, Que'che son sempre a ben ferir maneschi,

Come leoni.

Paolo dell' Abbaco , che narrò sommariamente la storia della signoria di Gualtieri in venti ottave, intramezzan- dovi troppo frequenti considerazioni moraU e astrologi- che, parla in ben diverso modo: egh scriveva dopo la cacciata del duca, e perciò l' odio inspiratogli dal mal- vagio governo di lui non gU permise di riconoscere il poco di buono che « il bisognoso pellegrino » aveva pur fatto. Egh dice, dunque, che Dio,

come trar si può del male il bene, Spirò in Toscana un gran duca d' Atene. Con furioso modo e con gran fretta Fu suo venir per gran sagacitate, Sapiendo di Firenze sua diletta Meno il bisogno che la volontate: Giunse dov' era molta gente eletta Per donare a' Lucchesi libertate ; E poi, lasciando 1' oste, die di voltii, Et in Firenze fece sua raccolta.

396 ANTONIO MEDIN

Ma, anziché fuggire dal campo, come vorrebbe far credere il dell' Abbaco, il duca con pochi de' suoi il 15 maggio valicò arditamente il Serchio attaccando con buona riuscita i Pisani. Ben più imparziale dell' astrologo -poeta fu il banditore del comune fiorentino; quando, narrando nel Lamento di Gualtieri tutte le avventure della vita di lui, toccò di nuovo della sua venuta al campo sotto Lucca : qui non lo scherno di Pietro dell' Abbaco , ma anzi una tacita lode per la sollecitudine onde accolse l' invito dei Fiorentini :

E dimorando con lo re Uberto Che come figlio m' amava per certo, Un messo tutto di sudor coperto

Mi recò carte Da' Fiorentin, capitan' de la Parte : Che, se io dovessi cavalcar per arte, Soccorso desse a metter ne le sarte

Il guelfo giglio. Ond' io, sentendo eh' er' a tal periglio. Subito mossi senz' altro consiglio, E giunsi, cavalcando a miglio a miglio,

Ne la contrade.

Quando i Venti preposti nel 1341 all' amministrazione della guerra di Lucca ebbero compiuto il loro ufficio, lasciarono un debito di 400,000 fiorini d' oro, non com- presa la somma per l' acquisto di Lucca : a chi la colpa di ciò e dell' infelice esito dell' impresa ? Il popolo ingiu- stamente r addossò tutta sui Venti, rimasti i soli respon- sabili di comuni sventure. Approfittando dei danni della guerra, i popolani grassi s' erano fatti despoti della città : gh uffici non uscivano dalle loro mani, « non dando parte a' grandi a mezzani a minori » (1); e quando

(1) Villani, XI, 118.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 397

i grandi congiurano contro il comune perché aveva ri- pristinato l'ufficio di Capitano di guardia e conservatore di pace, il popolo, anziché quetarsi, dopo la sconfitta de' grandi elesse non più un solo , ma due Capitani di guardia che dissanguavano i cittadini. Si aggiunga il nu- mero eccessivo di gabelle e le prestanze che si impone- vano ogni qualvolta v' era bisogno di danari , cioè fre- quentemente, e non desterà meraviglia se non pure le private famiglie, ma e V erario stesso minacciava rovina.

I grandi odiavano naturalmente il popolo, e questo non era soddisfatto di chi lo reggeva: un mutamento politico era quindi necessario; ma a chi affidare le proprie sorti?

II Malatesta aveva nella guerra di Lucca dimostrato la sua impotenza; e il re di Napoli confortava i Fiorentini a sperare nel papa ! D' altra parte il duca d' Atene nel 1326 aveva esercitato con moderazione il suo potere, e recente era la prova del suo valore personale ; onde non è necessario supporre male arti e astuzie da parte sua, se Firenze, che, come dice il Pucci, avea più motivi di dolersi molto delle sue condizioni (1), si dette tutta nelle sue mani, eleggendolo il 31 di maggio e il primo di giugno 1342 Capitano generale della guerra e conser- vatore e protettore della città e delle sue giurisdizioni fino al 13 aprile del 1343.

E di queste concessioni il duca fece suo prò: col- r apparenza di amministrare la giustizia, egli seppe gua- dagnarsi il favore de' grandi e del popolo minuto , per- seguitando i popolani grassi, oggetto di invidia e di odi agli altri ordini di cittadini; sicché, mentre la Signoria

(1) Lucca, pognàn che di mie condizioni

Mi doglia molto, ch'i'n'ò più ragioni; Di te mi dole ....

{Lamento di Firenze^ v. 850 e segg.).

398 ANTONIO MEDIN

s' era piegata ad accordargli un anno di proruga ne' suoi poteri, rS di settembre, adunatoci parlamento generale, e' venne proclamato signore a vita ; e il popolo fiorentino vide sventolare per la prima volta sulla torre del Palazzo un' insegna diversa dalla sua.

Duca Gualtier, sott' ombra d' amicizia, Venne in Firenze con molto furore; E po' con trattamento di malizia Tant' ordinò eh' el fu fatto signore ; Dove, per farli onore. Data li fu la signoria un anno; Ed ei, come tiranno, La prese a vita, contr' a lieltade.

Cosi il Pucci nella prima strofe della ballata eh' e' dettò quando il duca fu cacciato. E l' esempio di Firenze se- guirono, sottomettendosi a Gualtieri, le città governate dal comune, ed altre terre fuori della sua giurisdizione; cioè, Arezzo, Pistoia, Volterra, Colle di Valdelsa e San- gimignano; onde il duca rimpiangendo nel Lamento il suo lieto esordire:

Cosi mi credett' esser trionfando

Re di Toscana.

Da principio Gualtieri esercitò il suo potere con modestia e con mitezza; e si propose di essere un pacificatore cosi nell' interno come nell' esterno del suo stato , « che fu la miglior opera che facesse » (1). Non impose alcuna nuova gabella, anzi le vecchie modificò e ridusse, i pesi pubblici più equamente ripartendo , e imponendo de' li- miti all' usura. Tutti questi benefici guadagnarono sempre

(1) D. BoNiNSEGNi, p. 344; cit. dal Peruens, T. IV, p. 271.

IL DUCA D ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 399

più a Gualtieri il favore del popolo minuto, che non ba- dava alla crescente arroganza del duca nel render vano ogni altro potere che non fosse il suo o che da lui non partisse. A questo primo tempo del suo dominio si rife- risce una canzone che Agnolo Torini Bencivenni (1), poeta ascetico, indirizzò al nuovo signore, mostrandogli la vera via per la quale avrebbe potuto degnamente rispondere alle speranze eh' egli avea inspirate ne' Fio- rentini.

Dappoi eh' a l' increata Etternitade, Che a tute sollicita provede, È piaciuto redurre in vera luce Da tenebre di tanta oscuritate La bella flglia, che gi' al mondo diede L'eccelsa Roma, per te, degno duce; Acciò che la speranza, che produce La fama e '1 reverendo tuo aspetto. Si congionga all' effetto ; Ciò eh' al presente farti noto intendo, Con quella che dee suggieto pura, De osservar procura. Se esser il conosci fruttuoso; Però eh' io ne comprendo Che di ciò ancora viverai glorioso.

È necessario quindi, seguita a dire, che tu fugga dap- prima « come cruda nemica » la superbia,

che talora ne' subgetti Genera inobidienzie o 'ndegnazioni, E spesso fa rubellazion seguire.

(1) Sulle sue rime a stampa, vedi le Opere volgari dello Zambrini, Appendice, p. 167; Bologna, 1884.

Voi. Ili, Parte I. 26

400 ANTONIO MEDIN

dunque disponi

L'animo tuo a reggere umilmente Quant' è conveniente ; Sie famigliar de' tuoi subditti, ognuno Onorando secondo sua virtute.

muova invidia il tuo cuore,

la qual, mostrando I segni altrui pili che i suoi uberosi, Fa senza prò dolere.

Stia sempre lungi da te la « rabiosa iracundia, Che 'n subiti e iniqui movimenti Induce » ; perché T ira toglie la conoscenza dell' intelletto, impedendo di discernere il vero ; e se talvolta aspro supplizio fosse richiesto da grave fallo, usa clemenza, « Ch' al prince perdonar molto sta bene » . Fuggi il male insaziabile d'avarizia, perché a voler troppo si perde anche il giusto; ti colga eccessivo amore dell' oro,

il qual sempre usar fece, Per quel multiplicare, opere biece, mai quiete porse: grave cosa È nel prince ove posa Molto costei, perché sen parte Astrea. Dona con giusta mano, obliare L' indigente, dare Sicché divegni prodigo, la cui Dismisuranza crea Non men mal, ch'avarizia in altrui.

Guarda non ti vinca l'accidia, nudrice di empi e sconci pensieri, ai quali sovente corrispondono le opere; e gli uomini riduce molli e pigri e miseri di cuore:

IL DUCA D'ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 401

Ah, quanto è ciò da fuggire in signore, Cui faccia al popol convien lieta appaia, E nelle imprese paja Magnanimo! onde tuo esercizio sia Nel ben vivere a prò de' tuoi, tra loro Unirli, e te con loro. Non son le dignità date da Dio, Perché in piuma si stia, Ma per veghiare al comun util pio.

Non ti colga il breve piacere della gola, che « deturpa il corpo e il viver cala »; perché, se è brutto in tutti, « ne' rettor dimora peggio molto » . Opprimi, fuggendola, la lussuria, che « la borsa e 'l corpo munge » e « li uomini razionali » mula in bruti.

Tu ti dèi molto, canzon, provedere D'andar in atto discreto e modesto. Se pensi all' eccellenzia, ove t' invii ; Ma acciò che 'mpedita tu non sii Da' tuoi contrarii viziosi, n' andrai Chiusa, infin che sarai Nella presenzia del novel Teseo; (1) Ove non già esser la fede nostra Presuntuosa mostra,

Ma qual dee di fedel, poi grazia impetra : Se 'n te vede bontà, seco ti tegna. La qual talor di me 'sai ti sovegna.

In qual conto il duca abbia tenuto questa canzone infor- mata a' più santi precetti, è universalmente noto ; il poeta ottenne T effetto contrario al desiderato, che Gualtieri si immerse dipoi in quei vizi, dai quali egli avrebbe voluto

(1) Qui Teseo è considerato, come sempre nel Medio Evo, quale duca d'Atene.

402 ANTONIO MEDIN

distoglierlo. Ma se la fiducia che i Fiorentini avevano ri- posta nel duca, può in gran parte spiegare e scusare gli elogi che il Torini tributò al suo « nuovo Teseo », mal si comprende come potesse in taluno mantenersi viva r ammirazione verso di lui, quand' egli degenerò in ti- ranno ingordo e crudele ; se pure non fu uno de' suoi fidi non ricordati dalla storia quel Pier d'Anselmo, che in un brutto sonetto lo disse « successore del magno Aga- mennone », « postero di molte corone prodotte da ec- cellente vena »; più temperato di Pisistrato, più giusto d'Egeo, encomiandolo inoltre perché

Scienza fu profonda nel tuo regno E più virtù eh' 'nn altro principato, E quivi del ben far tutto lo 'ngengnio.

A chi ripensi alla vera storia dei fatti, questo sonetto parrà un' ironia !

Come nella riforma del governo, cosi in quella delle entrate del comune, il duca ridusse nelle sue mani tutto il danaro dello stato , senza che alcuno potesse chie- dergli ragione dell' uso che ne faceva : i suoi due teso- rieri erano assistiti da due ragionieri e da due notai , uno dei quali , ser Arrigo Fei , « sapeva trovar modo di avere denari, onde che venissero », creando « nuove ed isformate gabelle » (1). Fu suo giudice delle ragioni Simone da Norcia, al dir del Villani, « più barattiere di coloro che condannava per baratteria » (2), talché il duca stesso dovette talvolta riparare alle sue palesi ingiustizie. E un' ammenda per le sue enormezze nell' assolvere o condannare o favorire per danaro, Gualtieri fu costretto

(1) Villani, XII, 8.

(2) Idem.

IL DUCA D* ATENE NELLA POESIA CONTEMPOEANEA 403

di imporre a Meliaduso d'Ascoli suo podestà a Pistoia. Conservatore di libertà e capitano del popolo era Gu- glielmo Bini d'Assisi, assassino e carnefice, « che gua- stava gli uomini a diletto, come se fossero istati cani, e faceva le più crudeli cose che mai fossono fatte per ve- runo rettore, che reggesse in Firenze » (1) :

E per consiglio tenne il capitano

Messer Guielmo falso traditore,

E suo vicario si '1 fé' a mano a mano ;

E dopo questo, il fé' conservadore :

Onde egli fu '1 pegiore

Che pel duca fosse mai nel mondo,

Che de la rota in fondo

Il pose veramente sua rétade. Non li bastava al traditor d'Ascesi

L' ulìcio eh' a lu' era concieduto,

Che tutti gli altri ufici avea presi.

Dandogli a giente che rendean trabuto;

E non sarebe suto

Uficial si pregiato fiorentino,

Che valesse un lupino;

Che tutti li volea di sue contrade (2).

In dieci mesi e diciotto giorni erano spariti 400,000 fio- rini d' oro riscossi nella sola Firenze, senza che i cittadini sapessero il come ! Solo in appresso si venne a conoscere che la metà, per previdenza del duca, se n' era ita o in Napoli 0 nella Francia:

r non so ben chi si fosse coloro Che soferisson tanti gravi pesi,

(1) Frammenti di Cronica in seguilo a quella di Donato Vellutf Firenze, 1731, p. 445.

(2) Pucci, Ballala.

404 ANTONIO MEDIN

Gh' ottocento miglia' di florin d' oro

Vennero in mano al duca in dieci mesi,

Che non ne furon spesi

Meza r ottava parte in ben comune :

Onde tutt' una fune

Tiraron gli amator de la cittade.

Così il Pucci, computando di certo anche i danari venuti dal di fuori. Di costumi corrotti, Gualtieri abolì « per amore di donna » (1) ogni legge suntuaria ; sicché a sfogo di li- bidine « quamplurima virgines et honorabiles domine violenter cohacte fuerunt prò ipsius ducis et suorum offi- cialium personis ad adulteria, stupra et similia commic- tenda » (2). Egli, infierendo contro i popolani grassi, vo- leva che il suo potere poggiasse sul favore del popolo minuto e dei magnati; ma, proteggendo l'uno, le pro- messe a' secondi naturalmente venivano meno, sicché que- sti si tennero per ingannati e traditi. E quando « per le male ricolte montò il grano più di soldi venti lo staio » (3), anche il popolo minuto si alienò da lui.

Firenze non si muove, se tutta non si duole, di- ceva un antico proverbio toscano: ora, dunque, che, per ripetere la frase assai espressiva e frequente nel Tre- cento (4), gli amatori della città tiravano tutti una fune, era giunto il momento di rivendicare l' indipendenza perduta.

E che pensava intanto Agnolo Torini, il quale, come abbiamo veduto, fidando che il duca volesse e sapesse

(1) Villani, XII, 8.

(2) Documento 376 dei pubblicati dal Paoli.

(3) Villani, XII, 16.

(4) Questo concetto, che noi troviamo anciie nel Tcsoretto di Rru- netlo Latini, si vede raffiguralo nell' affresco del Buon Governo nel pa- lazzo comunale di Siena.

IL DUCA D* ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 405

ristorare le sorti di Firenze, non avea mancato di por- gergli i migliori consigli? Il nuovo signore aveva voluto mostrarsi non funesto al clero, facendo donazioni alle chiese, restituendo ad esso i beni ond' era stato spogliato e rimettendo i chierici nelle loro parrocchie o probende : ma sottomettendoli alla legge comune, ed affidando a' laici la direzione dei luoghi pii, cadde tosto in disgrazia presso di loro. Anche il Torini si sarà doluto di ciò; tuttavia in luogo di chiamarlo disonesto e perverso, come facevano quelli che più avrebbero do\Tito esercitare la mansuetu- dine, gli indirizzò una seconda, ma assai più breve can- zone, nella quale rampognandolo con cristiana indulgenza, gli palesa il suo rammarico per le non corrisposte spe- ranze. La tua persona, gh dice, è « di virtù lucentissima » , ma si mostra a diffettuosissima di consiglio » ; onde devi provvedere affinché i buoni propositi non sieno deviati dai rei consigli, i quali potrebbero recar danno al tuo buon volere e all' « oppinare di que' sperano » . Cosi nell' unica strofe di questa canzone, che si chiude co' versi seguenti :

I buoni consigli a sommo stato trassono Già molti, i quali erano in basso positi; Cosi fur, per li oppositi, Redutti in basso assai che 'n altezza erano: Dunque provido t'arma di prudenzia, Ch'eterna i regni; sicché gloriosa Dirsi possa per te la tua Firenze.

Per ben altro, che per rendere gloriosa Firenze, il duca doveva armarsi di prudenza, ora che sul suo capo ru- moreggiava r imminente bufera ! I popolani ricchi aveano fatto causa comune coi grandi, sicuri che il popolo mi- nuto li avrebbe secondati: ma il duca, naturalmente so- spettoso, non aveva mancato di prendere i necessari prov- vedimenti, facendo fortificare il suo palazzo e rendendolo

406 ANTONIO MEDIN

a mo' di fortezza coli' abbattere, senza alcuna indennità, le case de' confinanti.

E cominciossi forte a 'ncastellare, Gom' uom che mai lassar non si credea ; E molte case altrui si fé' disfare, E ma' danar' mendar no ne volea : E se 'n Firenze avea palazo alcuno Gh' a sua giente piacesse, Fosse di chi volesse, Ghe votar lo facea con cruteltade (1).

Tre furono le congiure che si ordirono contemporanea- mente contro di lui « non sapendo al cominciamento runa setta dell'altra» (2); ma dipoi un masnadiere se- nese, che facea parte della terza congiura, la rivelò per averne consiglio a Francesco Brunelleschi, il quale « per paura di non esserne incolpato, ovvero per male de' suoi nemici » (3), manifestò ogni cosa al duca, che in tal modo potè insignorirsi del capo, Antonio di Baldinaccio Adi- mari. Ma : « trovando la congiura contro a lui si grande, e che tanti grandi e possenti cittadini vi teneano mano , pensossi di fare una gran vendetta e crudele di molti cit- tadini con gran tradimento. Che perché sabato mattina, a' di 26 di luglio, era il di sant' Anna, il di innanzi fece richiedere molti cittadini, che furono più di trecento de' maggiori di Firenze, grandi e popolani d' ogni famiglia e casato, eh' eglino venissero dinanzi a lui in palagio, per consigliarlo quello avesse a fare de' presi, con intenzione (e questo poi fu fuori di Firenze manifesto) che come

(1) Pucci, Ballata, str. 2.

(2) Villani, XII. 16.

(3) idem.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPOBANEA 407

fossero nella sala del palagio, di far serrare la sala, e quanti dentro ve n' avesse far uccidere e tagliare, e cor- rere la terra al modo fece l'empissimo Totila flagellum Bei quando distrusse Firenze. Ma Iddio che sempre ha

guarentita al bisogno la nostra città , la guardò di tanto

male e pericolo ; che prima mise sospetto in cuore a tutti i richiesti di non andare in palagio al detto consiglio, intra' quali ve n' avea molti de' congiurati : e poi il di me- desimo quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo tra loro ogni ingiuria e malavoglienza, scopren- dosi r una setta all' altra di loro ordini e trattati, tutti s'armarono per rubellarsi da lui » (1). Il 26 di luglio 1343, tolto pretesto da una fittizia zuffa di ribaldi e di fanti, tutti i cittadini nelle loro contrade presero l' armi, e spie- gando al sole le insegne del popolo e del comune, gri- darono : Muoia il duca e* suoi seguaci, e viva il popolo di Firenze e 'l comune e libertà (2). Invano gli amici di Gualtieri si opposero, rispondendo: Viva il signore lo duca, perché « quasi tutti i cittadini erano sommossi a furore contro a lui » (3). « E come si cominciò il detto romore. Corso di messer Amerigo Donati co' suoi fratelli e altri seguaci, eh' aveano loro amici e parenti in prigione, assalirono e combatterono le carceri delle Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca eh' erano di legname, e coir aiuto de' prigioni d' entro ruppero le dette carceri, e

uscirne tutti i prigioni, e con quello impeto assalirono

e combatterono il palagio del podestà ; e rubato il pa- lagio d' ogni arnese in fino alle finestre e panche del Co- mune; e ogni atto e scritture vi furono prese e arse, e

(1) Villani, XII, 16.

(2) idem, XII, 17.

(3) Idem.

408 ANTONIO MEDIN

rotta la carcere della Volognana, e scapolati i prigioni. E poi ruppero la camera del comune, e di quella tratti tutti i libri ov' erano scritti gli sbanditi e rubelli . e condannati, e arsi tutti ; e simile rubati gli atti dell' ufficiale della mercatanzia senza contrasto ninno » (1). Il qual brano, se non sapessimo che tutta questa ultima parte della Cro- naca del Villani gli era ignota, potremmo credere che il Pucci avesse sott' occhio, quando scrisse nella sua Ballata:

El pregiato donzel Corso Donati

Subitamente montò in arcione,

E co molti compagni ben armati

Se n' andò di pregient' a la prigione,

E, senza far tendone,

Vi mise fuoco, donde tutti quanti

N'uscirò a luì davanti,

Si come è da pregiar sua nobìltade. Poi se n'andò al palazo del Vicario,

Ed anche mise fuoco ne le porte,

Si che ne '1 mise fuori a suo contrario,

E dentro mise '1 popol molto forte :

E, temendo di morte,

Abandonaro ciò ched' egli aviéno,

che '1 palazo pieno

Rubato fu, senz' altra aversitade. Ed arse poi la Camera degli atti,

E tutti quanti i libri di banditi;

Si che, senza vantarsi, senza patti,

A questa volta son di bando usciti

Per si fatti partiti,

Che mai non si ricorda che più fosse;

Ma da Dio ere' che mosse.

Perché molt' era di nicissitade.

(1) Villani, idem.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 409

Mentre il duca stava assediato in Palazzo, il popolo pensò di vendicarsi degli odiosi ufficiali di lui: il merco- ledì 30 di luglio fu preso il giudice Simone di Norcia e « tutto tagliato a pezzi » ; e « ser Arrigo Fei, eh' era sopra le gabelle, fuggendosi da' Servi vestito come frate, conosciuto da San Gallo, fu morto, e poi da' fanciulli tranato ignudo per tutta la città, e poi in sulla piazza de' Priori impeso per li piedi, e sparato e sbarrato come porco » (1). Il primo di agosto i Borgognoni assediati in Palazzo, vedendosi agli estremi, costrinsero il Duca di abbandonare Guglielmo d'Assisi e Gabriello suo figlio alla vendetta del popolo, che li chiedeva come patto della ca- pitolazione ; e Gabriello prima « pinsero fuori dello anti- porto del palagio in mano dell'arrabbiato popolo e de' pa- renti e amici cui il padre avea giustiziati , Altoviti, Medici e Rucellai, e quelli di Dettone principali, e più altri. I quali in presenza del padre per più suo dolore, il suo figliuolo pinto fuori innanzi il tagliarono e smembrarono a minuti pezzi; e, ciò fatto, pinsero fuori il Conservatore e fecero il simigliante, e chi ne portava un pezzo in su la lancia, e chi in su la spada per tutta la città; ed eb- bevi de' si crudeli, e con furia si bestiale e tanto ani- mosa, che mangiarono delle loro carni crude e cotte » (2).

E il Pucci allo stesso modo de' cronisti :

Se Firenze à renduto guiderdone A' rettor eh' anno male adoperato , Dimandisi di ciò messer Simone, De la ragione giudice chiamato: Che prima fu rubato Ciò eh' elli avea di sua baratteria , Po', per la sua follia, Dal popol fu speciato co le spade.

(1) Villani, idem.

(2) Idem.

410 ANTONIO MEDIN

L'Altopascin (1), che senza aver fallato Faciea morire i cittadini arditi , Parme che l' abian ora meritato Medici e Rucielai ed Altoviti, Che con aspri partiti Ucison prima il figlio, e poscia lui; E beato colui Che strascinar ne potea per le strade!

Dopo tutto questo, e inseguito alla costituzione della balia di quattordici nobili cittadini, al duca non restava cbe capitolare, se voleva salva la vita.

La storia della rinunzia che Gualtieri fece della si- gnoria di Firenze, è più esattamente che altrove narrata ne' suoi particolari in quei frammenti che nella stampa sono aggiunti alla Cronaca di Donato Velluti. Il primo giorno di agosto i notari Folco di ser Antonio e Bona- ventura Monachi stipularono l' atto di rinunzia del duca. « A die 2 d'agosto anno 1343 si fece uno Consiglio a modo di parlamento in Santa Liperata , . . . . e levossi in Aringhieria il Vescovo nostro, e disse come il Duca aveva rotta la bacchetta, e gittatala in terra, e rifiutata la Si- gnoria di Firenze, e di tutto il distretto suo di Firenze, e come s' arrendeva, e dava il Palagio, ed egli volea esser sano e sicuro, egli e tutta la sua gente, e andarsene a casa sua; e questo ne fece carta Ser Folco, ch'era no- taio istato de' Priori A 3 d' agosto in Domenica

anno 1343 i quattordici uomini di Firenze chiamati sopra a racconciare la città detti di sopra, andarono in sullo Palagio de' Priori , e andovvi il conte Simone e molta gente , e '1 Duca rifiutò la signoria , e disse come egli

(1) Cioè Guglielmo d'Assisi. Dicevasi AUopascino (cosi il Paoli), uno che sapesse e praticasse l' arte di vivere a spese altrui.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 411

avea presa questa signoria a tradimento per inganno, e per falsitade, come non dovea, e come rifiutava ogni signoria di Firenze e del suo distretto di Firenze ; e gittò il detto Duca la bacchetta in terra, e poi la raccolse, e diélla a questi 14 uomini, e die loro la Signoria per lo Comune di Firenze, e furono Signori questi 14 uomini per lo Comune, e di questo ne fece carta; e il Duca uscìe la sera della Camera sua, ed entraronvi questi 14 uomini, ed egli per grazia fatta a lui si stette in altra Camera, egli e 15 di sua gente: e in questo di andòe il bando parecchie volte, che ogni uomo ponesse giù r arme , e stormeggiarono le campane del palagio de' Priori e della Podestà, e fecesi grandissimo falò in sullo Palagio, e per Firenze fu in ogni lato, e fue una gran- dissima festa ed allegrezza oggi in Firenze, sendo noi cosi entrati in signoria si tosto (1) ». Non vi può esser dubbio : il primo di agosto i 14 uomini ebbero la signoria di diritto ; il tre , di fatto : onde il Villani, dal Paoli e dal Perrens tacciato d' inesattezza , dicendo che « a' di 3 di agosto il duca si arrendè e diede il palagio al vescovo e a' quattordici » (2) , fu nel vero.

Ai cronisti, nel!' attestare la gioia ineffabile de' Fio- rentini per la ricuperata libertà, consuonano i poeti:

Viva la libertade, Ch'à rinfrancato il comun di Firenza, Che sua raagniiìcenza Aveva sottoposta a fedeltade!

esclama il Pucci, consigliando nello stesso tempo i suoi concittadini a vivere concordi per amore della indipen- denza :

(1) Op. cit., pp. 145-47.

(2) XII, 1 7. Cfr. Paoli, Giornale Storico degli Archivi Toscani, voi. VI, p. 172, e Pekrens, T. IV, 310.

412 ANTONIO MEDIN

Colui eh' è fonte di misericordia, Con tutti i santi suoi di Paradiso, Metta tra' Fiorentin tanta concordia , Che r un da l' altro mai non sia diviso ; Ma, con giuoco e con riso, Regnino in unità co' lor vicini , A ciò che sempre chini Chi contr' a lor movesse novitade.

E Paolo deir Abbaco:

Cari frategli, poi che Dio verace Liberi ci ha dal singular nimico. Deh, sia concordia in voi, amore e pace, Guardandovi diretro al mondo antico. Che v' era amorevole e fallace Come eravate l'un coli' altro amico, Perché volge Fortuna suo temone Come ci trova sparti da ragione.

E dopo di aver detto che prima di ogni cosa occorre « ordinare la giustizia », seguita:

Io vidi il padre col figlio legare Alcun de' figli per cervello scemo , Perché non possa offender guastare Sua propia casa, recarla a stremo: Cosi vorrei che voi volesti fare Contro a chi contro vi volgesse remo, Massime a que' della cittadinanza. Poscia a chi fosse fuor guidar la danza.

Non fate come que' eh' era 'n sul ponte, Secondo Isopo, e come vi paleso, Che con sue voglie agutissime e pronte Aveva un pezzo di suo cibo preso; Poi parve giù, come m chiarito fonte. Un altro, cui maggior n'.have sospeso;

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 413

Lasciando il suo cader per quel nell' acque, D' averne poi verun sua forza tacque. Voi siete siri agli ordini ed a' fatti , Vedendo il volgo in diviso e in parte: Or non siate nel muover troppo ratti Dove ignoranza dispieghi le sarte, Perché secondo li celesti patti Retrogradar vedrassi tosto Marte (1); Sicché guardate ben quel che ne segue Di suo stornar, se pace o guerra o tregue.

E finisce raccomandando ai nuovi signori

que' della minuta schiera Che seguon voi, come nocchiere stella, Con degno provedere in lor misera.

Già il ìVillani aveva notato, a che come il detto duca occupò con frode e tradimento la libertà della repubblica di Firenze il di nostra Donna di settembre, non guar- dando sua revenza; quasi per vendetta divina cosi per- mise Iddio, che i franchi cittadini con armata mano la racquistassero il di della sua madre madonna santa Anna, a di 26 di luglio 1343; per la qual grazia s'ordinò per lo comune, che la festa di santa Anna si guardasse come Pasqua sempre di Firenze, e si celebrasse solenne uficio e grande offerta per lo comune e per tutte l'arti di Fi- renze » (2). E di questa curiosa coincidenza dovettero tutti i Fiorentini lietamente ragionare tra loro, perché anche il Pucci ne parla allo stesso modo del Villani, pur non attingendo sicuramente da lui:

(1) 11 pianeta, non il Dio.

(2) XIl, 17.

414 ANTONIO MEDIN

II giorno della Donna ebe per manna Il duca di Firenze signoria, E fu disposto il giorno di Sant' Anna , Gh' è madre della Vergine Maria : E si come di pria

Si disse Viva, viva con gmn gioia, Si gridò Muoia, muoia Comunemente d' una volontade.

Il duca si parti di Firenze nella notte dal 5 al 6 ago- sto, (( e non ne portò danaio (1) se none il vasella- mento , eh' egli avea fatto fare d' oro e d' ariento , che valea bene 30,000 fiorini d' oro. Questo ne portò, e non altro, e tornossi in sua terra molto tristo » (2). Di lui restava in Firenze il ricordo de' suoi misfatti, che il po- polo ebbe eternati e nel Lamento del Pucci, e in que' versetti che ad infamia del duca e de' suoi ministri il Comune fece scrivere l' anno appresso nella facciata del palazzo del Podestà e in altri luoghi. È fama (e qui devo ripetere quanto riferii altra volta (3)) che, cacciato il duca, Simone da Siena lo ritraesse nella figura di Longino, in quella crocifissione che si ammira ancora nel Cappellone degli Spagnuoli in S. Maria Novella. Nel fabbricato, dove fu la prigione delle Stinche, è un affresco che rappre- senta la memoranda cacciata. Vi è effigiata S. Anna in atto di porgere le bandiere del Comune e del Popolo ai cittadini armati, accennando loro di difendere il palazzo della Signoria, che presenta nel disegno i lavori di forti- ficazione fattivi dal duca. In alto è l'Eterno, che con un dardo mette in fuga Gualtieri, vestito in quella foggia francese di che si lamentò il Villani: un mostro simbo-

(1) Ma noi abbiamo veduto che pel denaro aveva provvisto innanzi.

(2) Frammenti cit. p. 147.

(3) Lamenti Storici^ voi. I, pp. Ìl-i9.

IL DUCA D' ATENE NELLA POESIA CONTEMPORANEA 415

leggiante la frode lo rode nel seno: la sua bandiera e il libro delle leggi sono gettati per terra. In basso del di- pinto è una iscrizione in versi, di cui non si leggono che poche parole, e fra queste Aspro Tiranno ; ond' è facile arguire che esprimesse un giuramento o un' impreca- zione dei Fiorentini (1). Ancora: nel 1344 fu fatto di- pingere da Tommaso di Stefano detto il Giottino il ritratto del duca nella torre del palazzo del Podestà (oggi Bar- gello) ed insieme quelli di tutti i suoi ministri, ponendo sopra la testa ed a' piedi 1' arme della famiglia loro , e scrivendo nelle mitere di ciascuno alcuni versi, che oggi più non si veggono, ma che ci furono conservati in pa- recchi codici.

Compendiata in pochi versi efficaci tutta la storia della sua vita fino al giorno della cacciata, il duca deplora nel Lamento, che fortuna lo abbia lasciato

con vita a si mal porto; Che meglio mi serebe d' esser morto

Che cosi vivo;

poiché non sa dove ed a cui rivolgersi che « non sia sempre tenuto cattivo e vile e stolto ». E ripensando a' suoi fidi, a Gualtieri e Giovanni di Chàtillon, a Vitasso di Moroglio, a Giovanni de Broy e a Gualtieri di Loro, che egli avrebbe voluto « far fioriti » e che furono in- vece a sua cagione vituperati; il dolore per la miseria sua e il rimorso per le sventure de' suoi cari baroni gli inspirano un' esclamazione dalla mossa veramente lirica :

Omè, Firenze bella da godere, Che fusti mia quanto fu tuo piacere! Che s'io t'avessi saputa tenere

Quando t' avia,

(1) Giom. degli Archivi Toscani, T. VI, p. 83. Voi. IH, Parte I. 27

416 ANTONIO MEDIN

Non a via 'n Talia magior signoria, Secondo '1 mio parer, che era la mia : Or t' ò perduta per l' altru' folia

E per inganno.

Concetto questo, che cioè la causa principale della caduta del duca fossero stati i suoi ufQciali, che il Pucci ripete alcuni versi appresso, dicendo:

io mi son fidato Sempre di que' che m' àn vitoperato

A lor vantaggio;

e che si indovina in quella strofe della Ballata, ove il poeta banditore giudica apertamente:

Se mai al mondo furon uficiali Gh'a regiemento fosser barattieri, Furon col duca; falsi e misleali, A petizion di cierti forestieri: Ed anche volentieri Faciean riconperare i terazzani; E chi venia a le mani Senza danar, non avevan pietade.

Ma allorché si ricordi (e fu pure osservato dal Paoli) come anche Agnolo Torini nella seconda delle sue can- zoni riversi tutta la colpa su quegli sciagurati, e quando si pensi come i Fiorentini non abbiano fatto alcun danno alla persona di Gualtieri, inveendo ferocemente contro i suoi ministri, apparirà manifesto che il Pucci espresse la comune opinione de' suoi concittadini. A Guglielmo Bini principalmente doveva il duca la fama di crudele:

0 Guilielmo d'Asciesi, il tuo afanno Non ristora però il greve danno; Che regier mi facie' come tiranno

Crudelmente.

IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA CONTEMPOEANEA 417

Alle quali parole paiono rispondere i versi scritti sulla mitera del conservatore di libertà, che l' accusa ritorce sul duca cosi:

Tu mi facesti pili eh' altr' uom crudele ;

Però mi grava pili la tua partita,

Che quel furore in ch'io perdei la vita.

Il vescovo di Lecce, suo cancelliere, lo aveva, più che non fosse, fatto apparire frodolento, e Cerrettieri Visdo- mini, menzognero:

0 vescovo di Leccio frodulente, Che fidandomi in te come parente, Tu facevi riconprar la gente

A la bisogna! Per creder, Gerittieri, a tua menciogna, Da' Fiorentin mi parti' con vergogna : che grattar mi convien senza rogna

Di legiero;

giudizio che i versi scritti sopra la testa di questo con- sigliere del duca confermano:

Come potevi tu durar signore, Essendo in vizi et in peccati involto, E me per tuo consiglio avermi tolto?

« Ond' io, conclude il duca, per voi son cosi arivato, Ed a mia colpa. » Colpa di fatto egli ebbe, come il Pucci gli fa confessare nel sirventese, e di aver « pigliato Fi- renze pe' crini » , mentre avrebbe dovuto sapere « eh' e Fiorentini Gente non son da tener con gì' uncini. Ma con amor »; e di non essersi avvisato

Gh' i' non ehi di lor coLil mercato, Se non per divisione, e per lo stato

Gh' alerà avièno.

418 ANTONIO MEDIN IL DUCA d' ATENE NELLA POESIA ECC.

Onde, perché mi desser molto a pieno La signoria, i' dove' poner freno Al mio volere, e prender 'nanzi meno

Che tal soperchio.

Cosi immaginava il Pucci avesse dovuto rimordersi e ram- maricarsi il duca d'Atene; il quale invece nutriva in cuor suo solo il desiderio di vendetta, chiedendo soccorso e ai principi di Napoh succeduti a Roberto, e a papa Cle- mente VI e a Filippo di Valois, che megho d' ogni altro sembrava disposto a proteggerlo. Ma i Fiorentini, alle parole concihative del pontefice e alle intimazioni del re di Francia, risposero promettendo diecimila fiorini d'oro a chi portasse la testa del tiranno, e le male opere di Gualtieri contro i loro concittadini dimoranti in Francia punirono colle figure e co' versetti nella torre del Bar- gello : quanto al resto, de' suoi vani tentativi per prov- vedersi un principato nel regno di Napoh, e della sua morte gloriosa sui campi di Poitiers (1356), non è alcun cenno nei poeti contemporanei. Sicché, le parole onde il Pucci prese allora congedo dal popolo fiorentino, ac- corso a udire raccolta nelle agih strofe del sirventese la storia della sua breve servitù e della riconquistata hbertà, a me piace ora ripetere chiudendo:

Per questa volta più dir non intendo:

A vostro onore.

Antonio Medin

INDICE del Volarne III.', Parte I.'

G. Mazzoni: Laudi Cortonesi del secolo XIH (Continuaz.

e fine) Pag. 5

C. Appel: I Proverbi di Garzo in appendice alle Laudi

Cortonesi » 49

S. BoNGi: Ingiurie, improperi, contumelie ecc. Saggio di lingua parlata del trecento cavato dai libri cri- minali di Lucca » 75

G. MiGNiNi: La Epistola di Flavio Biondo De Locutione

Romana » 135

G. Zannoni: Trionfo delle lodi di Federico da Monte- feltro Duca d'Urbino » 162

V. FiNZi : Di un' inedita traduzione in prosa italiana del

poema De lapidibus praetiosis » 188

A. Gaudenzi: Guidonis Fabe Summa Dictaminis (Continua) » 287

C. Panizza : Un' epistola in versi di A. Campesano . . » 356

G. Mazzoni: Noterelle su Giovanni Rucellai » 374

A. Medin: Il Duca d'Atene nella poesia contemporanea . » 389

Miscellanea.

E. Teza: Osservazioni di un lettore » 225

» Dantiana » 232

» Una pagina da rivedere nel Messaggiero di T. Tasso » 235

420 INDICE

G. Mazzoni: Ancora su Garzo Pag. 238

M. Menghini: Due noterelle dantesche 240

F. Pellegrini: Guido Guinizelli podestà a Castelfranco . » 245

A. Serena: Un Canzoniere del secolo XVII » 256

M. Menghini : Dodici rispetti popolari inediti » 274

C. Appel: Errata-Corrige » 285

Bibliografia.

A. Bacchi della Lega: Bibliografia dei testi di lingua

a stampa. Appendice » 339

IL PROPUGNATORE

NUOVA SERIE

IL PROPUGNATORE

NUOVA SERIE

PERIODICO BIMESTRALE

DIRETTO

DA

GIOSUÈ CARDUCCI

COMPILATO

DA

A. BACCHI DELLA LEGA, T. CASINI, C. FRATI, G. MAZZONI, S. MORPMGO, A. ZENATTI, 0. ZENATTl

Voi. III. - Parte II.

BOLOGNA

PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA

Libraio-editore della R. Connaissione pe' Testi di Lingua

1890

Proprietà Letteraria

Bologna 1890. Tipi Fava n Garapnani

BIBLIOGRAFIA

SUPPLEMENTO

ALLE

OPERE VOLGARI A STAMPA DEI SEC. XIII E XIV

INDICATE E DESCRITTE

DA FRANCESCO ZAMBllINI

Pubblicazioni dell' anno 1884.

1. A. ToBLER, Das Riich des Ugiicon da Laodìio [Estr. dalle Abandl. d. k. pretiss. Akad. d. Wissenschaften]. BerUn, Verlag d. Akademie, 1884; 4^ pp. 96.

«Lo libro deUgufon da Laodho », qui prodotto con un' ampia illustrazione filologica, si legge nelle ce. 50^-83* del noto codice di an- tichi testi dialettali dell' alta Italia, già Saibante, poi Hamilton , ora , col n.° 390, nella r. Biblioteca di Berlino. È una compilazione didattico-mo- rale, di materia ascetica, compresa in 1843 versi, dei quali i primi 702 quasi tutti alessandrini a tirate raonorime, i successivi novenari legati a coppie. Comincia:

Al to nome comenpo, pare, deu creator, divina maiestà, verasio salvator.

È notevole che i vv. 1067-1080, e quasi tutti quelli dal 1713 alla fine si ritrovano identici, o con varianti leggerissime, nel poemetto di Piero da Bescapé pubblicato dal Biondelli (OV., 819). Cfr. Rivista Critica, I, 57, e Giom. stor.. Ili, 458.

2. Leandro Biadene, La Passione e Risurrezione: poemetto veronese del sec. XIII [Negli Studi di filologia romanza, voi. I, 1884, pp. 215-75].

b BIBLIOGRAFIA

Consta di 284 alessandrini a serie monorime, che cominciano :

Alidi, bona zent, questa mìa rason col cor e cum la ment e cum la entension, la qual no é parabole, fiabe, canson, anse de Jesù Cristo la vera passTon.

Il testo, corredato d' una compiuta illustrazione filologica , fu rico- struito sui due codici. Marciano XIII (Zanetti), e XIII A (lat.) della bi- blioteca arcivescovile di Udine, quest' ultimo contenente la redazione pri- mitiva e più completa, laddove il primo manca della storia della Risur- rezione e ha invece parecchi versi interpolati. In appendice sono rasse- gnati vari componimenti poetici dei primi secoli sullo stesso argomento; e fra questi il Passio domini nostri Yesu Christi Secondo e anno scritto i Vangelisti , cioè un capitolo di endecasillabi a coppie , rimati da Messer Dolcibene buffone, del quale si riportano (pp. 272-74) i primi 16 versi secondo che si leggono nei codd. Riccardiani 1764 e 2760, nel MagUab. II. 248, in un cod. Landau, e nel ms. 7. 1. 52 della Colombina di Siviglia. Di quest' ultimo, contenente una notevole rac- colta d'antichi testi poetici veneti, è data anche la tavola in nota alle pp. 269-71.

3. / manoscritti della libreria del Comune e dell'Ac- cademia Etrusca di Cortona, descritti da Girolamo Mancini. Cortona, tip. Bimbi, 1884; 8°, pp. XXXI-284.

a pag. 51, descrivendo il cod. 91, ms. del sec. XIII-IV, contenente una importante raccolta di laudi cortonesi, ne produce per saggio quella in onore del b. Guido VagnotteUi, cioè una ballata che com. : Buoìio canto sia canta.

4. G. Padovan, Gli ufflzii dramatici dei disciplinati di Gubbio [NeW Arch. stor. per le Marche e per l'Umbria, voi. I, 1884, pp. 1-19].

Fanno appendice a questo studio, oltre ad alcuni brevi documenti in volgare degli anni 1344-58, 1406, '28 e '48, ricavati dall'Archivio della Congregazione di carità di Gubbio, tre laudi eugubine tratte da un codice posseduto già da G. Mazzatinli (ora nella Riblioteca Landau) e da lui pubblicato poi intieramente nel Propugnatore (N. S. , II , i). Le tre laudi prodotte dal Padovan constano di ottonari a sestine {ahahcc\ e cominciano: 1. Venete a pianger com Maria; 2. Io so Christo salva- tore; 3. Torniamo a ppenetenza.

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5. Un Pater Noster del secolo XIV [edito da G. BiADEGO nel Propugnatore, V. S. , voi. XVII, 1884, p. ii, pp. 3-11].

Dal codice 827 della Biblioteca Comunale di Verona. Consta di 21 ottave, che cominciano: 0 Dio eterno, che Adamo formasti. Nella pre- messa, il B. riporta anche il principio dell'orazione domenicale come è parafrasata nel noto codice marciano XIII it.: Pater Noster, qui es in celis. Quale quel ke voi clamar.

6. Una fiorita di orazioni e di laudi antiche in rima sul tumolo della Clelia Vespignani [pubblicata da Francesco Zambrini, per la IX Commemorazione del transito della Clelia Vespignani]. Imola, Galeati, 1884; 16^ pp. XIII-266. Ediz. n. V.

Cfr. OV. Ap., 59. Le laudi, orazioni e leggenduzze spirituali che compongono questa fiorita appartengono per la massima parte al sec. XV: poche cose del Petrarca , molte di Feo Belcari e di Francesco d' Albizo.

7. Adolfo Mussafia, Mittheilungen aus romanischen Handschriften. I: Ein altneapolitanisches « Regimen sa- nitatis » . [Estr. dai Sitzungsberichte d. phil. Classe d. k. k. Akad. der Wissenschaften voi. CVI, fase. II, p. 507]. Vienna, Gerold, 1884; 8^ pp. 122.

Dal cod. XIII. C. 37 della Biblioteca Nazionale di NapoU trae in luce il Liher de regimine sanitatis, cioè un poemetto di 112 strofe napolitane, come questa:

Novellamente veneme plenaria volontate alcuno dicto scrivere per fare utilitate comunalmente all'omini, che no so lect erate: quamvis de chesto pregato non sono, ad ciò me move lo comone bono.

Al testo seguitano le varianti dell'altro cod. napolitano XIV. G. 11, che presenta solo un brano del poemetto, e copiose note filologiche, e un glossario.

8. Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D'Ancona

8 BIBLIOGRAFIA

e D. CoMPARETTi. Voi. III. Bologna, Romagnoli, 1884; 8°, pp. 402, più tre non num., di aggiunte e correzioni.

Cfr. 07., 87-78 e Ap. 135. Comprende i componimenti cc-cccxxv del canzoniere vaticano; e più precisamente: di Chiaro Davanzali 62 canzoni; una di Ciacco dell'Anguillaia; una di Baldo da Passignano; 11 di Monte Andrea; una di Tommaso da Faen- za; due di Bonagiunta Orbiciani; una di Neri ; una di La-

puccio Belfradelli; una di Paolo Zoppo bolognese; una di Neri de' Vis domini; una di Guido delle Colonne; una canz. e tre son. di Panuccio del Bagno; una canz. di Dante; una canzone, una cobbola e tre ball, di Ciuncio; una canz. di Neri del Pave- sai©; una stanza di canz. di Bartolo Loffi fiorentino; un son. di Nacchio di Pachio; 28 canz. e due ball, anonime. Cfr. le recensioni di T. Casini e di A. Mussafia nella Riv. Crii. , I, 69-78 e III, 72-78; di A. Gaspary nella Zeiischrift f. rom. PM., voi. IX, pp. 571-89.

9. Ballate ó! amore del secolo XJII messe in luce per la prima volta [da T. Casini per le Nozze Anderloni- Veladini]. Roma, tip. Metastasio, 1884; 4°, pp. (12). e esempi, n. v.

1. E donale conforto se te chiace! ; 2. Mia nova danza a lo mio amor verace ; 3. Di sua grave pesanza. Tutte e tre adespote nel cod. vat. 3793: le prime due « sono strettamente congiunte, non essendo la seconda se non la risposta della donna alle lamentazioni dell' amante nella prima , e rivelano negli scarsi avanzi dialettali un' origine meridio- nale e più specialmente siciliana. La terza invece é toscana, e potrebbe essere di quel Ciuncio, ignoto rimatore, al quale sono assegnate nel codice medesimo altre poesie che vanno innanzi a questa ». Ma erano già a stampa tutte e tre nel Propugnatore, V. S., voi. IV, p. i, pp. 143 e segg. (cfr. OV., 281).

10. Dottrina d'Amore: sonetti inediti tribuiti a Guido Cavalcanti [pubblicati da T. Casini, S. Morpurgo e A. Zenatti per le Nozze Torraca-Zelli Jacobuzzi], Bologna, tip. Zanichelli, 1884; 4°, pp. 11. xxi esempi, n. v.

1. D' Amore vene ad om tutto piacere; 2. Otto comandamenti face Amore; 3. Quando l'Amor il su' servo partito. Dal cod. vat. 3793. Per l'attribuzione al Cavalcanti, cfr. le Annotazioni critiche sulle

PUBBLICAZIONI DEL 1884 9

antiche rime volgari del cod. vaticano ordinate da T. Casini, Bologna, 1888, p. 182 e segg.

11. Studi sulla letteratura italiana de' primi secoli, per Alessandro D' Ancona. Ancona, Morelli, 1884; 8^ pp. 460.

Nel primo di questi studi {Jacopone da Todi: il giullare di Dio del sec. XIII; cfr. OV. Ap., 75), oltre a parecchi passi di laudi iaco- poniche intercalati nel discorso, è pubblicata per intero, in appendice, una prophetia fratris Jacoponi edita in Mocci, ricavata dal cod. vat. ASTI, a Chi la scrisse a metà del secolo fu probabilmente un fraticello, che per darle maggiore autorità, si giovò della fama, tuttavia superstite fra le plebi, di Jacopone ». È un sirventese caudato di 64 strofe, che cominciano: Piò volte nella mia mente ho forzato, e seguitano con la solita rassegna profetica delle signorie italiane e dei loro malanni poUlici. Nell'ultimo studio, sopra 11 contrasto di Cielo dal Camo, si riporta (p. 281 n. 2) a confronto, una breve pastorella: In su' be' fiori e sulla verde fronda (dal cod. perugino C. 43), e si aggiunge il lesto della famigeratissima tenzone con un ampio commento e con la com- piuta bibliografia degli studi critici su Ciullo o Cielo, e delle ristampe del componimento venute fuori dopo la prima edizione di questo lavoro del D'Ancona (cfr. OV. 282). Per la letteratura ciullesca più recente, vedi le citate Amiotazioni critiche di T. Casini sulle antiche rime volgari, p. 44 e segg.

12. Della vita e delle opere di Brunetto Latini: mo- nografia di Thor Sundby, tradotta dalV originale danese per cura di Rodolfo Renier, con appendici di Isidoro Del Lungo e Adolfo Mussafia, e due testi medievali latini. Firenze, Sugo. Le Monnier, 1884; 8^ pp. XXVI- 509.

Nello studio del Sundby sono riportate per intero la canzone di ser Brunetto: S eo son distretto inamor atamente (p. 43) secondo la lezione del cod. vat. 3793, e la lettera dedicatoria che accompagna il volgarizzamento dell' orazione prò Ligario attribuito al Latini (p. 45). Nella II Appendice è ristampato lo studio del Mussafia Sul testo del Tesoro, che contiene parecchi brani d' antiche scritture, già indicati nelle OV., 545-46.

10 BIBLIOGRAFIA

13. T. Casini, Sopra alcuni manoscritti di rime del secolo XIII. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. Ili, 161-91, e IV, 116-28; 1884].

A pag. 169, la canzone di Guitton d'Arezzo: Tutto mi struggie in penserò e in pianto, dal cod. Riccardiano 2533.

14. Ernesto Lamma, Saggio di commento alle rime di Guido Guinicelli, con un discorso sugli scrittori bolognesi del secolo XIII [Nel Propugnatore, V. S., voi. XVII, 1884, p. II, pp. 174-238].

Vi sono riferiti: due sonetti del Guinizelli: 0 caro padre meo, di vostra laude (p. 181), e Io vo* del ver la mia donna lodare (p. 187); la ballata di Onesto Bolognese: La partenza che fo do- lorosa (p. 196); il sonetto della creduta rimatrice trecentista Gio- vanna Bianchetti: Creder si dèe che a chi maggior dolore (p. 199).

15. La Vita Nuova di Dante Alighieri illustrata da note, e preceduta da uno studio su Beatrice, per Ales- sandro D'Ancona. 2.^ edizione, notevolmente accresciuta per uso delle scuole secondarie classiche e tecniche. Pisa, lib. Galileo (tip. Nistri), 1884; 8^ pp. LXXXVIII-257.

Cfr. OV. 342 e Ap. 4.5. Non sono in questa edizione le varianti al testo eh' erano nella prima. Ricordiamo che nel commento furono ripro- dotti i sonetti di Gino: Vinta e lassa era già V anima mia ( p. 37 ) e Naturalmente chere ogn amadore (p. 39); di Francesco da Bar- berino: T son si fatto d'una visione (p. 38); del Cavalcanti: Vedesti^ al mio parere, ogni valore ( p. 40 ) ; di D a n t e : Z)t donne vidi... (p. 182) e Guido, vorrei... (p. 183); d'incerto: Molti volendo dir che fosse Amore (p. 190); di Guido Orlandi: Per troppa sotti- glianzail fil si rompe (p. 192); dell'Angioli e ri: Dante Alighier, Cecco tuo servo e amico (p. 255); « un frammento in S'' rima attri- buito al Boccaccio » (p. 46), il quale però non è in effetto che una parte (vv. 33-60) del capitolo boccaccesco: Contento quasi ne' pensier d' amore; il sirventese del Pucci: Legiadro sermintese, pie n d'amore (p. 47), e i principi di più altri antichi sirventesi (pp. 54-55); la ballata d' Amelio Bonaguisi: Nel bel prato donzelle ( p. 51 ; cfr. OV. Ap., 18), e quella attribuita a Dante: In abito di saggia messaggera (p. 245). Cfr. su questa edizione un articolo di F. D'Ovidio nella N.

PUBBLICAZIONI DEL 1884 11

Antologia (voi. LXXIV, 238-68), dove è anche riprodotto il son. del Cavalcanti: i' vegno il giorno a te infinite volte.

16. La Divina Commedia di Dante Alighieri col commento di Pietro Fraticelli. Nuova edizione con giunte e correzioni, arricchita del ritratto e de' cenni storici in- torno al poeta, del rimario, d' un indice, e di tre tavole. Firenze, Barbèra, 1884; 8^ pp. 723-CXXX.

17. La vita e le opere di Dante Alighieri: studio preparatorio alla lettura della Divina Commedia, ad uso delle scuole secondarie, di Alessandro Piumati. Torino, Paravia, 1884 ; 16^ pp. 104.

Contiene i sonetti di Dante: Tanto gentile (p. 27), Negl'occhi porta (28), Deh peregrini (29), e Guido, vorrei (30).

18. LuD. Frati, Miscellanea dantesca. Alla libreria Dante in Firenze, 1884; 8°, pp. 46.

Cfr. OV. Ap. 107. Contiene: I. Venticinque sonetti di a Mino di Vanni Dietaiuve d'Arezzo sopra la prima parte di Dante chia- mata Inferno », prodotti dal codice Ambrosiano E. 56 sup. : 4. La in tention di colui che ne scrisse; 2. In sul coperchio d' Inferno i gai- tivi; 3, Gli amanti morti per carnale amore; 4. Golosi innudi per terra giacenti; 5. Sempre nel mondo i prodighi et gli avari; 6. In un palude so' messi i bizarri; 7. Gì' eretici per arche son sepolti; 8. Ti- ranni stati grandi rubatori; 9. Tucti color di humicidiali ; 10. Sopra una rena sempre mai arsiccia; 11. Ruffiani et lusinghieri apporta- tori; 12. Symonici col capo di sotto; 13. Incantatori co visi tra- volti; 14.. E barattieri nella bollente pece; 15. L'ypocriti incap- pati, tristi e stanchi; 16. / ladri son puniti da serpenti; 17. E fro- dulenti consiglier sepulti; 18. Commettitor di scandal', d'uccisio- ni; 19. Li falsatori archimi di metalli ; 20. Questo tormento i tra- dictor tormenta; 21. E/ piti profondo che l'Inferno abyssa; 22. Cagno fu ben grande tradictore; 23. Clio, Euterpe, Melpomene e Talia; 24. Sti- ge d'Inferno vie a dir tristitia; 25. Fanciulli, savii, gattivi, car- nali. IL Due ternari anonimi sull'Inferno e sul Purga- torio, dedicati a ser Minghino da Mezzano, che si leggono nel cod. D. II. 41 della Gambalunghiana di Himini: 1. « Nel mezzo del camin » se trova Dante ; 2. « Per correr miglior acque » invia Catone, Sul valore

12 BIBLIOGRAFIA

di queste sposizioni poetiche della Commedia cfr. Propugnatore, N. S., I, I, 348 e segg.

19. Scritti letterari di Apollo Lumini. Arezzo, B. Pi- chi, 1884; 8^ pp. 254.

Nel quinto di questi scritti {Dante e gli Aretini) sono ristampati : il primo dei 25 sonetti di Mino di Vanni d'Arezzo sull'Inferno: La intention di colui che ne scrisse (p. 114: cfr. il num. precedente) in- sieme con alcuni passi della esposizione in ternari dello stesso poeta are- tino ; i versetti fatti mettere da Antonio di Neri d'Arezzo sotto un ritratto di Dante: Onorate l'altissimo poeta (p. 116); una ballata di Be- trico d'Arezzo: Stando nel mezzo d' un' oscura valle (p. 117), e nelle pagg. segg. alcune terzine del poema di Ser Gorello. In un'ap- pendice (pp. 153-63) si aggiunsero: il son. su Dante: Chorrendo gli anni del nostro Signore, dal cod. laur. XC inf., 43 (ma non inedito come crede il Lumini: cfr. OV. 943); una « canzone morale di Messer Francesco Accolti d'Arezzo a detestazione e biasimo della Corte Romana e di tutti i preti » : Tenebrosa, crudele, avara e lorda (dal magliab. VIIL 23); e un « capitolo di Antonio Roselli a confusione dei cattivi » : Quelli or veggiam che si dirieno in sorte (dal Riccard. 1154). Cfr. Riv. Crii, I, 29.

20. Antonio Zardo, Albertino Mussato: studio storico e letterario, Padova, A. Draghi, 1884; 16°, pp. 388.

A pag. 361 ristampa (cfr. OV. Àp., 127) il sonetto di Alber- tino ad Antonio da Tempo: Fora volaro dy spirti y valore.

21. Della vita e delle opere di Albertino Mussato: saggio critico di Michele Minoia. Roma, Forzani, 1884; 8^ pp. VII-294.

Anche il Minoia riproduce (p. 209, n.) il son. di Albertino: Fora volaro dy spirti y valore.

22. Giuseppe Mazzatinti, Bosone da Gubbio e le sue opere. [Negli Studi di filologia romanza, voi. I, 1884, pp. 277-334].

Contiene: 1. Tu che stanzi lo colle ombroso e frescho (p. 283 n. 1), son. di <i Danti a messer Bozone Raphaellij d'Agobbio »,come si legge neir originale membranaceo della Sperelliana di Gubbio, che già si disse

PUBBLICAZIONI DEL 1884 13

autografo dell' Alighieri, mentre invece è scritto nel sec. XVI ; 2. Duo lumi son di novo spenti al mondo (p. 330), son. di « Messer Bosone a Manoello Giudeo essendo morto Dante » ; 3. Io che trassi le lagrime dal fondo (p. 330), « risposta di Manoello a Messer Bosone »; 4. Mes- ser Boson, lo vostro Manoello {t^. 331), son. attribuito a Gino da Pi- stoia, e mandato « a Messer Bosone essendo morto Dante et Manoello Giudeo »; 5. Manoel che mettete 'n queW avello (p. 33i2), a risposta in persona di M. Bosone ». Tutti e quattro quest'ultimi secondo il co- dice Casanatense d. V. 5. Qua e là, studiando le fonti àeW Avventuroso Ciciliano, il M. ne riferisce alcuni passi, mettendoli a fronte con luoghi corrispondenti del Compagni e di G. Villani, dei Fatti di Cesare e dei volgarizzamenti da Sallustio attribuiti a B. Latini.

23. Pietro de' Fay tinelli detto Mugnone, e il moto di Uguccione della Faggiola in Toscana: studio storico- critico di Egisto Gerunzi. [Estratto dal Propugnatore, V. S. , voi. XVII, p. II]. Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1884; 8^ pp. 55.

Insieme con più altri, riferiti parzialmente, vi si leggono ripubbU- cati per intero i seguenti sonetti. Del Fay tinelli: Noìi speri 'l pigro re di Carlo erede (p. 23); ErcoL Cibele, Vesta e la Minerva (p. 32); Veder mi par già quel de la Faggiola (p. 4-1); di Folgore da S. Gemignano: Più lichisati siete eh' ermellini {p. 21), Eo non fi lodo. Dio, e non ti adoro (p. 3i), quest'ultimo attribuito dal Gerunzi, ma senza troppo buone ragioni (cfr. Riv. Crii., II, 23), al Mugnone, piuttosto che a Folgore, cui l' A. ne vorrebbe togliere anche altri due per darU al poeta lucchese ; di C e e e o A n g i o 1 i e r i : S' jo fossi fuoco, io ardere lo mondo (p. 32); Egli è si poca la fede d'amore (p. 33, n. 2); di Pi e race io Te da Idi (cfr. n.° 2i del 1885): Amico, il mondo è oggi a tal venuto (p. 34, n.) e Qualunque m'arrecassi la novella (p. 54), dal cod. vat. 3213. V. le Osservazioni di L. Del Prete su questo studio del Ge- runzi, nel Prop, V. S., XVIII, i, 136.

24. Adolfo Bartoli, Storia della letteratura italiana. Voi. V: Della vita di Dante Alighieri. Voi. VII: Fran- cesco Petrarca. Firenze, Sansoni, 1884; 8°, pp. 365; 317.

Nel voi. V il son. di Forese Donati a Dante: Ben so che fosti figliuol d' Allaghieri (p, 28 n. 1 ), la supposta Lettera di Dante a Guido

14 BIBLIOGRAFIA

da Polenta, riprodotta dalle Prose Antiche del Doni (p. 241); il preteso sonetto di Dante a Bosone: Tu che stanzi lo colle ombroso e fosco (p. 270), e la quartina: Chi nella pelle d'un monton fasciasse, col sonetto del Fiore che comincia per gli stessi versi (p. 330 e n. 2). Nel voi. VII : il preteso sonetto del Petrarca trovato nella tomba di Laura: Qui riposan quei caste e felici ossa (p. 202), e più qua più , i petrarcheschi : Fiamma dal del..., Antonio, cosa ha fatto la tua terra..., L' aspetto sacro.... Beai natura.... Due rose fresche.... Io temo si.... Erano i capei.... L'alma mia fiamma..., Come va il mondo.

25. Rime di Francesco Petrarca scelte ed annotate ad uso delle scuole secondarie classiche, per G. Mazza- tinti e G. Padovan. Torino, Loescher, 1884; 8°, pp. VII-323.

Novantaquattro sonetti, sei canzoni, due madrigali, e i Trionfi del- l'Amore e della Morte. Gli editori seguirono la stampa del Bartoli (Fi- renze, Sansoni, 1883).

26. Fiore di classiche poesie italiane ad uso della gioventù. Milano, Guigoni, 1884 ; 2 voli, in 24*": pp. 320, 408.

Nel voi. I quindici sonetti del Petrarca, nel II la canzone: Ver- gine bella.

27. La pestilenza del 1348: rime antiche [pubbli- cate dalla Direzione della Rivista critica della letteratura italiana, a benefizio degli Italiani danneggiati dal cholèra del 1884]. Firenze, tip. Carnesecchi, 1884; 16^ pp. 14. Ediz. di ccc esempi.

Vi è prodotto un sirventese di Antonio Pucci, « de la mortalità che fu in Firenze nel Mcccxlviij »:

0 Giesù Cristo, che sopra la croce

per noi moristi con pena feroce,

concedi a me che con pietosa voce i' possa dire, perch' ognun veggio subito morire,

alcuna cosa inanzi al mio partire,

che sia conforto a chi me starà a udire et anche a mene.

PUBBLICAZIONI DEL 1884 15

Fu ricavalo dal notissimo apografo delle rime pucciane posseduto già dal Kirkup. Al sirventese si aggiunsero due sonetti sul modo di vivere in tempo di moria: i. Nel tempo corruttivo e pistolente; 2. Se vuoi star sano, osserva questa norma, che si leggono entrambi adespoti in moltissimj codici , e eh' erano già a stampa, il primo fra le rime del Burchiello (Londra, 1757, p. 195), il secondo col nome di Dante (cfr. OV., 354).

28. [Sonetto di Antonio Pucci ad una sposa; pub- blicato da Girolamo Donati per le Nozze Rocchi- Viti]. Perugia , tip. Boncompagni , 1884 ; 2 carte in 4.° Ediz. n. V.

Comincia : Figliuola mia , po' che se maritata. Adespoto nel cod.

Riccardiano 1103 e nel Laurenziano 122 della SS. Annunziata; ma al

Pucci lo il magliab. VII. 1145, e certamente suo lo confermano più altri indizi.

29. c( Annoia me »: galateo del secolo XIV [pub- blicato da Enrico Narducci nel Buonarroti, Serie III, voi. II, 1884, pp. 32-35].

È il notissimo capitolo delle iVote, di Antonio Pucci, cheincom. : lo priego la divina maestade; ma il Narducci lo rimette in luce dal codice vaticano-urbinate 697 per cosa allatto inedita e sconosciuta.

30. Tre antiche stampe del « Giardinetto » [descritte da M. Faloci Pulignani, nel Bibliofilo, an. V, 1884, pp. 153-57].

Da codesto Giardino fruttuoso o Giardinetto di cose spirituali, ch'era nel Cinquecento un libro di prima lettura per i bambini, riporta il principiò de La santa Croce volgare, cioè un alfabeto di proverbi in di- stici, certo assai più antichi di quelle stampe, i quaU cominciano: a La Santa Croce e '1 Paternostro ancora Ogni fidel Christian l'ama e l'adora »; e un sonetto di accostumare i figliuoli: Quand' il figliol da picolo sciochegia, eh' è di A n t o n i o Pucci, come probabilmente anche r altro (Figliuol mio, sia leal e accostumato) che gli sta accanto in quel libro. Di fattura più moderna sono invece gli altri due sonetti, pur riferiti dal F. P., a della beltà terrena » {Chi voi udire de la beltà terrena), e « in laude de le città » , ossia delle loro proprietà {Fama tra noi, Roma pom- posa e santa).

16 BIBLIOGRAFIA

31. B. WiESE, Vier neue Dantehandschriften [Nella Zeitschrift filr romanische Philologie , voi. Vili, 1884, pp. 37-49].

Dal primo dei quattro codici danteschi della collezione Ilamiltoniana qui descritti, ricava un sonetto adespoto (altrove attribuito al Pucci): Sempre si disse che uno fa male a ciento^ e un frammento di sirven- tese caudato, cioè quattro strofe che cominciano:

E pella

chingnando intenda questa novella la qual con doglia per mi si favela

inel cantare. Un gran lamento vi voglio contare de quela que non ebe al mondo pare de omni grandeza, e mo' de cosse amare,

ciò è Roma. Furono riprodotte nella Riv. Crii, IV, 176, n. 1.

32. Francesco Torraca, Studi di storia letteraria napoletana. Livorno, Vigo, 1884; 8°, pp. 470.

Nello studio intitolato Lirici napoletani del secolo XIV (pp. 229- 261) sono pubblicate dal cod. Laurenziano-gaddiano reliq. 198 le se- guenti rime. I. Di Guglielmo Maramauro, quattro sonetti : 1. Io benedico il duro ferro e l'arco; 2. Io maledico il tempo e la stagione ; 3. Li bianchi e li vermigli e gialli fiori ; L Se qualche tregua o qualche ferma pace. Amorosi i tre primi, il quarto « de la For- tuna ». II. Del Conte d' A 1 1 a v i 1 1 a, dodici sonetti amorosi : 1. Quando tra l'altre Amor discende e vene; 2. Valli e fiumi d'a- mor, pogi fioriti; 3. Deviandomi Amor di strada in strada; A. Amor, tu sai quanto rimedio ò preso ; 5. Mezo non mai, ma tucto 7 corpo e V alma; 6. Con riverenza volontier saprei; 7. Tv^ti li altri pensier caldi d'amore; 8. Oymè, alma gentil, perché mi guardi; 9. Amor negli alti cuor triumpha e gaude; 10. Silve pien di sospiri, valli di pianto; 11. Occhi mei tristi, ancor pianger volete? ; 12. Stanchi son gli anni mei, rodi dal peso. III. Di Paolo dall'Aquila, quat- tro sonetti: 1. Novel poeta, cui le muse aspectano («a Philippo An- ione Maramauro de Napoli »); 2. Qual mai Ilectorre, Cesar Pom- peo ; 3. Un consiglio ti do di passa passa (era già a slampa , con dilTercnti terzine, sotto il nome di Pucci a rei lo da Firenze); 4. Già molte volte in la 'maginativa ; e due canzoni : Non seppi mai che cosa

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fosse amare, mutila del commiato; e un'altra, pur mutila, di i2 stanze, delle quali il T. ne riferisce tre sole:.... Deh, per Dio, corri, alegrati e specchia. IV. Una canzone politica, « fatta per lo malo stato de Na- poli, per Landulfo de Lamberto, e degrossata e poi aconcia per misser Paulo de l' Aquila » : Napoli mia, tu fosf il sommo vaso ; ma il T. non che alcuni saggi delle 14 stanze. Si avverta che il Conte d'Altavilla autore dei 12 sonetti, non é, come credette il T., Luigi di Capua (m. 1397), ma suo padre Bartolommeo, ciò che fu dimostrato da P. Santini nella Rivista critica, III, 124.

33. Rime inedite d'Iacopo da Montepulciano e d' al- tri a lui [pubblicate da Luigi Gentile nel Giorn. stor. d, lett, it., voi. Ili, 1884, pp. 222-30].

Da un foglio membranaceo posseduto dall' editore. 1 Sia di

tal fiamma sempre benedetto, frammento di ballata. 2. Perché spe- rali za et fede in te mi trovi , ballata d'Iacopo da Montepulcia- no. 3. Qual gratia! credo fìa già mai, son. d'Iac. 4. Come per fama talor s inamor a , son. di Zenone da Pistoia, « famiglio che fu del Petrarca » a Iacopo. 5. Virtù che mai in voi si discolora, risposta d' lac. 6. Sempre la mente mia di pigliar fructo , son. d' Ia- copo a Nastagio da Montalcino. 7. JSon vola basso chi cerca del fructo, risposta di Nastagio a Iacopo. 8. Jacopo, io credo il cielo avermi dato, son. di Nastagio detto a lac. [ a non fece il detto Iacopo risposta, perché il detto Nastagio in quelli pochi di (1400?) si mori, egh e '1 figliuolo, di male di pistilenza »]. 9. Lo 'n fiammato pensier che fuori versi, son. d'Iac. a Mess. Antonio di Giovanni d'Amerigo del Bene « priore di sancto Lorenzo di Firenze ». 10. Non credo che potesse sostenersi, risposta di mess. Antonio predetto. 11. Poi che Ha

ria Fortuna à pur voluto, son. del barbiere da Gorneto a

Iacopo,

34. Rime edite ed inedite di Antonio Cammelli detto il Pistoia, per cura di A. Cappelli e S. Ferrari. Livor- no, Vigo, 1884; 8^ pp. LIX-362.

A illustrazione dei sonetti del Pistoia, il Ferrari ne riporta uno d'An- tonio Pucci: Deh fammi una canzon, fammi un sonetto (p. 85), e sette ricavali dal codice laurenziano 122 della SS. Annunziata: 1. Vuo' tu veder s' a Todi ha bel bestiame? (p. 118); 2. Deh gioia mia, fa' eh' una mattina (p. 174); 3. Deh fanciulla, ch'ai st bello sguardo (p. 174); 4. Fac- Vol. III, Parte II. 2

18 BIBLIOGRAFIA

ciendo una fanciulla canpanelle (p. 175); 5. Quattro dita di ghianda^ fa qua lume (p. 183); 6. La mogie mia di dir mi fa gran punga (p. 183); 7. Andandomene a letto per dormire (p. 184). II primo è attribuito nel codice a Franchi da Lucha, ma andò anche sotto il nome del Bur- chiello; gU altri sei sono anonimi.

35. Ludovico Frati, Cantari e sonetti ricordati nella Cronaca di Benedetto Dei. [Nel Giorn. stor. d. leti, il, voi. IV, 1884, pp. 162-202].

Vi sono prodotte, con altre più recenti, queste rime antiche: Un capitolo ternario per grandi nevazzi stati in Firenze di gennaio 1408: Non mi terrei chon mia pocha scienza , dal codice Magliab. VII. 9. 375. La prima e l'ultima stanza del Cantare in morte di Giovanni Aguto: Mille trecento novanta tre chorreva, che fu edito poi interamente dal Medin(cfr. la bibliogr. del 1886). Fia prima arato et seminato il mare, ternari diretti a Giovanni Peruzzi, dal cod. laurenz.-Segniano n.° IV. Quattro sonetti: 1. De non v' incresca la spesa e l' affanno (adesp. nei codd. Magliab. VII. 1298 e Laurenz. XC sup. , 103; ma pare sia di Simone Serdini); 2. Quanto tua passion mi fusse a- mura ; 3. Scripsiti per un altro mio sonetto (adespoti, nel cod. Magliab. VII. 11. 25); 4. Io dormo in sul chaval di messer Corso, di Bernardo di Piero Cambini (dal Magliab. VII. 3. 1009). Altri due sonetti ricordati dal Dei si aggiunsero poi dal Frati {Giorn. stor., VI, 477): 1. 0 voi egregi e sapienti viri, edito già fra le Rime di Matteo di Dino Frescobaldi, ma che assai più probabilmente appartiene a Francesco d'Altobianco degli Alberti, cui lodailcod.magliab.il. IV. 250; 2. Io ti domando da che nasce il vento, che il chigiano L. IV. 131 at- tribuisce ad Antonio da Ferrara.

36. Lamento del Conte Landò dopo la sconfitta della Gran Compagnia in Val di Lamone: 25 luglio 1358 [pub- blicato da Isidoro del Lungo noW Arch. stor. it., S. IV. voi. XIII]. Firenze, tip. Cellini, 1884; 8^ pp. 19.

Gir. OV. Ap., 79. È una ballata anonima, che comincia:

Con dolorosi guai io conte Landò mi parli' piangendo da Marradi, dicendo: Conte Broccardo, dove li lasciai!

PUBBLICAZIONI DEL 1884 19

Si legge in un codice di proprietà della famiglia Compagni (Cfr. Dino Compagni e la sua Cronica, I, 1015-6 e nura. 63 del 1887); ma per difetto dell'originale parecchi versi sono mutili. Alcune correzioni al testo furono proposte dallo stesso editore nell' ^rcA. stor., voi. XIII, p. 312, altre nel Giorn. stor., Ili, 299. Cfr. anche Riv, Cn7., IV, 173.

37. Poesie politiche nella cronaca del Sercambi [pub- blicate da Antonio Medin, nel Giorn. stor. d. leu. it., voi. IV, 1884, pp. 398-414].

Ricavate dall'autografo della prima parte della Cronaca che si con- serva neir Archivio di stato in Lucca. 1. 0 in ecelzo santissimo Char-

10, stanza in figura di Lucca per la venuta di Carlo IV (1368). 2. E non volea ser Moccio, ballata, a come ser Moccio calzoraio andò a par- lare co' Pisani per la venuta del cardinale [Guidone vescovo Portuense] che venia da Roma » . 3. Mofrone dilectoso, ballata « della presura di Mo- trone » (1368). 4. Chi potre porre al sol mizura o peso, sonetto caudato, composto per l' aquila che mess. Iacopo d'Appiano fé' dipingere a Pisa a dispetto dei Fiorentini (1393). 5. Gloriosi Toschani, ballata « contra tucte le ciptadi di Toschana » per le loro discordie (1397). 6. Quan- do a diricto si volgie la chiave, sonetto per lo scisma (1398). I com- ponimenti I e IIl-V sono di Davino Castellani; gU altri anonimi; la prima quartina del sonetto vi era già a stampa in nota alle Lettere di Ser Lapo Mazzei (I, cxxv). Nella notizia onde accompagna queste rime, il Medin pubblica anche i brani della cronaca che le precedono e le il- lustrano, e la prima strofe di una canzone in morte di Francesco Guinigi (1384): Se mai fu tempo far delti occhi lago. Cfr. Riv. Crii., IV, 175.

38. Cesare Guasti, Le feste di S. Giovanni Batista in Firenze, descritte in prosa e in rima da contemporanei. Firenze, G. Cirri, 1884; 8°, pp. VII-108.

Delle descrizioni raccolte in questo volume si devono ricordar qui solo le prime due: quella ricavata dalla Storia di Coro di Stagio Dati (pp. 4-8, corrispondenti alle pp. 84-89 dell'edizione fiorentina del 1735), e la canzone anonima: Compagno, Dio ti salvi! E tu ben venga {])\). 9-17), edita in prima dal Bartoli (/ manoscritti della Bibl. Naz. di Firenze,

11, 283), poi più correttamente dal D'Ancona (per le Nozze Pistelli-Pa- panti, Pisa, Nistri, 1882). Questo componimento, che descrive assai viva- cemente la festa fiorentina, si trova anche in un codice con la data del febbraio 1407, ond' è probabile risalga al sec. XIV.

20 BIBLIOGRAFIA

39. Canzonette antiche [pubblicate da Edoardo Al- visi]. Alla libreria Dante in Firenze, 1884; 8°, pp. 123.

Contiene: 1. De perchè m ài tradito (p. 4); 2. D'un piacente sorridere (p. 4-5), canzonette « ciciliane » (la prima, mutila) dal magliab. VII. 1040. Tre canzoni a ballo ricordate dal Boccac- cio: i. Questo mio nicchio s io noi picchio (pp. 46-18), secondo le varie lezioni dei codici Riccardiani 1118,2352 e HH. III. 113 della Biblioteca di Parma; 2. U acqua corre alla borrana (pp. 19-20) secondo il Ric- cardiano 2352 e il codice Biscioni voi. 2°, della bibl. di Lucca; 3. E questo fu lo malo cristiano, o Chi guasta l'altrui cose fa villania (pp. 24-34), cioè la canzona del basilico, secondo il testo del cod. laurenziano XLII. 38, del laur.-gaddiano 161, e di un terzo della Bibl. Nazionale di Firenze non indicato più precisamente. Quattro novelle - ballate: \. Ogni mal veracemente (p. 37) dal laur.-gadd. 161; 2. Udite^ amanti, V a- ventura mia (p. 45); 3. Se m'ascoltate, signori, v' imprometto (p. 48) ; dal laurenziano XLII. 38; 4. De' udit' un po' novella (p. 51) dal Riccardiano 2729. Due tenzoni in sonetti su due casi d' amore: 1. Due kavalier cortesi e d'un paraggio (p. 42), con la risposta: 2. Poi che vi piace che io deggia contare (p. 42) ; 3. Tre giovan' son piacenti e saggi (p. 43), e la risp. : Poiché noi siamo al tuo parer selvaggi (p. 44), dal cod. magliabechiano VII. 1040, che attribuisce il primo a Messer Palamides di Bellendote, il terzo, rinterzato come la sua ri- sposta, ad « Adrian us », il quarto a frate Anton da Pisa. Bal- late popolari e non popolari del tre e del quattrocento: 1. Al- l'inferno i' voglio andare (p. 56), dal cod. Marucelliano C. 256; 2. Cia- scun faccia per se(pp. 57-58), stampata tre volte secondo le lezioni dei codd. magliab. XIII. 14, laur.-palat. 73, e laur.-rediano 151 (altrove è attribuita al Soldanieri o al Pucci); 3. Donna, questo lamento {[). 59), dal cod. laur.-gaddiano 161 una lunga tenzone amorosa di L. Giustinian); 4. Giù per la villa lunga (p. 66), dal laur.-gadd. 161; 5. Madre mia, io mi morrò (p. 68), dallo stesso gadd.; 6. Na- sciesti per mia guerra e per mia pace (p. 69), dal magliab. XIII. 4 ; 7. Non credetti che V amore (p. 70), dal gadd. 161; 8. Non più dirò, ornai cosi farò (p. 72), secondo le lezioni del magliab. XIII. 4 e del laur. XL. 43; 9. Oimè che adeso io provo (p. 73), frottola? dal laur.-palat. 118; 10. Si com'ài fatto a me (p. 74), dal magliab. XIII. 4; 11. S'io f ò fallito, 0 donna, e' mi dispiace (p. 75), dal laur. XG sup., 89. In fine al volume è un indice alfabetico di 266 capoversi d' antiche poesie profane, ricavati dalle raccolte di laudi, e particolarmente da (piclla co- piosissima eh' è nel cod. Chigiano L. VII. 266. Cfr. la recensione di A. Zenalli nella Hiv. Crii., II, 16.

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40. Poesie giocose inedite o rare pubblicate per cura del dott. Adolfo Mabellini, e precedute da un saggio sulla poesia giocosa, di Pietro Fanfani. Firenze, tip. del Vocabolario, 1884; 8^ pp. VIII-198. Ediz. di e esempi.

In questa raccolta sono frammiste a rime grasse o burlesche di tempi assai più recenti, le seguenti antiche, edite invero assai malamente (cfr. Rii\ Crit., I, 153): L Lo indovinello (pp. 33-42), cioè la « novella della figliuola del mercadante che si fuggi la prima sera dal marito per non es- sere impregnata », notissimo cantare in ottave, stampato più volte antica- mente, e in questo secolo (07., 694), che il Mabellini riproduce dal cod. Marucelliano C. i55. IL Canzona (pp. 55-57) in contrasto fra la madre e la figliola impaziente di marito, ballata assai lubrica, che comincia: Madre mia, dammi marito, edita già di sullo stesso codice MarucelUano nella Biblioteca di letteratura popolare (I, 335, anzi in un foglietto a parte aggiunto a codesta pagina). IIL Novelletta anonima (pp. 176- 178) « tolta da un codice laurenziano » [pi. XLII, n.° 38], altra ballata che com. : Se m'ascoltate, signori, v' imprometto Di contar cosa che vi fia diletto (cfr. l'articolo precedente). IV. Tre sonetti ano- nimi (pp. 192-94), ma niente affatto giocosi, « tolti da un codice Ma- ruceUiano » [C. 155]: 1. Quando una donna tanto signorile; 2. Do- menica fu il di eh' i' innamorai ; 3. Madonna , po' eh' et geloso vi guarda.

41. Il pregio e i vizi degli stati del mondo: cantare inedito [pubblicato da S. Morpurgo per le Nozze Sforni- Basevi]. Firenze, tip. Garnesecchi, 1884; 8*", pp. 16. X esempi, n. v.

Dai codici barberiniano XLIV. 56 e Laurenziano 122 della SS. An- nunziala, nel quale ultimo s'intitola: « Questa è una canzone che dice quello che fanno tutte le persone del mondo di punto in punto, e quello che dovréno fare; e incomincia da' prelati ». Sono 27 ottave:

0 dio di verità, eternai vita, che per spirilo santo incarnasti nella tua madre Vergine fiorita, e di senno gì' apostoli infiammasti, il mio principio, mczo e la finita alluma e chiaro fa' tanto che basti, ch'alquanto possa dir del convenente come vive in error tutta la gente.

22 BIBLIOGRAFIA

Dappiede furono richiamati alcuni versi della Canzone del pregio di Dino Compagni, di cui queste ottave sono in parte un rifacimento.

42. Storia di Campriano contadino, a cura di Al- bino Zenatti. Bologna, Romagnoli, 1884; 16°, pp. LXII-68.

Nell'appendice IV è pubblicata, dal codice Corsiniano U. B. 7, una canzone popolare de le sette gramezze dell' asino. Comincia: Grave morena grameza premiera, e consta di 7 tetrastici monorimi.

43. V. Gian, Ballate e strambotti del secolo XV, tratti da un codice trevisano. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. IV, 1884, pp. 1-55].

Dal cod. 43 della Biblioteca Comunale di Treviso. I componimenti ai quali non si soggiunge altra indicazione sono ballate : 1.0 mari- date, vedoe e damiselle; 2. 0 mia guera, o mio destruQimento ; 3. Se fidel servo, o dona, a ti sun siato; A. Amor degi echi mei vago dilleto ; 5. Deh non voler privarmi del tuo amore ; 6. Or fame pur dispeto se tu sai; 7. Poi che de ti, fauQola, m' ina- morai ; 8. Doi ochi ladri me consuma el core; 9. Cun lagrime bagnandome el vixo; 10. Poi che da ti me conven partir via; 11. Che pena è questa al cor che si non posso; 12. Strengi le lapre piano, V amor mio; 13. Poi che t' alontanasti, o dona m/a (framm. di ball.); 14. Dilexi quoniam te vidi bella (sirventese di 12 tetra- stici); 15. Chi manza el petrosilo, madre mia; 16. Ziristu mai in Calavria (cantilena irreg.); 17. El to bel viso, dolze anima mia; 18. Amor, che m' ài conduto a l'ultim' ora; 19. Serie di otto strambotti. 20. Traditor ladro, zamai noi credea; 21. Fixa nel mio core senpre tuta via sonetto », ossiano cinque ternari); 22. Serie di sei strambotti. 23. Deh chi ama el so honore I quattordici strambotti sopraccennati ai n. 19 e 22 cominciano: 1. Yogio ben renegar mo' tuto el cello; 2. Tal di e tal note si te dia Dio; 3. Recordate eh' el vene la vechieza ; A. Vivi zoiosa e state inamo- rata; 5. Sia biastemata la crudele usanza; 6. Chi voi donare si de donar presto; 7. Poche parole e bon intendimento; S. Se a ti ben voio 0 che io t' ame de bon core ; 9. Primieramente a dio me fazo schusa; 10. Più leto amato de sto mondo fui; 11. Se io zese per lo mondo predicando; 12. Consegnarne la vita che dezo fare; 13. Ohimè topino , dove son venuto ; 1 4. Oi me meschino mi, desventurato. Altri quattro strambotti si aggiunsero a pag. 54 da un codice udinese di antiche rime: 1. Del mio venir perché tanta faticha; 2. La fé-

PUBBLICAZIONI DEL 1884 23

mina si è falsa per natura; 3. Hai facto fama volerti far monacha; i. Come potrò amar, caro conforto. E a riscontro colla canzonetta n.° 16, se ne produsse una affine, dal codice Ambrosiano C. 35 sup.: Chella passa e va in Cicilia. Sul metro e sul testo di queste poesie cfr. la recensione di L. Biadene nella Riv. Crii., II, i50.

44. IV Ballate popolari del secolo XV, pubblicate per la prima volta dal d.'' Erasmo Pèrcopo [Per Nozze Cocchia-Dei Franco]. Napoli, tip. M. De Rubertis, 1884; 16°, pp. 22. L esempi, n. v.

1. De, Furtuna, de perchè; 'il. Nobel corona, quanto me sei grata; 3. Che credi tu fare, Amore?; L Topina me, che perdo la vita. Dal codice V. C. 20 della Biblioteca Nazionale di Napoli. La prima sembra d' argomento o almeno di occasione storica. Cfr. Riv. Crii., II, 26.

45. Quattro canzoni popolari del secolo decimoquinto [pubblicate da Francesco Novati e Francesco Carlo Pel- legrini per le Nozze Venturi-Fanzago]. Ancona, Morelli, 1884; 8'', pp. 20. lx esempi, n. v.

1. Quando sono in questa cittade, « chanzona ciciliana » (tetrastici d'ottonari incatenati); 2. Fatti ynderiera , non t' achostare in za, « chanzona chalavrese », ballala in contrasto fra una mal maritata e lo sposo ; 3. Quando di Puglia e mossimi, canzona in morte dell' amorosa (tetrastici d'alessandrini); L Riccio, Riccio, lo sfortunato, canzona d'uno preso dai corsari barbareschi (ottonari). Furono ricavate dal cod. am- brosiano C. 35. Cfr. Riv. Crit., I, 88.

46. Un documento in dialetto piemontese del 1410:

la resa di Pancalieri [ripubblicato da C. Nigra nella Ro~

mania, voi. XIII, 1884, pp. 415-422; cfr. anche voi. XV,

pp. 135-6].

Cantilena rimata, tratta da un ms. dell'Archivio di Stato in To- rino {Ordinati, an. 1410, voi. LI). Comincia: a Que lo chastel de Pan- chaler, Que tuyt tcmp era fronter E de tute maluestay fontana Per man- lenir la bauzana »; e seguita per altri 20 versi. Come uno dei più antichi saggi di dialetto piemontese fu pubblicato per la prima volta dal Batta nella Storia dei principi di Savoia del ramo di Acaja (Torino, 1832, II, 287), indi dal Vallauki nella Storia della poesia in Piemonte (To-

24 BIBLIOGRAFIA

rino, 1841, I, ii), dal Casalis nel Dizionario storico e geogr. d. Stati Sardi (Torino, 1846), dal Biondelli nel Saggio sui dial. gallo-italici (Milano, 1854, p. Ili, p. 603), e ultimamente da E. Bollati neW Archi- vio storico ital. (S. IV, voi. II, p. 379).

47. La Buca di Monte ferrato , lo Studio d' Atene e il Gag no: poemetti satirici del XV secolo, di Stefano di Tommaso Finiguerri, editi ed illustrati da Lodovico Frati. Bologna, Romagnoli, 1884 ; 16°, pp. XGVlI-285.

La composizione dei tre poemetti del Za (soprannome del Finiguerri) risale assai probabilmente al primo decennio del sec. XV. La Buca consta di 242 terzine divise in quattro capitoli, e incomincia: Dormendo, in vi- sion pervenni desto. Lo Studio ha, in due capitoli, 314 terzine : Di tutto 7 cerchio che l' Europa cigne. Il Gagno, o Galeotta di Pisa, é un ca- pitolo di 61 terzine : Dormendo un giorno per posar mia testa. Si leg- gono tutti e tre uniti nel cod. Riccardiano 1591; i due primi anche nel Maghab. IL 40 e nel Laur. XLII, 27; e staccati in altri sette codici che l'editore indica e descrive particolarmente (pp. LV-XCVI). Nella illu- strazione premessa al testo, sono ristampati altresì (pp. XX-XXI) due so- netti attribuiti al Burchiello : Questi eh' andaron già a studiare a Atene, e Questi eh' anno studiato il Pecorone, i quali si riferiscono, pare, allo Studio. Per la data e pel valore di questi trionfi burleschi cfr. Riv. Crii., I, 170.

48. Origine della lingua italiana: dissertazione di Luigi Morandi. Città di Castello, Lapi, 1884; IG^ pp. VlII-72.

Nelle ultime pagine di questa dissertazione sono riferiti alcuni passi latino-volgari d'antiche pergamene; la solita iscrizione di Ferrara e il fram- mento di Belluno; due strofe del contrasto bilingue di Rambaldo di Vaqueiras, e finalmente quattro versi di un preteso carme volgare per l' entrata di Arrigo VI in Ascoli, che comincia: Tu es ilio valente imperatore, o, secondo un' altra redazione , Tu si' chillo valente re et sennure. Cfr. Riv. Crit., I, 38.

49. Sulle forme metriche italiane: notizia di Tom- maso Casini. Firenze, Sansoni, 1884; 8°, pp. VII-111.

Per esempio delle forme metriche qui discorse, oltre a parecchie strofe staccate, si riferiscono intieramente: la soslina daiilescn Al poco

PUBBLICAZIONI DEL 1884 25

giorno.... (p. 13); la stanza del Cavalcanti: Se m ha del tutto obliato merzede (p. 15); la canzonetta siciliana trecentista: D'un piacente sorridere (p. 18); la ballata di Lapo Gianni: Questa rosa novella {^. 28);ison. rinterzati della V. Nuova e di Guitto ne: 0 voi che per la via d' Amor passate, e Se vuole, amico. Amor gioia a te dare (pp. 41-42); il son. a rime continue di Onesto Bolognese: Si m' è fatta nemica la mer- cede (p. 43), quello del Fay tinelli: 0 spirito gentile, o vero Dante (p. 45) ; cinque madrigali anonimi: Cogliendo per un prato ogni fior bianco (p. 48); Tal mi fa guerra, che mi mostra pace (p. 49); Godi, Firenze, po' che se' si grande (p. 49); /' mi son un, che per le frasche andando (p. 51); La bella e la vezzosa cavriola (p. 51); e i quattro del Petrarca: Nova augelletta..., Non al suo amante..., Or vedi Amor..., Perch' al viso... (pp. 50-51); gli strambotti antichi: Valletto, se m' amate siate saggio (p. 5:2); Se io potessi far, fanciulla bella (p. 53); Quelli labruzzi son tanto vermigli (ibid); ed il rispetto: Donna già fu gentile innamorata. Finalmente, il sonetto attribuito a Pier dalle Vigne: Però ch'Amore non si può vedere, e quello del Guinizelli: Omo di è saggio non corre leggero (pp. 86-87).

50. Lezioni di storia della letteratura italiana com- pilate ad uso dei Licei da Giuseppe Finzi. Voi. I. Tori- no, Loescher, 1884; 8^ pp. XVI-300.

In appendice a queste lezioni, insieme con più altri saggi frammentari, si riportano intere le seguenti poesie : le canzoni di Federigo II: Poi che ti piace, Amore di Pier dalle Vigne: Amore in cui i' vivo ed ho fidanza - di Mazzeo di Ricco da Messina: Amore avendo interamente voglia il lamento del crociato attribuito a Rinaldo d'Aquino : Giammai non mi conforto il cantico del sole di S. Francesco; le laudi di Jacopone: Anima benedetta e Donna del Paradiso; due canzoni: Con gran desio.... Al cor gentil...., e il so- netto Io vo' del ver...,(\c\ Guinizelli; la canz. di Guittone: Amor non ho podere; due son. di Dante da Maiano: i)t ciò che stato sei dimandatore e Ahi, gentil donna, gaia ed amorosa; il son. di Folgore: lo vi doto del mese di Gennaio, col contrario di Cene; due son. di Cecco A n g i o l i e r i : S' io fossi foco... , Dante Alighier ; due della Compiuta Donzella: Alla stagion che il mondo foglia e fiora e Lasciar vorrei lo mondo e dio servire; la canz. di Ciacco dell'Anguillara: 0 gemma leziosa; la ball, di Lapo Gianni: Questa rosa novella; due ball, e due son. del Cavalcanti: Era in in penser d'amor..., Perch'io non spero...., Avete in voi li fiori..., l ve-

26 BIBLIOGRAFIA

gno 7 giorno a te...; due son. di Gino: Come non è con noi..., Questa donna che andar..., e la canz. La dolce vista; le canzoni di Dante; Tre donne..., Amor che nella mente..., Cosi nel mio 'parlar..., e il sonetto Guido, vorrei...; il son. del Petrarca: Levommi il mio pensier...; il son. di ser Giovanni del Pecorone: Mille trecento con settantotto anni; la ball, del Sacchetti: 0 vaghe montanine pastorelle ; la ball, e la canz. di S e n n u e e i o : Si giovin bella e sottil furatrice, e Da poi eh' i' ho perduto ogni speranza la canz. 0 povertà, come tu sei un manto, e i sonetti dei peccali mortali, di Fazio degli Uberti; e finalmente due son. di B. da Montemagno: Erano i mie^ pensier ristretti al core e Ben mille volte il di raccolgo al core. E brani della Tavola ritonda, di G. Villani, del Compagni, del Convivio, della Teseide, del Ninfale, della Fiammetta, della Vita di Dante del Boccaccio, del Dittamondo, delle Novelle del Sacchetti, del Quadriregio.

51. Storia della letteratura italiana, compilata ad

uso delle scuole, dal prof. Licurgo Cappelletti. Torino,

Paravia, 1884; 16^ pp. XV-501.

Riporta, con più altri frammenti di poesie del primo secolo, la hall, del Cavalcanti: Perch'io non spero... (p. 81); i son. e la ballata di Gino: Nelle man vostre... (p. 84), Quanto più fiso m/ro (p. 85), Cecco, io ti prego... (p. 86); il dantesco : A ciascun alma... (p. 93); due petrar- cheschi: Pace non trovo... (p. 124) e Real natura... (p. 126); e quello del Pecorone: Mille trecento con settantotto anni (p. 142).

52. Libro di lettura in appendice al Disegno storico della letteratura italiana di Raffaello Fornaciari. Fi- renze, Sansoni, 1884; 16^ pp. XI-416.

Nella piccola antologia dei secoli XIII-XIV il Fornaciari raccoglie saggi da Giulio d'Alcamo, Guittone, Jacopone, Guinizelli, Ca- valcanti, Dante, Gino, Petrarca, dalle Novelle antiche, dal Compagni, da G. Villani, dalle Vite dei SS. Padri, dai\ Passavanli, dai Fioretti di S. Francesco, dal Dittamondo, dal Filocolo, dalla Teseide, dalla Vita di Dante del Boccaccio, dal Decameron, dalle Novelle del Sacchetti.

53. Conti di antichi cavalieri a cura di Pasquale Papa [Estr. dal Giorn. stor. d. leti, it., voi. III]. Torino, Loescher, 1884 ; 8^ pp. 32.

Dal codice di casa Martelli riproduce, più esattamente del Fanfani, (OV., 303) i venti notissimi conti.

PUBBLICAZIONI DEL 1884 27

54. Rectieìl d'exemples en ancien italien [pubblicato da I. Ulrich, nella Romania, voi. XIII, 1884, pp. 27-59].

Dal codice Add. 22557 del Museo Britannico, ras. che l' editore assegna alla prima metà del sec. XIV. Sono cinquantasei « exempli, per la recordacìone de li quali nui dibiemo fugere li vicii e seguere le vertute, e far lo bene, e vardarse da lo male et da lo peccato. » Il primo conta « d' uno povero ortolano » , il secondo « de lo falcone », il terzo, « de uno homo lo quale se confidava de un altro crepando elio essere fedele e de grande lieltade » , il quarto « de U amisi che dèno essere fedeli 1' uno cura l' altro » , e cosi via : materia morale e sacra già nota per la massima parte da altre consimili raccolte. Tuttavia il testo di questa può importare come documento abbastanza antico che è del dialetto veneto, sebbene l' U. lo abbia prodotto con parecchi errori. Cfr. Riv. CriL, I, 27, e Gioni. stor.. Ili, 320-22.

55. A. Graf, Di un codice riccar diano di leggende volgari. [Nel Giorn. stor. d. leu. it. , voi. Ili, 1884, pp. 401-14].

Per saggio del codice riccardiano 1661 (sec. XIV) qui descritto, riproduce (p. 404) un brano de la legenda de Adamo et Eva, e come si chatoe lo legno de la croxe.

56. Prose scelte [pubblicate da Costantino Arlìa nelle Letture di famiglia, anno XXXVI, 1884, pp. 5-6].

Cfr. OY. Ap., 39-40. La prima, e anche unica, di queste prose, è « uno bello miracolo d'uno giovine iscolare », breve novelletta sacra, ricavata dal codice riccardiano 2760. Comincia: « A Parigi era uno figUuolo d' uno grande conte a studiare : il padre era morto. »

57. Leggenda di San Giuseppe sposo di Maria Ver- gine secondo la lezione d'antichi testi [edita da F. Zambrini]. Imola, Galeati, 1884; 8", pp. 11. Ediz. n. v.

Ricavata dal cod. MagUabechiano xxxviii, 6, 72; comincia : « loseph fu della stirpe del re David, e fu figliuolo di lacob, nato nella città di Betelem, lo quale, essendo nel ventre della madre, fu, secondo che dicono alcuni, santificato. Cfr. Propugnatore, V. S., XVII, ii, 297.

58. Un' epistola di San Bernardo ; Aspirazioni alla Passione di Gesù Cristo, e varie laudi: testi di lingua del

28 BIBLIOGRAFIA

secolo XIV non mai fin qui stampati [ora editi dal p, Giuseppe Orlando]. Palermo, tip. Tamburello, 1884; IG"", pp. 37. Ediz. di CL esempi.

L' epistola di S. Bernardo è quella sul modo di ben vivere mandata a un monaco: « Fratello mio carissimo, tu mi domandi cosa, la quale per niuno tempo in ninno loco io vidi may che ninno dimandasse al suo proveditore » . Seguono le « aspirazioni dolorose » , o pie meditazioni sulla passione di Cristo, diverse, a detta dell' editore , da quante furono fin qui pubblicate. Cominciano : a Nui te adoramo , signore Jesù Cristo, e si te benedicemo; però che con la passione, crocie e piaghe, sangue e morte tu hai redemito el mondo » . Le laudi che chiudono V opuscolo sono due brevi invocazioni alla croce : Ad te adoramo, sanctissima cruce, e Ave vectorìoso e sancto lignio, un sonetto sullo stesso argomento: Alto vexillo triunfante e darò, e una « devotissima aspirazione a Maria », bal- lata: 0 quanto gaudio haviva e quanto bene. Cfr. Propugn., V. S., voi. XVII, II, 461.

59. / due primi libri della istoria di Merlino ristam- pati secondo la rarissima edizione del 1480, per cura di Giacomo Ulrich. Bologna, Romagnoli, 1884; 12^ pp. VI-360.

Cfr. OV. Ap., 157; e Romania XIV, 170.

60. P. M[eyer], Le conte des petits couteaux [Nella Romania, voi. XIII, 1884, pp. 595-97].

Cioè la novelletta assai nota col nome di « Orìgine del prover- bio: tu farai come colei che renderai i coltellini » (cfr. OV. 708-09, e n.° 56 del 1887), che il Meyer ristampa qui per riaccostarla al testo francese dello stesso racconto, quale é contenuto nel Trattato delle quat- tro età dell'uomo di Filippo di Navarra, onde assai probabilmente de- rivò, con poche abbreviazioni, la redazione italiana.

61. // Decameron giudicato da un contemporaneo [comunicazione di Guido Biagi, nella Riv. crii. d. lett. it., a. I, 1884, col. 61-62].

Breve prosa, « con la quale un anonimo, vivente ancora il Boccaccio, preludeva a suo modo a una scelta dei ragionamenti e delle canzoni del

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Decameron, conservataci nel cod. magliab. II. II. 8, da e. 20 a e. 37. » Ne aveano già dato un saggio il Fiacchi (v. Decameron, ed. Moutier, I, XXXIX) e il Pollini {Atti della Crusca. 1829, voi. Ili, p. 97). Comincia: « Molte lode merita la fama di colui, il quale nel contentamento delle piacevolissime donne exercitando si diletta. » Fu poi riprodotta dal Biagi ne' suoi Aneddoti storici e letterari ^ Milano, Treves, 1887, p. 327.

62. Giovanni Boccacci: Vita di Dante Alighieri, con prefazione del professor G. L. Passerini. Roma, E. Ferino, 1884; 24°, pp. 77.

Fa parte di una Biblioteca Nova.

63. Lorenzo Stecchetti (dott. 0. Gtierrinì), La ta- vola e la cucina nei secoli XIV e XV: conferenza tenuta all'Esposizione di Torino il 21 giugno 1884. Firenze, Barbèra, 1884; 8^ pp. 67.

Nelle note sono parecchi estratti dal Libro della cucina del secolo XIV {OV., 605-6), e da un altro, forse più antico ricettario, che fu poi edito interamente dal Guerrini medesimo (v. n.° 58 del 1887). In una breve recensione di questa conferenza, nella Riv. crit., I, 120, fu pub- blicato un sonetto {A far la salsa si come smiraglio) contenente la ri- cetta della salsa, attribuito ad Antonio Pucci dal cod. magliab. VII. 1145, adespoto in altri niss. Ma era edito anche questo, sebbene con moltissime varietà, tra le rime che frammezzano Le novelle di Gentile Sennini (Livorno, Vigo, 1874, p. 115).

64. Un documento in volgare siciliano del 1320 [pubblicato da Giuseppe Cosentino ndVArch. star, siciliano, N. S., anno IX, 1884, fase. Ili e IV, pp. 372-81].

Bando o decreto, col quale nel 1320 s* impose una tassa del tre per cenlo su tutte le merci eh' entravano nel Regno o ne uscivano. Comincia : « Provistu et determinatu esti pir la curti di lu signuri re, cum delibe- raciuni diligenti et cunsiglu, ki da lu primu jornu di siltenbre di la quarta Jndiciuni in anti si inpugna in lucia Sichilia, chilati, terri, castelli, burgi, villi, casali, ogni loki, di qualunqua slatu, signoria oy condiciuni siano, unu diritlu lu quali si [dici] cassia pir la guerra ». L'originale è nel voi. 1 della Cancelleria del Regno {Arch. Stai. Palermo).

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65. Vincenzo di Giovanni, Sopra un giudizio del prof. Adolfo Gaspary intorno alla data certa delle scrit- ture siciliane in prosa. [Nel Propugnatore, V. S., voi. XVII, 1884, p. I, pp. 180-200].

Reca in mezzo alcuni brevi saggi di antico volgare siciliano, cioè, oltre a pochi passi di scritture assai note, le rubriche di un libro di gabelle del 1312 (cod. Qq. E. 78 della Comunale di Palermo), due brevi scritte notarili (cfr. Arch. stor. siciL, N. S., a V, pp. 45-46) e una lettera scritta da Giovanni di Chiaramonte nel 1358, edita già dal MoNGiTORE {Bullae^ privil et instr. panorm. eccL, pp. 185-86).

66. // contratto di assicurazione nel Medio Evo: studi e ricerche di Emilio Bensa. Genova, tip. Marittima, 1884 ; 8^ pp. 238.

Dei documenti che fanno appendice a questo volume, sono in volgare : il I, contenente alcune <.< partite relative a sicurtà iscritte nei libri di commercio di Francesco Del Bene e compagni di Firenze » degU anni 1318-20 (dall' Arch. stat. fior.); 1' XI e il XIV, ossiano due polizze di sicurtà fatte negli a. 1385 e 97 per Fran- cesco di Marco Datini (dall' Arch. Datini in Prato).

67. Ariodante Fabretti, Nota storica sulla battaglia cosi detta dei sassi, tratta dagli antichi statuti di Perugia. [Nella Rivista storica italiana, an. 1, 1884; pp. 801-806].

Dallo statuto volgare di Perugia del 1342 riporta la rubrica 117 del libro III: De la bataglia da non fare en piazza.

68. Codice diplomatico della città d' Orvieto: docu- menti e regesti dal secolo XI al XV, e la Carta del Po- polo, codice statutario del Comune di Orvieto, con illu- strazioni e note di Luigi Fumi. Voi. Vili dei Documenti di storia italiana pubblicati a cura della r. deputazione sugli studi di storia patria per le provincie di Toscana, dell'Umbria e delle Marche. Firenze, G. P. Vieusseux, coi tipi di M. Cellini, 1884; 4^ pp. LXXVI-878.

PUBBLICAZIONI DEL 1884 31

Sono in volgare i documenti 656 (28 luglio 1334), 657 (24 agosto 1334), e 677 (26 agosto 1351); alcune lettere riportate in appendice al doc. 672 (pp. 517-20); un bando del 13 novembre 1390 riferito a pag. 587; i capitoli presentati a Biordo Michelotti, signore e tribuno d'Orvieto nel 1395 (pp. 594-97). Più in (pp. 616, 619, 622 e segg.), parecchie altre scritture in volgare, ma spettanti al sec. XV.

69. // balio di Messer Amerigo Narbona: due documenti autentici del 1289 : nuovo contributo alla illu- strazione della Cronica di Dino Compagni, pel K. X., socio di parecchie accademie, Firenze, tip. di Mariano Ricci, 1884; 8^ pp. 16.

Già il titolo preavverte chi ben legga, che il Frammento di Ricordanze in volgare premesso ai due autentici documenti latini, non é cosa antica, ma contraffazione recentissima, e forse, diremmo, meno perfetta della lettera di Carlo Strozzi che precede, rifatta molto bene. Cfr. l'arti- colo Guglielmo di Durfort e Campaldino, nel Dante ne tempi di Dante di I. Del Lungo, cui crediamo si possa attribuire anche questo erudito scherzo.

32 BIBLIOGRAFIA

Pubblicazioni del 1885

1. Berta e Milone; Orlandino [testi franco-italiani pubblicati da Adolfo Mussafia, nella Romania, voi. XIV, 1885, pp. 177-206].

Proseguendo la pubblicazione del cod. marciano XIII gali. (cfr. Ro- mania, III, 339 e IV, 91) produce gli episodi di Berta e Milone, in 15 capitoli (441 versi), e quello di Orlandino in 12 capitoli (475 versi).

2. Tre laudi sacre pesaresi [pubblicate da G. S. SciPiONi nel Giorn, stor. d. lett, iu, voi. VI, 1885, pp. 212-22].

1. Regina potentissima, sul del siti exaitata; 2. Tornate, peccatori, a penitentia; 3. Come è possibil che 7 verbo incarnato. La prima, in a- lessandrini monorimi, è la notissima parafrasi della Salveregina già pub- blicata dal Ferraro nella Regola dei servi della Vergine Gloriosa {OV. 864) e riprodotta dal Casini fra le Rime dei poeti bolognesi del sec. Xlll; lo Scipioni , che poi se n' accorse (cfr. Giorn. stor., VI, 479) , la trasse dai Capitoli della confraternita di Sant'Antonio di Pesaro stampati in Pesaro nel 1531, per Baldassare de Francesco Cartolaro perusino. Le altre due, in ottave, a dialogo, furono ricavate dai capitoli della Nunziata di Pesaro, stampati dallo stesso Baldassare: risalgono probabilmente alla metà del trecento.

3. R. Renier^ Un altro esempio di a laisse » ita- liana. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. VI, 1885, pp. 302-303].

È una tirata di alessandrini monorimi, di materia morale, ricavati dal cod. 1 della libreria Campori di Modena. Com. : E ssegli more in fra tanto è molto mal guidato.

4. Francesco Carta , Sul poemetto di Pietro da Bescapé esistente nella Biblioteca Nazionale di Milano : descrizione bibliografica con facsimile. Roma, Forzani, 1885; 4^ pp. 7 con tav.

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La riproduzione fotografica di una pagina del poemetto è quella stessa che fu anche accolta tra i Facsimili di antichi manoscritti per uso delle scuole di filologia neolatina (tav. 4.3): qui é accompagnata dalla descrizione e dalla bibliografla del codice braidense (Ad. XIII. 48).

5. A. Tenneroni, Saggio fotografico e descrizione del cod. 194 della « Comunale » di Todi. Todi, Foglietti, 1885; 2 ce. in 8°.

11 codice qui descritto contiene le laudi di Jacopone; il facsimile riproduce quella che com : 0 femmene guardate. Cfr. Arch. stor. per le Marche ecc., Ili, 772.

6. Mittheìlungen aus romanischen Handschriften von Adolf Mussafia. Il: Zur Katharinenlegende. [Estr. dai Sitzimgsberichte der phil. hist. Classe d. k. k. Akad. d. Wis- sensch., voi. CX, fase. II, p. 355]. Wienna, Gerold, 1885; 8^ pp. 69.

11 poemetto di Buccio di Ranallo su S. Caterina, pro- dotto dal Mussafia in questa sua comunicazione è quello stesso che, pubbli- cato quasi contemporaneamente dal Pércopo, si descrive al num. II del- l' articolo seguente. Il Mussafia lo accompagnò d' illustrazioni grammaticah, sintattiche, metriche, di note, e d'un glossario; e soggiunse poi, in se- guito ad una nuova recensione sul ms., alcune correzioni al testo, pub- blicate nel Literaturblatt f. germ. u. rom. PhiloL, a. 1886, n.° 1.

7. IV Poemetti sacri dei secoli XIV e XV pubblicati per la prima volta ed illustrati dal d.** Erasmo Pèrgopo. Bologna, Romagnoli, 1885 ; 8^ pp. LXIV-224.

I. Leggenda del transito della Madonna, del sec. XIV. Consta di 121 strofe, come questa prima:

Signuri, multo prégovi per grande cantate, che benigniamenle tucti me entendate, che so' molte cose subtilixime & de grande virtate de Quella che de lu celu è incoronala sopre de tucti li angeli exaitata, emperciò vi voglio dicere parole de vcrdate.

Voi. Ili, Parie 11. 3

34 BIBLIOGRAFIA

IL Leggenda di S. Caterina d'Alessandria rimata da Duccio di Ranallo, aquilano, nel Mcccxxx, in 1 769 settenari a coppie, divisi in 32 capitoli. Comincia :

Signori, bona gente, ponàte cor & mente alle sancte parole, ad cui odire le vole.

III. Leggenda di S. Giuliano lo spedaliere, del secolo XV: 26 strofe (171 versi), le prime 6 in ottava, le altre in sesta rima. Comincia:

Tucti laudemo l'alto Dio verace e Ila sua matre vergene polzella, li angeli & li arcangeli, se a vui piace, tucti li sancti della vita eterna; de sancto Juliano, con gran pace se me ascoltate, vi dirrò nuvella: quandunca le fate sci li disse lu patre & la sua matre lui occidesse.

IV. Leggenda di S. Margherita d' Antiochia , del secolo XI V : 128 quartine d'endecasillabi monorimi, che cominciano:

A lu nomo de Dio e della Vergene Maria e de sancta Margarita vergene beata, in moysi di sanctiximo fone conmensata : essa ne defenda dalle mortali peccata. Amen.

Picculi & grandi, per Deo me emendate, queste parole con lo core le ascoltate : per le vostre anime si He operate, che la corona de deo recepàte.

Tutti e quattro questi poemetti sacri furono tratti dal cod. XIII. D. 59 della Dibl. naz. di Napoli, il quale conserva anche un analogo fram- mento della leggenda di San Gregorio, prodotto pure dal Pércopo; e sono 17 endecasillal)i che cominciano: In sonno apparse a sancto Gregori. In appendice al volume sono dieci sonetti cau- dati di Buccio di Ranallo, tratti dal poema Delle cose dell' A- quila , ma che non si leggono nell' edizione muratoriana di codesta cronaca rimata (07., 185). 1. Da che fécemmo questa maledetta càmmora ; 2. Chi voi sapire bene indovinare ; 3. Qual homo dice che lo destinato ; 4.. Singnuri , io viddi quello che mai non crisci ; 5. Se quello che regna nel grado superno; 6. 0 Aquilani, tristi, sciaorati ; 7. 0 gente saggia , che il tempo advisate ; 8. Lassate uscire le parole de bocca ; 9. La mala guida che l'Aquila ha hauta ;

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10. 0 consiglieri tristi e sciaoraii. Il primo solo era stato già edito, e malamente, dal Minieri-Riccio nella Rivista napoletana di politica^ let- teratura, ecc. (n. 19, maggio 1863); il Pércopo li secondo la lezione del ras. XV. F. 56 della Nazionale di Napoli.

8. Accenni alle origini della lingua e della poesia italiana, e di alcuni rimatori e prosatori in lingua vol- gare bolognesi e veneziani dei secoli XIII e XIV , con appendice di documenti, osservazioni, e tavola: spigola- ture dagli archivi di stato di Bologna e Venezia, per F avvocato Angelo Gualandi. Bologna, libreria Ramazzotti (tip. Azzoguidi), 1885; 4.°, pp. 51. Ediz. di clx esempi.

Contiene, nell' appendice, i seguenti testi di poesia e di prosa rica- vati da registri degli archivi di Venezia e Bologna: 1. Chi d' an^el vói veder propria figura, quartina, forse principio di un sonetto; e un altro minor frammento di due versi ; 2. Questa zoveneta vegola al presente, ball. ; 3. Homo ch'è savio no core lesero, i primi otto versi del noto son. di G. Guinizelli; L Le prime sette terzine del \ll Inf., le prime due del VI e le prime otto dell' XI del Purgatorio ; 5. Chi ben beve, ben dorme: motto in 5 versi; 6. Tutto el mondo me par mal cannato, son. di « Dante » ; 1. E tuto el tenpo del mondo el m' è devenuto, i primi 6 versi di un sonetto che altrove si legge col nome di Meo di Bugno da Pistoia (cfr. Poeti del primo secolo, II, 220). 8. Non posso za maj zir in alcun lato, ball, minima; 9. Non è si- duro chor che lacrimando, 3 vei-si; 10. Dolce lo meo siro ke me fa la- quire, framm. irreg.; 11. Scritta notarile in volgare: «Al nome del nostro segnor deo, in gì' agni de quello mille dosento novanta cin- que, indilione octava, Miser Uberto, Miser Bertholomeo et Francesco, fra- degli e figlioy che son de miser Federigo di Pavanisi, et Bituzo figlol che fo de miser lacomo de miser Federigo di Pavanesi, de luti gli beni loro comunay si stabili chomo mobili eh' igl' anno inseme volendo vignir a divisione perché zaschun recognosca la soa parte, anno fatto in seme questa concordia »; 12. Amor m' à fatto de vu, donna, tanto, framm. di 2 vv.; 13. Supplica in volgare, del 1379: « A la magni- fica Signoria vostra esponese, cum zo sia cosa che la casa che foc de miser Nicolò di Piepoli sia per venderse » ecc. I primi nove componi- menti 0 frammenti poetici furono ricavali da registri dell' Archivio di Stalo in Venezia ; ma sfuggi all' editore che , salvo gli ultimi due e le

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terzine dantesche, erano già slati pubblicali, e con maggior esattezza, nel Giornale di filologia romanza, voi. IV, p. 204, n. 3. I num. 10-12 sono tratti dall'Arch. di Slato di Bologna: del n. 10 è dato il facsimile in fototipia.

9. Ernesto Lamma, Lapo Gianni: contributo alla storia letteraria del secolo XIII. [Nel Propugnatore, V. S., voi. XVIII, 1885, p. I, pp. 3-105].

A pag. 28 il sonetto di Dante: Guido, vorrei....; a p. 43 quello del Cavalcanti : Per gli occhi fere .... ; e più qua più parecchi brani delle rime di Lapo intercalate nel discorso scempiatissimo.

10. Pietro Ercole, Guido Cavalcanti e le sue rime : studio storico-letterario, seguito dal testo critico delle rime, con commento. Livorno, Vigo, 1885; 8°, pp. 416.

Il canzoniere del Cavalcanti, secondo è ricomposto in questa nuova edizione, consta di 53 componimenti: LDue canzoni: Donna me prega....; Io non pensava che lo cor giammai. IL Ventiquattro sonetti d'amore, i primi 20 per Giovanna, gh altri per Mandetta: 1. Io vidi li occhi .... ; 2. Li miei foli' occhi .... ; 3. Avete 'n vo li fior'..,. ; A. Chi è questa che ven .... ; 5. Beltà di donna .... ; 6. Un amoroso sguardo....; 7. Voi, che per li occhi....; 8. Perché non fóro a me....; 9. Se mercé fosse amica....; 10. L'anima mia vilmente....; 11. Tu m' hai si piena di dolor....; 12. S'io prego questa donna....; 13. Io temo che la mia .... ; ìi Certo non è dallo 'ntellecto ....; 15. 0 donna mia, non v.... ; 16. Veder poteste quando .... ; 17. Deh! spiriti miei .... ;

18. Morte gentil.... ; 19. Amore et monna Lagia ....; 20. Pegli occhi fere

21. Una giovane donna .... ; 22. 0 tu, che porti .... ; 23. A me stesso di me .... ; 24. Noi siam le triste penne isbigottite. III. Quat- tordici sonetti in tenzone con altri rimatori, dei quali sono riferite anche le proposte o risposte, o altre rime che s' attengono a queste cor- rispondenze : 25. Vedesti al mio parere.... (risponde a Dante: A cia- scun alma presa....); 26. S'io fosse quelli.... (risp. a Dante: Guido, vorrei....); 27. Se vedi Amore, assai ti priego, Dante; 28. Dante, un sospiro messagger.... (cf. Dante: lo mi sentii svegliar ....); 29. /' vegno 'l giorno a te...., a Dante. (Guido Orlandi al Cavalcanti : Onde si move e donde nasce amore; Per troppa sotliglianza il fil si rompe); 30. Di vii muterà .... {(jmdo Orlandi risp.: Amico, i' saccio ben che sa limare);

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31. Una figura della Donna mia (G. Orlandi risp. : S' avessi detto, amico, di Maria); 32. La bella donna .... (G. Orlandi risp.: A suon di trombe anziché di corno); 33. Gianni^ quel Guido.... (risp. a Gianni Al fa ni: Guido, quel Gianni....); 34. Ciascuna fresca e dolce.... (risp. a Bernardo da Bologna: A queW amorosetta ....) ; 35. Certe mie rime a te man- dar vogliendo; 36. Novelle ti so dire, odi, Nerone; 37. Se non ti caggia la tua Santalena ; 38. Guata , Manetto, quella scrignutuzza. Seguono i sonetti di altri poeti a Guido. Dino Compagni: Se mia laude scusasse te sovente; Bonagiunta Orbicciani: Chi medesmo inganna per neghienza; Nuccio Sanese: I mie' sospir dolenti m' anno stanco ; Gino: Qua son le cose vostre eh' io vi tolgo. IV. Tredici ballate: 1. Fresca rosa rovella; 2. Posso de- gli occhi miei .... ; 3. Veggio negli occhi .... ; i. Poi che di doglia ... ; 5. Se m' à del tutto .... ; 6. /' prego voi che di d.... ; 7. Era in penser d' amor .... ; 8. Vedete eh' i' son un .... ; 9. Gli occhi di quella .... ; 10. In un boschetto.... (son. di Farinata degli liberti a Guido per la pastorella : Guido, quando dicesti pasturella); 11. La forte e nova mia d....; 12. Quando di morte....; 13. Perch' V non spero.... Quelle ai n. 4 e 5 sono veramente stanze di canzone : tuttavia furono lasciate in questa serie dall' editore, « per non confondere maggiormente la di- stribuzione de' vari componimenti ». Nello studio che precede il testo, sono riprodotti, per gli opportuni raffronti, oltre che i sonetti del Caval- canti III, IV, XIX, XXVIII, XXXI, XXXIV (con la proposta di B. da Bologna) e XXXVIII di questa edizione, quello attribuito a Guido : Dappiù a uno face un sollegismo (p. 65) ; uno attribuito a Niccolò Musei a: Ècci venuto Guido con pastello (p. 79) ; uno di Lapo Gianni: Amor , eo chero mea donna in domino (p. 138); uno del Guinizelli: Voglio del ver la mia donna laudare (p. 142); uno creduto dell' Augi oli eri, e molto affine al XXXVIII del Cavalcanti: Deh guata, Ciampol , ben questa vecchiuzza (pag. 148). Ancora si può notare, sebbene appartenga al sec. XV, il son. di Giovanni Pellegrini da Ferrara pubblicato (p. 28, n.) dal cod. udinese di rime antiche: Non dico fra li hebrei, ma fra christiani. Dei manoscritti che furono base del lesto, e delle loro attribuzioni l'Ercole discorre nella parte seconda dell'introduzione (pp. 167-224) Cfr. la Riv. Crit., II, 142.

11. A. Borgognoni^ La quistione maianesca, o Dante da Maiano. Città di Castello, Lapi, 1885; 16*", pp. 72.

Nella breve monografia polemica, intesa a confutar quella di F. NovATi, Dante da Maiano ed Adolfo Borgognoni (Ancona, Morelli, 1883),

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l'A. produce, con parecchi estratti dalle rime del Maianese, di cui egli nega l'autenticità, il sonetto: Lasso, el penserò e lo voler non stagna (p. 49). Cfr. OV. Ap., il.

12. Storia letteraria delle donne italiane, di Eduardo Magliani. Napoli, Morano, 1885; 8^ pp. 269.

Riporta il son. della Nina Siciliana: Qual sete voi, che cara proferenza (p. 34), quello in figura di donna abbandonata (e vorrebbe attribuire anche questo alla Nina) : Tapina me che amava uno sparviero (p. 35); i tre della Compiuta donzella: Alla slagion che il mondo foglia e fiora (p. 42), Lasciar vorrei lo mondo e dio servire (p. 43), Ornato di gran pregio e di valenza (p. 44) ; il cosidetto madrigale (anzi è una stanza di canzone) di Madonna Selvaggia a Mess. Gino: Gentil mio sir, lo parlar amoroso (p. 46); e i sonetti delle credute tre- centiste, Giustina Perotti: lo vorrei pur drizzar queste mie piume (p.60), con la risposta del Petrarca: La gola e 'l sonno...; Leonora della Genga: Tacete, o maschi, a dir che la natura (p. 62); Or- tensia di Guglielmo da Fabriano: Ecco , signor , la greggia tua d'intorno (p. 64), e Livia Chiavelli: Rivolgo gli occhi spesse volte in alto (p. 65).

13. La Vita Nuova di Dante Alighieri, con introdu- zione, commento e glossario di Tommaso Casini. Firenze, Sansoni, 1885; S\ pp. XXXV-229.

11 Casini segui fedelmente la lezione del cod. Chigiano L. VIIL 305, dichiarando in fine al volume le poche emendazioni introdotte nel testo. Nel copioso commento all'operetta dantesca, riprodusse i sonetti respon- sivi di Gino e del Cavalcanti: Naturalmente cAer<?... (p. 21), e Vedesti al mio parere... (p. 22); un altro del Cavalcanti: Pegli occhi fere... (p. 64), uno di Gino: Se voi udiste la voce dolente (p. 71), e la canzone in morte di Beatrice : Avvegna eh' i' aggia più volte per tempo (p. 155) ; due son. di Dante : Molti volendo dir che fosse Amore (p. 101) e Di donne vidi una gentile schiera (p. 134); quello dell'Angioli eri: Dante Allaghier, Cecco 7 tu' serv' amico (p. 206); e la canzone: Ben aggia l amoroso et dolce core (p. 85) anonima nel cod. vat. 3793, ma che ri- sponde in figura delle donne e per le stesse rime alla dantesca: Donne, eh' avete intelletto d' amore..

14. La Commedia di Dante Alighieri fiorentino nuovamente riveduta nel testo e dichiarata da Brunone

PUBBLICAZIONI DEL 1885 39

Bianchi. 8^ edizione, corredata del rimario. Firenze, Succ. Le Monnier, 1885; 8% pp. XXVII-762-112.

Con la Vita di Dante di Leonardo Aretino.

15. Dante Alighieri: della Divina Commedia, l'In- ferno, il Purgatorio, il Paradiso. Milano, tip. Muggiani, 1885; 3 voli, in 64°: pp. 191; 188; 190.

16. The Paradise of Dante Alighieri edited icith translation and notes by Arthur John Butler. London , Macmillan and Co., 1885; 12^ pp. XV-436.

Cfr. l' Athenaeum del 9 gennaio 1886, p. 62, e Y Academy del 23 detto, p. 52.

17. A. Fernandez Merino, Un escdndalo literario : dos cantos apócrifos del Dante. Barcelona, tip. « La Aca- demia » , 1885 ; 8°, pp. 40.

Vi sono ristampati i due capitoli ternari de Usurariis e de Gu- losis^ che, interpolati nel testo della Divina Commedia, si leggono in un codice della Bibl. Nazionale di Roma (8 del fondo di s. Pantaleo), scritto tra la fine del tre e il principio del quattrocento. Cominciano : Come le tre sorelle, che un sol occhio, e Non era 'n tutto la veduta sciolta. Già erano stati pubblicati dell' avv. I. Giorgi nel Giornale di filologia ro- manza (cfr. OV. Ap. 45), onde li cavò e li tradusse in francese il sig. A. Dover, divulgandoli per veramente danteschi, e inediti e scoperti da lui. Di qui r <L escàndalo literario», sul quale cfr. Riv. Crit., II, 31, 94, e un articolo del Moore n^W Academy del 25 Aprile 1885.

18. Alessandro d'Ancona, Varietà storiche e letterarie: Serie seconda. Milano, Treves, 1885; 8,° pp. 393.

Si preavverta che nella Serie prima, edita nel 1883, nulla v'ha di antichi testi volgari. In questa seconda, nel primo articolo (// Ro- manzo della Rosa in italiano) è riportato il son. attribuito a Dante: Messer Brunetto, questa ptdzelletta (p. 25) ; nell' articolo terao {Di alcuni pretesi versi danteschi) sono riferite (pp. 58-63) sei terzine che si trovano interpolate nel canto XXXIII dell' Inferno in due codici della Commedia (Chigiano 292 e Canoniciano 103), le quali furono scoperte dal sig. Gregorio Palmieri, e pubblicale prima ncW Athacneum

40 BIBLIOGRAFIA

di Londra (21 Agosto 1875), poi a parte (Torino, tip. Salesiana, 1878; cfr. OV., 1109-10). Nel quarto articolo [La poesia politica italiana ai tempi di Lodovico il Bavaro) si legge, framnnezzata al discorso (pp. 83-87 ) , quasi intera la canzone : lo sono il capo mozzo dallo imbusto^ attribuita a Pietro e a Jacopo di Dante, e molti versi d' una di Jacopo Carradori: Nell'ora che la bella concubina (pp. 93-97).

19. Leonello Modona, Una poesia inedita di Ma- nnello Giudeo. [Estr. dal Vessillo Israelitico, a. 1885, punt. XII]. Gasale, tip. Gio. Pane, 1885 ; 8^ pp. 8.

È il « Bisbio di Manuello giudeo a magnificenza di messer Cane dalla Scala », che comincia: Del mondo ho cercato, tratto dal cod. 1289 della biblioteca Universitaria di Bologna. Più correttamente fu prodotto poi da G. Mazzoni (cfr. n.*' 17 del 1887).

20. A. Borgognoni , Le « estravaganti » del Pe- trarca. [Neir Antologia della nostra critica letteraria moderna compilata da Luigi Morandi. Gittà di Gastello, Lapi, 1885; pp. 285-95].

In questo articolo, già prima pubblicato nella Rassegna settimanale del 21 agosto 1881, sono riprodotti due dei Dieci sonetti inediti attri- buiti a Francesco Petrarca (Bavenna, 1876; cfr. 07., 793), che com. U arco degli anni tuoi trapassai' hai , e Cadute son de li arbori le foglie.

21. Francesco Torraca, Cola di Rienzo e la can- zone « Spirto gentil » di Francesco Petrarca. [Estr. dal- l'Arc/^. della r. Società Romana di storia patria, voi. Vili, pp. 141-222]. Roma, tip. Forzani, 1885; 8°, pp. 86.

In fine a questa dissertazione, intesa a rivendicare la dedica della famosa poesia al tribuno romano, é il testo della canzone petrarchesca. E a pag. 43 si riproduce, dalla Vita di Cola del Be, gran parte della diceria volgare di Francesco Baroncelli alla Signoria fiorentina. La dissertazione fu ristampata fra le Discussioni e ri- cerche letterarie del Torraca medesimo (Livorno, Vigo, 1888).

22. La vita e le opere di Francesco Petrarca: stu- dio preparatorio alla lettura del Canzoniere, ad uso delle

PUBBLICAZIONI DEL 1885 41

smole secondarie, ^«Alessandro Piumati. Torino, Paravia, 1885 ; 16^ pp. 62.

Contiene i sonetti: Pace non trovo, e Levommi il mio pensier, con più altri saggi frammentari del Canzoniere.

23. Rime scelte di Francesco Petrarca, con note di Giuseppe Finzi. Torino, Paravia, 1885; 16°, pp. XIII-207.

Sessantanove sonetti, dodici canzoni, una ballata e il Trionfo della Morte. Segue una piccola antologia d'antichi rimatori: Guido Guini- zelli, Guittone, Ciacco dell'Anguillara, Lapo Gianni, Guido Cavalcanti e Gino da Pistoia.

24. Le rime di Pieraccio Tedaldi [edite da S. Mor- PURGO]. In Firenze, alla libreria Dante, 1885; 8^ pp. 78.

Quarantatre sonetti di Pieraccio dal cod. vaticano 3213, unico apo- grafo completo di questo breve canzoniere. 1. lo non trovo omo che viva contento; 2. El maledetto di ch'io pensai; 3. Qualunque m' ar- recassi la novella ; A. S' io veggo il che io mai mi dispigli ; 5. Oggi abiàn lunedi, come tu sai; 6. Tu sai la 'n fermila mia de V al- If anno; 7. Tal si solca per me levare in piede ; 8. El mondo vile è oggi a tal condutto; 9. Se colla vita io esco della buca; 10. Bar- tolo e Berto, come Carlo in Francia; 11. E' piccoli fiorin' d' argento e d'oro; 12. 0 me, che io mi sento si smarrito; 13. Ceneda e Feltro e ancor Montebelluni ; 14. San Marco e 7 doge, san Giuvan- ni e 'l giglio; 15. 0 crudel Morte, che la prima moglie; 16. Bindo. e non par che per me truovi foglio (16 bis, risposta di Bindo Tedaldi a Pieraccio suo patre: Perché io non vi scriva corno soglio); 17. Il sommo antico mastro Policreto; 18. Sonetto pien di doglia, iscapi- gliato; 19. V truovo molti amici di starnuto; 20. Quando vedrai la donna eh' io mirava; 21. 0 vita di mie vita, quando io penso; 22. La gaia donna, che del mio paese; 23. Chi è questo signor tanto nomato; 24. Amore è giovenetto, e figurato; 25. Gran parte de Roma- gna e de la Marca; 26. Qualunque vói saper fare un sonetto; 27. El gioco è fondamento d' avarizia ; 28. Del tutto alla ricisa io sban- deggio; 29. La crudel Morte nimica di vita; 30. Poi che la rota v' à volto nel basso; 31. S'io veggo il di ch'i' vinca me medesimo; 32. Corretto son del tutto e gastigato; 33. Io vo in me gramo spesso ripetendo; 31. Se parte del vedere io ò mancato; 35. 0 uom che vivi assai in questo mondo; 36. 0 avvocati, o giudici e notari;

42 BIBLIOGRAFIA

37. Mia colpa, e colpa, e colpa, Jesù Cristo; 38. Santa Lucia, per tua virginitate; 39. Amico, negrigenzia è più che danno; 40. De, Vergine Maria, che incarnasti; 4-1. S'io veggio il di, che io disio e spero; 42. Amico, il mondo è oggi a tal venuto; 43. Quando l' non chiede un don, eh' è bisognoso. Erano già a stampa (cfr. OV. 874, 992 e n.° 23 del 1884) il I, III, Vili, XIV, XVIII, XXVI, XXXVII-XL, XLII, e parzialmente il IX, XXIV e XXV. Di un altro componimento del Tedaldi, canzone o ballata, che si leggeva in un codice del Libri, 1' edi- tore non potè dare che il commiato : De , canzonetta vera di sentenza (p. 8, n.). Nella illustrazione premessa al testo sono riportati altresì, un son. di Francesco Tedaldi: ^4 Pisa giunsi come arai udito (p. 14, n. ; ma è cosa del quattrocento), il principio di un sonetto sul pregio del castellano {Bisogna al castellano essere attento: p. 19), che il cod. magliab. VII. 1145 attribuisce ad Antonio Pucci; un altro sonetto pucciano , cioè il secondo dellMr^e del dire in rima : Fammi di pie quattordici il sonetto (p. 29), e finalmente uno di Franco Sacchetti ad Andrea Malavolti: Ben che savio non sia, e le mie chiavi (p. 27, n.). Più qua e più sono anche riferiti, a confronto col Tedaldi, alcuni versi di Cecco Angiolieri.

25. // (( Bel Pome » ; corona di nove sonetti allego- rici [pubblicata da Ludovico Frati nel Gior. stor. d. leu. il., voi. VI, 1885, pp. 223-30].

Dal cod. magliab. XXIII. 4. 140. 1. T vidi in un giardino unsi lei pome; 2. Tornando poi chon bella provedenQu; 3. Poi quando vi tornai era inprunato; 4. Quest' albero amoroso eh' io vi dicho; 5. Io fece d'umiltà mia armadura; 6. ChoW ortolano chominciai a usare; 7. Poi che dall' alber, dov era l' allegra; 8. Quell' ortolan m'invitò a de- sinare; 9. Un giorno l'ortolano in sulla strada,

26. [Cinque sonetti antichi pubblicati da Girolamo Donati per le Nozze Rossi-Scotti Della Porta]. Perugia, tip. Boncompagni, [1885]; 16^ pp. [16]. Ediz. n. v.

1. De Qento fatta sono UQely al mondo; 2. De cinque millia pessi sono chreaty; 3. Chi voi chonoscer lo falchon gentile; 4. Chaval che sia de perfetta ramina ; 5. Hone sparaviero eh' è de gentile arale. Dal cod. C. 43 della Riblioieca Comunale di Perugia. Tutti con doppio ritor- nello: trattano delle specie degli uccelli, dei pesci, delle proprietà del falcone, del cavallo e dello sparviero.

PUBBLICAZIONI DEL 1885 43

27. La Caccia di Diana [ripubblicata per le Nozze Casini-PolsinelU, da Salomoìse Morpurgo, Albino e Od- done Zenatti]. Firenze, tip. Carnesecchi, 1885; 16^ pp. 35. Ediz. n. v.

Questo trionfo di gentildonne napoletane attribuito al Boccaccio fu qui rimesso in luce « con quella maggior correzione che si potè otte- nere riaccostando la stampa fiorentina del 1832 {OY., 180) al testo del cod. Riccardiano 1060, e tenendo anche innanzi gh altri due della stessa biblioteca, segnati 1059 e 1066 ».

28. Antonio Medin, Letteratura poetica viscontea: cenni bibliografici e poesie inedite. [ Estr. dall' Archivio storico lombardo, a. XII]. Milano, tip. Bortolotti, 1885 ; 8^ pp. 16.

Le poesie inedite, tutte ricavate dal cod. laurenziano-red. 151, sono: Due sonetti di Marchionne di Matteo Arrighi sulla prigionia di Bernabò Visconti : Se mille volte il di tu m uccidessi, e Io ò 'n di- spetto il solle e Ila luna (pp. 8-9); una canzone di Braccio Bracci, responsiva a una stanza scritta in figura del Soldano di Babilonia che chiedeva notizia di Mess. Bernabò. La strofe missiva , certo anch' essa del Bracci, edita già dal Crescimbeni (III, 186) e qui riprodotta, com. : Soldan de Banbilonia, e celerà; la risposta: Illustf et serenissimo, alto e vero (pp. 10-14); un « sonetto di Braccio per messer Luigi, figliuolo di Mess. Bernabò »: Messer Luigi, vostra nohil fama (p. 14); sedici versi: 0 Lombardia affannata da' tiranni, dati dal cod. e qui stampati per un « sonetto », ma che di fatto non sono, come avverti poi lo stesso Medin (cfr. Biadene, Morfologia del sonetto, p. 231), che le ottave xxx e XXXI della nota profezia di frate Stoppa d e' B o s t i e h i (cf. Carducci, Rime di Gino e d' altri, p. 274). D'una canzone del Saviozzo in morte del Conte di Virtù (Vinto dalla pietà del nostro male), inedita nel codice Hiccardiano 1142, il Medin produce a p. 5 pochi versi. Alcune cor- rezioni da fare al maggior componimento del Bracci furono proposte nella Riv. Crii, IV, 179, n. 1.

29. Storia della pittura in Italia, dal secolo li al secolo XVI, per G. B. Cayalcaselle e I. A. Crowe. Voi. Ili: / pittori della scuola senese del secolo XIV. Firenze , Succ. Le Monnier, 1885; 8°, pp. VI-354.

44 BIBLIOGRAFIA

Vi sono riportate alcune brevi scritte poetiche, le quali si leg- gono negli antichi affreschi senesi: 1. Li angelichi fiorecti, rose e gi- gli e Diletti mei^ ponete nelle menti (p. 41), strofette da 7 versi l' una in un fresco di Simone Martini, che reca ancora un frammento d'iscri- zione poetica : Mille trecento quindici volte era ( p. 42 ). 2. Questa sancta virtù dove regge, slSitìzdi Ciimone (p. 213); 3. Senza paura ogni uom franco cammini, pentastico (p. 216); 4. Volgete gli occhi a rimirar costei, stanza di canzone (p. 217); 5. Per volere el ben

proprio in questa terra, pentastico (p. 221); 6 che dove è tirannia

è gran sospetto, stanza di canzone mutila dei primi due versi (p. 222); 7. dove sta legata la Justitia, altra stanza di canz. (p. 222-23): strofe queste (n. 2-7) che tutte illustrano le grandi allegorie di Ambrogio Lorenzetti sul buono e sul cattivo reggimento. Erano state ultimamente pubbhcate anche nel Commentario alla vita del Lorenzetti descritta da G. Vasari (nelle Opere di G. V., Firenze, Sansoni, 1878, 1, 531 e segg) da G. Milanesi, il quale non dubita che codeste illustrazioni poetiche « sieno state composte dal Lorenzetti medesimo ». Altre brevi scritte volgari in prosa , e alcune poetiche, ma in latino , sono riportate in questo vo- lume alle pp. 122, 227 e 281-83. Ricordiamo ancora, perché sfuggi allo Zambrini, che nel voi. I di questa Storia (Firenze, 1875), fu ristam- pato, a pag. 440, il sonetto di Antonio Pucci pel ritratto di Dante : Questo che veste di color sanguigno (cfr. OV. 845 e Ap. 129); e che nel voi. II (1883), alle pp. 158-159, vennero riprodotti i versetti del gran Trionfo della Morte nel camposanto di Pisa: Dacché prosperitade ci ha lasciati (terzetto) e Ischermo di savere e di ricchezza (ottava a rime baciate)

30. Agostino Zanelli, Le schiave orientali a Fi- renze nei secoli XIV e XY: contributo alla storia della vita privata di Firenze. Firenze, Loescher, 1885; 8°, pp. XI-116.

Vie pubbhcato dal cod. magliab. VII. 1145 un sonetto di Antonio Pucci contro le schiave: Le schiave anno vantaggio in ciascun atto (p. 80). E neir appendice prima sono alcuni brevi ricordi di schiave comprate da Niccolò d' Alesso Baldovinetti, cavati da un suo memoriale della fine del secolo XIV (cod. Palatino- Baldovinetti n.° 37) e altri documenti volgari, ma spettanti al quattrocento (v. anche pag. 51 n. 2). Un altro sonetto pucciano sullo stesso argomento (In verità che gran vergogna torna), e tratto dal medesimo cod. magliab., fu stam- pato nella Riv. Crit. , II, 58, n. 1, in una recensione di questo lavoro.

PUBBLICAZIONI DEL 1885 45

31. A. Thomas, Notice sur dmx manuscrits de la a Spagna » en vers, de la Bibliothèque nationale de Pa- ris. [Nella Romania, voi. XIV, 1885, pp. 207-21].

Mss. 395 e 567 del fondo italiano, dai quali pubblica, per saggio, il primo canto del poema.

32. Un capitolo inedito contro Amore, di fra' Do- menico da Montechiello [pubblicato da Ernesto Lamma nel Propugnatore, V. S., voi. XVIII, 1885, p. i, pp. 401-25].

Dal codice 1739 della Biblioteca Universitaria di Bologna, Com. : Le vaghe rime e il dolce dir d' amore. Fu poi ripubblicato assai meglio da G. Mazzoni (cfr. n. 24 del 1887).

33. [Canzone di Simone Serdini da Siena pubblicata da F. E. Bandini-Piccolomini per le Nozze Ravenni-Bal- dassarrini]. Siena, tip. dell'Ancora, 1885; 16"*, pp. 13.

Nel tempo giovenil eh' amor e invita , dal cod. I. Vili. 5 della Co- munale di Siena.

34. B. WiESE , Neunzehn Lieder L. Giustiniani' s nach den alien Drucken. [Estr. dal XIV Bericht vom Schuljahre 1884-85 ueber das grossherzogl. Gymnasium zu Ludivigslust]. Ludwigslust, Kober, 1885; 4'', pp. 113.

Riproduce da due antiche edizioni del Giustinian (Venezia 1485, e Roma s. a.) le seguenti poesie: 1. Mercé te chiamo, o dolce anima mia; 2. Gioveneita vaga e bella; 3. Per gran forza d' amor commosso e spinto; L 0 rosa hella^ o dolce anima mia; 5. 0 rosa beliamo perla angelicata; 6. Vegio la bionda treza e 'Ivelo ad auro; 7. Amor con tanto sforzo hormai m' assale; 8. Aimè, ch'i' non t' havesse mai ve- duta; 9. Supplico i cieli et ogni vaga stella; 10. Gli aspri martirii et l'infinite ofj^ese; 11. Chiuda le labra ognun che di fortuna; 12. Cui se voi piacere dare; 13. Dove è dove è, lo mio dolce signore; 14. i' penso con sospiri attorno al core; 15. Perduto ho la mia speme e '/ mio desio; 16. Vago, legiadro fiore; 17. 0 sospiri angosiosi; 18. 0 graliosa viola mia gintile ; 19. Con lagrime bagnandome il mio viso.

46 BIBLIOGRAFIA

35. Filippo Raffaelli, Illustrazione di un antico codice inedito di Proverbi. [Nel Bibliofilo y an. VI, 1885, pp. 102-105].

notizia di un codice membranaceo della Biblioteca Comunale di Fermo, « che sembra scritto sul declinare del sec. XIV o sul principio del XV », e che contiene, divisi in tre libri, 29 capitoli ternari intito- lati « proverbia seu precepta que Costantinus de Gallioffis de Aquila in materna lingua composuerat ». Ne presenta per saggio alcune terzine, e un « sonecto finale el qual demoslra che parie el libro » : Nacque i' Amiternin frigi to loco el mio compositor (che): a Aquila stase, ove per Costantin conuscer fase et de' Gallioffi el sou cogniome invoco. A questo sonetto seguita nel codice un altro ternario , dove « sono li nomi de quaranta autori dalli quali ho tolte tucte le sententie che so' poste innel presente libretto ». Pare però ch'esso spetti al quattro piuttosto che trecento, perché, contradicendo al giudizio surriferito sul- r età della scrittura, il Raffaelli inclina poi a identificare il Gaglioffi con personaggi vissuti nella seconda metà del sec. XV.

36. Archivio paleografico italiano diretto da Ernesto Monaci. Voi. I, fase. 1 e 2. Roma, A. Martelli, 1882-85.

Delle 26 tavole ehotipiche pubblicate fin qui le seguenti contengono testi volgari. VII. Annali fiorentini del sec. XIII, cioè la pag. 91 b del cod. vaticano 772 della palatina, col principio d' antica esimono: Male de oculi fami lu mari. VIII-X. Il contrasto di Giulio (l'Alcamo: ossiano le tre pagine del canzoniere Vaticano 3793 che lo contengono. XVII. Antichissimo ritmo toscano, dall'ultima pagina del codice laurenziano pi. XV destra, 6, del fondo di S. Croce.

XVIII. Autografo di Franco Sacchetti, cioè una mezza pallina del cod. laurenziano 574 del fondo Ashburnham, contenente un son. di Franco a Maestro Bernardo medico : Mastro Bernardo mio , un gran lamento, con la risposta di mano di maestro Bernardo: Francho mio dolcic , per farvi contento. XIX-XXVI. Lettere varie dei sec. XIV-XV, dagU autografi nella libreria del conte Giacomo Manzoni:

XIX. Due di Astorre Manfredi a Donati AcciaioU, da Faenza 16 otlob. 1393 e 27 settemb. 1394; xx. Una di Martino ciruico a Piero di Bernardo Chiarini, da Sebcnico, 13 gennaio 1396-7; xxl Una di Antonio di Andrea di Francesco Pcruzzi al detto Piero,

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da Firenze, 15 maggio 1399; xxii-xxiii. Una di Mess, Tommaso di Iacopo Sacchetti a Forese Sacchetti, da NapoU, 27 novembre 1399; xxiv-v. Una di Niccolò di Franco Sacchetti a Forese sopradetto, da Firenze, 2 kigUo 14.12; xxvi. Due di Mess. Rinaldo degli Albizi al detto Forese, da Firenze, 8 dicembre e 4 gen- naio 1418.

37. // teatro italiano dei secoli XIII, XIV e XV, a cura di Francesco Torraca. Firenze, Sansoni, 1885 ; 64*^, pp. XL-456.

Degli antichi testi drammatici raccolti in questo volumetto spettano ai primi due secoh: le laude umbre «prò defunctis » : Perdona^ Cristo, al peccatore (pp. 3-7), « del Venardi sancto » : Levate gli ochi e ressguardate (pp. 13-19), e « prò nativi tate Domini » : Piacesse a Dio biato (pp. 20-36), riprodotte dagli Uffizi drammatici dei disci- plinati dell' Umbria editi da E. Monaci {OV., 525); il Pianto della Madonna, cioè la lauda diJacopone: Donna del Paradiso (pp. 8- 12), e il Pianto delle Marie: 0 scunzulata mi! en grande pena (pp. 37-46), ricavati dalle Origini del Teatro del D'Ancona (li, 142, 158); Due devozioni del Giovedì e del Venerdì santo: 0 filgio mio piaciente (pp. 46-64), 0 Johanne, tu vidi ben la pene mia (pp. 65-96), tratte dalla Riv. di filol. romanza, II, 14-28.

38. Antologia della poesia italiana compilata e an- notata da Ottaviano Targioni Tozzetti. 2."^ edizione, notevolmente accresciuta. Livorno, Giusti, 1885; 16°, pp. XXIX-868.

Nella Parte prima (a. H95-Ì400) sono saggi dei poemetti di Pietro Bescapé e di Giacomino da Verona , dalla Passione in antico veronese (cfr. n." 2 del 1884), delle Cinquanta cortesie di Bonvesin, del la- mento della sposa padovana, del contrasto bilingue di Rambaldo di Va- queiras, di quello di Giulio; « alcune poesie di pretesa troppa antichità » (come la iscrizione ferrarese, quella degli Ubaklini e il ritmo cassinese); altre «di remota antichità accertala o probabile », come il Cantico del sole e alcune « laudi lucchesi » di cui v. più sotto. Poi, rime di questi antichi : Rinaldo d' Acpiino, Oddo dalle Colonne, Giacomino PugUese, Pier dalle Vigne, Federii^o lì, Jacopo d'Aquino, Jacopo da Lentino, Mazzeo Ricco, Buggerone da Palermo, Guido dalle Colonne, Guillone, Gallo Pi- sano, Bonagiunta Orbiciani, Pucciandone Martelli, Pannuccio del Bagno,

48 BIBLIOGRAFIA

Meo Abbracciavacca, Gio. del Orto, Ciacco dall' Anguillara, Brunetto La- tini (li cap. del Tesoretto\ Chiaro Davanzati, G. Guinizelli, Onesto Bolo- gnese, Jacopone (e la laude umbra prò defunctis), Cecco, Angiolieri, Fol- gore da S. Gimignano, Cene dalla Chitarra, B. Bonichi, Bustico di Filippo, Pucciarello da Firenze, Folcacchiero da Siena, Dino Compagni {Intelli^ gema), G. Cavalcanti, Gianni Alfani, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Dante, Francesco da Barberino, Cecco d' Ascoh, Gino da Pistoia, Matteo Fresco- baldi, Sennuccio del Bene, Fazio degli liberti, F. Petrarca, G. Boccaccio, Buonaccorso da Montemagno, Franco Sacchetti, Antonio Pucci; al quale ultimo il Targioni inclinerebbe ad attribuire anche il noto padiglione di Mambrino {0 sacro sante Muse, che nel monte) qui ripubblicato (cfr. OV Ap. 119-20). Le Ire laudi più sopra indicate, tratte da un codice dell'Archivio di Stato in Pisa, cominciano: 4. Ave vergine gaudente. 2. Ki vuol lo mondo dispresare; 3, mutila del principio {Spirito sancto glorioso) si può leggere ora intera insieme con la prima fra Laudi cortonesi del sec. XIII edite da G. Mazzoni nel Propugnatore (N. S. voi. Ili, p. I, num. XIV e xxxi). ';La prima fu ripubblicata anche dallo stesso codice pisano, con qualche maggior correzione, nella Riv. Crit. Ili, 83.

39. // libro dell' Amore : poesie italiane raccolte , e straniere raccolte e tradotte da Marco Antonio Canini. Voi. I. Venezia, Coen, 1885; 8^ pp. LII-715.

Contiene poesie d' amore dei seguenti antichi : Migliore degli Abati (p. 85), Dante Alighieri (105-107, 216-17), Puccio Bellondi (104), Gio- vanni Boccaccio (220-221), Guido Cavalcanti (107, 215), Simone Ciati (HO), Gino da Pistoia (108-109, 217-218), Compiuta Donzella (85), Giusto de' Conti (114-15), Matteo Correggiaio (75), Chiaro Davanzati (103), Sen- nuccio del Bene (218), Bondie Dietaiuti (85), Dino Frescobaldi (109-10), Matteo Frescobaldi (111,218), Lapo Gianni (214), Ser Giovanni Fioren- tino (222), Giovanni da Prato (223), Matteo Griffoni (225), Guido Guini- celli (lOi-05), Iacopo da Lentino (6, 103), Bonaccorso da Montemagno (114), Guido Orlandi (HO), Francesco Petrarca (86, 111-14, 219-20), Nuccio Piacenti (213), Monaldo du Sofena (203), Niccolò Soldanieri (223), Andrea Stefani (224), Fazio degU Uberti (221), Pier dalle Vigne (212). Altri componimenti anonimi del due e del trecento alle pp. 7-9, 103, 214, 223, e qua e alcuni frammenti.

40. Nuova crestomazia italiana, ossia prose e poesie moderne con riscontri d' antiche d' ogni secolo, per cura

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del prof. Bartolomeo Rinaldi. Torino, Scioldo, 1885; 8°, pp. XX-798.

Vi sono prodotti a riscontro coi moderni alcuni brani dell' Esopo, del Novellino, delle Novelle del Sacchetti, di Bartolomeo da S. Concordio, del Passavanti, del Boccaccio, di Giovanni e Matteo Villani, dei Reali di Francia, del Compagni, della Vita Nuova, del Cavalca. E due sonetti di Dante: Tanto gentile, e Quando il consiglio; quattro del Petrarca, La vita fugge , Levommi il mio pensiero , V vo piangendo. Vago augelletto, e la canz. Italia mia; la ballata del Sacchetti: 0 vaghe montanine pastorelle.

41. Volgare illustre nel 1100 e proverbi volgari del 1200 : memoria del prof. Andrea Gloria. [Estr. dagli Atti del R. Istituto Veneto, to. Ili, serie VI]. Venezia, tip. Antonelli, 1885; 8°, pp. 88.

Questa memoria fa séguito all' altra Del volgare illustre dal secolo VII fino a Dante (Venezia, Antonelli, 1880), dove il Gloria, a dimostra- zione del suo ragionamento, recò in mezzo alcune scritte volgari o semi- volgari dei secoU Vll-Xll, composte da lui con vocaboli cavati da carte di quel tempo. Testo assai più genuino sono i 178 proverbi volgari che presenta in questo secondo studio (pp. 23-i7), traendoli dal Compendium moralium notahilium o Epitoma sapientiae di Geremia da Monta- gnone, e correggendo gli errori della stampa ( Venezia, 1505) col codice Marciano CI. VI n.° 100. I primi due proverbi dicono: « A chi dio voi ben, dormando ven : A chi dio voi male el tole el seno » . In appendice alla sua dissertazione il Gloria pubblica un lungo cata- logo di « voci del 1100 tratte da documénti padovani e rappresentate in essi con la doppia forma del volgare illustre e del dialetto ». Cfr. Romania, XV, 126, e Giorn. Stor., VI, 253.

42. A. Gazzani, Frate Guidotto da Bologna: studio storico critico, con un testo di lingua inedito del secolo XIII. Bologna, tip. Azzoguidi, 1885; S\ pp. 84.

Contiene alcuni proemi sopra varie maniere di dire, che si leggono in più codici insieme col Fiore di Retorica attribuito fra Cui dotto; però il Gazzani inclina a crederli fattura di lui, e qui U produce secondo la lezione dei mss. magliabechiani p. IV. 123 e 127. Nel cap. II sono descritti i testi a penna e le edizioni della Retorica; nel III, ne

Voi. Ili, Parte II. 4

50 BIBLIOGRAFIA

é riprodotto il prologo secondo due diverse redazioni, una del Riccar- diano 1538, l'altra dei due magliabechiani sopraindicati. Cfr. Giorn. stor. IV, 272.

43. Paul Meyer, Les premier es compilations fran- caises d' histoire ancienne. I : Les faits des Romains ; II : Histoire ancienne jusqu' a Cesar. [Nella Romania, voi. XIV, 1885, pp. 1-81].

Nel primo capitolo di questa memoria, l' A. ha occasione di riferire (pp. 32-35) alcuni luoghi del testo volgare dei F a 1 1 i di Cesare, raf- frontando la lezione del cod. Riccardiano J313, pubblicata in parte nel Manuale del Nannucci (07., 650) con quella data dal Ranchi (07., 4-Oi) e con la stampa quattrocentista del Iz"6ro Cesariano {OV., 634). In appendice offre (pp. 78-81) tre capitoletti del Libro Troiano secondo il testo del ms. 120 it. della Ribl. Nazionale di Parigi, il quale è affatto conforme a quello del cod, magliab. IV. 46.

44. E. Teza, Otium senense: lettere a Giosuè Car- ducei [Estr. dalla Riv. crit. d. lett. it., a. I, n.° 5]. Firenze, tip. Garnesecchi, 1885; 8^, pp. 9.

Dal codice 1. II. 4 della biblioteca Comunale di Siena, contenente un testo del Libro della natura degli animali, produce il capitoletto del- l' unicorno : « L' unichorno si é una bestia più crudele che sia » , metten- dolo a riscontro con uno dell' Acerba : « 0 quanto l' unicorno è fero e fforte ». Anche, per saggio una strofe della leggenda ri- mata di S. Caterina d'Alessandria quale si legge nel cod. I. II. 1 della stessa Riblioteca.

45. E. Monaci^ Una leggenda araldica, e V epopea carolingia neW Umbria. [Neil' Antologia della nostra cri- tica letteraria moderna compilata da Luigi Morandi. Città di Castello, Lapi, 1885; pp. 103-107].

Ristampa del conto d'Orlando e Cornaletto: cfr. OV. Ap. 84-85.

46. Girolamo Mignini , Le tradizioni della epopea carolingia neW Umbria [Estratto dal numero della do- menica del giornale « La Provincia dell' Umbria »/. Pe- rugia, tip. Umbra, 1885; 1G^ pp. 20.

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Il primo dei sei documenti qui pubblicati è il conto di Orlando e C 0 r n a 1 e 1 1 0 edito già dal Monaci (cfr. l' articolo precedente) ; il secondo, inedito, fu ricavato da una raccolta ms. di cronache perugine compilata nel sec. XVIII: ma il testo risale probabilmente assai più addietro. Conta come (( Orlando viene a Perugia e libera Oliviero di prigione ». Gli altri quattro sono scritture d'epoca recente. Cfr. Riv. Crit., II, 481.

47. N. ZiNGARELLi, La fonte classica un episodio del Filocolo. [Nella Romania, voi. XIV, 1885, pp. 433-41].

Dalla edizione del Moutier, riveduta sui mss. laurenziani, riproduce la IV questione d'Amore del Filocolo, messa a riscontro con un luogo delle Metamorfosi d'Ovidio (VII, 179-289), eh' è fonte diretta della prosa boccaccesca.

48. / dodici avvertimenti che deve dare la madre alla figliuola quando la manda a marito: testo di lin- gua d' incerto autore del Trecento, nuovamente dato in luce da Pietro Gori. Firenze, Salani, 1885 ; 8°, pp. 8.

Ristampa materiale dell'edizione procurata nel 1847 dal Trucchi iOY. 372-73).

49. Le Grazie [prosa inedita di Antonio Pucci sul pregio degli stati mondani, pubblicata da Adolfo Bor- gognoni per le Nozze Rebiistello-Fellini]. Ravenna , tip. Lavagna, 1885; 8% pp. 16. Ediz. n. v.

Ricavata dallo Zibaldone del Pucci, di cui diede primo no- tizia il D'Ancona (07., 814), poi un più ampio sommario con due brevi estratti il prof. A. Graf {OV. .4/?., 132). Il Borgognoni la pubblica diplomaticamente, ma non senza qualche errore di lettura (cfr. Riv. Crit., II, 27) di sul magliab. XXIIL 135, soggiungendo le varianti dell'altro più antico apografo dello Zibaldone contenuto nel Riccardiano 1922, dove però il traltatello delle Grazie resta monco per difetto di alcune carte. Questa prosa comincia : « Tutte le grazie prociedono da dio, e tutte sono divisale in questo mondo negli uomini; et però non sono ingra- ziati l'uno di quello che T altro», e subito in principio riporta, a pro- posito del gasligamento dei fanciulli , il sonetto pucciano : Quando '/ fanciul da piccolo scioccheggia (cfr. n.° 30 del 188i); seguita poi di- scorrendo del pregio del prete, dei prelati, dei vescovi, dei religiosi, dei

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cardinali, del papa, del signore, del lavoratore, del mercatante, dell' ar- tefice, del medico, del giudice, del notaio, de' donzelli, dei cavalieri e rettori, degli uomini di corte, delle donzelle e delle maritate ; e si chiude con un capitoletto sulla « donna bella, compiutamente bella ».

50. // tipo estetico della donna del Medio Evo: ap- punti ed osservazioni di Rodolfo Renier. Ancona, Mo- relli, 1885 ; 16^ pp. XIII-192. Ediz. di ccl esempi.

A dimostrazione di un tipo estetico di donna bella vagheggiato dagli scrittori medioevali, o, per dir più esattamente, di una formula tra- dizionale nelle antiche descrizioni della bellezza femminile, il Renier reca nel suo discorso, oltre a parecchie minori citazioni d' antichi testi, alquanti terzetti del capitolo anonimo : Correvan gli anni del nostro Signore^ Mille trecento con cinquantanove (pp. 112-H5; cfr. OV., 995); due brevi estratti da una prosa del cod. Ambrosiano N. 95 sup., che comincia « Se tu voy avere bella donna, fa' che l'abia tre cosse bianche e tre negre » (pp. 120 e 141 n.), e l'ultimo capitoletto delle cosid ette Grazie, di An- tonio Pucci (cfr. num. precedente), che dice le proprietà di « bella donna compiutamente bella » (p. 121 n.). In appendice, ristampa un brano del cap. XIV del hb. Vili del Tesoro, che conta le bellezze d'Isotta (pp. 169-171) e il LII del Dottrinale di Iacopo Alighieri dedicato alle « dieci bellezze uma- ne ». Quest'ultimo era stato riprodotto recentemente da C. Gargiolli nel Propugnatore (V. S., XIV, ii, 289) come componimento a sé, anzi come nua Frottola inedita del sec. XV: e che in effetto corresse fin d'allora staccato dal Dottrinale,, par certo, poi che lo si trova cosi isolato oltre che nel cod. Laur. ^22 della SS. Annunziata, onde lo trasse il Gargiolli, anche in altri mss. In una recensione del lavoro del Renier pubblicata nella Riv. crit. d. let. it. (II, 132-141) si riportarono più altri antichi esempi di codeste descrizioni tradizionali , dei quali notiamo qui un brano del Detto d' Amore , e alcune stanze della canzone : Si come un solo sol sempre risplende, dal citalo cod. Laur. 122. Vedi anche gh articoli di A. Borgognoni (nella N. Antologia, voi. LXXXIIl, 594) e di F. Torraca {Donne reali e donne ideali , nelle Discussioni e ricerche letterarie , p. 291). Soggiungo qui, perché si aggiunga alle OV., che un altro antico documento delle bellezze femminiU , e cioè un breve estratto dallo Zibaldone di Franco Sacchetti, fu pubblicato tra le Face- zie e motti dei sec. XV e XVI (Bologna, Romagnoh, 1874, p. 66, n. 86), onde venne poi riprodotto da Vittorio Imbriani nella Illustrazione nona alla Posilecheata di P. Sanielli (Napoli, 1885, p. 124).

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51. Preparazione alla santissima comunione: scrit- tura inedita attribuita a Santa Caterina da Siena [pub- blicata da Luciano Banchi per la prima comunione di Al- bertina Brini]. Siena, tip. S. Bernardino, 1885; 16°, pp. 8. Ediz. n. V.

Dal codice laurenziano 959 del fondo Ashburnham. Comincia: «Si- gnor mio dolce, diletto e benedetto, in unione delle laudi, nelle quali Voi avete fatte tutte 1' opere vostre » .

52. La Scala del cielo: operetta antica spirituale non mai fin qui stampata [edita da Francesco Zambrini per la X Commemorazione del transito della Clelia Vespi- gnani]. Imola, Galeati, 1885; 16^ pp. XVI-220.— Ediz. n. v.

Dal codice 110 della Biblioteca Palatina in Firenze. Cfr. Propu- gnatore, V. S., XVIII, I, 467.

53. Leggenda della beata Vanna da Orvieto, tra- dotta in volgare l'anno MCCCC in Venezia da fra' Tom- maso Canarini da Siena dal testo latino del ven. Scalza orvietano contemporaneo della Beata, tratta dal codice veneto e dal senese dell' edizione romana e non venale di Lodovico Passarini, e ridotta a miglior lezione a cura di Luigi Fumi. Città di Castello, tip. Lapi, 1885; 8°, pp. 48.

Per l'edizione e per i codici sopraccennati cfr. OY. Ap. 90.

54. De la pratica di comporre finestre a vetri co- lorati: trattatello del secolo XV edito per la prima volta [da Alessandro Lisini per le Nozze Bandini Piccolomini- Baldassarrini Macinelli]. Siena, tip. Sordomuti, 1885; 8"*, pp. 32. cxx esempi, n. v.

Dal codice L. IX. 4 della Comunale di Siena, scritto sul finire del sec. XIV 0 nei primi anni del XV da un Francescano, che l'editore pensa possa essere frate Francesco Formica, artefice vetraio, al quale però si potrebbe attribuire anche la composizione di questa Pratica. Essa consta di 22 capitoletti in buonissimo volgare senese, che co-

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minciano: « Tolle squama di rame, che cade in sul ceppo quando se fanno le vasa del rame: torràne tre once, e patarnostri di vetro giallo, e de' verdi buietti; e pesta e ditti patarnostri, di per sé, molto bene, tanto siano bene polvarizati, sottilissimamente » .

55. L'assedio di Pisa [1405-1406): scritti e documenti inediti pubblicati dall' avv. Gius. Odoardo Gorazzini. Firenze, Diligenti, 1885; 16^ pp. CIII-196.

Contiene: I. Una Cronaca di Ser Nofri di Ser Pietro delle Riformagioni (pp. 3-57), cioè un diario avvenimenti occorsi fra il 21 ottobre 1392 e il 17 luglio 1406, estratto da un maggior libro di Ricordanze, probabilmente autografo di Ser Nofri, il quale si conserva nel cod. magliab. II. IV. 348 (cfr. n.° 63 del 1887). La parte qui pubblicata, quasi tutta relativa all'acquisto di Pisa, incomincia : « Nel 1392 a di xxj d'ottobre, in lunedi, fu morto messer Piero Ganbacorti, el quale era signiore di Pisa ». II. Una Cronichetta d'anonimo pisano (pp. 61-76) contempora- neo dell'assedio, la quale incomincia: (.< Avendo li Fiorentini gran desi- derio di sottomettere i Pisani, feciono gran gente et assediorno Pisa » . III. Ricordi di anonimo Pisano (pp. 79-93) intitolati « Della su- biugazione di Pisa alla servitù de' Fiorentini et entrata di quelli nella città con r esercito senza violenza » , e scritti , pare , parecchi anni dopo gli avvenimenti che narrano. Si leggono insieme con la Cronichetta pre- cedente nel cod. magliab. XXV. 366, eh' è copia della fine del sec. XVI. Dei Documenti che formano appendice a questo volume sono in vol- gare i quattro primi, il VI e il VII, contenenti Istruzioni e lettere dei X di balia, e il XV, cioè i Capitoli della resa di Pisa. Altri brevi scjuarci di volgare s'incontrano finalmente alle pp. xxix e segg. della prefa- zione, dove l'editore ha riferito da un processo i discorsi degli imputati ivi testualmente riportati.

56. Cronaca bolognese di Pietro di Mattiolo, pub- blicata da Corrado Ricci. Bologna, Romagnoli, 1885; 16^ pp. XLI-406.

Il Mattiolo nacque intorno alla metà del sec. XIV, e mori nel 1425: la sua cronica abbraccia 1' ultimo ventennio del trecento e il primo del quattrocento. Dopo la soHta invocazione, incomincia: « Questo si è uno livrizolo in lo quale è scritto alchune novitade e alchune chose passade, de le quai parte io si ò vezude al mio tempo, parte si ò oldide d' altri » . Fu prodotta fedelmente dall'autografo che si conserva nella Bibl. Uni- versitaria di Bologna. Cfr. Riv. Crit. , II, 1 70.

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57. Frammento della cronaca bolognese di prete Giovanni [pubblicato da Corrado Ricci, negli Atti e me- morie della r. depili, di st. patria per le prov. di Roma- gna, 3.^ S.^ voi. III]. Modena, tip. Vincenzi, 1885; 8°, pp. 14.

Dall'autografo, ora nella Biblioteca Universitaria di Bologna (busta Lxxxi ). Comincia : « An. mccccvij , die primo mensis decembris. A di eh' è ditto de sopra fo fatto lo papa novo in Roma, che se glamava lo gardenalle de Costanti nopuli »; e finisce con la notizia della morte di Ottobuono Terzi signore di Parma (1409). Cfr. Riv. Crit, II, 174-75, dove fu anche ripubblicato, dal cod. magliab. VII. 10. 1078, un canto po- polare contemporaneo suU' assassinio di Ottobuono : E chi voi oldir novele de la morte de misier Oto.

58. Documenti di Ser Ciappelletto [pubblicati da Cesare Paoli nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. V, 1885, pp. 329-69].

11 secondo di questi documenti (ricavati da due rotuli dell' Archi\io di Stato in Firenze: Diplom., proven. Gondi) è in volgare. Contiene i conti di Cepperello Diotaiuti da Prato, ricevitore re- gio nella balia d'Alvernia, an. 1288-90, che cominciano: « Al nome di Dio e di madonna Santa Maria, e di tutti i santi, e di gua- dangnio e d' acrescimento di bene ke Dio ne dia. Da qui inanzi dovemo iscrivere ciò ke ne viene alle mani e ke paghiamo per messer lo re nostro sengnore, delia babà d'Alvernia, a di quatro di marzo anno ottan- ta sette in fine in mezzo luglio anno ottanta nove » .

59. Lettere inedite degli ambasciatori fiorentini alla corte dei papi in Avignone: anno 1340 [pubblicate da G. GoRRiNi nell'irc/i. stor. it. , Serie 4"-, voi. XIV, 1884, pp. 153-71, e XV, 1885, pp. 325-32].

L'ultima di queste lettere, « fatta in Parigi di xxv di settembre '340, a sera » è stesa in volgare. Fu tratta, come le altre, dal Carteggio della Signoria : responsive ; contiene una informativa politica, anonima.

60. A. Fabretti, La prostituzione in Perugia nei secoli XIV e XV: documenti inediti. Torino, Coi tipi privati deir editore, 1885 ; 16°, pp. 46. xxiv esempi, n. v.

56 PUBBLICAZIONI DEL 1885

Non avendo potuto vedere questa prima edizione, descriviamo qui la seconda, pubblicala nel 1890 cogli stessi tipi e con alcune giunte. I primi due documenti consistono nelle seguenti rubriche dello statuto perugino volgarizzato nel 1 342 : « Che le meretrice, overo lavatrice de capeta non stiano en certe luoche; De la rufiana; De certe arfete facente peccalo con alcuna femmena; De la femmena giacente collo leproso, e della cri- stiana giacente con lo iudeo ». Il doc. Ili contiene gli ordinamenti del 1385 sulle prostitute perugine sottoposte agli appaltatori del postribolo; il lesto che segue alla deliberazione della Signoria è in volgare, e co- mincia : « Imprima, che ninna meretrice forestiera, la quale el corpo suo averà desposto a carnale cupidità per ragione de recevere guadagno, anche alcuna piubeca meretrice de la città o vero contado de Peroscia, la quale piubbecho e palese a onne persona indiferentemente cometesse el corpo suo per quisto guadagno fare e recevere, possa slare, habitare 0 demorare ella città, borghe o soborghe de Peroscia, se no solamente elio luoco diclo Malacucina ». Il doc. IV è la Cechda postriboli, ossiano i patti della vendila della gabella del bordello, fatta « en lo millesimo ccclxxxviij. Vendase la gabella del postribolo overo la comunanza per tempo de cinque angue proxime che vengono, commenzando a calende de genaio proximo che viene ». Questo è il documento più lungo. Il V é un altro atto di vendita della della gabella per gli anni 14.02-4; i successivi ap- partengono a epoche più recenti, e sono per la massima parte in latino.

61. Bandi Malatestiani dei secoli XIV e XV, a cura di Giuseppe Gaspare Bagli. [Estr. dagli Atti e Memorie della r. dep. di storia patria per le prov. di Romagna, Serie 3% voi. IH]. Modena, Vincenzi, 1885; 8^ pp. 23.

Degli undici bandi, tratti da un codice di proprietà dell'editore, i primi cinque, dati in nome di Carlo Malatesta, spettano al sec. XIV, cioè agU anni 1387-98. Ecco, per saggio di quel volgare, un capitoletto del bando II: « Ancora, perché el non è lecito ai cristiani de observare le superstitutione e Calende dei pagani , cun zo sia che questo sia grande ydolatria et dispiacere del nostro signore dio, fa comandare el diclo ma- gnifico signore Karlo, che zascheduna persona se dibia guardare da questo di nance de illuminare Marzo o alcuno altro ydolo, fiixendo asa- vere che zascheduna persona che incorerà in questo dilieto, ultra la pena spirituale sera messo in prexione, et li starà per spacio de uno anno » .

icazioni dell'anno 1886.

1. Das Spruchgedìcht des Girard Pateg , voti A. ToBLER. [Éstr. dalle Abhandlungen der K. Akademie der Wissenschaften zu Berlin vom lahre 1886]. Berlin, Verlag der K. Akademie, 1886; 4°, pp. 74.

Dal noto codice Saibante-Hamilton (cfr. nuin. 1 del 1884, e 46 del 1887), dove questo componimento si legge fra le e. SG'^-QGb col titolo: « Questo è lo splanamento de li proverbii de Salamone, conposto per Girard© Pateg da Cremona ». Consta di 606 alessandrini rimati a coppie, e divisi in sette capitoli secondo la materia dei proverbi che vi si contengono , parlando il capitolo I (( de la lengua », il II « de soberbia e d'ira e d'umilitale », il III « de matega e de mati », il IV « de le femene », il V « d'amigo e d' amistate », il VI «i de riqega e de pouertate », il .VII « d'ogna cosa comunalmentre ». Precede 1' invocazione e il disegno di tutta r opera :

E nome del pare altissemo e del fig beneeto E del spirito santo en cui forca me melo, Comenz e voig fenir e retrar per rason Vn dret ensegnamento e' aferma Salamon, Si con se trova scrito en proverbi per tetre,

Girard Pateg l' esplana e 'n volgar lo voi metre

Ma in effetto, in questi versi non sono soltanto sentenze ricavate dal Li- bro dei Proverbi e dall'Ecclesiaste, bensi massime d'ogni maniera rac- colte da più altre fonti popolari. Il principio dei Proverbi era già stato edito altre volte: i primi 6 versi da Emilio Teza insieme con un Sirventese storico del sec. XIV {OV., 935-36) secondo la lezione del cod. canoniciano 48, contenente 42 alessandrini del Patecchio , che tutti vennero poi stampati dal Teza medesimo nel Giornale di filologia romanza, I, 233, e sono qui nuovamente riprodotti dal Tobler anche secondo quel testo. Finalmente i primi 16 versi furono editi da A. Mussafìa nel Jahrbuch f. rom u. enfjl. Lit.. Vili, 207-12 (cfr. OV., 907-8). Allo Splanamento tien dietro nel codice, e fu pubblicala dal Tobler (pp. 72-73), una Parafrasi del Paternoster, anonima, compresa in 21 coppie di endecasillabi a rima baciata, che com. : Pater Noster, a ti, Deu, me confesso; è, salvo alquante varietà di lezione, conforme

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in tutto al componimento edito già dal Carducci nello studio Intorno ad alcune rime dei sec. XIII e XIV ritrovate nei memoriali, ecc. (pp. 102-103), e dal Casini fra Le rime dei poeti bolognesi del sec. XIII (p. 184).

2. Proverbia que dicuntur super natura feminarum [pubblicati da Adolfo Tobler, nella Zeitschrift fur ro- manische Philologie, voi. IX, 1886, pp. 287-331].

Dal già citato codice Saibante-Hamilton , ce. 98*-113b. Il curioso poema anonimo, ricchissimo di esempi storici della malizia femminile, e di ammonimenti e moralizzazioni d' ogni maniera contro le donne, si compone di 762 alessandrini distribuiti in 189 quartine monorime, più 6 versi di chiusa. Incomincia:

Bona cent, entendetelo per que sto libro ai fato:

Per le malvasie femene l'aio en rime trovato,

Quele qe ver li omini no tien conplito pato;

Cui più ad elle serve plui lo tien fol e mato.

Le strofe I-III e LII-III erano già state pubblicate da Adolfo Mussafia (v. num. preced.) Cfr. Riv. CriL, III, 56, dove fu prodotta un'antica poesia bilingue, che col titolo a Mulierura villa compilata partim rithimis litteraliter, et partim vulgariter in romano », si legge nel cod, vaticano 4823, e incomincia : 0 mulier initium, Omnisque fraudis vitium. Ivi stesso fu tratto in luce da un trattatello dugentista di Quistioni filosofiche conservato nel cod. palatino n.° 102 (cfr. il n."' 55 del 1887) un frammento d'antica poesia volgare contro le donne: Considera Virgilio , Merlino cum Sansone, ecc. D'un' altra lunghissima in ve e ti va contro le donne, che com, : Voi che d' amor sentite crudei dardi, e si legge nel cod. Riccardiano 2823, furono dati alcuni saggi nel Giorn. stor., VII., 439 n., in una recensione di questi Proverbi. Per la lingua di essi, cfr. anche la tesi dottorale di A. Raphael , Die Sprache der Proverbia ecc., Berlin, 1887.

3. Rime genovesi della fine del secolo XIH e del principio del XIV: parte seconda, edita per cura di E. G. Parodi. [Neil' Archivio glottologico, voi. X, 1886 , pp. 109-40].

Continua e compie la pubblicazione del Lagomaggiore {OV. 873- 74) coi nove ultimi componimenti del nolo codice, eh' è ora nell' Archi-

PUBBLICAZIONI DEL 1886 59

vio civico di Genova. Il primo é mutilo per difetto di alcune carte; il II, « de quodam provinciali translato in lingua nostra », cora. : Monta via ò visto scrito; il III, « de instructione puerorum juvenum et senum » : Se ben indeder me voresi; il IV, « de quodam puero intranle in reli- gione » : Perzò che e t' amo e si m è car ; il V, « de falax condicione mondi » : Unna via eh' e stava inderno ; il VI, « mundus confitendi pec- cata » : Perzò che è tennuo ogn omo ; il VII, « de mala condictione mundi et habitatoribus suis»: Quando e me son ben apensao ; l'VIII, « expo- sicio de mondo navigandi »: Sengnor merchanti e marinar; il IX, « de carnis privium et die veneris »: Forzarse de chiuncha pò.

4. E. Pèrcopo^ Due studi su le laudi di Jacopone : contributo all' edizione critica. [Estr. dal Propugnatore, V. S., voi. XIX]. Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1886; 8^ pp. 320.

Nel primo di questi studi sono descritti i codici della Biblioteca Nazio- nale di Napoli contenenti laudi di Jacopone, e anzi tutto quattro maggiori raccolte, poi altri mss. miscellanei che contengono dispersi componimenti col nome del tudertino. Di tutti è dato in fine l' indice ; di molti sono riferite le varianti e discusse le attribuzioni; dei seguenti è anche pro- dotto il testo. 1. Homo, se sengnore tu trovasse (p. 127); 2. Male vo- lonteri te condampno (p. 131); 3. Judici cum notarii (p. 133); 4. Vale, frate Johanni, vale, con l'accompagnatoria latina « ad frate Jo- hanni da la Verna, Ke in quartana se soverna » (p. lo4.);5. Ogmè la- scio cfc friddu lu meu core (p. 157) : tutte queste dal cod. XIII. C. 98. 6. Jesti , Jesù , Jesù , Trahi la mia mente su (p. 206 : dal cod. V. H. 145); 7. Quando te alegri, homo, de altura (p. 211: le ultime 21 strofe dal cod. 5. H. 386); 8. Troppo perde et tempo chi non f ama (p. 226 : dal cod. VI. D. 68, che solo le due prime strofe) ; 9. Donna del Paradiso (p. 231 : quindici strofe accodate al testo vulgato di questa lauda, dal cod. VII. G. 5i); 10. In foco l' amor mi misse (p. 236: ri- prodotta diplomaticamente dal cod. Vili. A. 4, e poi ricostruitone il testo); 11. Adoro ti. singiore (p. 239: dal cod. Vili. B. 35). Nel secondo stu- dio dà notizia di un ms. perugino della Francischina, ricavandone i ca- poversi e alquanti passi delle laudi citate nella Vita di Jacopone. Anche di questi frammenti è un indice finale.

5. La « Passione » e altre scritture lombarde , che si contengono in un codice della Bibliot. comun. di

60 BIBLIOGRAFIA

Como; edite da C. Salvioni. [NeW Archivio glottologico, voi. IX, 1886, pp. 1-24].

La « meditation de la passione del nostro segnor Jesu Criste in vulgare secondo le sete hore del di » comin- cia : « In prima a matutin se de di' : Anima ke vore' vegni a perfition se reduga al confanon zoè a la croxe, in la quale morite lo nostro se- gnor per nu miseri pecaduri ». Seguono una breve esposizione del Decalogo ed una «canzone d'argomento sacro»: Partete core, e vate a lo amore, la quale di fatto non è che una parte della lauda-bal- lata di Jacopone: Piangi, dolente anima predata. Queste antiche scritture lombarde erano state già pubblicate, ma in tutt' altra forma dalla originale, da Rosalinda Mocchetti-Cioffio, in un libricciolo edito nel 1 836 e dedicalo alle monache salesiane di Como: Meditazioni sulla passione di N. S. Gesù Cristo tolte da un manoscritto del Mcccc in pergamena, e dal dialetto comasco recate in volgare italiano. Cfr. Giorn, stor. , VII, 302-303, dove il Pércopo avverti l' identità della « canzone » con la lauda iacoponica, e il Salvioni comunicò un saggio di versione ber- gamasca della stessa poesia, riproducendolo dal libro di G. Rosa sui Dialetti^ costumi e tradizioni nelle prov. di Bergamo e Brescia, Brescia, 1870, pp. 342-45.

6. G. Salvioni^ Lamentazione metrica sulla Passione di N. S. in antico dialetto pedemontano [pubblicata il 25 novembre 1886, nel 25° anniversario cattedratico di G. L Ascoli]. Torino, tip. Bona, 1886; 8°, pp. 27. ce esempi, n. v.

Consta di 41 quartine, per metà circa monorime, le altre divise in due coppie: i versi corrispondono, o si possono ridurre per la maggior parte, a endecasillabi epici alla francese. Cominciano:

Din devema tuit piorer | cum gran dolor la dura mori, del nostr bon creator chi vols morir | per reymer li peccator susa la Crox 1 assi gran desonor.

Si legge con la data del 1517 in un grosso zibaldone dell'archivio capitolare di Chieri; ma la composizione risale certo molto più ad- dietro. Era stata già edita, ma non bene, da F. Rondolino in appendice al romanzo La corte d'Acaia (Torino, 1884) , e di ri[)rodotte poi le prime 16 strofe negli Studi di un ignorante (E. D'Azeglio) sul dialetto

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piemontese (Torino, 1886); ora venne nuovamente ricavata dall' origi- nale e accompagnata da annotazioni linguistiche.

7. Elia Zerbini, Note storiche sul dialetto berga- masco. [Negli Atti dell' Ateneo di scienze^ lettere ed arti in Bergamo, voi. Vili]. Bergamo, tip. Gaffuri e Gatti, 1886 ; 8^ pp. Lxvii.

Vi si leggono, frammessi al discorso, i seguenti saggi d'antiche rime bergamasche: 1. E quando guardila tua faccia (p. xiii), parte di una laude-lamento della Vergine, in 16 strofe; 2. Ève salve, rayna, da l'angel salutata (p. xvi), Salveregina in versi accoppiati, dal cod. T. IL 6 della Comunale di Bergamo; 3. Confessando la mia defeta (p. xxi), ballata di ottonari: contrasto fra la donna e il frate confessore; 4-. Do- man a pascua rosata (p. xxiii)', frammento: conta d'una moglie e d'un marito geloso. Ancora , alcuni brevi saggi di glossari latino- bergamaschi dai codici T. II. 6, T. IIL 50 e T. V. 11 (pp. xvii e xxv), e la prima rubrica e una parte del cap. I del Tesoro secondo il testo Marciano ci. II it. , 5i, che fu scritto da Raimondo da Bergamo (pp. xix-xx). Il contrasto al num. 3 fu stampato poi più compiuta- mente nel Giorn. Stor. , VII, 458, in una recensione di queste Note.

8. « Questo sie lo dito de savio Salomone » [ : sirven- tese pubblicato da Giuseppe Ferraro nel Propugnatore , V. S., voi. XIX, 1886, p. n, pp. 263-70].

È il componimento notissimo anche col nome di Dottrina dello schiavo di Bari {OV., 920), che comincia: Al nome de dio se vole comenzare. L' editore non indica il codice onde lo trasse.

9. Le antiche rime volgari secondo la lezione del Codice vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D'Ancona e D. CoMPARETTi. Voi. IV. Bologna, Romagnoii-DaU' Acqua, 1886; 8^ pp. 422.

Contiene 377 sonetti, dei quaU 220 inedili linora. Portano i n. cccxxvi- Dccii nell' ordine progressivo dei componimenti del gran canzoniere vati- cano. Di questi sonetti, 3 sono attribuiti all'Abate di Ti boli, 1 a Balduccio d'Arezzo, 1 a Barlolino Palmieri, 3 a Bondie Dietaiuti, 82 a Chiaro Davanzali, 2 alla Compiuta Donzella di Firenze, 1 a Francesco da Camerino, 7ia Guitlonc d'A-

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rezzo, 3 a Giano, 3 a Guido Orlandi, 9 a Schiatta di Mess. Albizzo, 7 a Maestro Francesco, 15 a Maestro Rinuccino, 6 aMaestro Torrisgiano di Firenze, 1 a Guido Guinizelli, 4 a Messer Migliore degli Abati, 62 a Monte, 7 al Notaro Giacomo, 2 a Orlanduccio Orafo, 7 a Pacino di Ser Fi- lippo Angiulieri, 2 a Palamidesse Belindote, 1 a Rustico di Filippo, 2 a Ser Bonagiunta Urbiciani da Lucca, 13 a Ser Cione, 2 a Ser Iacopo da Leona , 1 a Ser Mino da Colle, 1 a Ser Monaldo da Sofena, 1 a Ser Polo Zoppo da Bologna, 2 a Terino di Castelfiorentino; finalmente 58 sono anonimi. Cfr. le recensioni di A. Gaspary nella Zeitschr. f. rom. Phil., X, 585-90 , e di T. Casini nella Riv. Crit. , IV, 33 e segg. , dove dallo stesso codice furono prodotti per saggio alcuni sonetti e frammenti di sonetti allora inediti, ma che qui non si descrivono più particolarmente perché videro poi tutti la luce nel V ed ultimo volume de Le anti- che rime.

10. Altitalienisches Lesebuch {XITI lahrhundert) zu- sammengestellt von Jakob Ulrich. Halle, Niemeyer, 1886 ; 8^ pp. VIII-160.

La prima parte, cioè V antologia poetica, contiene : il contrasto pro- venzale-genovese di Rambaldo Vaquciras ; saggi del Macaire, del Bovo di Antona {OY. 859), dell'antico Decalogo bergamasco, del Libro di UguQon da Laodho, delle rime di Giacomino da Verona, di Piero da Bescapé, di Bonvesin da Riva, dell'Anonimo genovese, d' una poesia didattica del sec. XIII (OF., 815-16); gli antichi contrasti bolognesi delle comari, delle cognate, della madre con la figliola (cfr. Cantil. e ball. ed. Carducci , n. xxi-xxiii), il lamento della sposa padovana, il contrasto di Giulio d'Alcamo, il cantico del sole di S. Francesco, quattro laudi di Jacopone, 1' antica devo- zione e la laude drammatica prò nalivitate pubblicate nella Riv. di filol. rom., II, 14 e 35; due altri antichi contrasti fra madre e figlia (Cantil. cit., p. 336, e Trucchi, I, 73), i cinque sonetti antichi del Giudizio d'Amore {OV., 942-43). E componimenti di Oddo delle Colonne, di Rinaldo d'A- quino, di Federigo II, di Mazzeo di Ricco, di Ruggeri Apugliese, di Ruggerone da Palermo, Ciacco dall' Anguillara, Compagnclto da Prato, Folgore da S. Gimignano e Cene dalla Chitarra, Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri, Pucciarello da Firenze, Guittone, Panuccio dal Bagno, Meo Ab- bracciavacca, Guido Guinizelli, Bonagiunta Urbiciani, Brunetto Latini (saggio del Tesoretto), Francesco da Barberino (saggio del Reggimento). L'antologia della prosa comprende: una carta involgare sardo del 1173

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(cfr. Riv. fìlol. rom., I, 52), saggi della parafrasi lombarda di un testo di S. Grisostomo, e di un sermone galloitalico {Romanische Studien, IV, 18), un capitolo degli Statuti dei carnaiuoli di Siena {OV. 958) , una lettera volgare senese del 1253 {OV. 601); due dei Dodici conti senesi {OV. 303-04) ; sei degli antichi Exempli editi dallo stesso Ulrich ( n.° 54 del 1884), cinque dei Conti d' antichi cavalieri; e brani dei Fatti di Cesare, del Milione, del Tesoro, del Catone in antico volgare veneziano {OV. Ap. 174), del volgarizzamento d' Albertano, della Composizione di Ristoro, del trattato di fra Paolino Minorità; 11 racconti del Novellino, e una lettera di Guitton d'Arezzo. Cfr. Riv. Crit., Ili, 11, e Giorn. stor., VII, 253.

11. Rime bolognesi del secolo XIV [pubblicate da F. NovATi nel Giorn. stor. di leti. ìt., voi. VII, 1886, pp. 469-70].

Due sonetti : Ben me par sazo e somo de sapere, e One cosa te- rena quanto saie, che si leggono in un volume di Matricole e sentenze dei notai di Bologna dal 1300 al 1385, nell'Archivio di stato in Bologna. Il secondo era già assai noto col nome di Onesto bolognese.

12. Adolfo Borgognoni, Guido Guinizelli e il dolce stil novo. [Nella Nuova Antologia, voi. LXXXIX, 1886, pp. 582-610].

Oltre a parecchie citazioni di poesie dugentiste, riferisce intero (pag. 606) il son. di Jacopo da Leu ti no: Re glorioso, pien d' ogni pietate.

13. Adolfo Borgognoni, Rimatrici italiane ne' primi tre secoli: a proposito d'una recente pubblicazione. [Nella Nuova Antologia, voi. LXXXVIII, 1886, pp. 210-35].

Dal codice vaticano 3793 produce il sonetto di Maestro Torri- giano: S'una donzella di trovar s'ingegna (p. 212); ristampa quello della pretesa trecentista Giustina Levi Pero Iti da Sassoferrato al Petrarca: Io vorrei pur drizzar queste mie piume (p. 216), e due bal- late in figura di donna: Tradita sono da un falso amadore (p. 220-21) di Gio. del Pecorone, e Lassa, dolente, ahimé, marito mio (p. 222) di Andrea Stefani.

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14. Della libertà nella nuova lirica toscana del 1300: sunto critico di Virginio Rossi. Bologna, Zanichelli, 1886; 16°, pp. 159.

Vi sono riferiti per intero 19 sonetti, due canzoni e la ballata della Vita Nuova, e altri sonetti di Dante; e rime d' Orlanduccio Orafo (p. 22), di Beroardo notaio (p. 23), di Ser Clone (24), di Pala- midesse di Bellendote (25), del Guinizelli (85-87, 114), del Cavalcanti (51, 79, 88, 116-18), di Cino da Pistoia (48,53,78, 89, 93, HO, 118), di Cecco d'Ascoli (57), e di Dino Frescobaldi (115). Cfr. Riv. Crii., IV, 26.

15. Carlo Cipolla, Sig ieri nella Divina Commedia. [Nel Giorn. stor. d, leti, it., voi. Vili, 1886, pp. 53-139].

Contiene (p. 120) il sonetto xcii del Fiore: Color con cu i' sto, SI anno il mondo, riprodotto dalla edizione del Castets (OV, Ap., 53).

16. La Commedia di Dante Alighieri col commento inedito di Stefano Talice da Ricaldone, pubblicato per cura di Vincenzo Promis e di Carlo Negroni. In Torino , colle stampe di Vincenzo Bona, 1886; 4"", pp. XIX-593. Ediz. n. V.

Stampata a spese di S. M. Umberto I. Il testo della Commedia è quello dei quattro accademici (Firenze, 1837).

il. La Divina Commedia di Dante Alighieri. Firenze Barbèra, 1886; 64% pp. 604.

Collezione diamante.

18. La Divina Commedia di Dante Alighieri. Firenze, Ernesto Passiglio, 1886; 64% pp. 604.

Troppo somigliante alla precedente!

19. Dante Alighieri: La Divina Commedia con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Came- rini. P^ edizione stereotipa. Milano, Sonzogno, 1886; 8% pp. 430.

Diblioteca classica economica.

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20. La Divina Commedia di Dante Alighieri, Firenze, Salani, 1886; 16^ pp. 491. Ediz. illustrata.

21. Dante Alighieri: La Divina Commedia voltata in prosa, col testo a fronte, per cura di Mario Foresi. Firenze, Salani, 1886; 16^ pp. 939, con ritratto.

22. La Divina Commedia accomodata per le scuole secondarie da A. Lumini. Parte I: Inferno. Messina, De Stefano, 1886; pp. LXIII-170.

Cfr. Riv. Crii., Ili, 183.

23. Scelti luoghi della Divina Commedia comentati per uso dei giovani da Ferdinando Scappatura. Reggio Calabria, tip. L. Geruso fu Giuseppe, 1886; 8°, pp. 32.

24. / quattro poeti italiani. Firenze, G. C. Sansoni, 1886; 8°, pp. XIV-114; X-90; VII-351; VIII-139.

Contiene la Divina Commedia con la Vita di Dante di L. Are- tino (pp. XIV-Ì14), e il Canzoniere del Petrarca (pp. X-90).

25. Ernesto Lamma, Studi sul Canzoniere di Dante. [^q\ Propugnatore , V. S. , voi. XVIII, 1885, p. n, pp. 189-224 e 352-79; voi. XIX, 1886, p. i, pp. 133-99].

Contiene: la ball, dantesca Per una ghirlandetta, nella redazione popolare {Vedi a voi^ donna^ portare: p. 147, n.); il sonetto: Chi vuol star sano osservi questa norma (p. 157; cfr. n.° 27 del 1884), e un Credo in 21 ternari, attribuito a Dante dal cod. Riccardiano 1672: Credo in un solo dio omnipoiente (p. 197).

26. Die berliner Handschriften der Rime Petrarcas, beschrieben von Carl Appel. Berlin, Reimer, 1886; 8°, pp. 106.

Descrivendo 7 mss. petrarcheschi della collezione Hamilton, riporta : dal cod. 495, tre sonetti adespoti che vi si leggono in fine: 1. hi nostra vita curta nissum passo (p. 20); 2. Io sum quello ch'io fui senpre et esser vofjlo; 3. Io sum e serò senpre quel che fui (il primo é altrove attribuito ad Antonio Pucci), e il principio e la fine d'un sirventese tetrastico:

Voi. Ili, Parte II. 5

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Sovente in me pensando come amore (p. 4); un sonetto attribuito al Petrarca, ossia frammisto al Canzoniere nei codd. 498 e 500: Dimme, cor mio, non mio ma di colei (p. 23). Nelle pp. 75-83 le varianti di questi sette codici pei 33 componimenti petrarcheschi su argomenti vari; neir appendice III offre una tavola delle rime di Simone Sardi ni e di Malatesta de'Malatesti contenute nel cod. 500. Cfr. Zeitschr. f. rom. PhiL, XI, 138, e Riv. Crii., Ili, 180.

27. La resa di Treviso e la morte di Cangrande /.° della Scala: cantare del secolo XIV edito ed illustrato per cura di Antonio Medin. [Estr. dall' Archivio Veneto, Serie II, voi. XXXI]. Venezia, tip. Visentini;, 1886; 8% pp. 84.

Comprende, in due parti o canti, 87 stanze, come questa prima:

0 alto re di gloria, per tuo onore concedi grazia e dona a lo mio core, eh' i' possa dir del nobile signore messer Can de la Scala, come fu allo il suo pregio e valore, e come tosto cala;

strofe che si può giustamente considerare come una varietà del serventese. Il Medin accompagnò il cantare di buone illustrazioni storiche e letterarie, accertando l' esattezza dei fatti narrati nei versi bellissimi , e togliendo cosi ogni sospetto che potea venire sulla loro genuinità dalla tarda età dell'unica copia che ce li ha conservati (cod. Chigiano L. IV. 131, ms. del sec. XVI-XVII). Cfr. Riv. Crii., IV, 161, e in questa bibliografia il num. 18 del 1887.

28. La morte di Giovanni Aguto: documenti inediti e cantare del secolo XIV pubblicati per cura cos'Antonio Medin. [Estr. dall' Archivio storico italiano, IV S. , voi. XVII]. Firenze, tip. Cellini, 1886; 8^ pp. 19.

<i II mortorio di messere Giovanni Aguto e l' onoranza fatta al detto messere Giovanni Aguto nostro capitano di guerra », breve cantare di 14 ottave, fu ricavato dal codice Riccardiano 2236; un'altra copia è nel cod. H. XI. 54 della Bibl. Comunale di Siena; una terza, ma incompleta, fra le carte di Francesco Datini (Arch. del Ceppo in Prato). Incomincia:

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Mille trecen novantatre correva e raargo a dicessette di venuto, come mostrò Iddio eh' a Uui piaceva a ssé chiamar Messer Giovanni Aguto.

29. In memoria di Napoleone Caix e Ugo Angelo Canello: miscellanea di filologia e linguistica. Firenze, Succ. Le Monnier, 1886; r, pp. XXXVIIl-478.

Dei 39 articoU che compongono questa Miscellanea, si devono qui in- dicare i seguenti. C. Paoli, Notizia di un codicetto fiorentino di ricordi scritto in volgare nel secolo XIII (pp. 91-93), cioè un bastardello membranaceo dell' Archivio fiorentino (Diplomatico) con- tenente « ricordi di compre di terre nella corte di Petroio nel Valdarno inferiore, e conteggi di dare e avere relativi alle dette compere, degU anni 1255-59, 1269-82, 1290 ». Il PaoU ne presenta l'indice e tre brevi saggi, il primo dei quali comincia: « Venturello e Guido f. Bonaiuti Aghana Avén konperato da loro le due parti d'u pezo di tera posta ne la kosta di Petroio ». B. Wiese, Einige Dichtungen Lio- nardo Giustinianis (pp. 191-97), e sono quattro sirventesi di tetrastici cavati dal cod. Marciano CI. IX it., 105: 1. Che debio più sperar al mio languire; 2. 0 mixera mia vita, ho cor mio afflicto; 3. Moro d' amore, aimé laso, eh' io moro ; L Venuta è V ora e 'l di- spietato ponto. Quest'ultimo, stampato già altre volte (cfr. OV. 899), è di Jacopo Sanguinacci. B. Benier, Un mazzetto di poesie musicali francesi (pp. 271-88). Illustrandolo, riporta dal cod. laur. musicale 87 il madrigale trilingue : La fiera testa, che d' uman si ciba (p. 276, n. 1). A. D'Ancona, L'arte del dire in rima: sonetti di Antonio Pucci (pp. 293-303), ricavati da un cod. di rime an- tiche della Biblioteca Comunale di Udine. 1. Ben che non sia maestro di trovare; 2. Fammi di pie quattordici il sonetto (anzi megho, col cod.: Fa mcQÌ pie quattordici...); 3. Se tu divari la comune u- sanza ; k. Perché d' imprender veggio eh' ài desio ; 5. E non entrare , amico, troppo fiero; 6. Sai com' se fa? che pensi innanzi tratto; 7. Pensato chi tu se in quella stagione; 8. Pensato quello che vói dir, ancora; 9. Pensato a cui tu parli, si pertene; 10. Pensata la cagion che a dir ti move; 11. Pensato come parlai dèi, intendi; 12. Pensato eh' di il tempo, tanto taci. Gli ultimi sette sono fedele parafrasi del trat- tato del dire e del tacere di Albertano da Brescia secondo la versiome inserita nel lib. VII del Tesoro. C. Salvioni, Antichi testi dia- lettali chieresi, (pp. 345-55). Dal II voi. degli Statuti della Compa-

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gnia di S. Giorgio del popolo di Chieri , che si conserva in queir ar- chivio municipale, pubbUca una formula di giuramento e uno statuto in volgare chierese. Comincia la prima : « Vos, domini rectores , de la compagnia de messer seynt Georg e del pouor de Cher, el vostr sarament sera tal ». Lo statuto: « A lo nom del nostr segnor Jhesu Christ , amen. A 1' an de la ssoa natività Mcccxxj , a la quarta indicion, en saba a xxv di del mes de loign ». Un saggio di questi testi avea già dato M. Pipino nella sua Grammatica piemontese, 1783, p. 136; e interamente, ma non esattamente, U aveano poi pub- blicati il CiBRARio nelle Storie di Chieri, II, 287 e segg., e il Biondelli, nel Saggio sui dialetti gallo-italici, 597 e segg. Cfr. le recensioni di questa Miscellanea, nella Zeitschr. f. rom. Phil. XI, 266, nella jRoma- n?«, XV, 452, nella Riv. Crit., II, 180 e III, 175, e nel Giorn. Stor., VIII, 496, IX, 266.

30. Sonetti inediti di Buccio di Ranallo [pubblicati da Cesare de Lollis nel Giorn. stor. d. kit. it., voi. Vili, 1886, pp. 242-47].

1. 0 gente sciocca, sciate penetuti; 2. Singnuri, ranno de la carestia; 3. Quando me resobe' la p'ietate; 4. Alexandro lassò la signoria ; 5. Sempre se dixe : tu fai male ad cento ; 6. Quale homo dice che lo destinato. Ricavati da una copia della cronica di Buccio, finita di trascrivere nel 1493 e conservata nell'Archivio municipale d' Aquila. Ma al poeta aquilano spettano solo i primi tre e 1' ultimo, che si trovano intercalati nella sua opera, (cfr. n.** 7 del 1885), mentre gli altri due, « che si leggono subito dopo l'ultimo verso della cronica », non sono affatto di lui, inediti.

31. Tre ballate inedite di Maestro Antonio da Fer- rara [pubblicate da Albino e Oddone Zenatti per le Nozze Nicolai-Lombardi]. Firenze, tip. Garnesecchi, 1886; 8^ pp. [8]. Lxxx esempi, n. v.

1. La bionda foresetta; 2. Chi da costei non viene; 3. Per fuggir per dormire. Le prime due dal cod. Laurenziano 478 del fondo Ash- burnham, la terza (due versi della quale sono citati dal Sacchetti nella nov. 1^9) dal cod. Marucelliano C. 152, raffrontalo col Laurenziano pi. XL. 46 e col MagUabechiano VII. 1010.

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32. [ (( Ballata di Francesco di Vannozzo da Padova » , e- dita da Giuseppe Scudellari per le Nozze Ajò-Ottolenghi]. Perugia, tip. Boncompagni [1886]; f. volante. Ediz. n. V.

Da poi che mi convien di qua partire, « dal cod. 59 della Biblioteca del Seminario di Padova, e. 53^ : lezione ammodernala ».

33. Poesie inedite da codici estensi raccolte » e pubblicate nelle Nozze Cappelli-Hermite da Antonio Cappelli]. Modena, tip. A. Cappelli, 1886; 4°, pp. 12 Ediz. n. V.

Contiene, insieme con due componimenti più recenti di Domenico Qui- rini e di Orazio Malaguzzi, tre antiche ballate: \. Non per mia colpa per mio fallire (dal cod. XIL E. 19); 2. Taccia chi vuol, che mi convien pur dire (dal cod. II. G. 14); 3. El non e, donna, gioco (dal cod. X. B. 10).

34. Una ballata trascritta dal cameraro del Co- mune di Trieste nel 1444 [e ripubblicata w^WArch. stor. per Trieste, V Istria e il Trentino, voi. HI, 1884-86, pp. 134-36].

Trascritta dal padovano Federigo de Mercatellis, cameraro del Co- mune di Trieste nel 1444, in calce a un breve del 1418, fu edita la prima volta nell'/s/m, periodico diretto da P. Kandler (an. V, 1850). Comincia : Una donna m' à dato bando.

35. Antichi contrasti popolari [: comunicazione di Severino Ferrari, nella Rio. crit. d. lett. it., Ili, 1886, 29-30].

Riporta il principio di « una canzone lombarda » , probabilmente del trecento, conservatoci dal Magliabcchi, che lo ricopiò nel suo Zibaldone (cod. magliabech. II. II. 109) da due manoscritti, a uno de' quali (egli avvertiva) è certo di trecento anni ». Sono due strofe composte di quat- tro alessandrini accoppiati con rimahnezzo, e di due endecasillabi pure a rima baciata (schema «J5 «B <?/) ^D EEJ); e cominciano: Donna, la mia disgrazzia Mi stringie Amor eh' C canti.

70 BIBLIOGRAFIA

36. Sonetti e strambotti [: comunicazione di S. Ferrari nella Riv. cnt. d. lett. it., Ili, 1886, 188-91].

Per provare i frequenti scambi, cosi di nome come di materia, che furono fra questi due generi di stanza, riporta dal cod. laurenz.-gadd. 198, quattro ottave incatenate, che ivi s' intitolano .Sowem' (la prima com. : 0 quanto vano è stato il mio pregare), e dal laurenz. 122 della SS. Annunziata, un sonetto adespoto : S' io il potessi far, madonna bella, eh' é rifacimento dell'antico strambotto: Se io potessi far, fan- ciulla bella.

37. Ninne-nanne, cantilene e giuochi fanciulleschi uditi in Firenze, con l' aggiunta di alcune ninne-nanne tratte da manoscritti [per cura di A. Straccali e S. Ferrari]. Firenze, tip. Garnesecchi, 1886; 8°, pp. 24. Ediz. n. V.

Contiene la ninna-nanna del trecento già edita dal Carducci nelle Cantilene e Ballate ( p. 47 ) , che incomincia : Nanna nanna, li miei begli fanti (p. 21), e due orazioncelle metriche da dire quando si va a letto: A letto, a letto me ne vo, e Nel mio letto me n andai, ricavate dal cod. Riccardiano 9729, ms. del sec. XV. Cfr. Riv. crit., Ili, 25, e Giorn. stor., VII, 299.

38. G. Papaleoni^ Una narrazione in versi della rivolta di Trento nel 1435. [Neil' Arch. stor. per Trieste, r Istria e il Trentino, voi. Ili, 1884-86, pp. 293-97].

Frottola anonima , contemporanea degli avvenimenti che discorre , arrivata a noi frammentaria, cioè in due brani: in tutto 92 versi. In- comincia :

Che statu a far, che pensi, puliscila, che non lavori o tessi nel telaio ? Poi che saper el vói, misser mio caro, ecco, ve contarò sta mia novella, pohta, vera e bella;

indi seguita a settenari accoppiati.

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39. [Tre poesie inedite, pubblicate da Vittorio Tren- TiN per le Nozze Giacomelli- Barozzi]. Venezia, tip. C. Ferrari, 1886; 8^ pp. [8]. Ediz. n. v.

Le procurò all' offerente dell' opuscolo il dott. Vittorio Gian. La pri- ma, tratta dal codice 4.3 della Biblioteca Comunale di Treviso (cfr. n.° 43 del 188i), non é, come la chiama l'editore, una ballata, ma un sirventese di tetrastici collegati , che incomincia : Quanto peccato fai a farme torto. La seconda é latina ; la terza è un sonetto cinque- centista.

40. Una lettera ed un' Avemaria inedite del se- colo decimoquinto », pubblicate da Erasmo Pèrcopo Nel secondo anniversario dell'acerba dipartita di Angelina de Angelis]. Napoli, s. tip., 1886; 8^ pp. 16.

Ricavate da due codd. della Biblioteca nazionale di Napoli : la « lictera consolatoria de morte filie » dal ms. VH. E. 2; dal XIL G. 13 la parafrasi dell' Avemaria, in dialetto abruzzese, che com. : Ave te desse lo sancto messaio^ e consta di 14 strofe decastiche di endecasillabi {ab ab ab ab ce). Cfr. Riv. Crit., IV, 25, e Prop. V. S., XX, i, 82.

41. [Descrittion delle partì che deve haver una donna bella: sonetto pubblicato da Rodolfo Renier, nel Giorn. stor. d. leti, it., voi. VII, 1886, p. 304].

Com.: Se tu vuoi donna bella a mano a mano. Dal cod. Cicogna 1945 del Museo Correr di Venezia, ms. del sec. XVII-XVIII; ma la composizione risale certo molto più addietro.

42. Orlando ": die Vorlage zu Pulci' s ^Morgante'' zum ersfen Mal heraiisgegeben von Johannes Hubscher. Marburg, Elwert, 1886 ; 8^ pp. C-264.

È il noto poema, forse della fine del secolo XIV, illustrato già dal Raina (Pro/?. , V. S., voi. II, p. i) e qui stampato interamente (2180 ot- tave in 60 canti) secondo il codice laurenziano-mediceo LXXVIII. Cfr. Riv. Crit., IV, 88.

72 BIBLIOGRAFIA

43. Collezione fiorentina di facsimili paleografici greci e latini illustrati da Girolamo Vitelli e Cesare Paoli. Fascic. 1-3. Firenze, Succ. Le Monnier, 1884-86. In fol.

Dei facsimili di lettera latina furono pubblicate fino ad ora trenta tavole, delle quali qui importa rilevare le seguenti, che contengono scritture volgari. VII. Il libro di Sidrach, dal cod. Laurenziano LXL 7, e. 82.b XXIV. Estratti di conti mercantili: pergamena del 1302 nell'Arch. di Stato fiorentino (Diplomatico, provenienza Mercatanti). XXVII. Statuto dell'arte dei mercanti del 1339, Arch. Stat. Fior., Calimala, cod. 12, e. 12. XXVIU. Divina Commedia con commento d' ano- nimo: la e. 32^ del noto codice dantesco, già del Poggiali, ora Palatino E. 5. 2. 54. Ciascuna fotoincisione è accompagnata da illustrazioni paleo- grafiche e da una trascrizione del testo.

44. Tommaso Casini, Manuale di letteratura ita- liana ad uso dei licei. Voi. T. Firenze, Sansoni, 1886; 8^ pp. XIII-520.

Contiene delle rime di F. Petrarca (pp. 1-69) 25 componimenti, e 12 novelle di G. Boccaccio (pp. 71-127) con copiose annota- zioni , dove notiamo il racconto del Saladino quale si legge nelle Novelle antiche e ^q\V Avventuroso Ciciliano, riferito (pp. 73-4-) a illustrazione della Novella iii della Giornata I; e il sonetto di Cecco Angiolieri a Cecco di Fortarrigo : Non si disperin quelli dell' inferno, riportato a p. 108, nella nota premessa alla nov. iv della giorn. IX.

45. Manuale della letteratura italiana compilato da Francesco Torraca ad uso delle scuole secondarie, Firenze, Sansoni, 1886-87; voli. 3 in 8°, pp. 492, 552, 595.

Nel voi. I si leggono insieme con molti saggi frammentari d'antiche prose e poesie, interi componimenti di lacopone , Federigo II, Iacopo Mo- stacci, Iacopo da Lentino, Pier dalle Vigne, Enzo re , Guido dalle Colonne, Mazzeo di Ricco, Bonagiunta Orbiciani, Giacomino Pugliese, Rinaldo d' A- quino, Oddo dalle Colonne, Compagnetto da Prato, Ciacco dell'Angnillara, Guittone, Pannuccio dal Bagno, Chiaro Davanzali, G. Guinizelii, Onesto Bo- lognese, Paolo Zoppo, G. Cavalcanti, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia, Guido Orlandi, Gianni Alfani, Cecco Angiolieri, Cene dalla Chitarra, Dante, Bindo Bonichi, Sennuccio del Bene, Matteo Frescobaldi, Pieraccio Tedaldi, frate Stoppa, Fazio degli liberti, F. Petrarca, Roberto

PUBBLICAZIONI DEL 1886 73

da Battifolle, Bonaccorso da Montemagno, Antonio da Ferrara, Andrea Orcagna, Antonio Pucci, G. Boccaccio, Franco Sacchetti; alcuni sonetti del Fiore, e la ballata per la rotta di Montecatini.

46. Emilio Penco, Storia della letteratura italiana. Voi.

\'.Le origini. Firenze, tip. Barbèra, 1886; 16°, pp. VII-183.

Oltre a parecchi brani di poesie e di prose antiche, vi s'incontrano ristampati intieramente, ma assai malamente, alcuni componimenti di Pier dalle Vigne (p. 19), di Bruno e d'Aldobrando, poeti delle carte d'Arborea (pp. 29-30), di S. Francesco (p. 42), di Maglio (p. 57), di Folgore da S. Gemignano (p. 59), di Busticodi Fi- lippo e di Pucciarello da Firenze (p. 60), di Cecco Angio- lieri (p. 61) di Guittone d'Arezzo (p. 63), di Lapo Gianni (p. 69), di Gianni Alfani (p. 72), di Guido Orlandi (p. 73) e di Gino da Pistoia (pp. 82, 83, 89). Cfr. Riv. Crii., Ili, L

47. C. Randazzo, Antologia poetica per le scuole secondarie. Palermo, tip. Olivieri e Giganti, 1886; 16°, pp. 375.

Contiene il son. di Dante: Tanto gentile (p. 91) e alcuni luoghi scelti dalla Commedia (pp. 30i-28); del Petrarca la canz. Italia mia (p. 76), e il son. Levommi il mio pensier (p. 91).

48. Un codice ignorato dei ' Conti di antichi cavalieri ' [: notizia di Pasquale Papa nel Giorn. stor. d. lett. it. , voi. Vili, 1886, pp. 487-89].

Cfr. n.° 53 del 1884. Il codice IL IV. 196 della Nazionale di Firenze (sec. XV) contiene un nuovo testo ms. dei Conti, nel quale si leggono un proemietto e un conto di Camillo, qui pubbhcati, che mancavano alle edizioni precedenti.

49. 1 viaggi di Marco Polo secondo la lezione del codice magliabechiano più antico. Milano, E. Sonzogno, 1886; 16°, pp. 148.

Dispensa 145 della Biblioteca Universale.

50. Trattato dello Spirito Santo di fra Domenico Cavalca, con altre pie scritture: testi di lingua del secolo XIV [pubblicati da Francesco Zambrini per l' XI Com- memorazione del transito della Clelia Vespignani]. Imola Galeati, 1886; 16°, pp. XV- 180. Ediz. n. v.

74 BIBLIOGRAFIA

Dal codice R. I. 19 della Biblioteca Comunale di Siena. Al trattato del Cavalca seguono sei Esempi morali (pp. 95-115) dal cod. Senese H. IX. 7, e sei leggende tratte da un testo a penna della libreria Firi- dolfi Ricasoli: di Santa Caterina {p. 127), di Santa Julitta (p. 146), di Sani' Eugenia (p. 149), di Santa Maria Egiziaca (p. 151), della b. Domitilla vergine (p. 160), di Santa Pelagia (p. 173). Le ultime cinque erano state già pubblicate dallo stesso testo nella prima edizione delle OV. (Bologna, 1857, pp. 178-83).

51. A. Pakscher, Di un probabile autografo bocca- Cesco. [Nel Giorn. stor. d. leu. il, voi. Vili, 1886, pp. 364-73].

In un poscritto a questa memoria è ripubblicata dal cod. chigiano L. V. 176 la nota postilla alla Vita Nuova, con la quale il Boccaccio secondo si crede, ragione dell' aver tolto dal testo le divisioni delle poesie: « Meraviglerannosi molti per quello eh' io adivisi perché le divisioni de' sonetti non ò nel testo poste ». Fu pubblicata ultimamente anche nel Catalogo dei codici Panciatichiani (Firenze, 1887, fase. 1, pag. 8) secondo il ms. 9 di quella raccolta, eh' è lo stesso onde per la prima volta la trasse il Biscioni {Prose di Dante, Firenze, 1723, p. 329).

52. Roberto Guiscardi, Di Messer Giovanni Boccac- cio, la pistola in dialetto napolitano. Napoli, tip. Pacilli [1886]; 8^ pp. 42.

È la notissima epistola a Francesco de' Bardi, ripubblicata dalle Prose di Dante e di G. Boccaccio (Firenze, 1723: OV., 838) con allato una traduzione in lingua.

53. // Decamerone, ossia le cento novelle di Giovanni Boccaccio, riveduto e annotato per cura d^' Mario Foresi. Firenze, Salani, 1886; 16°, pp. 624.

54. Novelle inedite di Giovanni Sercambi [pubblicate da Alessandro D'Ancona]. Firenze, alla Libreria Dante, 1886; 8°, pp. 71.

Le prime undici vengono in luce per la prima volta da una copia procurata dal Gamba, che le trasse dal noto cod. Trivulziano. A queste r editore aggiunse le due pubblicate da A. Neri nel Propugnatore ( V. S. IV, II, 223; cfr. OV.. 934), due altre stampate da I. Ghiron per Nozze G&ri-fìiva {OV. Ap.,ìH), e una quinta, edita da G. Papanti in appen-

PUBBLICAZIONI DEL 1886 75

dice al suo Catalogo de novellieri italiani in prosa {OV. 934). Quest'ul- tima é del tutto conforme alla VI del presente volume, distinguendosene soltanto per alcune lievi differenze di dettato. Le prime dieci portano i seguenti titoli: 1. De tristitia et viltate; 2. De simplicitate et stultitia; 3. De sententia vera; 4. De pulchra risponsione; 5. De vana lussuria; 6. De novo inganno; 7. De puritade; 8. De placihili loquella; 9. De bona respontione; 10. De pulcra respontione. La XI, senza titolo, con- tiene, mutati i nomi e il luogo, un racconto quasi identico a quello della VII (De moto plausibili) della maggiore raccolta pubblicata dal D' Ancona nel 1871 pel Romagnoli {OV., 934). Cfr. Riv. Crii., Ili, 115.

55. Lodovico Frati, // Purgatorio di S. Patrizio se- condo Stefano di Bourbon e Uberto da fìomans. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. YIII, 1886, pp. 140-79].

Nella prima appendice a questo studio (pp. 154-62) si legge, pub- blicata dal cod. magliab. XXV. 595, una lettera di Antonio Man- nini a Corso di Giovanni Rustichi in Londra, « fatta in Divellino in Irlanda a di 25 di febraio, anno 1411 », nella quale descrive « il pellegrinaggio si fa a andare al Purgatorio di Santo Patritio , il qual è nell' isola d' Manda, detta Ibernia ». Nell'appendice IV (pp. 172-79), è una Vi- sione inedita del Paradiso e dell' Inferno, che si dice occorsa ad « alcuna persona a di tredici e sedici di febraio nel mille treciento trentuno », e che si legge nel ms. magliab. XXXV. 7. 3. Dallo stesso codice, che contiene il Trattato de' sette modi del timore ordinato per Frate Uberto, Maestro de 1' ordine de' frati predicatori, e cioè il De septemplici timore di Uberto da Ro- raans volgarizzato, il Frati ricava e pubblica (pp. 149-151) alcuni brani della leggenda di S. Patrizio , quale é inserita nel sopradetto hbro. Finalmente a pag. 142 trae in luce dal cod. 1393 della Riblioteca universitaria di Bologna, una breve nota sull'Irlanda, conclusa da sei versi : Ancora è in quel paexe una yxoletta.

56. Lodovico Frati, Saggio di un volgarizzamento inedito della visione di Tiindalo. [Nel Propugnatore, V. S., voi. XIX, 1886, p. I, pp. 234-51].

Dal codice 2645 della Universitaria di Bologna, ms. del sec. XV, che contiene un lesto della nota leggenda divereo da quelli pubblicati dal Villari, dal Giullari e dal Corazzini (OF., 588, 629-30, 1058-59). Il Frati ne presenta un brano insieme col luogo corrispondente dell'originale latino, e un intero capitolo a fronte dei tre volgarizzamenti soprac- cennati.

76 BIBLIOGRAFIA

57. La Mea di Pagalo Morelli [: capitolo xxx della cronica domestica di Giovanni Morelli, ripubblicato da Giosuè Carducci e Ugo Brilli perle Nozze Ferrari- Gini. Bologna, Zanichelli], 1886; i% pp. 11 xxx esempi, n. v.

Ristampa delle pp. 245-4.7 della prima edizione della Cronica (Firenze, lanini e Franchi, 1718).

58. Luigi Albertazzi, Sulla vita del beato Giovanni Colombini composta dal beato Giovanni favelli da Tos- signano in lingua latina e voltata in lingua volgare da Feo Belcari. [Nel Propugnatore, V. S., voi. XVIII, p. ii , pp. 225-48; voi. XIX, 1886, p. i, pp. 233-38].

Nella seconda parte di questo articolo è una lettera del b. Gio- vanni Colombini secondo le lezioni stampate nella Storia del b. Giovanni TavelH da Tossignano (Mantova, 1753), e nell' edizione del Bartoli (Lucca, 1856: OF. , 286), la quale ultima, al confronto, pare meno completa e corretta.

59. Statuti de la casa di Santa Maria de la Mise- ricordia di Siena, volgarizzati circa il MCCCXXXI , ed ora editi da Luciano Banchi. Siena, tip. S. Bernardino, 1886; 8^ pp. XVIII-69.

Dal codice originale, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Siena. Il testo consta di 57 rubriche oltre a quella d'invocazione. La rubrica prima comincia: « Cheste sono provisioni, constìtuzioni, statuti et ordina- menti, trovati, fatti et ordinati per li discreti et onesti uomini frate Bindo Bonichi, frate Neri di ser Giovanni, frate Petro di Voglia, frate Palmiero di Ser Palmieri, e frate Gano Palesini, frati de la detta Casa de la Mi- sericordia ». Allo statuto seguitano quattro capitoli di « Ordinamenti fatti nel Mcccxviij », e alcune « Correzioni e nuovi capitoU del Mcccxlv ».

60. L. Fumi, Un' ambasciata de' Sanesi a Urbano V nel trasferimento della Sede in Roma. [Nell'^rc/i. della r. Società romana di st. patria, voi. IX, 1886, pp. 129-62].

Dei documenti allegali a questa memoria, sono in volgare quelli ai num. Il-VII e XIII, contenenti lettere scritte dagli ambasciatori senesi ai loro Signori nel luglio-settembre 1367, ricavate dall' Archivio di Stato in Siena.

PUBBLICAZIONI DEL 1886 77

61. Relazioni tra Siena e Viterbo : documenti tratti dal Archivio senese di Stato [e pubblicati da Mons. Leopoldo Bufalini nel giorno onomastico del card. Carlo Gristofani]. Siena, tip. S. Bernardino, 1886; 8°, pp. 37. ce esempi, n. v.

Contiene nove lettere alla Signora di Siena, e una respon- siva di questa, tutte in volgare tranne la I e la IV: la II e la III sono scritte da Viterbo l'il e il 16 Settembre del 4367.

62. Gli Acciaioli e la poesia napoletana [: comuni- cazione di P. Santini, nella Riv. Crit. d. lett. it., Ili, 1886, 122-25].

Dal cod. laurenz.-ashburnh. 1830, contenente un amplissimo car- teggio e parecchi documenti spettanti alla famiglia Acciaioli, riferisce per estratto quattro lettere degli anni 1385-86, scritte in vol- gare napoletano da Andreina Acciaioli moglie di Bartolomeo conte d' Altavilla, a suo fratello Donato. Cfr. n.° 32 del 1884.

63. Antichi testamenti tratti dagli archivi della Con- gregazione di carità di Venezia. Per la dispensa dalle visite 1887. Serie quinta. Venezia, tip. M. S. fra Com- positori-Impressori, 1886; 8°, pp. 26.

Entrambi i testamenti contenuti in questo fascicolo sono in volgare, salvo le formule notarili che li compiono. Ma al sec. XIV spetta soltanto il primo (10 gennaio 1398), che dopo la solita invocazione com.: « Io Lorenzo de Thomaso da Fiorenza, e mo'sono cittadino e abi- tator de Veniesia ne la contra'de San Lio, e pensando quanto la nostra misera vita é in questo mondo fragile e caduca ... ». Il secondo testa- mento, di Ermolao Valaresso, é del 1457.

64. Documenti per la storia delle arti a Gubbio [pubblicati da G. Mazzatinti, nell' Arch. stor. per le Marche e per V Umbria, voi. III, 1886, pp. 1-47].

È in volgare il contratto del 25 Ottobre UOO fra i priori pcnigini e Ottaviano di Martino di Nello da Gubbio per la pittura delle armi vi- scontee sui palazzi pubblici di Perugia (p. 19).

78 PUBBLICAZIONI DEL 1886

65. Miscellanea fiorentina di erudizione e storia pub- blicata da loDoco Del Badia. Anno I, n.' 1-11: Gennaio- Novembre 1886. Firenze, tip. dell'Arte della Stampa, 1886; S% pp. 176.

Vi si leggono le seguenti brevi scritture in volgare: I (pp. 11-14). Petizione del 17 Agosto 1377, data alla Signoria da monna Niccolosa vedova di Giovanni di Ventura mereiaio : dai libri delle Provvisioni. II (pp. 23-i). Due scritte mercantili in volgare del sec. XIII (anni 1293 e 1298-1301 ) ricavate da due pergamene del Diplomatico. Ili (pp. 28-9). Estratto da una petizione del marzo 14-14, con la quale si chiede alla signoria fiorentina « che tutte le scritture de' piati e senten- zie che si faranno o fare si dovranno pe' Sei o Uficiale di Mercatanzia, 0 nella loro corte, o nelle corti delle Arti della città di Firenze, o in qua- lunche d'esse Arti, si debbano fare e scrivere in volgare, e non altri- menti »: dai libri delle Provvisioni. IV (p. 80). Breve ricordanza di una scommessa fatta il 19 Luglio 1314 per la venuta di Piero, fratello del Re Roberto, in Firenze: dalla guardia membranacea di un quaderno di processi del 1368. V (p. 109). Una rubrica dello Statuto del Capitano del Popolo del 1355, la quale comanda « di non brancicare il pane, e che si tenga il bastone» . VI (p. 1 1 1). « A r r i n- gheria di solazo: perché il Comune di Firenze ne' suoi consigh pigha il pegio », cioè l'ultima delle Dicerie di Ser Filippo Ceffi, quale già s. lesse a p. 78 dell' edizione di Torino, 1825 {OV., 263). VII (pp. 145-49)i Documenti di volgar fiorentino: confessione di debito fatta nel 1304 da Chilo Donati (dai protocolh di ser Uguccione di mess. Ra- nieri Rondoni), e una bozza di contratto scritta nel 1318 da Giannotto Raldesi (dai protocolli di ser Lapo Gianni). Vili (pp. 149-53). Ordini della « Scarsella » de' mercanti fiorentini per la cor- rispondenza tra Firenze e Avignone, cioè i capitoh di una società istituita a tale scopo nel 1357, ricavati da un libro dell' Ufficio della Mercanzia. IX (p. 158). Partita di spese fatte per la peste del 1348, e pagate « a frate Lucca, a frate Marcho camarlinghi de la Camera de 1' Arme del palagio de' Priori » (dal quaderno d' uscita della Camera, di queir a.). X (pp. 161-71). La portata al catasto del 1427, e una lettera di Giovanni di Gherardo da Prato a Guido Manfredi da Pietrasanta. XI (pp. 171-74). Quattro lettere alla Signoria di Firenze relative alla venuta in Toscana di Giovanni Aguto, scritte nel giugno del 1375 (dall' Ardi, di stato in Siena).

Pubblicazioni dell' anno 1887.

(Continuaz.; cfr. N. S., Voi. I, p. i, p. 137)

75. Manoscritti francescani della libreria del Comune di Cortona [descritti da G. Mancini, nella Miscellanea Francescana, anno II, 1887, pp. 65-75].

Riproduce per i mss. di materia francescana le descrizioni del Ca- talogo della biblioteca cortonese (n.° 3 del 1884) , quindi anche la lauda del cod. 91: Buono canto sia canta ( p. 71).

76. Ildebrando della Giovanna, Una raccolta ma- noscritta di laudi spirituali. [Nella Miscellanea France- scana, anno II, 1887, pp. 179-88].

la tavola del codice 15 della Biblioteca Comunale di Piacenza , ms. del sec. XV, contenente laudi di lacopone e d'altri; e per saggio presenta queste nove, tutte in forma di ballata, meno l'ultima, che è un capitolo ternario: 1. Regina del cor mio; 2. /' ti vorie trovare, Yhesù amore; 3. Laudiam Yhesù, et qual è nostro signore; i. La Ver- gine Maria che sempre adora; 5. 0 Vergine Maria, Chiunque vi voi amare; 6. Piangete con Maria; 7. Venite ad adorare; S>. Amor, Jhesù, consentemi; 9. Jhesù, amore, la tua santa memoria. Crediamo che le più siano di Lionardo Giustinian.

77. La Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Gustavo Dorè, e dichiarata con note tratte dai mi- gliori commenti per cura di Eugenio Camerini. Milano, Sonzogno, 1887; 4°, pp. 679.

BibHoteca classica illustrata.

78. A. Gabrielli, Lapo Gianni e la lirica predan- tesca: note ed appunti. [Nella Rassegna italiana di Roma, anno VII, 1887, voi. I, pp. 179-205].

Riporta il son. del Mostacci: Sollecitando un poco meo savere (p. 188), quello di Dante: Guido, vorrei (p. 196); e di Lapo la ball. Dolce è il pensier (p. 193), la canzone: E tu, martoriata mia sentenza (p. 202), e la stanza : Siccome i Magi a guida della stella (p. 205).

80 BIBLIOGRAFIA

79. Sulla vita e sulle opere di Cecco d'Ascoli: ap- punti di Giuseppe Castelli. It edizione. Ascoli-Piceno , tip. Cesari, 1887; 16^ pp. 31.

Ripubblica dal cod. casanatense d. V. 5 il sonetto di Gino da Pistoia: Cecco, i' ti prego per virtù di quella (p. 21), con la risposta di Cecco: Di ciascheduna mi mostra la guida (p. 22).

80. U. Marchesini, Di un codice poco noto di antiche rime italiane. [Nella Zeitschrift fur rom. Philologie, voi. X, 1886 (1887), pp. 554-66].

Con la tavola del cod. dcgcxxiv della Biblioteca capitolare di Verona, presenta le varianti di alcuni componimenti, e intero il son.: Mirando fiso nella chiara lucie (p. 8), già stampato {Trucchi, II, 69) col nome di Senn uccio del Bene, e a lui veramente attribuito anche dal cod. magliab. VII. 624.

81. Storia della letteratura italiana di Adolfo Ga- SPARY, tradotta dal tedesco da Nicola Zingarelli, con aggiunte dell' autore. Voi. I. Torino, Loescher, 1887; 8^ pp. 494.

Vi si leggono il son. di Cecco Angiolieri: S'io fossi fuoco (p. 191); tre di Dante: A ciascun' alma (p. 196), Amore e 'l cor gentil (p. 200), Tanto gentile (p. 202), e uno del Petrarca: Se lamentar augelli (p. 409).

82. Pierre de Noliiac, Facsimilés de V écriture de Pétrarque et appendices au « Canzoniere autographe », avec des notes sur la Bìbliothèque de Pétrarque. [Extr. des Mélanges d' archeologie et d' histoire puhliés par V é- cole francaise de Rome, t. VII]. Roma, tip. della Pace, 1887; 8°, pp. 38, con quattro tav.

Le prime due tavole riproducono una pagina e mezza del codice vaticano 3195, ms. originale, come si crede, del Canzoniere : nella pagina intera è la scrittura dal Petrarca , nella mezza, quella del suo copista. E vi si leggono i sonetti : Quel vago , Poi che 7 camin , Io canterei, S' a- mor non è , e la canzone : Solea da la fontana mia vita.

PUBBLICAZIONI DEL 1887 81

83. Canzone di Francesco Petrarca, tradotta in versi greci da Giusto Berlia. Firenze, tip. Arte delia Stampa, 1887; 16^ pp. 19.

La canzone Italia mia, col testo italiano a fronte.

84. Bartolomeo Affini, Sopra un sonetto del Petrarca: dissertazione. [Negli Atti dell' Accademia degli Agiati di Rovereto, Anno V, 1887, pp. 1-9].

Sul sonetto: Levommi il mio pensier, riferito anche testualmente.

85. Ludovico Frati, Sonetti satirici contro Ferrara in un codice bentivolesco del secolo XV. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. IX, 1887, pp. 215-37].

A pag. 217, n. 3, è ripubblicato dal codice 284-5 della Universitaria di Bologna il son, di Francesco di Vannozzo: Non è virtù dov' é la fede rara. I sonetti satirici sopraccennati sono della fine del quat- trocento.

86. A. ToBLER, Die ber liner Handschrift des Deca- meron. [Estr. dai Sitzungsberichte der k. preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin , 1887, XXV ]. Berlin , Reichsdruckerei , 1887; 8^ pp. 31.

Neir ultima carta di codesto ras. (90 del fondo Hamilton) si legge, e qui fu riprodotto, un sonetto di Pellegrino Zambec cari, edito già dal Crescimbeni (III, 227) : Qual Phidia nel scudo de Minerva. Alla de- scrizione del codice il Tobler aggiunge una serie di varianti che esso offre al confronto del testo Mannelli. Sulla provenienza del ms., cfr. Giorn. stor., X, 296-98.

87. La storia del sonetto italiano esposta per esempi scelti e illustrati con cenni biografici e con note storiche e filologiche da Demetrio Ferrari. Modena, tip. Tonietto, 1887; 8^ pp. 156.

Per i primi due secoli offre esempì da Pier delle Vigne {Però ch'Amore), B. Urbiciani {Voi che avete mutato), Iacopo da Lenlino (Madonna ha in sé), G. Guinizelli {Veduf ho la lucente), Guittone {Quanto più mi di" strugge), B. Latini {Sed io avessi ardir), Dino Frescobaldi {Quest' è la

Voi. HI, Parte II. 6

82 BIBLIOGRAFIA

giovinetta), Dante {Tanto gentile), Gino (A che, Roma sw/?er6a), Petrarca (Levommi il mio pensiero), Boccaccio {Dante Alighieri son), Bonaccorso da Montemagno {Qual beato licor), e Franco Sacchetti {Amar la patria sua).

88. Facsimili di antichi manoscritti per uso delle scuole di filologia neolatina, pubblicati da Ernesto Monaci. Roma, Martelli, 1881-87. In fol.

Delle 75 tavole pubblicate fin qui, le seguenti contengono testi vol- gari dei primi secoli. 19-20 Antica confessione latino-volgare, dal cod. Vallicelliano B. 63. 21. Carta volgare picena del se e. XII (Arch. di stato in Roma: perg. Piastra, 261). 22. Una pagina degli Annali di Perugia, da un codice Corvisieri n.° 60. 23. Principio del Testamento di Angelo olim Petrini Naddini di Siena (1367), dal cod. Chigiano G. I. 7. 24. I versi 1-111 del Tesoretto, dal cod. Ghig. L. VII. 2i9. 25. Capitolo 28 del lib. VII di G. Villani, dal cod. Chigiano L. VIII. 296. 40-42 Sermone in volgare gallo-italico, dal cod. torinese D. VI. 10 (cfr. Romanische Studien, IV, 6). 43. Un brano del poemetto di Piero Bescapé, dal cod. braidense AD. XIII. 48 (cfr. n.^ 4 del 1885). 44-47. Rappre- sentazione del miracolo di Boi sena in dialetto orvietano, da un codice del sig. Vaggi di Orvieto, scritto nel 1405. 48-56. II Con- ciliato d'Amore, cioè tutto il cod. marciano IX it. 175. 66. An- tichissimo ritmo laurenziano, dal cod. laur. pi. XV destra, 6 del fondo di S. Croce. 67-68. Il Dialogo di Papa Gregorio, volgarizzato « per frate Johanni Gampulu de Missina », dal cod. N. A. 20 della Nazionale di Roma. 69. La canzone di Dante: Amor che nella mente, dal magliab. VI. 143. 70-71. Principio di una Somma di confessione e del testo veneto del Renard (cfr. OV. Ap., 163), dal cod. Q. XIII. I. 26 della Bibhoteca arcive- scovile di Udine. 73-75. Tre pagine delle bozze autografe del Canzoniere petrarchesco (cod. Vaticano 3196).

89. Altre narrazioni del Vespro siciliano scritte nel buon secolo della lingua, e pubblicate da Michele Amari. Appendice alla nona edizione del a Vespro siciliano ». Milano, Hoepli, 1887; 8^ pp. LIV-139.

I. « Estratti del Tesoro di B. Latini, da sei codici della versione italiana, nei quali la rivoluzione siciliana del 1282 è narrala senza far parola di congiura ». Sono i capp. cviii-cx del libro II, nella lezione

PUBBLICAZIONI DEL 1887 83

del cod. laurenz. XLII. 23, con le varianti del laiir-ashburnh. 540, del Riccardiano 2221, dell' Ambrosiano C. 75, del Magliabechiano II. 47, e del Padovano pubblicato dal Visiani {OV. 202). II. « Estratti da Tesoro di B. Latini [lib. II, cap. cu e cui], versione italiana, cod. laur.-gadd. 26, con le varianti del cod. laur. XLII. 20, dove la rivoluzione si dice ordinata da Giovanni da Procida ». III. « Frammento del Te- soro, versione italiana: codice della Nazionale di Firenze, Vili latini 1375», capp. xcìii-CLViiL IV. « Estratto dalla Cronica che fa continuazione al volgarizzamento di Lucano », secondo il cod. Riccardiano 1550. V. a Estratto della Cronica d' imperadori e papi (per Martino Po- lono, voltata in italiano e continuata): codice Riccardiano 1938 », colle varianti del Rice. 1937.

90. Luigi Manzoni, Di una nuova edizione dei Fio- retti di S. Francesco, secondo il testo di Amaretto Man- nelli. Bologna, Regia tipografia, 1887; 8°, pp. XXXII-154. Ediz. di e esempL

Dal codice palatino E. 5. 9. 84 (ora 144), scritto nel 1396, produce quattro capitoli dei Fioretti: 1. « Chome sancto Francescho chonverti il ferocissimo lupo di Aghobbio » ; 2. Come « messere Sancto Francesco allo cominciamento dello ordine suo elesse xij conpangni . . »; 3. <s. Come santo Francesco digiunò una quaresima, » ecc.; 4. « Come santo Francesco dimesticò le tortole che gli furono date ». Nell'Appen- dice II riporta, dal cod. Oltoboniano 681 della Vaticana, il primo capi- tolo tÌGÌV Antiqua leggenda in volgare; nell' app. ni descrive 44 codici e le edizioni quattro e cinquecentiste dei Fioretti ; nella iv la tavola dei capitoli aggiunti al testo primitivo in alcuni manoscritti.

91. Istruzioni alle persone religiose, estratte dalle lettere di S. Caterina da Siena per G. Olmi. Una istru- zione per ogni giorno dell' anno. Siena, tip. S. Bernar- dino, 1887; 32^ pp. 120.

92. Perle divine, ossia insegnamenti dell' Eterno Padre a Santa Caterina da Siena, desunti dal di lei Dialogo, e alle anime desiderose della gloria celeste offerto da G. Olmi. Siena, tip. S. Bernardino, 1887; 24°, pp. 80.

84 BIBLIOGRAFIA

93. Due studi biografici su Brunetto Latini, del dott. Umberto Marchesini. [Eslr. dagli Atti del R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere e arti, to. V della ser. VI]. Venezia, tip. Antonelli, 1887 ; 8", pp. 65.

Pubblica a p. 22-23 il testamento di monna Bianda, ve- dova, figlia che fu di ser Brunetto Latini, quale si legge , riassunto in volgare, nel libro dei testamenti d' Orsammichele {Arch. Fior.).

94. Giovanni Filippi, // Comune di Firenze ed il ritorno della S. Sede in Roma, neU anno 1367. [Nella Miscellanea di Storia Italiana, voi. XXVI, 1887, pp. 387-426].

Contiene in appendice ai n. VII-IX, XI-XVI, XVII^, XXI, XXII e XXIV, lettere e istruzioni della Signoria fiorentina ai suoi ambasciatori, tutte dell'anno sopradetto, distese in volgare e ricavate dall'Archivio fiorentino {Signori, Missive, reg. XIV).

95. Un antifonario del secolo XIV descritto da Gio- vanni Veludo. [Negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, serie VI, to. VI, 1887-88, pp. 1157-63].

È il cod. marciano ci. II lat. 119, che a tergo della prima carta reca una breve scritta in volgare, qui riprodotta: « Corando li anni de Io signor Mccclxv, di primo de margo . . . Questo antefanario fo fato far de li propii beni de la scuola e fraternitade de la preciosa vergene mare madona sancta Maria de la charitade », ecc.

96. [Bando veronese del secolo XIV. pubblicato da Alfonso De' Stefani per le Nozze De' Stefani- Scudellari]. Verona, tip. G. Vianini, 1887; 4', pp. 6. Ediz. n. v.

Dato in nome di Bartolomeo e Antonio della Scala, il 30 giugno 1377, a tempo del podestà Donato degli Acciaioli da Firenze. Contiene gli ordi- namenti sulla piazza del mercato : « Primo, che alguna persona non onso debia empa^iaro ci merchà da foro cum disschi, cisti, slore, cum alguna altra consa, se igi no sera en acordo del filo cum i sindici de i ci-

PUBBLICAZIONI DElL 1887 85

taini ». Fu tratto a cura di G. Biadego dallo stromento originale (nella Bi- blioteca Comunale di Verona).

97. Capitoli di pace tra i due Martini e la regina Maria, con Francesco, Enrico ed Antonio Ventimiglia [pubblicati da Antonino Flandina, nell' Arch. stor. sici- liano, N. S., anno XI, 1887, pp. 129-57].

Alla formula notarile in latino segue il testo dei Capitoli in vol- gare siciliano: « Quisli su' li capituli li quali manda don Chiccu di Vin- timiglia a li serenissimi signuri Re di Aragona ac Re et Regina di Si- chilia per la liberacioni di lu Conti Antoni di Vintimiglia sou frati ». Portano la data del 12 ottobre 1396: furono ricavati dalla pergamena originale che si conserva nell'archivio di casa Belmonte.

Pubblicazioni del 1888.

1. // cantico del sole di San Francesco di Assisi, publicato nuovamente dal sacerdote Michele Faloci Pu- LiGNANi. Foligno, tip. Sgariglia, 1888; 8'', pp. 22. e esempi, n. v.

Il testo è prodotto sette volte , cioè secondo le lezioni del codice L. IL m. 6 di Assisi (cfr. n.° 1 del 1887), d'un ms. dei Cappuccini di Foligno , di due copie della Francischina (codd. della Comunale di Perugia e del Convento dell' Annunziata di Norcia) , di due mss. della Biblioteca Mazarina di Parigi (n. 8531 e 1350), e dell'edizione delle Conformità di S. Francesco , stampata a Milano , per Gotardum Pon- ticum, 1510.

2. E. Teza, Come si possa leggere il cantico del sole. [Nel Propugnatore, N. S. , voi. I. 1888, p. i, pp.

108-17].

11 testo del cantico é dato secondo le quattro lezioni pubblicate da Adamo Rossi (cfr. OV. Ap. 61-62).

3. L' Indicatore ecclesiastico piacentino per V anno comune 1889, coir elenco delle parrocchie della città e diocesi, con notizie storiche, ecclesiastiche. Anno XX. Piacenza, tip. Solari, 1888 ; 24^ pp. 208.

Nelle pp. 80-83 il sig. A. G. T[ononi] pubblica il cantico at- tribuito a S. Francesco: In fuogo l' amor me mese, secondo il ms. 156 della biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, che presenta un testo assai diverso da quelli editi dal Paoli e dall' Affò (OV., 435-36).

4. Di un cantico attribuito a San Francesco. [ Nella Miscellanea Francescana, anno III, 1888, pp. 95-96 e 190].

Vi è riprodotto due volte il cantico: In fuogo l'amor me mise, se- condo il testo di Piacenza indicato all'art, precedente, e secondo il codice 41 della Biblioteca Comunale di Monte Prandone.

PUBBLICAZIONI DEL 1888 87

5. G. Mazzatinti, Laudi francescane di un codice parigino. [Nella Miscellanea Francescana, anno III, 1888, pp. 119-20].

Dal cod. 8521 della Biblioteca dell'Arsenale di Parigi, edito già in- teramente (cfr. n.° 17 di quest'anno) riproduce le due laudi 97 e 98: Sia laudato san Francesco, e Ciascun che fede sente, entrambe in for- ma di ballata.

6. R. Renier, Un codice antico di flagellanti nella Biblioteca Comunale di Cortona. [Nel Giorn. stor. d. letL ìL, voi. XI, 1888, pp. 109-124].

Descrive il cod. 91 della Bibl. di Cortona (cfr. n.° 3 del 1884), ms. dei sec. XIII-XIV; ne presenta la tavola, e per saggio il testo diplomatico di 7 laudi (le computò per 6, avendo confuso in un solo componimento i n. 4. e 5), tutte in forma di ballata: 1. Laude no- vella sia cantata ; 2. Ave, regina gloriosa; 3. Da del venne messo novello; i. Christo è nato et hiimanato; 5. Molti messi ave mandati; 6. Chi vote lo mondo desprecgare ; 7. Laudar vollio per amore. Tutta la parte più antica di questo codice fu pubblicata poi da G. Mazzoni nel Propugnatore, N. S., voi. Ili, p. i.

7. M. Faloci Pulignani, Notizia di un sermonale francescano del secolo XV. [Nella Miscellanea France- scana, anno III, 1888, pp. 65-68].

Nel sermonale di fra' Bernardino da Foligno minore osservante, ms. nella Biblioteca di quella città (AH. II. 10), sono riportati parecchi versi di Dante, del Petrarca, di Cecco d'Ascoli, e di Jacopone da Todi: le citazioni di quest' ultimo furono qui riprodotte.

8. Laudi e devozioni della città di Aquila [pubbli- cate da Erasmo Pèrcopo, nel Giorn. stor. d. leti. it. , voi. XII, 1888, pp. 368-88].

Continuazione del n.° 6 del 1 887. 28. Cary fratelly, cieschun sia abisato (2.* Domenica di Quaresima); 29. 0 vergene Maria Annunptiata (la B. V. e l'Angelo Annunziatore ) ; 30. Cary fratelli, con puro intel- lecto (Domenica delle Palme); 31. Tucty laudemo Cristo salvatore

88 BIBLIOGRAFIA

(Pasqua di Risurrezione); 32. Misser sanctu Luca nne fa sermone (Lu- nedy po' Pasqua); 33. 0 Yhesu Cristo , padre omnipotente (Martedy po' Pasqua); 34. 0 Yhesu Cristo, patre glorioso (Octava de Pasqua); 35. Cristo, che consolasti/ Madalena (2.* Domenica po' Pasqua); 36. 0 vera croce, da dio glorificata (della sanctissima croce). Tutte ballate. La pubblicazione continua.

9. Laude di Jacopo da Montepulciano [pubblicate da Annibale Tenneroni nel Giorn. stor. d. leu. it., voi. XI, 1888, pp. 190-197].

1. Rivolgiam con humil core; 2. Con humil core la croce adoria- mo; 3. Leviam alto sermone; i. Or si rallegri l'umana natura: dal cod. laur.-ashburnh. 423. Tutte e quattro in forma di ballata: l'ultima è adespota.

10. Una lauda del Quattrocento pubblicata per cura di Adolfo Mabellini. Fano, a spese di A. Mabellini (tip. dell'Ancora), 1888; 8^ pp. 15.

Dal codice Riccardiano 1133, dove s'intitola « lauda sopra la con- siderazione d'un corpo morto. » Comincia : 0 tu che se in vanità as- sorto, e consta di 26 strofe pentastiche (ABBc^A: l'ultimo verso con rimalmezzo), che contengono una rassegna, all'inverso, delle bellezze fem- minili.

11. // lamento della sposa padovana nuovamente edito di su la pergamena originale da Vittorio Lazzarini. [Estr. dal Propugnatore, N. S., voi. I, p. ii]. Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1888; 8^ pp. 13, con una tavola fotolitografica.

Il testo del notissimo frammento (Responder voi a dona Frixaì è accompagnato da un facsimile della pergamena notarile che lo con- tiene, e che creduta per lungo tempo smarrita, tornò ora in luce neir archivio dei conti Papafava di Padova. Per le edizioni prece- denti cfr. OV., 217, 533, e Ap , p. 181; aggiungendo le ristampe fatte da G. Cittadella nelle Annotazioni alla Storia della dominazione car- rarese in Padova (Padova, 1842, I, 431-34), e quelle più recenti indi- cale in questo supplemento ai num. 38 del 1885 e e 10 del 1886.

PUBBLICAZIONI DEL 1888 89

12. // Canzoniere Palatino 418 della Biblioteca Na- zionale di Firenze, pubblicato a cura di Adolfo Barigli e Tommaso Casini. Bologna, RomagnoIi-DaU' Acqua (tip. Fava e Garagnani), 1881-88; 8°, pp. 181.— Ediz. di e esemplari tirati a parte dal Propugnatore, V. S., voi. XIV.

Cfr. OV. Ap., 25-26, dov'è la lista dei poeti. Soggiungiamo qui che in tutto sono 180 componimenti, ossia lOi canzoni, 51 sonetti, 23 ballate e due frotte.

13. Leandro Biadene, Morfologia del sonetto nei se- coli XIII e XIV. [Fascicolo X degli Studi di filologia ro- manza]. Roma, Loescher, 1888; 8^ pp. 234.

Esemplificando questa sua teorica , il Biadene riporta moltissimi sonetti di due e trecentisti, dei quali bastino qui i nomi. Dante A- lighieri (48, 102, 112, 146); Cecco Angiolieri (168); Pacino Angiulieri (87); Bindo Bonichi (174); Ugolino Buzzuola (183); Guido Cavalcanti (33, 67, 113); Gino da Pistoia (16, 63, 78-9, 101, 106-8, 113); Ser Cione (165); Dino Compagni (53) ; Matteo Correggiaio (170-71); Federigo dall'Ambra (142); Antonio da Tempo (59, 62, 77, 176, 179); Chiaro Davanzali (89, 115-16, 147, 173); Dello da Signa (164); Pietro Fayti- nelli (56); Filippo di ser Albizo (144); Folgore da S. Gemignano (126- 33); Dino Frescobaldi (51, 52); Lambertuccio Frescobaldi (81); Matteo Frescobaldi (17, 55); Notaro Giacomo (158); Lionardo del Gallacon (69); Gidino da Sommacampagna (136, 138, 180, 186); Guglielmotto d'Otranto (85); Guittone d'Arezzo (47, 99, 150, 157); Jacopo da Leona (167); Maglio (160); Pucciandone Martelli (88); Monaldo da Sofrena(82); Mon- te Andrea (43, 57, 100); Onesto Bolognese (98, 105, 107, 108); Bona- giunta Orbiciani (89); Orlanduccio orafo (83); Ser Pace (187); Panuccio del Bagno (50, 74); Francesco Petrarca (17, 31, 32, 124-26, 155, 172); Antonio Pucci (29, 66, 92); Giovanni Quirini (71); Maestro Rinuccino (162); Benuccio Salimbeni (69); Pieraccio Tedaldi (72); Terino da Ca- stelfiorentino (99); Fazio degli liberti (141, 178); Ubertino Giovanni del Bianco (117-21), e più altri sonetti d'incerti dugenlisti (12, 73, 86, 104, 148, 159). Più particolarmente noteremo, perché escono per la prima volta dai manoscritti, la ballata di Nerio Moscoli: Ligiadra donna, tanto ardente focho (p. 64, n. ; dal barberiniano XLV. 130); il son. a bisticci di Francesco di Vannozzo: Mal può far nulla chi non ha

90 BIBLIOGEAFIA

fornello (p. 165), e quello latino di Nicolò de Schachis: Egregie vir et sapiens, a quo mota (p. 182), entrambi dal cod. 59 del Seminario di Padova.

14. G. Carducci, Rime antiche da carte ó! archivi. [Nel Propugnatore, N. S., Voi. I, 1888, p. i, pp. 7-17].

1. Sei proverbi rimati; 2. Non s acorda ben gratta con ra- gione, frammento di 5 versi, che « paiono il principio d' un sonetto morale »; 3. Molto à eh' io non cantai, ballata scritta in un registro sangemignanese del 1299; -4. Aspetar me consuma, co più aspecto, ballata minima; 5. Crudeltà, perché tanto, ballata; 6. Noi monaci spendarecci, frammento di ballata senese; 7. Or ritorna in su V usanza, framm. di ball.; 8. Neroncina, spezialina, ballata. I componimenti ai n. I-V e VII da registri dell'archivio fiorentino, il VI da un'antica pergamena senese copiata da Celso Cittadini (cod. H. X. 4-7 della Comu- nale di Siena), l'ultimo da un processo lucchese del 1456.

15. Sonetti del secolo XIII [pubblicali da T. Casini nel Propugnatore, N. S., voi. I, 1888, p. ii, pp. 413-18].

Dall' ultima carta del codice vaticano-Palatino 753, dove furono tra- scritti sul principio del trecento. 1. Homo no prixe anchora si saxa- m,ente (di F. Lambertazzi); 2. Homo eh' è sazo non core liberi (di G. Guinizelli); 3. Qentile madonna, pietate da audire; A. Arhor che fructo porta senQa flore; 5. L'amor posso laodar e la ventura; 6. Lo homo non cognossce piennamente lo bene (manchevole della 2^ quartina). Tutti adespoti nel codice, salvo il primo; i primi due, già notissimi, e il IV e il VI sono di materia morale; gli altri due, amorosi.

16. Cammillo Cappato, Un poeta anonimo genovese dei secoli XIII-XIV, con prefazione di Carlo Catanzaro. Firenze, tip. Cellini, 1888; IP/, pp.VIII-61.

Contiene parecchi squarci e taluni componimenti interi delle Rime genovesi edite da N. Lagomaggiore (OF., 873-74)

17. Giuseppe Mazzatinti , Inventario dei manoscritti italiani delle biblioteche di Francia. Voi. III. Roma, tip. Bencini, 1888; 8^ pp. VIII-730.

Cfr. n." 60 del 1887. Neil' appendice I a questo volume (pp. 195- 417) è pubbhcato diplomaticamente // manoscritto 852 i della Biblioteca

PUBBLICAZIONI DEL 1888 91

dell' Arsenale di Parigi , cioè una ricca raccolta di antiche laudi trascritta nel trecento e seguita da alcuni pochi componimenti di mano del sec. XV, che qui furono tralasciati. Le laude pubblicate sono 112, tutte adespote nel codice (ma alcune già ben note coi nomi di Jaco- pone 0 di altri poeti) e tutte in forma di ballata, meno quelle ai n. 35,64, 71, 80, 81 e 109. Nell'Appendice II (pp. 419-730) é ristampato 11 codice H. 438 della Biblioteca della facoltà di medi- cina di Montpellier {già Bouhier E. 59 ), cioè il ms. del Fiore , edito già dal prof. F. Castets {OV. Ap. 53), ma riprodotto qui con mag- gior diligenza. Innanzi al testo si legge un ragionamento assai lungo del dott. Egidio Gorra (pp. 419-610) intorno al Roman de la Rose e alla sua influenza sull'antica letteratura italiana, e più particolarmente intorno a questa parafrasi in 232 sonetti, eh' egli conclude scritta nel trecento, anzi che nel dugento cui altri vorrebbe riportarla. Nel discorso del Gorra è riferito per intero (p. 427) il son. tribuito a Dante: Messer Brunetto questa pulzelletta. Nella prima parte del volume, descrivendo il cod. 80 (720) della Bibl. dell' Arsenale di Parigi, ms. del sec. XIV ex., il Maz- zatinti riporta (pp. 149-151) quattro sonetti adespoti: 1. Quest'alta creatura de Manfredi; 2. 0 caro amico, o fratello, o compagno; 3. Al tucto pensier nuovi con lamenti; 4. Per le parole dolci che scriveste; ma quest'ultimo non è veramente un sonetto, bensì (se pur integro) un componimento irregolare di 15 endecasillabi.

18. S. MoRPURGo, Detto d'Amore: antiche rime imi- tate dal Roman de la Rose. [Estratto dal Propugnatore, N. S., voi. I, p. I]. Bologna, tip. Fava e Garagiiani, 1888; 8°, pp. 44.

Sono 480 settenari accoppiati da rime equivoche, tratti da un fram- mento di ms. membranaceo della fine del sec. XIV (cod. laurenziano 1234 del fondo Ashburnham). Incominciano:

Amor si vuole e parli

eh' i' n' ogni guisa parli,

e ched i' faccia un Detto,

che sia per tutto detto

eh' i' r agia ben servito ; e constano di due brani staccati, che mostrano, specie il secondo, con- tenente una dottrina d'Amore, assai somiglianze, spesso letterali, col poema francese onde derivarono. La scrittura del frammento laurenziano è della stessa mano che vergò il codice di Montpelher contenente l'altra

92 BIBLIOGKAFIA

maggior parafrasi italiana del Roman, il Fiore (cfr. l'articolo prece- dente). — Vedi la Proposta di correzioni al Detto, pubblicata da A. Mus- safia nel Propugnatore, N. S., I, ii, p. 419.

19. Un poemetto allegorico -amor oso del secolo XIV, tratto da un codice della Marciana, e pubblicato con una introduzione da Vittorio Turri. Roma, Loescher, 1888; 8", pp. 57.

Cioè il Conciliato cT Amore, che cosi il poemetto s' intitola nel co- dice che lo contiene (Marciano, ci. IX ital., 175), del quale il Monaci diede una riproduzione fotografica (cfr. n. 88 del 1887), e prima il Mussafia una breve notizia nel Jahrbuch fiir rom. u. erigi. Philol. (a. 1867), traendone per saggio due sonetti. E già innanzi undici dei sonetti che formano il Conciliato erano a stampa fra Alcune poesie inedite di Paolo dell' Abbaco {OV., 2), cui pare voglia attribuirU il cod. magliabechiano VII. 1023; ma erroneamente, perché il codice Marciano U ripresenta come parte intrinseca di questo poemetto, e come opera di Treguano, ossia di Tommaso di Giunta, che avea quel soprannome, e che si può ritenere certamente autore del Conciliato anche per moltissima affinità che queste rime mostrano con le altre che di lui già si conoscevano (0 V. Ap., 164). Il Conciliato consta di 26 sonetti, 6 dei quali variamente rinterzati (n. 7-8, 9-10, 21-22) e di quattro canzoni (n. 13-14, 17- 18) procedenti per proposte e risposte collegate dalle rime, dove ten- zonano Amore, il Giovine e la Giovine. 1. V son quella vertù eh' è decto Amore- 2. Tu se colui per cui Vertude more; 3. Tu se' co- me 'l cavai che nell' armento - 4. Quel che tu dici, men che 'n foglia vento; 5. Tu tien contra'l dover quella materia -6. Se ma' nel non caler fui sanza feria; 1. A starmi 'n questo dir chi si trastulla - 8. Da che natura ti si chiava e bulla; 9. Amor, poi che convene, i' vo seguirti - 10. Achonci son gli orecchi mie' d' udirti; ìì. Da poi eh' i' vidi l' umile senbiante - 12. Molti son quegli che movon le piante; 13. Fin che da me non fie V anima volta - 14. Al tucto parmi la tuo mente colta; 15. T vegno, Amore, da parlar con quella -16. La 'ntention di te mi par sorella; 17. Non à men che temenza chi s affronta- 18. Chi la suo vita in simil acto impronta; 19. Tant'è la proprietà del vago splendere - 20. Tu se' lo parpaglion che vede accendere; 21. 5e della vostra immagine son vago - 22. Se mia per- sona genera quell' ago; 23. Amor^ mie prova par che torni al verde; - 24. Se di tuo prospertade cade il verde; 25. Da che per gli occhi mie gravosi e stanchi - 26. Se novo imaginar punge tuo' fianchi; 27.

PUBBLICAZIONI DEL 1888 93

Vie più che muro, o grave sasso, o marmi -28. S' intendo ben gli tuo' pietosi carmi; 29. Con tanta cura la mia mente fìede - 30. Non credo che d' Amor V aguto spiede. Il poemetto, come pare dalla dida- scalia iniziale, dovea constare di tre parti, ma a noi non arrivarono che le prime due; né, crediamo, come pensò T editore, perché Treguano lasciasse cosi incompiuta l' opera sua, si piuttosto per materiale difetto delle ultime carte di quell'apografo; di che ci sembra aver fatto suffi- cente dimostrazione nella Rivista Critica (V, 108), con produrre dal citato cod. magiiab. un sonetto {A porto son, redir convienmi, lasso!) che più che probabilmente faceva séguito all' ultimo del ms. di S. Marco. Nella detta Rivista furono, ivi stesso, corretti alquanti errori commessi dal Turri nel pubblicare il suo testo, e fu anche edita da quel medesimo codice magiiab. una epistola amatoria, che sebbene rechile iniziaU di Maestro Pagolo, arieggia pur essa moltissimo a tre lettere consimiU che si hanno a stampa col nome di Tommaso di Giunta (OF., 484).

20. Sonetti inediti di Messer Niccolò de' Rossi da Tre- viso, pubblicati da Giulio Navone [per le Nozze Tittoni- Antona Traversi]. Roma, tip. Forzani, 1888; 4% pp. XXXVII. ce esempi, n. v.

Dal cod. barberiniano XLV. 47. 1. Non se reQQc questa nostra citade; 2. Agli altri mali de la nostra terra; 3. Chiunca da la glesia se disparte ; L Maravegla eh' ig segnori Visconti ; 5. Io non so' tanto guelfo ni crudele; 6. Servo dig servi de Cristo, (^ovanni; 7. 0 Covanni, apostolico benegno; 8. Nel tempo eh' era Ytalia tutta d'oro; 9. Qentil padre , se' tu temporalmente ( quest' unico ha un ritornello di quattro versi, gli altri sono tutti sempHci); 10. 0 vero Deo, che gì' omini uni- versi; 11. Increata vertu, eo non contendo; 12. Eo so ben la cason perché non more; 13. Qa, padre santo, crede bene e sente; 14. Tre gerarchie credemo che asisfa; 15. Croce, digna mercé che non si at- terre; 16. Ay terra, che eri de delicie archa; 17. Segnor , guardative da meser Kane; 18. Ke qe fa a nuy, se dentro questa terra; 19. Cir- cumdederunt me dogle di morte; 20. Digno papa Qovanni, nuy siamo; 21. Al cor mi diedi l' altr ier grande impiglo. Tutti di materia poli- tica , e « certamente anteriori alla caduta di Treviso nella Signoria di Cangrande della Scala, seguila nell'anno 1329 ». Cfr. su questa pub- bhcazione la Riv. Cri/., V, 85.

21. Frammento di serventese in lode di Cangrande I della Scala [ripubblicato da Antonio Medin mìVArchioio

94 BIBLIOGRAFIA

Veneto, voi. XXXV, ii]. Venezia, tip. Visentini, 1888; 8^ pp. 6.

È quello stesso edito da Ludovico Frati nel 1887 (num. 18), ristam- pato con qualche lieve correzione.

22. F. RoEDiGER, Due epistole Matteo Correggiaio in ternari trilingid. [Estr. dalla Riv. crit. d. lett. it., a. V, n.° 4]. Firenze, Editrice la Rivista Critica, 1888; pp. 8.

La prima , « data ne l' orto de la vertute , Annis MCCC E trenta deus, Indicion quinze », fu tratta dal codice laurenziano LIIL 35. Co- mincia :

Eugufo, el Coregato tuo Matheo salutem copiosam, velud gì... de bien, de honeur, de pres et tote foie.

La seconda , ricavata dal cod. laurenziano-ashburnhamiano n." 7 del- l'Appendice (già ms. Kirkup), contenente la Divina Commedia trascritta nel 1368 da Bettino de' Pigli, comincia:

Piero Suscendullo, amico dilletto, Matheus Corigiarus cum salute sa arme et sun cors a toy servir otroye.

23. G. Mazzoni, Un frammento del Detto dello Schiavo di Rari. [Estr. dalla Riv. crit. d. lett. it., a. V, n."* 4]. Firenze, Editrice la Rivista Critica, 1888; 8°, pp. 8.

Sono dodici strofe del sirventese conosciutissimo sotto i nomi di Dottrina dello Schiavo di Bari {OV., 920-21) o Detto del savio Sa- lomone (cfr. n. 88 del 1886), ripubblicate secondo il cod. 227 scaff. XI del- l' Antoniana di Padova, che le porge disordinate e in una forma abba- stanza corrotta.

24. Gli amori di Dante raccontati da lui medesimo (Vita Nuova e Canzoniere], con prefazione e note per G. Stiavelli. Roma, E. Ferino, 1888; 4°, pp. 190 fig.

Degne del titolo irriverente sono le ridicolissime vignette illustrative.

PUBBLICAZIONI DEL 1888 95

25. Dante ne' tempi di Dante: ritratti e studi di Isidoro Del Lungo. Bologna, Zanichelli, 1888; 8°, pp. V-482.

In appendice al terzo studio, intitolato Peripezie d' una frase dantesca, pubblica (pp. 265-69) dal Costituto volgare del Comune di Siena degli anni 1309-10, le sette rubriche contro i coniella- tori: « Che la podestà faccia exbandire et divietare tutti li coniellatori de la città et contado di Siena » , « Di non albergare alcuno coniella- tore ». ecc. Nell'ultimo studio, su La tenzone di Dante con Forese Donati, é anche il testo della famosa corrispondenza satirica, secondo una copia di Federigo Ubaldini (cod. barberiniano XLV. 93), che presenta la tenzone, completata col son. IV, di cui finora non si era tenuto conto, in quest' ordine : 1 . Chi udisse tossir la mal fatata (Dante a Forese) ; 2. L'altra notte mi venne una gran tossa (F. a D.); 3. Ben ti faranno il nodo Salamene (D. a F.); A. Va', rivesti san Gal, prima che dichi (F. a D.); 5. Bicci Novel, figliuol di non so cui (D. a F.); 6. Ben so che fosti figliuol d' Allaghieri (F. a D.).

26. E. Lamma, Dante Alighieri e Giovanni Qtiirini.

[Ne U Ateneo Veneto, Serie XII, voi. II, 1888, pp.

22-39].

Vi si legge a pag. 35 un sonetto di Giovanni Vitali sulla Di- vina Commedia {Contien sua Comedia parole sante), ricavato dal cod. 1289 della Bibliot. Universitaria di Bologna (cfr. Carducci, Studi let- terari, p. 275). E più qua più nel discorso, inteso a dimostrare che il Quirini non fu « amico in vita » di Dante, come attesta l' autore della Leandreide, sono riportati alcuni passi della corrispondenza poetica fra il rimatore veneziano e Matteo Mezzovillani.

27. F. RoEDiGER, Dichiarazione poetica dell' Inferno dantesco, di frate Guido da Pisa. [Estr. dal Propugna- tore, N. S., I, i]. Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1888; 8°, pp. XXXIV-69.

Questa dichiarazione, tratta dal cod. Add. 31918 del Museo Bri- tannico, cousta di 203 terzine, divise in otto capitoletti, accompagnati da una chiosa latina, e preceduti da un proemietto dedicatorio a Lucano Spi- nola, che comincia:

La gran devotione e 'l grande amore che tu dimostri. Spinola Lucano, in ver lo gran maestro e 'l grand' autore...

96 BIBLIOGEAFIA

In appendice il Roediger ripubblica criticamente di sui codici fiorentini i Ternari di Iacopo di Dante (0 voi che siete dal verace lume) e di Bosone da Gubbio (Però che sia piti fructo et più dilecto) sulla Commedia, e mette in luce per la prima volta dal cod. Ili della Biblio- teca ginnasiale di Goerlitz un altro sommario poetico delle tre cantiche, compreso in 115 terzine tripartite, che cominciano: In libri tre bela opera infalante. Nella prefazione, che illustra questi e altri an- tichi compendi in rima del Poema, si leggono (p. xxiij, n.) alcune ter- zine che nel cod. laur.-strozziano CLXl precedono il Raccoglimento della Commedia tribuito al Boccaccio (cominciano: Questo scritto messer Giovanni), e tre sonetti , forse quattrocentisti, che stanno innanzi alle tre cantiche nel cod. laurenz.-ashburnh. 184 app. 4: 1. Quivi comen^ia V alta Comedia ; 2. Poscia che Dante à tiicto demostrato ; 3. In questa terga et ultima sua parte (pp. xxxiij-xxxiiij ).

28. U. Marchesini , Due manoscritti autografi di Filippo Villani. [Estr. dall' Arch. stor. it., Serie V, to. II]. Firenze, tip. Cellini, 1888 ; 8^ pp. 30.

Contiene (pp. 24-25) due brevi chiose in volgare ai canti VI e XII dell' Inferno, quali si leggono nel noto codice della Commedia trascritto da Filippo Villani (Laur. pi. XXVI sin. 1 del fondo di S. Croce).

29. Memorie e guida storica di Gubbio, per l'avvo- cato Oderigi Lucarelli. Città di Castello, Lapi, 1888 ; 16°, pp. ¥1-639.

A pag. 506 riporta dal preteso autografo della Sperelliana (cfr. n.° 22 del 1884) il sonetto apocrifo di Dante a Bosone: Tu che stanzi lo colle ombroso e fresco.

30. C. Musatti, // maestro Moisé Soave. [Estr. dal- l'Arc/wmo Veneto, t. XXXVI, p. ii]. Venezia, tip. Visentini, 1888; 8°, pp. 53.

Da una pubblicazione del Soave (Dante Allighieri ed il poeta Emma- nuele, nel Corriere israelitico di Trieste, 1863) riproduce il son. di Bo- sone: Due lumi son di novo spenti al mondo, con la risposta del Giudeo : Io che trassi le lagrime dal fondo.

31. Saggio di poesie di fra Domenico Cavalca, per

PUBBLICAZIONI DEL 188S 97

cura di Luigi Simoìsesghi. Firenze, tip. F. Stianti, 1888; 16^ pp. 56.

11 Simoneschi ripubblica secondo quattro codd. riccardiani ( 1274., 1317, 1718 e 1773) e un magliabechiano (XXXVIII. 5) i Trenta so- netti delle Stoltizie, cresciuti ciascuno di un verso di coda, quale non si legge nel testo a stampa (OF. , 258), ma che anche sembra a noi aggiunzione posteriore affatto superflua. Dopo i sonetti, un « serven- tese in commendatione di quattro virtù kardinali », che comincia:

Io priegho 1' amore del Signore che mi dea grazia con tanto valore, ch'io possi contare al suo onore

cose reah; cioè di quattro virtù cardinali...

È adespoto nel cod. Riccardiano 1155, ma sta in séguito ad altri già noti col nome del Cavalca.

32. Le lettere di Messer Andrea Calmo riprodotte sulle stampe migliori, con introduzione ed illustrazioni di Vittorio Rossi. Torino, Loescher, 1888; 8^ pp. CLX- 502.

Neir Appendice IV (p. 450) è pubblicato, dal cod. magliab. II. u. 83, un « sonetto fatto per la ventura »: Ventura son, che tutto 7 mondo inpero. Ma era già a stampa fra le Rime di Matteo Frescobaldi , Pi- stoia, 1866, p. 74.

33. Ballata in morte di Andrea d' Ungheria, tratta da un codice riccardiano a cura di Antonio Medin. [Estr. dal Propugnatore, N. S., I, ii]. Bologna, tip. Fava e Ga- ragnani, 1888; 8^ pp. 11.

Adespota nel cod. Riccardiano 2786; comincia: Come 'l sangue d' Abello gridò vendetta isparto da Caino, cosi ciascun latino pianga la morte del buo're novello.

Pare composta non molto dopo l'assassinio di Andrea (18 settembre 1345): forse nel 1347.

Voi. ili, Parte li. 7

98 BIBLIOGRAFIA

34. G. Mestica, // più giovanile dei sonetti del Pe- trarca e il suo primo innamoramento [Estr. dal Fanfulla della Domenica, Anno X, 1888, n.° 21]. Roma, tip. del- l' Opinione; 24°, pp. 14.

Contiene i tre sonetti petrarcheschi : Per fare una leggiadra . . . , Era il giorno . . . , L' ardente nodo ... ; e la ballata : Donna mi viene spesso ne la mente.

35. F. D' Ovidio , Sulla canzone « Chiare, fresche e dolci aqcue » . [ Nella Nuova Antologia, voi. XGVII, 1888, pp. 243-73].

Riporta, oltre a parecchie citazioni di luoghi petrarcheschi, interi i madrigali: Non al suo amante (p. 249) e Nova angeleita (p. 259), e i sonetti: Pien quella ineffabile (p. 261) Amor ed io si pien (p. 269).

36. F. D' Ovidio, Madonna Laura. [Nella Nuova Antologia, voi. C, 1888, pp. 209-33 e 385-406].

A pagg. 229, il preteso son. del Petrarca : Qui riposan quei caste et felici ossa.

37. « Motti » inediti e sconosciuti di M. Pietro Bembo, pubblicati e illustrati con introduzione da Vittorio Gian. Venezia, tip. dell'Ancora, 1888; 8°, pp. 105.

Nella I delle Note finali è pubblicata diplomaticamente dal codice magliab. VII. 1168 la frottola Achorr'uomo, ch'io mtto^o (p. 101), notis- simo componimento edito già più altre volte coi nomi del Petrarca e di Lapo degli liberti {OV., 1032), e da testi molto migliori di questo, eh' è manchevole di tutta la seconda metà. Nella 111 di quelle note sono alcuni saggi d'un alfabeto di proverbi in distici (pp. 104-5), ri- cavato dal magliab. XXI. 155 e dal sopra citato, dove s' intitolano : Proverbi di ser ventresco. Cominciano : « A cchui più dolcie prima il il mondo ride, Langhuendo il fa poi metter magior' stride ». Altre mi- nori citazioni d'antichi proverbi rimati sono qua e nella introduzione.

38. E. Narducci, Sentenze morali ridotte in versi la- lini ed italiani da fr. Già: Genesio da Parma. [Nella Miscellanea Francescana, a. Ili, 1888-89, pp. 129-39].

PUBBLICAZIONI DEL 1888 99

Comprese in cento distici latini e in altrettanti volgari (endecasillabi a rima baciata). Il primo dice:

Comenci a Dio chi vole imparare:

El sapere cum reverenda si de dimandare.

Dopo r ultimo è una coppia di conclusione : « Chi vole sapere l' autore de questi versi Degli altri zunga inseme i capoversi » , ossia le iniziali dei versi latini, che t'ormano infatti questo acrostico: « Frater Joha- nes Genesius Quaia de Parma, sacre theologie magister ordinis fratrura minorum professor illustris, fecit hoc opus ad honorem Dei, beate Marie Virginis et beati Francisci, et amore nobilis Andree nati celsi do- mini Petri Gambacurte ». Un saggio di 30 distici volgari era stato già pubblicate dal Zonghi (cfr. OV. Ap., 141): il Narducci si servi di un codice membranaceo frammentario, ora di proprietà di don Baldassare Boncompagni.

39. Poemetti mitologici de' secoli XIV, XV e XVI, a cura di Francesco Torraca. Parte I: // Ninfale Fie- solano; Il Driadeo d' Amore. Livorno, tip. Vigo, 1888; 32^ pp. VII-319.

Il poemetto boccaccesco fu qui riprodotto dalla stampa di Londra, 1778 (07., 179) con nuove cure nell'interpunzione. Cfr. la recensione di A. Tobler nel Literaturblatt f. gerni. u. rom. PhiL, 1889, L

40. Due poesie inedite di Giovanni Boccacci pubbli- cate per cura di Adolfo Mabellini. Torino, Paravia (Fano, tip. Sonciniana), 1888; 8", pp. [10]. Ediz. di lxx es.

Ristampa: cfr. OV. Ap., 17-18.

41. // Corbaccino di Ser Lodovico Bartoli [pubbli- cato da Guido Mazzoni nel Propugnatore, N. S., voi. I, 1888, p. II, pp. 240-301].

Ossia <i il Corbaccio di Mess. Giovanni Boccacci da Certaldo recato in rima »,in 271 ottave. La prima comiircia: « Ore de' re, o signor de' signori » ; I' ultima finisce :

è stato rimato

di cota' versi per me Lodovico

Bartoli, stando con poca contesa

per oficial nella Val di Capresa.

Fu tratto dai codd. laurenziani, pi. XC s., 104, e 1504 del fondo Ashburnham.

100 BIBLIOGRAFIA

42. [Due sonetti di Franco Sacchetti, pubblicati da Annibale Tenneroni per le Nozze Ottaviani- Paparini]. Firenze, tip. dell'Arte della Stampa, 1888; 16^ pp. 7. - Ediz. n. V.

1. Magnifico Signor mio Malatesta, « sonetto mandato per Franco a Malatesta di Messer Pandolfo signore di Todi del mese di dicembre 1394 »; 2. Messer Filippo mio, io mi conforto, « sonetto mandato per Franco a Messer Filippo Maghalolti, capitano di Todi, del mese di dicembre 1394 ». Dall'autografo del Sacchetti (laurenz.-ashbarnh. 574). Ma erano entrambi a stampa, il primo fra i Dodici sonetti di F. S. pubblicati dal Bilancioni (Ravenna, 1860, n.° ix; OF. , 898), il secondo fra le Poesie inedite di Messer F. S. (Roma, 1857, p. 13; OV., 897).

43. Descrizione storica del palazzo della Signoria 0 Palazzo Vecchio di Firenze, raccolta da M. Parigi. Firenze, tip. Ciardelli, 1888; 16", pp. 14.

A p. 9 è riferito il distico di Franco Sacchetti per la corona del lione della ringhiera: « Corona porto per la patria degna. Acciò che libertà ciascun mantegna ».

44. F. No VATI, La giovinezza di Coluccio Salutati

{1331-1353): saggio di un libro sopra la vita, le opere,

i tempi di Coluccio Salutati. Torino, Loescher, 1888;

8°, pp. VI-121. - CL esempi, n. v.

Alle pagg. 104-105 brevi saggi d'una ballata contro un rettore di Todi, che com.: Oderite com' fo bella, e alcune ottave sulla berro- veria e sulle sue miserie: 0 tu che novamente se' venuto, componimenti che si leggono entrambi nel cod. Corsiniano 33. E. 23, ms. della fine del sec. XIV. Più in (pp, 114-115) pochi versi del capitolo di Franco Sacchetti per i rettori che vanno in Signoria {Amico mio, quando vai per rettore), con un brano della lettera di Franco ad Agnolo Pancialichi sui malanni dei podestà, e questa e quelli già a stampa, ma ridati qui secondo l' autografo del Sacchetti.

45. F. NovATi, Bartolomeo da Castel della Pieve, grammatico e rimatore trecentista. [Nel Giorn. stor. d. lett. it., voi. XII, 1888, pp. 181-218].

Contiene, frammesse alle notizie biografiche di Bartolomeo, le se- guenti rime di lui. Un sonetto a Franco Sacchetti ; La chiara al-

PUBBLICAZIONI DEL 1888 101

Uzza de l'ingegno vostro (p. 187), dal canzoniere autografo del Sac- chetti (laur. ashb. 574); i principi di due capitoli ternari: 1' ti scongiuro per gli sacri Iddei (p. 197 : dal Riccardiano 2735), e La Reina con grave fiamma incensa (p. 199: dal Magliab. IL IV. 248); i principi di due canzoni: 0 senpiterna dea, a cchui ministra (p. 201: dal Magliab. VII. 1010), e Senza posare el del tutto si volta (p. 203: dal cod. Se- nese I. IX. 18). Nell'Appendice I è prodotta dal cod. Gab. A. I. 20 della Biblioteca Comunale di Bergamo una lettera latina di Maestro Bar- tolomeo a Tommaso Malombra cremonese, con la risposta, e questa e quella concluse da un sonetto: Che debo far, chi me demostra omag; risp. il Malombra: Spirto smarrito, che t' acorgi asay. Nell'Ap- pendice li è la tavola delle rime attribuite a Bartolomeo ; nella III, il testo diplomatico di tre canzoni, dal cod. magliab. VII. lOiO: 1. Po' che 'l corso del del vuol che ttu viva ; 2. Accorr uomo, accorr uomo, ongn'uom soccorra; 3. lo son già più ch'ai mezzo dell' arringho.

46. T. Casini, Notizie e documenti per la storia della poesia italiana nei secoli XIII e XIV. I : Tre nuovi lima- tori del trecento. [Nel Propugnatore, N. S., voi. I, 1888, p. II, pp. 93-116 e 313-66].

I tre nuovi rimatori sono I. Paolo di Bernardo veneziano, con due sonetti morali mandati insieme con un'epistola latina a Bernardo da Casalortio. Cominciano: Vera vertd dal del convien che cada, e Vera vertù disprexia ogni tereno (in questo secondo tutti i versi principiano Vera, vertù). II. Pier Paolo Vergerio il seniore da Capodistria, con due sonetti mandati da Roma nel febbraio del 1398 a Ognibene delia Scuola : il primo, sul malo stato della città eterna: Roma, che fu d' ogni vertute ho- spitio; il secondo, in lode di Roberto da Poppi: Virtute e zientileza insieme aQonte. III. Giorgio Anselmi, medico parmigiano, con una canzone sul matrimonio, indirizzata l'a. 1400 a maestro Guglielmo da Ve- rona: Circumspecto, prudente et caro amico. Questi componimenti furono ricavati dal cod. vaticano 5223, contenente un' amplissima raccolta di let- tere e d' altre scritture latine dell' ultimo trecento e del primo quattro- cento, delle quali è dato particolar ragguaglio nella seconda parte di questa memoria.

47. Due epistole del secolo XIV in endecasillabi sciolti: questioni metriche di Guido Mazzoni. [Eslr. dal voi. IH degli Studi offerti dalla Università Padovana

1 02 BIBLIOGRAFIA

alla Bolognese neW Vili centenario, ecc.]. Padova, tip. Seminario, 1888; 4", pp. 19.

Ricavate dal Vago Philogeo, epistolario amoroso, metà in prosa e metà in rima (sirventesi ternari), composto sul cadere del sec. XIV da un veneziano, e conservatoci in copia del quattrocento nel codice XXIII. 639 della biblioteca Antoniana di Padova. Fra la parte in prosa e quella in rima si leggono queste due tirate di endecasillabi sciolti, che il trascrittore del codice copiò per prosa, ma che l'editore restituisce qui alla forma ori- ginale, accompagnandole, pel confronto, con un saggio della vera prosa. Comincia la prima epistola : Credendo riaverla^ i' te la mando, la secon- da: Con quel saluto che fece a le fie. Tutto il Vago Philogeo verrà fra breve pubblicato dal Mazzoni.

48. A. Bertoldi, Un poeta umbro del secolo XIV. [Estr. dall'Are/^, star, per le Marche e l'Umbria, voi. IV]. Foligno, tip. Salvati, 1888; 8^ pp. 26. Ediz. di L esempi.

Cioè Tommaso da Rieti, che, come altri dimostrò poi (Arch. cit., IV, 628, e Arch. stor. lombardo, VII, 42), appartenne alla famiglia Moroni, e assai più al sec. XV che al XIV. Però la sua canzone : Più volte lacrimose rime ho sparse (pp. 15-20) qui prodotta dal cod. Riccardiano 1154 si deve ritenere diretta a Filippo Maria Visconti, e non a Giangaleazzo, come cre- dette il Rertoldi e prima il D'Ancona, che ne avea pubblicato alcuni versi ne' suoi Studi di critica e di storia letteraria (Bologna, 1880, pp. 47-48 ) e nelle Varietà storiche e letterarie : serie seconda (pp. 143-44). Di due altre canzoni amorose e di una disperata in ternari del poeta umbro, che sono in quel medesimo ms. Riccardiano, il B. offre solo pochi saggi. Anche, ristampa (pp. 24-25) due degli otto notissimi sonetti di Francesco di Vannozzo in figura delle città itahane che invocano il Conte di Virtù {OV., 440), quelH cioè di Rimini {Arimino son io per la Romagna) e di Roma {Italia, figlia mia, prendi dilettò).

49. P. Meyer, Noiice du ms. 770 de la Bibliothè- que municipale de Lyon, renfermant un recueil de vies des saints en prose francaise. [Nel Bullettin de la Société des anciens textes francais, an. XIV, 1888, n.° 2, pp. 72-95].

PUBBLICAZIONI DEL 1888 103

Dal sopradetto codice, trascritto in carcere sul principio del sec. XIV da un Veneto o da un Lombardo, il Meyer trae in luce una ballata: Al mio signore Amor graci' e lodo, un sonetto: Al covane hon (leggi non) conven esser lenguadro, eli versi a frottola: Chi più à, più sa, com- ponimenti che si leggono sulla ultima guardia di cotesto volume, i primi due aggiunti di mano quattrocentista, l'ultimo di scrittura anche più re- cente. Pel sonetto cfr. OV. Ap., 150 {Cinque sonetti morali).

50. M. Faloci Pulignani, Le arti e lettere alla cor- te dei Trinci. [Nell'^lrc^. stor. per le Marche e per V Umbria, voi. IV, 1888, pp. 113-260].

Descrivendo il palazzo dei Trinci a Foligno e gli affreschi che già ne adornavano le sale, riporta dal Jacobilli (Discorso della città di Fo- ligno) le scritte poetiche in volgare che illustravano le rappre- sentazioni della storia di Romolo e Remo (p. 123), dei pianeti (126-27), e delle arti liberali (pp. 128-29): tutte quartine, la cui composizione risale ai principi del quattrocento. Un' altra epigrafe volgare di cin- que versi che si leggevano sotto un'immagine votiva è riferita a pag. 167 dal cit. Discorso. Più in (p. 197) riproduce un'ottava del cantare di Paolo da Foligno che si leggeva nel codice BoccoHniano, e pa- recchi saggi del Quadriregio (pp. 221-34).

51. // padiglione di Carlo Magno: cantare caval- leresco, edito per cura di Giuseppe Vandelli. [ Per Nozze Vandelli-Bertacchini]. Modena, tip. Bassi e Debri, 1888; 8^ pp. 19. Ediz. n. v.

Il testo primitivo del cantare, quale é prodotto qui da due codd. maghabechiani (11. II. 40 e VII. 11. 25) e dal laurenziano XC sup., 103, consta di 22 ottave, che risalgono, se non più in su, certo ai principi del quattrocento; rimaneggiate poi e amplificate, furono edite più volte in vecchie stampe popolari e anche modernamente (cfr. n.** 38 del 1885). La prima ottava comincia: Castissime sorelle, che nel monte.

52. F. NovATi, Istoria di Patrocolo e d'Insidoria: poe- metto popolare in ottava rima non mai pubblicato. Voi. Ili delle Rarità bibliografiche e scritti inediti. Torino, Società Bibliofila (Ancona, A. G. Morelli), 1888; 16°, pp. LXVI- 44. Ediz. di ccL esempi.

i04 BIBLIOGRAFIA

Dal codice palatino 219, trascritlo inlonio al 1477 da Bernardo Panichi pistoiese; ma la composizione del poemetto risale « ai primi del sec. XV se non fors' anche agli ultimi del precedente ». Sono 121 ot- tave , che nel ms. s' intitolano Liber Ynsidorie regine Helene sororis ; la prima comincia:

0 divo AppoUo, che choll' auree sparte chiome ti ghodi innello excelso choro colle tue nove fanciulle in disparte fra verdi mirti e 'n fra '1 sachrato allòro.

53. Zibaldone: notizie, aneddoti, curiosità e docu- menti inediti 0 rari, raccolti da una brigata di studiosi. Compilatore: Giuseppe Baccini. Anno primo. Firenze, tip. Cooperativa, 1888-89; 8^ pp. VIII-184.

Contiene d'antichi testi : I. (p. 4) Milizie del sec. XIU: sette ri- ghe storiche dal cod. magliab. XXV. 505. II. (pp. 10-12) / Pisani e il diavolo; Il diavolo bugiardo, e una terza Novellina popolare, dal cod. magliab. XXXVIII, 121. Ma erano tutte e tre già a stampa, con più altre Meraviglie diaboliche ricavate dallo stesso ms., nel Propugnatore, V. S., I, I, p. 235-42 (cfr. OF., 659-660). III. (pp. 17, 42 e 57) Giannino di Cuccio pretendente al trono di Francia, cioè una lettera volgare in- dirizzata a Cola di Rienzo da un tal frate Antonio, che si dice mandato in cerca del leggendario pretendente. Alla missiva, che figura « data in Portovenere.., lunedi d'agosto milletrecentocinquantaquatro » , seguita una notizia della trascrizione fattane dal tribuno romano, e la risposta di lui, a data in Campidoglio di vij d'ottobre 1354. » IV. (p. 23) Ricette curiose o superstiziose, dal cod. Piiccardiano 3632. V. (p. 88) Medici del secolo XIV : breve memoria del 1396, dalle Ricordanze dei monaci di Montoliveto (Registro 55 del detto convento, neh' Archivio fiorentino)

VI. Cronachctta antica di Firenze, cha descrive secondo l'estratto al n" 62 di quest'annata. VII. (p. 145) « Certi belli sonetti ch'uno mandò a ser Choluccio. e chome ser Choluccio rispondeva », dal cod. magliab. VII. 9.375. Sono (juatlro sonetti bilingui, due missivi di D. Za- nobi Tantini e due responsivi del Salutati, che com. : 1. Quid libi prodest se per tutto il mondo; 2. Risponde ser Coluccio: Prodest fama a echi è del cuor si mondo; 3. Video sanctos fuggir questo tondo; 4. Risponde ser Coluccio: Credi tu per dire io mi nascondo (avvvertasi che le prime quartine di cpiesti componimenti erano già slate prodotte dal Mehus nella Vita Ambrosii Traversari, pp. cccxv-xvi). Vili. (p. 177) Aneddoto biografico di ser Niccolò di ser Ventura Monaci cancelliere

PUBBLICAZIONI DEL 1888 105

del Comune di Firenze, ricavato da un suo libro di Ricordanze (nell'Ar- chivio di Slato fiorentino). IX. (p. 181) Viaggio in ferra Santa, « il quale Cecie uno nostro fiorentino, incomminciando et muovendosi da Cypri, e navicando per mare di porto in porto » ecc.: breve itinerario, dal cod. magliab. IL III. 421.

54. Il libro dell'Amore, poesie italiane raccolte, e

straniere raccolte e tradotte da Marco Antonio Canini.

Voi. HI: Separazione. Venezia, tip. dell'Ancora, 1888;

8^ pp. XXXV-350.

Cfr. num. 39 del 1885 e 23 del 1887. D'antichi rimatori nostri leggono in questo 111 volume : due sonetti di Maestro Francesco, Dolce mia donna, il vostro partimento , e Lo vostro partimento , dolce spene {p. 11); uno di Guitton e: Partito sono dal viso lucente (p. 11); uno d'anonimo dugentista: Va' mio sonetto, e sai con cui ragiona (p. 11); la ball, di G. Cavalcanti: Perch' io no' spero; il son. : Accorr' uomo! accor uomo! io son rubato, e le due ball.: Deh confortate gli occhi miei dolenti. Deh cantate con canto di dolcezza, di Matteo Frescobaldi (p. 13); il son.: Quel vago impallidir, del Petrarca (p. 13); la ball. Deh lassa la mia vita, del Boccaccio (p. ìi), e una di Francesco degli Organi: Ben che partir da te molto mi doglia (p. 15).

55. Il primo libro della Composizione del mondo di Restoro d'Arezzo, dal Riccardiano diiemilacensessanta- qiiattro [edito a cura di Gaetano Amalfi]. Napoli, tip. di G. M. Priore, 1888; 8^ pp. XlV-82. cv esempi, n. v.

Testo diplomatico, accompagnato da un facsimile del noto codice riccardiano, e da un « preamboletto », nel quale l'editore mostra d' i- gnorare , oltre al resto , che i primi dodici capitoli della Composizione erano già stati prodotti dallo stesso ms. nell'Appendice li al terzo volume della Storia della letteratura italiana di A. Bartoli (Firenze , Sansoni , 1880: da aggiungere alle OV., 882).

56. Vita di S. Francesco d' Assisi scritta da S. Bonaventura: versione raffrontata col testo volgare della Biblioteca Angelica per cura di Mons. Leopoldo Amoni. Roma, tip. Vaticana, 1888; 16°, pp. XI-228.

Il <i lesto volgare del 1477 », di cui 1' editore si giovò senz' altri- menti indicarlo, è la edizione della Vita di S. Francesco , impressa per

106 BIBLIOGRAFIA

magistro Antonio Zaroto da Parma in Milano » nel 1477, di cui vedi nelle 0 V., 416-17.

57. Capitoli inediti dei Fioretti di San Francesco [pubblicati da Guido Mazzoni nel Propugnatore, N. S., voi. I, 1888, p. I, pp. 396-411].

Nove esempì o miracoli di San Francesco che si leggono dopo il testo dei Fioretti nel codice XI. 22 della biblioteca Antoniana di Pa- dova. Il VI era già stato pubblicato da F. Corradini: cfr. OV. 421, dove però è da avvertire che nella pubblicazione del Corradini non è illustrato questo codice dell' Antoniana, ma uno del Seminario.

58. La vita di Dante scritta da Giovanni Boccaccio: testo critico, con introduzione , note e appendice di Fran- cesco Magrì Leone. Voi. VI della Raccolta di opere inedite 0 rare di ogni secolo della letteratura italiana. Firenze, G. C. Sansoni, 1888; 8^ pp. GLXXIV-100.

Nei primi cinque capitoli della lunghissima introduzione rassegna e discute le varie opinioni che altri portarono intorno al noto compendio della Vita boccacesca, concludendo eh' esso non può assolutamente attri- buirsi al Certaldese; nel VI ferma agli anni 1363-64 la data della com- posizione della Vita, nel VIl-VIlI ne studia le fonti e il valore artistico; nel IX presenta la bibliografia delle stampe precedenti e delle copie mss. , nel X discorre della presente edizione. La fondò principalmente sul codice Riccardiano 1054 (pp. clxxii-lxxiii) giudicandolo il più antico (cxxxvii-viii) ; ma noi crediamo a gran torto, perché il Priorista fiorentino interrotto all' anno 1387 e i brevi ricordi storici che lo accompagnano, scritti in quel codice dalla stessa mano, non bastano davvero ad affer- mare, come fa il Macri, che il copista fosse c< presente agli avvenimenti del 1343 », e nemmeno « anteriore al 1387 », dove la forma della sua lettera e tutti i caratteri della grafia accennano palesemente al secolo XV.

59. Novelle scelte di Giovanni Boccaccio, coi com- menti filologici e rettoria, ad uso delle scuole e degli studiosi della lingua, per cura del prof. R. Fornaciari. Prima edizione fiorentina riveduta e corretta. Firenze, Sansoni, 1888; 8°, pp. XXXIX-341.

Cfr. OV., 137.

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60. Antico volgarizzamento delle Confessioni di S. Agostino edito per la prima volta ed illustrato con pre- fazione, note e breve glossario, dal p. Nicola Mattioli ago- stiniano. Roma, tip. Poliglotta, 1888; 4°, pp. XXXIX-310.

Da un ms. del 1453, già delle monache di S. Gaggio, ora del ge- nerale degli Agostiniani. L' editore inclina ad attribuire il volgarizzamento a Giovanni da Salerno; però nella prefazione altri saggi dalla Vita Cristiana e dai Vangeli esposti da Simone da Cascia, che furono tradotti dallo stesso scrittore.

61. Un'operetta inedita della B. Angela da Foligno [pubblicata da G. Mazzatinti nella Miscellanea Francescana, anno III, 1888, pp. 81-84].

Dal codice Palatino- Panciatichiano 38 (già 112), membr. del secolo XIV. Comincia: « Questa si è una bella et utile doctrina a dare cono- scimento all' anima della via che de tenere a volere venire a stato di salute, la quale fece una nobilissima et divota donna della città di Fu- ligno, lo cui nome fue Agnola » . Ma piuttosto che alla beata da Fuligno, questa scrittura si vorrà attribuire a qualche suo divoto, che la ricavò dalle operette ascetiche di lei : in proposito di che , vedi nella stessa Miscellanea francescana (III, 173) il Saggio bibliografico della vita e degli opuscoli della b. Angela, e particolarmente al n. 45.

62. Cronachetta fiorentina [1110-1273) pubblicata per cura di F. Roediger. [Estr. dallo Zibaldone, a. I, num. 7]. Firenze, tip. Cooperativa, 1888; 8°, pp. 10.

Dal codice magliab. II. II. 39, dove s'intitola «Cose che soprav- vennono dal 1110 insino ... ». Com.: « 1110. Il papa Passquale fu preso in Roma dallo 'mperatore Arrigo»; fin.: « nel 1273 papa Gregorio venne in Firenze, e sstécci 2 mesi per metter pacie tra Ghuelfi e Ghi- bellini » ecc. Questa cronichetta « assomiglia assai a quella di Si- mone della Tosa pubblicala dal Manni {OV.. 314) e ad altre che giac- ciono tuttavia inedile ; essa appartiene quindi alla classe delle riproduzioni più 0 meno esalte dei Gesta Florentinorum ».

63. L imperatore nel contado fiorentino : documento volgare del 1310 [pubblicato da Isidoro Del Lungo. Estr.

108 BIBLIOGRAFIA

dall' Almanacco per i campagmioU, dell' Amico del con- tadino]. Firenze, tip. Gellini, 1888; 16^ pp. 14.

Breve nota riassuntiva di provvisioni prese dai Ca- pitani di guerra fiorentini per difesa della città e del contado, all'avvicinarsi di Arrigo VII, che ci fu conservata da Vincenzo Borghini ne' suoi Spogli, « con altri estratti e appunti da un libro di Ser Gherardo Aldighieri, cancelliere degli uffiziali delia guerra in su' primi anni del sec. XIV. » Comincia: « Richiegasi il Marchese [Moroello Malaspina] di ci uomini a cavallo due mesi, per ambasciadore che gU mandi il Comune et Parte. Et faciasi sanza indugio. » Si avverta che il documento era già a stampa, ma secondo altro testo men buono e meno completo, nella Storia del commercio e dei banchieri di Firenze , di S. L. Peruzzi (Firenze, 1868, p. 45).

64. // K Arcispedale di S. Maria Nuova: i suoi benefattori, sue antiche memorie. Firenze , tip. dell' Arte della Stampa, 1888; 8^ pp. 80.

Pubblicazione fatta per festeggiare il « xxiij giugno MDCCCLXXXVIII, secentesimo anniversario della fondazione dell'ospedale. » Vi si leggono, editi per la prima volta, i Capitoli degli ordini dello Spedale e chiese di Santa Maria Nuova e di San Gillo di Firenze, dettati il 24 febbraio 1330, e quelli del 28 settembre 1374 già pubbh- cati da Luigi Passerini (07., 86i-65). I capitoli del 1330, prodotti dal codice originale (ora nella Corsiniana di Roma 44. G. 6), incominciano, dopo la solila invocazione: « In prima, cum ciò sia cosa che lo Spedalingo debbia essere e sia exemplo agl'altri di vita laudabile e d'onestade e d'abito, è ordinato che '1 detto Spedalingo porti 1' abito usato del detto Spedale cioè di panno romagnuolo bigio, onesto, di piccolo pregio. » Innanzi ai due costituiti in volgare, è l'atto di fondazione dello spedale (23 giugno 1288), disteso in latino, ma qui volgarizzato in forma antica dall'editore dell'opuscolo, che sappiamo essere stalo Isidoro Del Lungo.

65. C. Guasti, Un benefattore dello spedale di S. Maria Nuova nel secolo XV. [NeW Arch. stor. it., Se- rie 5.^ tom. I, 1888, pp. 423-29].

Pubblica e illustra « la concordia facta fra '1 venerabile padre messer Nicholò di Corraduccio d'Ascesi, veschovo di Signa in Ischiavonia, e l'onesto huomo ser Piero Mini spidalingho, e in nome dello spidale e

PUBBLlCAZIOiNI DEL 1888 109

poveri di Santa Maria Nuova di Firenze » , carta volgare scritta il 21 ottobre 1407daser Lapo Mazzei, e conservata in doppio esem- plare nell'Archivio di Stato iu Firenze (Diplomatico: Provenienza di S. M.^ Nuova).

66. Nuovi documenti su Cirio da Pistoia [pubblicati da ToiMMASo Casini nel Propugnatore, N. S., voi. 1, 1888, p. I, pp. 167-85].

Fra gli altri, é una lettera volgare del Comune di Pistoia ad Acciaiuolo Acciainoli vicario del Re Roberto in Prato nel 1339^ ricavata da un quaderno di ser Biagio di Giovanni da Volterra cancel- liere della signoria pistoiese.

67. Documenti inediti del 1329 appartenenti a Vol- terra [pubblicati da Annibale Cingi, per le Nozze Ric- ciarelli-Pannocchieschi de' Conti d' Elei]. Volterra, tip. Sborgi, 1888; 8^ pp. 12. Ediz. n. v.

Sono due proposte del Sindaco di Volterra alla Signoria e ai Con- sigli della città, ricavate dalle Provvisioni del Comune, 14 maggio 1329, giorno nel quale vennero Ielle. La prima, per una distribuzione di grano ai poveri, comincia : « Io, sindico del Comune di Volterra, mi sento molto gravato di molto peccato per cagione del mio Chomune, nel presente anno mcccxsviiij. » La seconda, per togliere i diritti politici a un tradi- tore, com. : « lo, ser Barzalone del Giesta, sindicho del Chomune di Vol- terra, mi sento iniuriato et afforcato da Neri di Tura di Chastelnuovo, traditore del castello di Chastelnuovo. »

68. Statuti e ordinamenti suntuari intorno al vestire degli uomini e delle donne in Perugia, dall' anno 1266 al 1536 , raccolti ed annotati da Ariodante Fabretti. [Nelle Memorie della /?. Accad. delle Scienze di Torino, Serie seconda, tomo XXXVIII, 1888, pp. 137-232].

Nel capo II di questa memoria sono pubblicati (pp. 164-68), insieme con altri in latino, i capitoli dello Statuto suntuario volgare del 1342, ricavali da un codice dell'Archivio Municipale di Perugia. Cominciano: « De le femmene portante en capo corona e certe altre cose. E de le mancie da non dare. Nulla femmena ardisca o vero presuma portare

no BIBLIOGRAFIA

recare en capo corona o vero ghirlanda, arlegature o vero entreccìature d' oro 0 vero d' argento. » Nel capo III sono le prammatiche del quattro- cento: quella del 1416 é in latino e in volgare (pp. 180-82).

69. La vendita della gabella delle somme grosse e del pedaggio fatta dal Comune di Perugia negli anni 1379 e 1391, edite dal prof. Ariodante Fabretti. Torino, Coi tipi privati dell'editore, 1888; 8% pp. 67. xl esempi, n. v.

Pubblica la tariffa del 1391, accompagnandola con quella, meno completa, del 1379, edita già da Adamo Rossi nei Saggi del volgar perugino del trecento (Città di Castello, 1882; cfr. OV. Ap., 14-0-41). La tariff'a del '91 presenta anzi tutto la lista degli oggetti, indi seguita coi capitoli dell'appalto, che cominciano (p. 43): « E perché non è como- damente possibile onne cosa dechiarare, provedese e entendase da mo' essere provveduto, che de 1' altre mercantie non dechiarate per glie pre- sente ordene se paghe de simile a simile de quille cose che sonno de sopra scripte e especificate ». Segue una cedola del 1408, ossiano i capitoU aggiunti allora.

70. Epistola inedita di Giovanni Boccaccio a Zanobi da Strada, tratta da un codice vaticano a cura di Carlo Frati. [Estr. dal Propugnatore, N. S., voi. I, 1888, p. II]. Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1888; 8°, pp. 28.

In appendice a questa memoria sono ristampate tre notevoh Let- tere volgari cassinesi del sec. XIV. La prima, scritta il 17 no- vembre 1352 da Jacopo Pignataro, si legge, allegata insieme col testa- mento di lui, in un atto notarile del 30 aprile 1353 che fu edito da Erasmo Gattola (Ad historiam ahhatiae cassinensis accessiones, Venezia, 1734, p. I, pag. 408 b), poi da Luigi Tosti {Storia della badia di Mon- tecassino, Napoh, 1843, IH, 90-92); tuttavia sfuggi, come le due se- guenti, allo Zambrini. Dettata da Jacopo pochi istanti prima che venisse decapitato , è indirizzata al fratello : « Caru frate et Caenato , confor- tateve, ha eo ayo acconza l'anima mia ». Le altre due, mandate l'S e il 17 dicembre 1369 da alcuni monaci di s. Nicolò d'Arena in Ca- tania ad Angelo Senise abate di s. Martino delle Scale in Palermo, e- rano stale prodotte per la prima volta dagli originali esistenti in questo ultimo monastero, nella citata Storia del Tosti (III, 100-103). Comin-

PUBBLICAZIONI DEL 1888 111

ciano : a) « Noverit paternitas vestra quod, concedenti Domino , appli- cami! in Gaeta iiij" decembris sani et salvi, et, ipso dante, ni atruvamu insembli cu li tri di Santu Micola » h) « Reverende pater, cura omni debita reverentia, vulendu a la vostra paternitali fari clara informationi di tuttu hillu hi a nui esti avinutu poi hi ni partemu da vui ».

71. Vincenzo Bellemo, L insegnamento e la cultura in Chioggìa fino al secolo XV. [Neil' Archivio Veneto, voi. XXXV, 1888, p. II, pp. 277-301; voi. XXXVI, pp. 37-56].

In appendice sono pubblicati dal Liher Jurium 35 della Curia ve- scovile di Chioggia i primi cinque capitoli della Mariegola dei cala- fati chioggiotti in volgare, che l'editore crede risalga, almeno per queste prime rubriche, al l!211. E nel suo discorso il B. riferisce: una cedola di testamento del 1358, un'iscrizione del 1331, e la ballata di Giovanni Dondi: Non si lagnò l'anima mia anchor tanto.

72. Antichi testamenti tratti dagli archivi della Congregazione di carità di Venezia. Per la dispensa dalle visite 1889. Serie settima. Venezia, tip. di M. S. fra Com- positori tipografi, 1888; 8°, pp. 29.

Il testamento HI, del 21 marzo 1358, salvo la formula notarile è disteso in volgare. Comincia: « In nome de Dio amen. Io Zane Conta- reno, fio che fo de misser lacomo Contareno de la centra' de Santo Apostolo, ordeno mio testamento, in lo qual lasso miei comessarii li si- gnori procollatori de San Marco sovra le comessarie constituidi, solamente in spazar anema mia ».

73. Dialetto Vicentino: documenti e illustrazioni [pubbi. da d. D. Bortolan per le Nozze Tecchio-Giier- rana]. Vicenza , tip. G. Rumor, 1888; 8°, pp. 72. Ediz. n. V.

Sono 17 documenti, ricavati da un codice membranaceo della Comu- nale di Vicenza, segnato di fuori H, di dentro N: si riferiscono tulli al tempo della dominazione scaligera fra gli anni 13G8 e 1387, e conten- gono bandi, lettere, istanze. Riportiamo per saggio il primo, cioè una let- tera di Cansignorio al suo capitano e al podestà di Vicenza: « Vojemo che debié far bruxaro Jacomo de Monlegalda e Zuano carbonaro da

112 BIBLIOGRAFIA

Vilalta del Vexentin, i quali vui avi in prexon per le caxon che ne havi scrito per una letra, la quale nuy recevessemo la doman; e da mo' enanci debiè far bruxaro zaschaun de Vizenza e del Vexentin el qualo guiasso e alturiasso per algun modo la zente de nostri inimixi contra nuy el sta' nostro, segondo fi fato e an de i Veronesi. en Ve- rona, V julij [1368]. en mane ante mediani terciam ».

74. Saggi di antico dialetto friulano tratti dall' Ar- chivio comunale di Gemona [e pubblicati da Don Va- lentino Baldissera nelle Pagine friulane : periodico men- sile, an. I, 1888; pp. 38-39 e 105-106].

Brevi estratti dai quaderni di tre camerari di S. Maria di Ge- mona, degli anni 1336, 1350 e 1360-61. Ecco per es. il principio dell'ul- timo quaderno: « In nomine Dni amen. Mccclx, adi 19 di jugno. A que- ste son le spese fate per me Salamon. In primo spendey per fa meli lu lastrat su lu chanpanili ch'io dey su aglu figli che fo meslri Grilg a Salt Marche di den. iiij e den. x. ».

75. Gli Statuti dell' Arti [in Savona] nei secoli XIV, XV e XVI, per Agostino Bruno. [Negli Atti e Memorie della Società storica Savonese, voi. I, 1888, pp. 233-52].

Da una copia autentica del 1494 pubblica i Capitoli dell'arte de' ferrari di Savona, compilati il 20 gennaio 1340, con le addizioni del 21 dicembre 1400. Il testo primitivo, preceduto dall' invocazione e dalle considerazioni dei riformatori del 1494 , comprende 16 rubriche, la prima delle quali dice De lo honor chi se de far a li defonti de V arte: a. Anchora han statuio e ordenao, che se paere e maere, frai, sorelle, figlio o figlia, o alchuna persona della dieta arte morirà, che ciaschuna persona de la dieta arte sèa integnua per sagramento andar a caza de quello tal o de quella tal », ecc.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xlir E XIY'

TRATTE DAI LIBRI DELL' ARCHIVIO NOTARILE DI BOLOGNA

Non è a credere che la preziosa raccolta di antiche rime fatta da Giosuè Carducci nei libri dell'Archivio no- tarile bolognese impedisca di spigolare tuttavia con buona fortuna sul medesimo campo. Come lo stesso Carducci avverte (1) , uno spoglio regolare fu per ora limitato alla collezione dei Memoriali compilati dall'anno 1265, in cui se ne instituì l'ufficio, fino all'anno 1300: tutto la- scia credere per tanto che i memoriali degli anni ap- presso (2) e moltissimi altri volumi contemporanei che si conservano in archivio possano serbare liete sorprese agli studiosi della nostra antica letteratura. Certo all' atto pra- tico una cosi desiderabile ricerca incontra gravi difficoltà, non solo per il gran numero di grossi volumi e di do- cumenti che si devono scorrere nella speranza troppo

(1) A pag. 107-108 dello scritto Intorno ad alcune rime dei secoli XIII e XIV ritrovate nei memoriali dell' archivio notarile di Bologna, Studi di G. Carducci, in « Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna » Serie II, Voi. II, p. 105 s.

(2) Quelli dei primi venlun anni del sec. XIV furono esaminati da! sig. Angelo Gualandi ma, come crede anche il Carducci (op. di. p. 108), vi si potrebbero trovare ancora altre rime.

Voi. Ili, Parte lì. 8

114 F. PELLEGRINI

spesso fallace di scoprire qualche nuova poesia, ma an- che perché le rime, scritte non di rado senza distinzione di versi e sparse come sono tra il Ialino degli atti, sfug- gono con facilità all' occhio del più paziente ricercatore (1).

Augurandomi non di meno che tale spoglio meto- dico si intraprenda fra breve, pubblico intanto, come saggio dei frutti che se ne possono sperare, una piccola serie di nuove poesie tratte sparsamente da volumi, da pergamene e da carte dell'archivio bolognese, tutte ap- partenenti allo scorcio del duecento ovvero ai primi anni del secolo seguente. Il trovamento di una parte di esse è dovuto alla rara pazienza ed abilità dell' egregio mio amico dott. Emilio Orioli, impiegato in questo archivio: mi è dunque grato e doveroso ripetergli anche per iscritto vivissime grazie per la gentilezza con la quale volle farmi partecipe della sua scoperta e mi permise di studiare e di pubblicare le rime. Nella lettura di alcune tra le più malagevoli ebbi non di rado vahdo aiuto da parte del- l'illustrissimo comm. Carlo Malagola, dirittore dell'archi- vio e già mio professore di paleografìa, ed a lui pure esprimo la mia gratitudine sincera.

Riferisco senz' altro con alcune osservazioni ed in ordine cronologico le singole poesie (2), non senza av- vertire che nel trascrivere mi attenni sempre con la mas- sima diligenza alla grafìa del manoscritto, scioghendo

(i) Si vedano ad esempio le rime riportate più sotto ai numeri 2, 3, -4, 5 e 6, nella presente lezione ignote al Carducci , quantunque conte- nute in memoriali dell' anno 4286 già esplorati con cura dal conte Gio- vanni Gozzadini, il quale passò al Carducci stesso il risultanto delle pro- prie ricerche.

(2) Preferisco quest'ordine a quello ricavato dalla costituzione me- trica delle poesie, seguito dal Carducci, perchè mi sarebbe stalo diffìcile spesso e talora impossibile classificare con sicurezza i molti frammenti che dovrò riportare.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 115

soltanto le abbreviazioni ed i frequenti gruppi di parole, ed aggiungendo di mio la punteggiatura. Di ogni ano- malia 0 incertezza di lezione diedi esatto conto nelle note poste sotto ai singoli componimenti, dove segnai pure le varianti portate da altri manoscritti o da stampe che, a mia notizia, ci conservino la medesima rima.

Prima ci si presenta una poesia che per la costitu- zione metrica e per altri riguardi merita particolare at- tenzione. Trovasi sopra una pergamena staccata, il recto della quale è tutto occupato da una assoluzione in data 19 settembre 1284 a favore di Pellegrino di Bonaccur- sio (1) : la nostra rima è di carattere più grosso e meno accurato che 1' assoluzione, ma pure con tutti i segni ca- ratteristici della medesima età. Tali sono la struttura delle lettere m^ n ed A che hanno T ultima asta prolungata sotto la riga in forma curvilinea assai marcata: la costi- tuzione della lettera o la quale internamente presenta una lineetta congiunta in alto con la curva che costituisce la lettera e scendente verso il basso con flessione leggiera da destra a sinistra; da ultimo il tipo complessivo del carattere , cosi nell' accoppiamento e avvicinamento delle lettere , come nella disposizione delle parole (2). Le considerazioni d'ordine paleografico sono confermate da altre riferibili a quasi tutte le presenti poesie che, in- truse fra documenti notarili, per ciò solo pervennero fino

(1) È conservata nella busta dei documenti giudiziari dell'anno 1284. L' assoluzione comincia : Hec sunt asoluciones facte per nobilem et pru- dentem virum dominum thehaldum de bruxatis Laudahilem potestatem hon. de acuxacionihus, denonciacionibus et inquixicionibus factis coram dominis malleficiorum nouorum sub annis domini m. ce. Ixxxiiij indici, xtj in primis tribus mensibus sui regiminis.

(2) Anche altre lettere, quali la s minuscola la d ecc., presentano forti contrassegni del sec. XIII ex., ma sarebbe inutile tentarne la de- scrizione non corredata da facsimile.

116 F. PELLEGEINI

a noi. Gli atti in gran parte giudiziari tra i quali si tro- vano, una volta compiuti, non dovevano certo rimanere per un tempo indeterminato a disposizione dei notai che gli avevano redatti, ma senza dubbio saranno stati rac- colti in apposite filze , buste o scaffali e conservati con quella cura che richiedevano carte di così grande impor- tanza (1). Ora è mai possibile che alcuno si permettesse, non una sola volta ma parecchie, di andarli a rimuovere per copiare sui margini o sui tratti rimasti in bianco dove un sonetto, dove l'agile strofa d'una ballata popo- lare? In una parola io credo che valgano e siano di sana critica anche per il caso nostro tutte le osservazioni fatte in proposito da Giosuè Carducci quando nell' opera citata discute e determina l' età presumibile delle rime scoperte tra i libri dei memoriali (2) ; onde suppongo che proprio neir anno 1284 e non più tardi si cantasse in Bologna la rima seguente, troppo guasta nella redazione che posso darne perché mi permetta di ritoccare affatto la lezione del manoscritto:

1.

p 0 rossa tenpestina del magur messe p 0 rossa tenpestina pur temela in bailia e in bailia me te (3)

(la gluriente

(1) Ecco un bando dell' anno 1294 , riferito da Ottavio Mazzoni TOSELLI , Racconti storici estratti dall' archivio criminale di Bologna (Bologna, A. Chierici, 1866), Voi. I, p. 351 in cui è fissalo un termine alla consegna degli atti notarili : « I notari dovranno compiere i loro istrumenti nel termine di due mesi, e registrarli fra quindici giorni, e porli nell'armario del comune ». Mi dispiace d'essere costretto a citare il bando nella versione, che per solilo è del resto lelleralissima , del ToseUi anziché nell'originale che l'autore non riferisce.

(2) A p. 100 del volume Atti e memorie ecc. sopra cit.

(3) Sopra l'è di te vi è un piccolo segno, verosimilmente acciden- tale: se fatto di proposito, potrebbe significare una lettera n da aggiun- gersi, ricavando ten.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 117

p E pregone la gente de quela gluriente che gluriente vidila

(star sula E sula su 1 unbra lucromossa (1) biunda abunda mesel core

(E 1 anema (2) 0 bucha sauorita or me commanda (3) oi bucha sauorita per

(ti 0 la mia vita E la mia vita tenia i[n] bailia. p 0 pomo meo garnato de Salerno E quanto 1 agu amato lu

(bel fangello E quanto t aco amato soueme de gluriato Soueme del gluriato (del fancelo o rossa tenpestina pur temela in bailia.

È una ballata compiuta, oppure un accozzamento di due frammenti diversi? Non saprei pronunciarmi con sicurezza perché, mentre la ripetizione finale dei versi:

0 rossa tenpestina pur temela in bailia

fa pensare alla prima ipotesi, il senso porta invece un brusco distacco sul principio della settima riga dove si parla improvisamente di un « bel fangello » in luogo della (( gluriente » cantata di sopra. Il chiarissimo prof. Tommaso Casini, al quale esposi i miei dubbi su questo singolare componimento , inclina a crederlo una ballata e mi fa notare che la ripresa sarebbe in caso di tre sol versi settenari, essendo la frase « del magur messe » una semplice glossa esplicativa di tempestina che vale appunto:

(1) Questa parola nel ms. é poco sicura. Si legge lucomossa con una linea breve e spezzala sulle lettere r ed o.

(2) il ms. Epolauema. La prima lettera può forse leggersi anche Et, ma la mancanza di et nel resto della rima mi dissuade dal farlo.

(3) Tra commanda (il ms. : comanda) e oi bucha fu scritto in ori- gine un'altra volta oi bucha, ma queste due ultime parole sono cancel- late con una linea trasversale.

118 F. PELLEGRINI

nata nel maggio. In questo senso il vocabolo è proprio dei dialetti della bassa Italia, e le formi magur , agu {= habeo), lu ecc.; unite all'accenno che si fa a Sa- lerno, tolgono ogni dubbio sulla origine meridionale della poesia: non deve dunque far troppa maraviglia se, per la lunga trasmissione, sia giunta così malconcia all'orec- chio del notaio bolognese.

Il memoriale n.° 63 dell'Archivio, compilato dal no- taio Biagio Ulivieri l'anno 1296 e descritto dal Carducci (1), offre a un tempo una rima assai graziosa ed una prova sicura della facilità con la quale i trascrittori compone- vano a capriccio bizzarre e poco organiche fusioni di poesie differenti, mal ritenute a memoria forse perché can- tate sulla stessa aria o su motivi affini. In vero a carte 77 V del volume si leggono 18 versi di una ballata che comincia « Doglio d' amor sovente » e dopo questi senza nessun segno diacritico, neppure la lettera maiuscola, si passa alla seconda stanza della nota ballata « D'una amorosa voglia » che, come vedremo più sotto, al numero 5, è del fiorentino Albertuccio della Viola. Il Carducci stampò secondo questa pagina del memoriale le due stanze etero- genee runa di seguito all' altra pur sospettandovi qualche irregolarità, e il Casini nei suoi Poeti Bolognesi (2) cadde nella medesima inesattezza: ma a carte 115 v dello stesso memoriale ricorre una seconda trascrizione, sfuggita al Carducci , della ballata « Doglio d' amor sovente » arricchita di due nuove strofe , scritta tutta di se- guito come se fosse prosa , con i segni di paragrafo

(1) Intorno ad alcune rime ecc., p. 135 n.

(2) Le rime dei poeti bolognesi del secolo Xlll raccolte e ordinate da Tommaso Casini; Bologna, G. Romagnoli, 1881. la dispensa CLXXXV (Iella Scella di Curiosità letter. ined. o rare dal sec. Xlll a sec. XVII).

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV*^ 119

davanti ad ogni stanza e con lettere maiuscole poste senza regola al principio di alcuni versi. La riferisco , avvertendo che ricopiarla stimai inutile premettere la ma- iuscola a quei versi dove la pose l'arbitrio del copista e ne feci un uso più razionale valendomene per mostrare a prima vista la partizione interna della stanza. Lo stesso sistema terrò anche per le rime successive, quando nel ms. duri consimile incertezza nell'uso delle lettere maiuscole.

2.

Doglo d' amor souente che m' à dat' a seruire tal donna , eh' eo non sago set 60 li me desplago 5 0 s' eo li seru' a grato.

Deo, che seruisse tanto eh' 60 li fossi 'n piacere ! onne pena sofrire me parebe ligera.

10 Per lei soffert' ò tanto

eh' 60 me vece murire: fosse de so volere non me serebe fera. Deo, eh' in crudele punto

15 reguardai so bel viso,

che mantinente seruo fui dat' a lei, chui seruo senz'esser meritato.

Deo, se la me degnasse 20 auerm' a seruidore,

de Qoia lo meo core pili contento seria,

120 F. PELLEGEINI

Che s' altra me donasse compiuta coi' d'amore;

25 tanto strenge tut' ore

amor che m' à 'n bailia forte, che gamai no me porìa partire: ma la speranza eh' ago

30 me manten lo corano

in amoroso stato.

La soa placente cera m' à preso , che meo de mi dir non poss'eo,

35 chussì me streng' e serra.

Dunqua non sia fera vegendo tanto reo soffrir a lo cor meo, che per lei non deserra;

40 Ma vole star soffrente

fin che la pietate de lei se mou' alquanto , fin che '1 penar co' tanto del bene sia cangato (1).

(1) Distinguo con la lettera C le varianti che, per i primi 48 versi, si ricavano dalla stampa del Carducci: v. 1. Doglio C v. 3. che nun s. C V. 8. pena soffrire C v. 11. me Vi veQO C v. 13. no me C V. 15. su' bel V. C v. 17. Il mem. porta fui data lei achui. Il Carducci legge : a lei cui v. 33-34. 11 senso è : il suo viso piacente m'ha preso per modo che io non posso più dir mio di me slesso, che io cioè non sono più padrone di me. v. 37. Dopo reo segue nel meni.: de mi dir non posseo chussi me stren. soffrirà lo cor meo... ecc. Manife- stamente furono ripetuti per errore il v. 34 e parte del seguente v. 43-44. Il ms. porta: cotanto del bene ecc., ma credo che sul primo a di cotanto manchi 1' ahhreviazione di un n, sicché co stia per con, quasi a dire : fino a che il mio penare sia cambiato con tanto di bene.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV"* 121

Molto guasta è purtroppo la terza poesia che per ordine di tempo mi tocca riportare, secondo il memoriale n.'' 64 dell' anno 1286 (1). Eccone anzi tutto la copia diplomatica.

3.

p perche murir me fati dona vui resguardando chemauiti par-

(lando langato vno dardo dentro dalmeo core. Esi mauiti mutato coral mente dame cha-

(fino mesento uenire edcQO murir credo certa mente pensando chauui nonne par

(dolere auederme murire mei gon^ira tal porto domqua ben siria morto fosse

(dauanti che durar tante pene. Et pur vogla me vene spesse fiate de volerme angir la mia grane pesanga che infra locore si forte mabonda comò nane chafroada {sic) me fa souente in tormento perire in tor-

(mento grauosso me fa perire amando la gran pesanga che sol per vui porto domqua me- glo seria che morto fosse daua[n]ti che durar tante pene (2).

Qui la partizione dei versi apparisce un po' meno incerta che non nella rima al n.° 1 ma, come in quella, resta oscura la forma della strofa, che non saprei neppure de- cidere se sia di ballata o di canzone. Forse le lacune che

(1) Ha questa intestazione : xpi nomine Amen liber memoriallium contractuiim et vltimarum voluntalttm scriptorum per me Nicholaum phylippi not. p. comunis bon. tempore nobilis viri domini Slriche de Saghnhpìiis de Senis poipstalis com. bon. Sub [anno] Millesimo duccnte- simo ortunyesimn sexto In diclione qnarladecima. Insieme con la segncnle rima la sopra riferita é a carte 100 v: sul margine, di fianco alla prima riga , si legge la parola Canguni.

(2) Dopo pene segue: bononte in domo dominorum presente me nicìiolao phyllippi notario.... etc, come se si traUasse di un alto notarile qualunque.

122 F. PELLEGRINI

qua e si travedono nel testo saranno molto più gravi e numerose di quello che si possa supporre ; fors' anche sono accozzati dei frammenti di due o più rime, e danno un insieme abbastanza omogeneo solo per essere di con- tenenza affine. Nello stato in cui ora si trova il compo- nimento, parmi che i versi vadano separati come segue:

Perchè murir me fati, dona, vui resguardando, che m'auiti parlando 4 langato vn(o) dardo dentro dal meo core?

E m' aui(ti) mutato coral mente da me, eh' a fino me sento uenire, e deco murir credo certa mente;

8 pensando eh' a uui non ne par dolere

a uederme murire

m' è '1 condir a tal porto

domqua ben siria morto

12 fosse davauti (che) durar tante pene.

Et pur vogla me ven(e) spesse fiate

de volerme ancir

La mia grane pesan^a 16 che infra lo core forte m' a benda,

corno naue ch'afronda, me fa souente in tormento perire.

In tormento grauosso 20 me fa perire amando

la gran pesan^a che sol per vui porto

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII^ E XIV° 123

(domqua) meglo seria che morto

fosse dauanti (che) durar tante pene (1).

Nello stesso memoriale n.*" 64 che ci diede i versi pre- cedenti, e subito dopo questi, abbiamo una nuova copia della ballata « Donna, vostr' adornezze » , che si avvantag- gia di tutta r ultima strofa sulla stampa del Carducci (2), tratta dal memoriale n.° 63, del medesimo anno 1286:

4.

Dona, vostr' adornege

de si cerai amore

m' àn[n]o feruto '1 core

che senga vui veder non aco vita.

5 Dona, vostre adomege

de si corale amore m'àn feruto sguardando, Ch'eo non ago alegrece e perdo lo ualore 10 sen(?a vui, dona, stando.

Po' eh' al vostro chomando

som per for^a d'amare,

no me de^a' sdegnare,

gentil madona de valor compiila.

(1) V. 10. Credo che queste verso dovesse essere un endecasillabo (p. es. troppo grave m'è'l Qongir a tal porto, o sim.) perchè mi pare faccia riscontro al v. 21, pure di undici sillabe. v. 16. Foi'se deve leggersi: che infra lo cor m' ahonda e in questo caso i w. 15-18 a- vrebbero esatta rispondenza con i w. 1-4.

(2) Op. cit. p. 168 T. Casini, a p. 154 dei Poeti bolognesi, ri- stampò con poche varianti congeUuraU la lezione del Carducci.

124 F. PELLEGRINI

15 Dona, com più soiiente

vexo vostra persona,

più me fa innamorato

Vostra cera placente

che tutor qo' me dona 20 chon lo dolQe sguardare.

Po' che mercè clamare

a un' may non refino,

comò bon seruo fino,

de^ati miritare e dargle ayta (1).

25 Dona, lo gram sa nere

eh' in vui regna chota[n]to

me ferma credenza

Che del meo dolere

me darà gogla e canto 30 la vostra chanoscen^a

ch'auiti

l'omeltate,

mercede e pietate

acati de mi che som quasi a finita.

(1) Segno con C le varianti ai primi 24. versi secondo la lezione del Carducci v. 1. 11 mem. doma. Donna C. v. 2. corale C. V. 5. Donila^ vostr' ad. C. v. 7. 11 mem. m'ano v. 8. aQ aleg, C.

y. 9. E perdone vallore C; ma forse andava letto: e perd'one v. V. 10. donna C. v. 41. Poi eh' al v. com. C. v. 12. San p. C. v. 13. Più non dega penare C. v. 14. madonna de vallor e. C. v. 15. Donna., cum più C. V. 16. Vego C. v. 17. fa 'namorare C. v. 18. cerra il mem.

V. 19 tutor Qogle me d. il mem. qoì me d. C. v. 20. Cum lo d. C.

v. 21. cha il mem. Poi che merge C. v. 22. A vui mai. G. V. 23. CA*? del meo servir fino C. v. 24. meritare e dar l'aita C. Dopo questo verso nel mem. segue: Et s?c, dicli contrahentes presente dieta notorio dixerunt et scribi frcerunt. Con tali parole finisce la caria 100 v; la 101 r porta in alto l'ultima slrola della nostra ballata con l'intesta- zione Eodem die.

RIME INEDITE DEL SECOLO XIIl'' E XIV' 125

Purtroppo l'ultima strofa che a noi, come nuova, mag- giormente importa, non è altrettanto compiuta quanto le precedenti: nel ms. dopo auiii (v. 31) segue l'omeltate senza interruzione alcuna, se non che con la prima pa- rola termina una riga e con la seconda ne comincia un' altra. Per ciò appunto preferisco supporre qui la lacuna indicata dal senso e dalla ragione metrica, non essendo improbabile che l' amanuense abbia saltato alcune parole nell'andare a capo. L'ultimo verso, che conta dodici sillabe, può facilmente essere corretto col mutare agaii in aga' (cfr. degà' e degati ai vv. 13 e 24).

A carte 157 r dello stesso memoriale n."* 64, tro- viamo ancora un apografo della ballata « D' un' amorosa voglia » di Albertuccio della Viola, sfuggito al Carducci quando a pag. 192 dello studio citato stampò questa poesia secondo tre copie che se ne riscontrano in me- moriali pur del 1286. Il frequente ritrovarsi della ballata sempre su carte di un solo anno, mentre attesta la sua popolarità, fa sorgere insieme l' idea che appunto in quel tempo sia stata composta. Trascrivo la nuova lezione , benché manchevole di quattro versi in fondo e priva di notevoli varianti:

5.

D' un' amorosa vogla

d' amar incommengay,

dona, quando esguarday

lo uostro viso placente et adorno.

D' un' amorosa voda d' amai' incommengay,

126 F. PELLEGRINI

dona, 'I vostro vallore; 8 Or m' è tornato in doglia

eh' eo non credo may rallegrar(e) lo meo core, Po' sum de vita fore, 12 donna, pensandol bene

la pena che sostene la vostra signoria gascuno corno.

Non dotati, meo syre, 16 che per pena eh' eo senta

muti cor talento.

El meo core e '1 desire

molto se ne contenta 20 et egli 'n (1)

Ecco un altro frammento inedito portato sempre dallo stesso memoriale n.° 64, in carattere affrettato e di ma- lagevole lettura, a carte 121 v:

6.

S'eo trouasse incarnata la pietanca degno siria de le' morte dare

(1) V. 4. Nel ms. Adorno v. 6. In comenQay nel ms. v. il. Il ms. vieta (\ieT vieta?) v. 12. Il ms. donai, ma credo che l'ultima lettera ci sia di più. Il Carducci stampa : Poi sum de vita fore, Donna, pensando bene La pena che sostene La vostra signorìa Qascun Qorno. V. 20. II verso e la poesia restano cosi interrotti col finire della pag. 157 r del memoriale.

RIME INEDITE DEI SECOLI XUf E XIV° 127

chorao a guerer(o) mortale,

Che gì' ò clamato mercede a posanQa 5 che de (le) mie pene me dega alenare,

ma niente me vale.

Ghomo l(o) cesaro mantirò l'usanza:

quando à pliù dogla cementa a cantare

e termino al (so) male. 10 De la mia dogla mostrare alegranga

da che pietanza no me vai clamare:

mia pena monta e sale (1)

Cominciamo dal raffrontare questi versi col principio di una canzone ben nota:

S*eo trovasse pietanza

d' incarnata figura,

merzè le chereria

eh' a lo meo male desse alleggiamento ;

e ben faccio accordanza

infra la mente pura,

che '1 pregar me varria

veggendo l' umil meo agiecchimento... ecc.

La canzone è attribuita a Semprebene o Nascimbene da Bologna dai due autorevolissimi codici chigiano L. Vili, 305 (e. 81 v) e vaticano 3793 (e. 32 r); oltre che da altri minori: a re Enzo dal non meno autorevole lauren-

(1) V. 3. La parola guerero è incerta lettura anche a cagione di una macchia che ne copre le prime lettere. Pare che sia scritto agueero col segno della lettera r sopra i due e. Mortale va inteso nel senso di: soggetto a morte, in contrapposto con la personificazione della pietanza che il poeta suppone immortale. v. 5. È incerta la lettura tra alenare ed alegarCj anzi é più probabile la seconda.

128 E. PELLEGRINI

ziano -rediano n.° 9 (e. 78 e). Qualunque ne sia l'autore (1) è innegabile V affinità grandissima tra il nostro frammento e r antica canzone. In ambedue l' autore vorrebbe incon- trarsi nella Pietà vestita di figura umana, ma dove nella canzone il poeta si contenterebbe di domandarle alleg- giamento ai propri mali, nel frammento si mostra deli- berato ad ucciderla, come fosse un nemico suscettibile di morte {mortale), poiché in vano le chiese a tutto po- tere che volesse alleggiare le sue pene. Il casaro, del V. 7 è senza dubbio il cigno o cecero, come a preferenza era chiamato nel sec. XIII (2), che canta prima di mo- rire e la forma cesare parrà meno strana di quello che non sembri a prima vista quando si pensi che anche og- gidì il Cygnus Olor è chiamato cièsano , cèseno o cesano dai cacciatori valligiani del territorio di Venezia e che il Cygnus Musicus si dice tuttavia sisini o cìsini àd\ Sardi, e cirnu 0 cicciruni dagli abitanti di Catania e Lentini (3). Qual è la forma metrica di questo frammento? Credo di essere riuscito a definirla raffrontandolo con la rima che stampo più oltre , al n.° 19 : anche qui abbiamo una parte (le sole quartine) d' un sonetto interzato con una speciale abitudine di rime, del che parlerò diffusamente al luogo citato.

(1) Cfr. in proposito T. Casini, Poeti Boi, p. 374 segg. Dall'opera del Casini (p. 133) ho citato i pochi versi di Semprebene che figurano nel lesto.

(2) V. D'Ancona e D. Comparetti, Le antiche rime volgari sec. il coi. vai. 3793 nella canz. LXXVIll v. 42, e nell'altra n.° XCVIH v. 7. Cfr. ancora A Gaspauy, La scuola poetica siciliana (trad. di S. Fuied- MANN, Livorno, 1882) a pag. 105.

(3) Cfr. E HiLLYER Cigligli, Avifauna italica (Firenze, Sugo. Le Monnier, 1886) pp. 294, 295; Giuseppe Hoerio, Dizionario del dialetto veneziano (Venezia, G. Cecchini, 1856) sotto il nome cesano.

RIME INEDITE DEL SECOLO Xllf E XIV° 129

Lasciando con dispiacere il memoriale n.° 64, che ci forni larga copia di rime, passiamo al memoriale n.° 66, dell'anno 1286(1), dove potremo leggere due disgraziate quartine d'un sonetto bilingue che non riesco a capire. Le copio tal quali:

7.

Mens opponentis eget magno dono et eo prò salisfarme no lo lassù, In hoc ymo perito tibi dono Cotale questione in uui me lassù et quis qui araat piane sine sono Multi altrj sum che uan più forte passu Ego qui tal iter hoc sono siaue prouato per vna de li passu (2).

Il memoriale n.* 67 dell' anno 1287 diede al Carducci insieme con altre poesie i primi otto versi del celebre sonetto di Guido GuiniceUi a ser Bonagiunta Orbiciani

(1) È intitolato: Liber Memorialium, contractuum et vltimarum vo- luntatum scriptum et factum per me Albertum Vinciguere Rouixij no- iarium affilio predicto tempore Nobilis viri dni thebaldi de bruxatis honorabilis potestalis bon. Sub anno dni Millesimo ducentesimo Octua- gesimo sexto Indictione quartadecima vna cum dominis Nicholao de Lastignano, Vandino Preuedellj, Matheo de Saliceto et lohanne damianj notariis dicto offitio. Il sonetto è a e. 145 r in fine di pagina.

(2) V. 1 Magno il ms. v. 2. li prò é espressa da un semplice p la cui asta, incurvata verso sinistra, ripiega su slessa e si interseca sotto la riga. v. 5. Et nel ms. è formato da un e con un segno ri- curvo, in forma di parentesi rovesciata, di sopra: quis (o quos?) è un g con 1' asta intersecata sotto la riga e con una s a fianco. v. 7. Tali ter è scritto talr con l' asta della / attraversata da una linea orizzontale.

Voi. Ili, Parte II. 9

130 F. PELLEGRINI

« Omo eh' è saggio non corre leggero » (1). Il sonetto cosi mutilo è a carte 28 r, ma a carte 117 r ve n' è un' altra copia assai meglio compiuta, ed una terza, pure sfuggita al Carducci, trovasi in fondo della carta 40 r del memoriale n.*" 86 compilato V anno 1293 (2). Dai due nuovi apografi, e da questi soltanto, ricavo una lezione che a mio credere si avvantaggia in qualche luogo su quella datane nei « Poeti bolognesi » da Tommaso Casini :

8.

Homo eh' è sago no corre libero ma pensa e grada con voi mesura: Quand' à pensato reten so penserò 4 de fin a tanto che '1 uer V asegura.

Foli' è chi crede sol ueder Io uero, e no pensar eh' altri pona cura ; Nuli' om se de' tenir[e] troppo altero 8 ma de' guardar so stato e soa natura.

Volano auxei per aer de stranie guise

et anno lor diuersi operamenti,

ne tut[t]i e[n] d' un volar d' un ardire.

(1) Questo memoriale n.° 67 fu dal Carducci descritto a pag. 124 n. dell' op. cit. Il sonetto in questione può vedersi in Casini, Poeti boi, p. 40.

(2) Comincia: Liber memorialium mei bonfantini condam petrtQoU de malpiglis notarii ad dicium officium, scilicel contraduum et ultimarum

voluntatum tempore dni lapi de Vgonihus de pistorio potestatis bon

sub anno dni Millesimo duceniesimo nonagesimo tertio . ... Una macchia copre le due ultime parole, che saranno state indiclione sexta.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII*^ E XIV** 131

12 Deo natura e '1 mondo in grado mise

e fé' dispari senni e intendementi : però eh' omo pensa non de' dire (1).

Al verso 6 il Casini stampa: « e non pensa che altri i pogna cura », lezione che a tutta prima soddisfa assai meglio della nostra. Pure va considerato che le tre copie dei Memoriali hanno tutte con notevole concordia pensar, e pensare ha 1' antichissimo cod. Laurenziano Rediano n.° 9 nella seconda trascrizione che di questo sonetto porta a carte 142 h. L' infinito pensar corre benissimo retto in forma ellittica da foli' è del verso precedente Cosa folle è il fatto di chi crede conoscere la verità egli solo, e cosa folle è altresì il non pensare che altri ponga cura in essa : d' altra parte pensar, più diffìcile a com- prendersi che non il volgato ^^n^a^ migliore garanzia d' essere genuino. Farmi buona cosa 1' accettare nel verso undecimo il verbo en, recato anche dal cod. vati- cano 3793 (e. 157 V), e necessaria l' espungere la con-

(1) Distinguo con M le varianti del Memoriale n.° 67, con M^ quelle del Memoriale n.° 86. v. 1. No M. non W. core liQeri M, v. Spassa e gada M pensa e grana W. Si noti che gravare potrebbe yalev ponde- rare con significato affine a pensare preso nel senso piìi etimologico. misura W. v. 3. Reten sopenseri M. v. 4 cheluede ìasegura M. per fin.,, lasigura W. I versi 5-8 in M^ sono disposti cosi: 7, 8, 5,6. È cosa assai strana che in questo spostamento M^ si accordi con 10 dei codici esaminati da T. Casini , Poeti boi, p. 314 v. 5. folle M

M*. chi pensa loueri M v. 6. Neno p gli M. e non /)...,

chura M^ v. 7. pero non se de homo lenir tropo alteri M. Nultomo se de aguire W. La parola oguire è incerta. La prima lettera pare un' a maiuscola, di formato piuttosto piccolo. A questa segue una g e tre aste parallele in forma di m : da ultimo re chiarissimo v. 8 e sua M' V. 9. Volan gloselli destranie g. M. Volano auxelli per aere destranee guise W v. 10. et ano 31. diueiso op. M' v. 11. netute dum M. neluti e dun volare M^ v. 12 in grade M. Deo natura lo mondo W v. 13 «ni M. despari intendimenti M*.

132 F. PELLEGRINI

giunzione e messa dal Casini tra Dio e natura, contro r autorità dei codici, nel terzultimo verso : chi mantenga la congiunzione è costretto ad ammettere che i due sog- getti Dio e natura reggano il verbo al singolare, e inol- tre deve far di natura una personificazione forse meno usata ai tempi di Guido che non sia ai nostri giorni. Il senso è il seguente: Dio mise, cioè fece, creò la natura (le cose naturali) e il mondo variamente graduati, com- ponendo il tutto di esseri quali più nobili e quali meno.

La ripresa di una ballata che credo ignota è a carte 21 V del sopra citato memoriale n.° 67:

9.

\> Seguraniente vegna a la nostra dan^a chi è fedele e lial[e] seruente.

p Vegna a la nostra

Nel verso della copertina membranacea di un volume di Atti del Podestà di Bologna dell'anno 1293 (1) leggiamo quest' altra rima :

(1) Porta il numero 1110 ed é intitolato : In dei nomine ctc Hic

est liber siue quaternus Relationum citationum et preceptorum et Aliarum diuersarum scriplurarum factus et compositus tempore capitanei Mangnificj et potentis militis dui Bonacursi de donatis de florentia honorabilis capi- tanei comunis et populi bonon. sub examine sapientis viri dni Guidolini de calestanis mililis sodi dicli dni capitanei super slratis, aquis, ponti- bus et chalancis et aliis Laborihus comunis bonon. faciendis Et scriptum per me iohannem Guidonis Bonromensis notarium de burgo ad sanctum Laurentium de mucello, notarium et publicum officialem et scribam dicli dni Capitanei ad dictum officium. Sub Anno dni ab Incarnatione ipsius millesimo ducentesimo nonagesimo tertio, Indictione sezta^ diebus et mensibus inferius per ordinem annotatis. Va dal die sextQ mensis aprilis al die primo octubris.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII° E XIV° 133

10.

Mercede, Amor, poi che m' auete priso

or non mi fate fera prigione, 3 ched io mi troni a mano a man conquiso.

Che se uolete uer' me far ragione,

voi mi trarrete 'nd' io sono miso 6 però che ben n' è omaj la stagione.

Poi, se noi mi trouate in falligione

che per amor nuli' altra guardj in uiso, 9 allora m' ancidete et fie ragione (1).

Non si sente nel metro e nella contenenza un accenno manifesto all' intonazione fresca e spigliata della lirica popolare?

Ai versi citati precede nella stessa pagina una informe quartina che riporto soltanto per scrupolo d' esattezza , senza scioghere neppure i nessi del manoscritto:

11.

0 mortai morte mia maluasitate gaudio et coltello dongne nemico mio nullo forte forme a potestate teco naciascun quasi olsuo disio prende fiede (2)

(1) V. 1. Il ms. Amore : priso è segnato pso con la lettera/) tagliata da una lineetta sotto la riga v. 5. Il ras. sonò v. 6. Il ms: però chehene v. 8. Il ms. amore. Subito dopo questa lirica si trova il distico latino:

lustitia^ Temperangia, Prudentia et Forlitudo, hta requirunlur in qnolihi't bona rectore.

(2) 11 tutto é su due righe la prima delle quali finisce con nemico mio. Nel primo verso mia è ripetuto due volte e nel quarto non è proprio sicura la prima lettera di olsuo: potrebbe essere anche una e.

134 F. PELLEGRINI

Dopo aver esaminato tante poesie o malamente fram- mentarie 0 degne di nota più per 1' età che per il loro pregio assoluto, possiamo ammirarne due rimarchevoli non solo per la poca frequenza del metro ma anche per la loro forma piacente e compiuta: si trovano sul recto della seconda copertina d'un fascicolo di Atti giudiziari del podestà per gli anni 1299-1300 (1).

12.

Io faccio prego all' alto dio potente et alla gloriosa Intercedente che ti dea ulta et gaudio lungamente 4 gemma fina:

che uoi sete la stella mactutina per cui '1 meo core di posar non fina, et frescha più che rosa della spina 8 et collorita;

(1) Porta il numero 768 e s'intitola: In nomine domini amen hic

est liber Inquisiciomim inuencionum precepforum etc factorum et

factarum ienpore potentis et Nobilis militis dominj filippi de Vergiolen- sibus de pistorio Ciuitatis bononie honorabilis potestatis, sub examine sa- pieniis et discreti Viri dominj Guidonis de Corona Legum doctoris ludicis dicti dominj potestatis ad malefì,cia deputatj, scriptarum et scriptorum per me Andream notarium de Corelia dictorum dominorum potestatis et ludicis ad malefitia constitutum sub anno domini Millesimo ducentesimo nonagesimo nono, indictione duodecima. Comincia dal die youis xxviiij odubris del 1 299 e giunge al die quarta madij dell' anno appresso.

11 fascicolo é cartaceo ma la copertina è in pergamena. La seconda pagina di tale copertina ha verso l'interno del libro una larga piegatura dalla quale sono in parte coperte le due rime, scritte come se fossero prosa : ciò spiega come mai siano sfuggile all' occhio dei precedenti esploratori.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII° E XIV° 135

et di tucta beltà sete compita et uertudiosa più che chalamita et è sprendente più che margarita 12 lo uostro uiso.

Uostre mammelle ben mi sono a viso che siano pome nate in paradiso: la bocha auete dolce col bel riso 16 e 1 capo biondo

et resprendente più che auro mondo: lo ochi amorosi et lo uiso giocondo auete più che altra d' esto mondo, 20 rosa aulente.

Et ben ui fece Cristo veramente, per far marauilliar tucta la gente, più bella criatura al meo paruente 24 eh' altra sia.

Però ui prego, dolce donna mia, che di me ui rimembri in cortesia da poi che io sono in nostra signoria 28 indicato:

et già fu lungo tempo sono stato nel nostro amor forte innamorato che ui deueria prendere peccato 32 di me taupino,

che noi m' auete nel uostro domino assai più che '1 ueglo 1' assessino, et di seruire a noi senpre affino 36 ogna dia.

136 F. PELLEGRINI

La uostra bocha aulisce tucta uia più che non face rosa lomia, e più andate conta per la uia 40 che reina:

quando ui sguardo m'arde la corina d' un amoroso focho che m' afina che ben mi par miracolo douina 44 m' incende.

Che tutto quanto 'I cor mi strugge e stende come la cera quando '1 caldo prende. Se '1 nostro amore in uer' me non s' arrende 48 ben morragio.

Se noi sapeste le pene eh' i' agio quand'io non uegio '1 nostro chier uisagio, mercè ui prenderla de me, che u'agio 52 sempre amata.

Et sete, bella, '1 fior de la contrata che ne lo core mi sete piantata: non fue si bella Morgana la fata 56 al meo parere,

che tucte r altre faite disparere. Sed io lo giorno potesse uedere che 'n braccio ui tenesse al mo uolere, 60 serei magiore

che s' io fusse rei o 'nperadore 0 d' esto mondo chiamato signore tanto è '1 bene e il grande amore 64 eh' io ui porto.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV*" 137

Et non uorrei mai altro diporto quand' io auesse '1 nostro buon conforto : s' io no r auesse ben fareste torto 68 da poi eh' i' u' amo.

Di uoi seruìre ò disio et bramo più che non ebe de lo pomo Adamo; però a uoi medesma mi richiamo 72 del meo tormento,

et s' io uo' faccio o dico fallimento sinde chero a uoi per donamento che mi n' diate qualuncho pentimento 76 a uoi piace (1).

13.

Da poi che piace all' alto dio d' amore eh' i' m' incominci a dir lo gran ualore di quella eh' è di tucte l' altre '1 flore 4 di bellecce,

diròui alquante delle sue adornece et delle sue angeliche bellege; poi ui contrabo le sue gentilege 8 e '1 bel parlare

(1) Varianti del ms. : v. 6 lo meo core v. li. et sprendenie V. 14. chessiano v. 15 coltello r. v. 16. et lo e. v. 17. et ri- sprendete V. 18. giocundo v. 19. piuchaltra destro m. v. 21. ui fece A. ver. v. 27. singnoria v. 31. prenderpecc. v. 33. domi- nio — V. 36. ongna d. v. 37 aulissce v. 43. douina è certo V. 44. mincendi v. 45. quanto lo core mi struge et v. 50. lo... chiero uisaggio v. 53. lo fiore v. 55. morgana la f. v. 58. sediol- giorno v. 61. chessifusse v. 63. tanlel bene elgr. v. 67 s>ono V. 69. diouoi seru. v. 73 odicco v. 74. sinde per sinne ■=. si ne. Cfr. N. Caix, Origini della lingua poet. it. ecc. Firenze, Le Monnier, 1880, §. 146. Vedi ancora il v. 38 del n. 13 v. 75. che minedinte.

138 F. PELLEGRINI

che 'n tucto '1 mondo non si troua pare , tanto mi par piacente da sguardare, come quella che mi fae gioso stare 12 nocte et dia

ma' alquanto mi ne cocha gelosia no la mi cangi per altr' on che sia : ma uogliola pregar per cortesia 16 vmilemente

che '1 meo seruire tuctor agia [a] mente , eh' r r ameragio in fin al meo uiuente et sempre le starò leal semente 20 et fino amante.

Che la mi pare conta et auenante et virtudiosa più che n' è '1 diamante, Ysocta eh' ebe [già] bellecce tante 24 non fue tale.

Però prego '1 signore celestiale che la mia donna guardi de male, che sopra tucte V altre monta et sale 28 in grande altura;

et mai non nidi bella figura in carne in [injtalglo in pintura, air aire l' assimilglo tant' è pura 32 et deliciosa.

Però prego la donna gloriosa, eh' è sopra tucte l'altre preciosa, ched ella guardi di pena [ajngosciosa 36 et di ria morte.

RIME INEDITE DEI SECOLI XI if E XIV'' 139

et del tormento eh' è duro e forte che non de tocchi a lei alcuna sorte, ma facciala intrar dentro alle porte 40 del paradiso,

ove [è] solago, giocho et riso et nullo ben del mondo u'è diuiso, et lo nostro criator u' è sempre assiso 44 co' li santi.

Or prego lui che noi e li altri amanti, che siamo in questo secolo cotanti, conducali ai gioi[o]si et dolci canti 48 di ulta eterna,

oue [è] la gloria soperna e r alta maiestà che la gouerna : appresso u' è la donna eh' è lucerna 52 dei peccatori.

Va, seruentese, coperta di fiori, saluta da mia parte li amadori, quelli ch[e] anno fermi li lor chori 56 in ben seruire,

et dilli che si degìano sbaldire et loro affare in gioia conuertire et aspectar lo ben che de' uenire 60 per amare (1).

(i) Varianti del ms. : v. 2. a dire v. 7. coniraho é forma etimo- logica per conterò v. 10. taniomipare v. 11. Cfr. col v. il dove la forma giosi per gioiosi ricorre altra volta v. 13. Ma risponde al latino magis quam e vale : se non se me ne cuoca alquanto gelosia ecc. minecoccha il ms. v. 14. no ella mi cagi... chessia a. 15. ma uoglola pregare v. 17. tuciora agiamente v. 35. dipenangossciosa

140 F. PELLEGRINI

La menzione del nome serventese (v. 53) definisce il metro delle due poesie ed è, insieme col noto passo della Vita nuova di Dante (2) la più antica ricorrente nella nostra letteratura : di tale forma metrica non mi dif- fonderò a parlare perchè già ne ragionò il Carducci a p. 207 sg. dell'opera Intorno ad alcune rime ecc., ed anch'io sono costretto a parlarne con qualche diffusione in un altro mio articolo sul serventese dei Lamhertazzi e Geremei che uscirà quanto prima negli « Atti e me- morie della R. Deputazione di st. patria per le Provincie di Romagna ». Il frasario d'amore usato nelle due rime è il solito della scuola poetica precedente al dolce stil nuovo : la donna è una gemma fina, una stella mattutina, è più fresca che rosa, è il fiore della contrada, ecc., r amante le è più devoto che 1' assassino al Veglio della Montagna, sarebbe più felice d'un re se potesse godere del suo amore, ecc. ecc. (3). Persino dei versi interi suonano all' orecchio come reminiscenze d' altri, altra volta sentiti : « Da poi che piace all' alto dio d' Amore » ri- chiama « che m' à donato 1' alto dio d' Amore » del ser- ventese edito dal Carducci (4). « All' aire l' assimiglio tant' è pura » fa pensare al « Verde riviera a lei ras-

V. 37. chessi duro v. 38. allei v. 38. mafaccialaintrare v. 42. nullo bene v, 43. criatore v. 47. Forse sarebbe meglio co- stanti, come più d'accordo col resto v. 50. couerna v. 57. chessi di V. 59. aspectare lo bene.

(2) E presi i nomi di sessanta fra le più belle donne della cittade ove la mia donna fu posta dall'altissimo sire, e composi una epistola sotto forma di serventese.

(3) Cfr. Gaspary, La scuola poetica siciliana del sec. XIII, Livorno, Vigo, 1882 (vers. dal ted. di S. Friedmann) a pag. 60 e 61 perla stella la gemma, la rosa, il fiore ecc.; a pag. 102 per V assassino, a pag. 51 per 1' ultimo concetto.

(4) Intorno ad alcune rime ecc. p. 212, v. 34.

RIME INEDITE DEI SECOLI XUf E XIV** 141

sembro e V are » del Guinizelli (1), « Più che non face rosa lomia » è pressoché una cosa col verso « ch'au- lisce più che rosa o che lomia » di un sonetto di Paolo Zoppo da Castello (2). A malgrado di queste concordanze, che si potrebbero Moltiplicare con tutta facilità, riscontro una mossa originale e, per il tempo, felice nella pre- ghiera a Dio ed alla Vergine di guardare dalle pene e di assumere a gloria eterna la donna amata, che si legge nelle ultime strofe del secondo serventese. Anche qui r amore, con pensiero guinicelliano e inconsciamente pla- tonico, é giudicato tale affetto da acquistarne pregio e non demerito alla presenza di Dio (3).

Se fin qui verosimilmente abbiamo avuto a fare con copisti e non con poeti, alla fine sul verso della seconda copertina d' uno dei soliti libri processuali dell' anno 1300 (4) troviamo un notaio autore di alcuni versi che

(1) T. Casini, Poeti boi p. 35: è il v. 5 del sonetto « Voglio del ver la mia donna laudare ».

(2) Ibid. p. 120, V. 7 del sonetto « Si corno quel che porta la lu- mera ». La lomia, come è noto, è una specie di limone.

(3) Cfr. gli ultimi versi della canzone di G. Guinizelli « Al cor gentil ripara sempre Amore » in Casini op. cit. p. 17.

(4) Comincia: In nomine dai Amen. Hic est liber Accusationum etc...^ fadiis et compositus Tempore nobilis et potenlis Militis dui Pini dni Stuldi de Ptubeis de florenda honorabilis potestatis Ciuitatis bononie sub exanime etc... ; et scriplus per me lohannem nolarium Tondi de Castro Fiorentino etc...; sub Anno dni Millesimo Trecentesimo Indiclione tercia- decima secundum usum et consuetudinem ciuilatis Bononie. Va dal die Sabati ultimo Aprilis al die Jnuis oclauo decembris. Nelle ultime pagine e precisamente dal die ultimo oclubris scrive gli atti un secondo notaio Salimbene condam ser Riccoboni de Florentia.

I due sonetti dei (juali mi occupo sono tra le rime di più difficile lettura che abbia trovato: ciò non in causa del carattere che per è abbastanza chiaro, ma per la tinta dell' inchiostro talmente sbiadita da confondersi col giallo della pergamena. Soltanto l'uso di un reagente chi- mico mi permise di rilevare il complesso con sufficiente sicurezza.

142 F. PELLEGRINI

trascrivo. Sono due frammenti di sonetti e rappresentano certo la prima bozza uscita dalla mente del compositore, come si ricava dalle cancellature e correzioni che vi si riscontrano: per ciò stimo opportuno darne una copia diplomatica prima di tentarne comunque la restituzione :

14.

In tuttj j tempj della uita mia. Non nidi neudi sconoscimento Ghome in te tutto acompimento Rengna ancor con più altraresia Smacerato di tua uita Kessia | Che sempre cum busse et

(turbamento Daltrui tenendo ragion et parlamento. Ghosi efatta latua cortesia Poi nonti pensa caggia conoscenza | dicio cheffai et fatta per

(adretro tanto sedi nona credenza. Massio tauesse adar la penitenza | sema non possa riueder (florenza. Più lungi diqui che diroma san petro (1).

15.

Ben posso dire ke la scanoscenza 1 ti sengnoreggia et Aggiaten

(balia Più che nullon chen queste parti sia Konuen che se dipoca

(pronedenza Angi che mnor naurai forse petenza | Etuo pentir nontiuara mia De come forte de essere tuuia 1 chetti conuene stare Altrue

(sentenza (2).

(1) Nella riga n.° 5 la parola pensa è posta sopra caggia quasi fosse stata prima dimenticata nello scrivere in fretta. L'ultima riga è la più imbrogliata di tutte perché il non è espresso con un semplice n e le parole da Più in avanti sono sottoposte a queste altre cancellate con linee orizzontali: di qui tifo... dare lonlan che diroma san petro. In ge- nerale e' è grande incertezza di lezione.

(2) Nella seconda riga in luogo di Più che nullon fu scritto Più chel nullon ma la / fu poi cancellata. Il secondo verso dell' ultima riga in origine era Ciò non ti dico per dare sentenza: fu cancellato e l'altro vi è sovrapposto.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIP E XIV** 143

Chi voglia sciogliere i nessi e distinguere i versi, potrà forse leggere cosi:

14 bis

In tuttj j tempj della uita mia Non nidi udì sconoscimento Ghome in te, [dove] tutto a compimento 4 Rengna ancor[a] con più altra resia.

Smacerato di tua uita ke ssia! Che sempre uà' cum busse et turbamento D'altrui tenendo ragion et parlamento (1): 8 Ghosì è fatta la tua cortesia.

Poi non ti pensa c[h]'aggia conoscenza di ciò che ffai e fatt'à per adrietro, 1 1 tanto se di' non à' credenza.

14

Ma s' io t' auesse a dar la penitenza, se ma' [non] possa riueder fiorenza

Non so come spiegare la prima terzina. Quanto alla se- conda si vede chiaro che il pensiero da esprimersi era questo: se io t'avessi a dar la pena delle tue cattive o- perazioni, che non possa mai più riveder Fiorenza se non ti caccierei più lungi di qui che non sia San Pie- tro di Roma; se non che all'autore non riusci l'im- presa, per vero dire un po' difficile, di concentrare in un sol verso tutta l'ultima parte del suo pensiero e noi lo cogliamo in atto di tentare e ritentare, sempre con riu- scita altrettanto infelice. Al v. 5 noto lo smacerato per una osservazione linguistica. Io non credo che questo vo- cabolo deva ritenersi equivalente al mazzerati Dante-

li) Forse può leggersi: D' altrui ragion t. ecc.

144 F. PELLEGRINI

SCO (1), ma piuttosto lo confronterei con la voce del la- tino medioevale macerare o mazzerare in senso di ba- stonare , percuotere, che ricorre frequente nei documenti antichi bolognesi e che il Mazzoni Toselli a torto volle iden- tificare col vocabolo di Dante, escludendo da quest'ultimo ogni idea d'un particolare e ben noto supplizio (2). Che sma- cerato valga solo Bastonato, Percosso, parmi lo dimostri l'intera frase: tu che vai sempre con busse e turba- mento possa una volta in vita tua essere smacerato, pi- gliarti cioè tu pure una buona bastonatura.

15 bis

Ben posso dire ke la scanoscenza ti sengnoreggia et aggiate 'n balia: Più che nuli' on che 'n queste parti sia konuen che se' di poca prouedenza.

Auqì che muor' n' aurai forse pe[n]tenza e tuo pentir[e] non ti uarà mia; De[hì ! come forte de' esser(e) tu' uia che tti conuene stare [a] altrue sentenza.

Ambedue le rime sembrano essere dirette in una stessa occasione contro una medesima persona accusata a tutto andare di scanoscenza, di ignoranza, di turbolenza e di

(1) Inf., XXm, 80.

(2) 0. Mazzoni-Toselli, Racconti storici estratti dall'Archivio cri- minale di Bologna (Bologna, Chierici, 1870), T. Ili, 311. Il Toselli cita i seguenti esempi: .... et cura martello totam lividam fecit pn spatulas et per brachia mazzerando ejusdem carnes ex dictis percussionibus (da

una Accusa dell'anno 429i) ex quibus ictibus lividavit et maceravit

ejusdem corpus et personam que jacuit per tres srplimanas in ledo (Ac- cusa del 1304). In un terzo esempio del 1295 ricorre mazzeratum nello stesso significato.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII° E XIV*' 145

altre pecche non lievi. Trattandosi delle fatiche di un poeta-notaio non è impossibile che l'accusato sia un ad- detto alla famiglia stessa del Podestà, forse uno dei m- dices malefìciorum, il che farebbe più chiaro quel verso, se verso può dirsi: « d'altrui tenendo ragion e parla- mento. » L'autore sembra sia il secondo dei due notai che, come si disse (1), posero mano alla compilazione del fasci- colo sulla cui copertina si trovano i sonetti cioè ser Sa- limbene condam ser Riccoboni de Florentia (cfr. il verso: « se ma' [non] possa riueder Fiorenza »): dico sembra notando che il carattere delle rime e quello degli atti si somigliano bensì moltissimo, ma la somiglianza non è piena identità. Potrebbero quindi essere e non esser di una stessa mano, in primo luogo perché la differenza tra la pergamena delle copertine e la carta dell' interno porta di necessità un cambiamento non facilmente valu- tabile nella struttura delle lettere, in secondo luogo perché r inchiostro sbiaditissimo mal si presta a minuti confronti paleografici. Dubito del resto che la nostra curiosità d'e- ruditi poco garberebbe al povero ser Salimbene, il quale certo non avrà mai pensato che il suo sfogo innocente contro chi sa qual giudice bestiale desse argomento a tante ciarle dopo quasi sei secoli d'oblio. A suo magro conforto ricordiamo che Diogene il Cinico^ interrogato del perché battesse le mani ad un pessimo suonatore, ebbe a dire: Io lodo costui perché ha scelto di fare il suona- tore invece che il ladro (2). Anche il nostro notaio pre- scelse verosimilmente la poesia ad un altro genere di più grave vendetta : e si che noi sappiamo come quei tempi si conoscessere a perfezione gli stochos, vel stochitos, vel cultellos de ferire (3)!

(1) Nella nota 4 a pag. 31.

(2) Dioì?. Laert. VI, 47.

(3) 0. Mazzoni Toselli, Op. cit. Ili, 335, da un bando del 1294. Voi III, Parte II. 11

146 F. PELLEGRINI

Eccoci ad un altro volume dell' anno 1300 (1) che ci offre il pili prezioso manipolo di rime in cui ci siamo imbattuti in questa rapida scorsa attraverso tanti antichi documenti. Qui i tre più alti poeti del dolce stil nuovo, Dante, Guido e Gino si fanno amichevole compagnia per merito d' un bravo notaio che nei suoi momenti d' ozio coperse di rime il verso della prima ed il recto della seconda copertina del libro che stava scrivendo. Sventu- ratamente abbiamo a lamentare un grave guasto pro- dotto dalla umidità che non solo rivestì di muffa rossa- stra il margine superiore dell' intero volume , ma anche lo consunse per guisa che un tratto della coperta cadde, portando via in parte le parole: per di più nel tratto prossimo alla corrosione la pergamena ha tutta una tinta uniforme e non permette di rilevare le lettere se non in causa del lieve incavo lasciato dall' inchiostro , il cui co- lore è affatto sparito.

Dante ha il primo posto col divino sonetto della Vita nuova: « Negli occhi porta la mia donna Amore »: purtroppo per essere scritto nel margine più alto mag- giormente pati e ne resta una parte soltanto e anche

(1) Ha il numero 70 del vecchio registro e comincia: hi nomine dominj Amen Liber iste continet in se Accusationes inquisitiones de-

numptiationes Notificationes prole statioaes el alias scripturas in

processibus occurrentes et factus tempore capitaneatus Nobilis viri do- mini Soffredi de Vergiolensibus de pistorio honorabilis Capitanei comu- nis et populi ciuitatis bon. sub examine sapientis viri domini Guidonis

de montealtino Judicis et scriptus est per me ysfacciatum Nota-

rium filium Antonij de montecatino scribam dicti domini Capitanei .... In annis Natiuilatis dominj Millesimo tregentesimo Indiclione terciade- cima a sex diebus intrantis mensis Septembris usque ad Kalcndas Apre- lis proxime venturas Infrascriptis mensibus et diebus, et partim in mille- simo trecentesimo primo Indictione quarladecima. Va dal die xiiij septem- bris al die vij marcii dell' anno appresso.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl'' E XI V" 147

questa poco visibile. Nel citarla riferisco in nota le varianti dell' edizione di P. Fraticelli (1) :

16.

Launche passa ogn' om uer le' si gira

si che sbassando '1 uiso tucto smore, et og

fuge dauanti a le' superbia et ira. Aiutate

R. ogni dolcega ogni penserò horaile. nasce nel core a chi

(pfarlar] la sente, vnd'è laudato chi prima la ui

quel eh' ella par quand' un poco soride. non si può dicer

(né tener a mente, tant' è nono miracul e gentile (2).

Il secondo luogo è tenuto da Gino da Pistoia col so- netto, adespoto come il precedente e come le rime che seguono, « Sta nel piacere della mia donna Amore »: poiché è molto compiuto , lo ricopio senz' altro con in nota le varianti dei testi a stampa del Ciampi, del Car- ducci e del Dindi e Fanfani (3):

(1) // canzoniere di Dante Alighieri annotato e illustrato da Pie- tro Fraticelli. Firenze, Barbera, 1873, p. 99.

(2) Ecco le varianti del Fraticelli: Riga i. Ov' ella passa, ogni uom ver lei Riga 2. Sicché, tassando il v. , tutto smuore Riga 3. Fug-

gon dinanzi a lei s. ed ira Teraina 1. Ogni dolcezza pensiero

umile a chi parlar la s. ond' è beato Terzina 2. quando un p, sorride tenere a m. ^ Si è nuovo miracolo gentile.

(3) Vita e poesie di messer Gino da Pistoia novella edizione rivi- sta ed accr. daW autore abate Sebastiano Ciampi (Pisa, Capurro, 1813) a pag. 14.. Rime di M. Gino da Pistoia e d'altri del secolo XIV ordinate da G. Carducci (Firenze, Barbera, 1862) a pag. 52. Le rime di messer Gino da Pistoia ridotte a miglior lezione da Enrico Hindi e Pietro Fanfani (Pistoia, Nicolai, 1878) a pag. 11.

148 F. PELLEGRINI

17.

Sta nel piacer della mia donna aniore come nel sol lo rago e 'n ciel la stella, Che nel mouer delli oc[c]hi il porge al core c[h]' ogni spir(i)to [si] smarrisce in quella.

Soffrir non posson li oc[c]hi lo splendore '1 cor po' stare in loco, si li abella ; Isbacte forte, tal sente 'I dolcore: quine si prona chi di lei fauella.

Ridendo par ch'al[l]egri tucto loco, per via passando angelico diporto, nobil ne li acti et vmil nei sembiantj;

Tucta [a] morosa, di solaio e gioco

[e] sag[glia nel parlar, uit[aì e conforto,

gioi' e diletto a chi le sta dauantj (1).

Ancora nella medesima pagina, sotto il sonetto di Gino, abbiamo il congedo della canzone « Donna mi prega.... » di G. Cavalcanti:

(1) Varianti delle edizioni Ciampi (C), Carducci (Ca.) e Fanfani (F.): V. 1. Donna Amore C. F.; Amore Ca. v. 2. Cam' in sol rag- gio e 'n ciel lucida st. C. Ca. ; lo raggio F. v. 3. muover degli oc- chi poggia al e. C. Ca.; muover degli F. v. L Spirto si sm. C. ; spirto si sm. Ca. F. v. 5. gli occhi C. Ca. F. v. 6. il cor può trovar loco, si è bella C. Ca. ; il cor può . . . abbella F. Veramente il ms. porta chiaro: filia bella se non che suppongo derivi da uno scoreo di penna il breve tratto attraversante l'asta della prima lettera, perché filia non senso v. 7. Che 7 sbatte fuor , tal eh* ei sente dolore C. Ca.; Che sbatte.... il dolzore F. v. 8. Quivi si trova C. Ca. ; il Fanfani legge come il nostro, ma confesso che in ogni modo il verso mi rimane oscuro. Nel ms. abbiamo qui ne v. 9. par che s'allegri ogni loco C. Ca. ; che allegri tutto 7 /. F. v. il. Nobil negli atti ed umil nei sembianti C. Ca. F. v. 12. TutC am di sollazzo C. Ca. F. v. 13. E saggia di p. C. Ca.; È maggia nel p. F. v. 14. Gioia e . . . . davanti C. Ca. F.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV** 149

18.

Tu puoi seguramente gir cancone uve ti piace, eh' io t' ò adornata eh' as[s]ai laudata sera tua ragione da le persone ch'anno intendimento; di star coli' altre tu non ài talento.

L'ultima copertina comincia con una poesia che ar- gomento a molte riflessioni, e di cui credo bene fare un po' di storia. Comincia : « Io mi son tutto dato a trag- ger oro » e fu a mia notizia per la prima volta stam- pata neir anno 1812 da Luigi Fiacchi (1) sopra un co- dice Alessandri (2) con attribuzione a Gino da Pistoia. L' anno appresso fu ristampata dal Ciampi (3) col nome arbitrario di madrigale: fra parentesi è noto che il Ciampi soleva chiamare un po' a capriccio madrigale o ballata quasi tutti quei brevi componimenti che non gli riusciva di aggruppare alla prima sotto gli schemi abi- tuali del sonetto o della canzone (4). Il nome di ma-

(1) Scelta di rime antiche. Firenze 1812 (Estratto dalla Raccolta di opuscoli scientifici). La nostra poesia è a p, 21.

(2) U Fiacchi ne scrive (p. 3 della Prefazione alla Scelta citata):

« fu già di proprietà del P. Abate Alessandri di Badia ed io ebbi

alcuni anni sono la comodità di esaminarlo e di eslrarre tutto ciò che inedito o degno d' osservazione mi parve. E siccome di questo codice non so quale sia al presente la sorte o in quali mani egli sia pervenuto, mi credo in dovere, per dare un qualche discarico ai miei lettori, di pre- sentarne la descrizione. Il codice è cartaceo in f. del secolo XVI .... » Segue dandone una tavola assai concisa per la quale mi rimetto all' opera del Fiacchi. Ignoro se questo ms. si sia più ritrovato.

(3) Cfr. nota 3 a pag. 447.

(4) Cfr. i così detti madrigali a pp. 17, 123 e 143 e le due pre- sunte ballate a p. 75 dell' erf. «7. Viceversa il Ciampi chiama canzoni le ballate a pp. 102, 158, ecc.

150 F. PELLEGRINI

drigale ebbe fortuna e lo troviamo ripetuto in fronte alla nostra rima, composta di 16 versi, anche nell'edi- zione ultima delle rime di Gino curata da E. Bindi e da P. Fanfani (1). La disposizione delle rime nelle tre stampe è sempre la seguente: ABcABcABcABc D E D a: tale certo da giustificare un dubbio circa il modo di definirla, ma non da permettere che la si chiami con sicurezza madrigale ballata (2). Passiamo ai manoscritti. Il prof. Bartoli nei suoi utilissimi « Appunti bibliografici sulle Rime di Ms. Gino da Pistoia (3) » dice che « lo mi son tutto dato ».... ecc. si trova nei codici: Ghigiano L. Vili, 305; Vaticano 3213; Palatino 204; Bolognese Univers. 2448.

Ai codici mentovati potremo aggiungere gli altri che insieme al Vaticano 3213 e. al Palatino 204 (oggidì E. 5. 5. 43 della Nazionale di Firenze ) procedono dalla rac- colta cosi detta Aragonese (4), ciò sono il Mediceo -Lau- renziano pi. XG inf. , 37 e il cod. n. 554 della Biblio- teca Nazionale di Parigi di cui si può vedere la tavola nella «Appendice all'inventario dei Manoscritti Italiani della Biblioteca Nazionale di Parigi » pubblicata da G. Maz- zatinti (5). Anche il ms. Alessandri sopra mentovato dovè essere della stessa famiglia. È inutile notare che, essendo il ms. Bolognese Universitario 2248 uno dei

(1) Cfr. nota 3 p. U7.

(2) In quest' ultima inesattezza incorse il Barigli negli Appunti bi- bliografici sulle rime di Gino inseriti nel Voi. IV della Storia della lette- ratura italiana. Cfr. p. 63, n. 229 di quest' opera.

(3) Vedi la nota precedente.

(4) Cfr. T. Casini, Sopra alcuni manoscrilti di rime del secolo Xlll m Giornale Stor. della Leti. ital. Voi. Ili, p. 162.

(5) Voi. II dell' a Inventario dei Mss. Ilal. delle Biblioteche di Fran- cia pubblicato per cura del Ministero della pubblica Istruzione » (Roma 1887). Pag. 130 seg.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XI V^ 151

rappresentanti della collezione di rime Bartoliniana , an- che i mss. Marciano ital. ci. IX, n. 292, il XIV. D. 16 della Nazionale di Napoli e il ms. Rossi n. 93 della Gor- siniana di Roma recheranno tutti la medesima poesia (1). In complesso dieci codici , ma tutti ahimé ! sono 'echi d' una stessa voce, voglio dire dell' unico veramente an- tico, il Chigiano L. VIII. 305. Nel numero de' versi e e neir abitudine delle rime la poesia manoscritta con- viene con quella a stampa, se non che l' ultimo verso in luogo di rimare col primo ( « Che di quel fiume V oro » ) è indipendente dagli altri che Toro di quel fiume ») e rende anche più diflìcile la specificazione della forma metrica adoperata.

In tanta incertezza viene opportunissimo il nuovo apografo bolognese, indipendente dal Chigiano del quale è quasi contemporaneo, dove la rima consta di venti e non già di sedici versi, e si colloca pertanto sotto uno schema metrico non comune, se vogliamo, ma neppure scono- sciuto. La stampa registrando in nota le varianti dei codd. Chigiano L. Vili. 305 (dal Propugnatore, tom. X, parte I, p. 310); Laurenziano Plut. XC inf. , n. 37 (e. 80 v); Palatino 204 (e. 112 v); Alessandri (secondo la edizione Fiacchi); Vaticano 3213 (e. 250 v); Barto- liniano (Bologn. Univ. 2448, car. 28 r) (2):

19.

Io mi son(o) tucto dato a tra[g]ger oro a poco, a poco del fiume che '1 mena,

(1) Cfr. T. Casini, / poeti bolognesi ecc. p. XV.

(2) Chiamo C il primo, L il secondo, P il lei-zo, A il quarto, V il quinto e B r ultimo. Per la trascrizione della rima secondo il codice V devo esser grato alla gentilezza dell' illustre Mons. Prof. Isidoro Carini : le lezioni di L e di P mi furono rispettivamente trascritte dai miei egregi amici dottori U. Marchesini e G. Bolognini, che vivamente ringrazio.

152 F. PELLEGRINI

pensando m' aricchìre ; 4 E credone amassar più che 'I re Poro

trafgjgendol so[t]tilmente della rena unde io spero gioire.

E penso tanto in questo mio lavoro 8 che, s' io trouasse d' ariento vena,

non mi porla gradire: Per ciò che no mi par(e) che sia tesoro se no se quel che tra[g]ge '1 cor di pena 12 e contenta '1 desire.

Però io mi contento pur d' amare voi, gentil donna, per chui mi conuene più so[t]tilmente la speranza trarre 16 che l'oro di quel fiume:

Di ciò eh' un altro amante trarria pene spesse fiate mi fa ra[l]legrare : eh' i' m' a[s]so[t]tiglio di traer del mal bene 20 e de lo schuro lume (1).

(1) V. 1. 7 mi son tutto d. a tragere C. son tutto d. ad tragger L. P. V. son tutto d. a A. B. tragger A. traggier B. loro V. v. 2. appocho appocho C. dal f. A. v. 3. Pensandone G. L. V. Pensandomi P. B. A. arricchire L. A. V. B. arrichire P. v. 4. Credone C. Et credone L. P. Et credome V. E credomi A. Et credon B. amassare P. ammassar V. A. ammassare B. Il nostro ms. ha poro. v. 5. traendol C. A, B. tra- hendol L. V. irhaendol P. tra la r. C. L. P. fra la r. A. B. entro la r. V. V. 6. ondio potrei gioire C. L. P. A. V. B. v. 7 a questo C. L. A. B. ad q. P. V. v. 8. chessi C. trouassi L. A. V. B. v. 9. porria L. P. A. V. Il cod. B. ha potria ma la lederà t ha disotlo un puntino, e sopra la riga vi è un altro r. v. 10. Pero che non e mai maggior C. L. P. A. V. B. thesoro L. P. V. B. v. i\. se non quel che tragge il C. Che quel che lo cor tragge fuor di pena L. V. e B. nel testo. Che quello che lo cor P. Che quello che 7 cor A. Se non quello che tragge il cor B. in margine. Come si vede le lezioni dei codici meno antichi sono tutte congetture a supplire la mancanza d' una sillaba nel

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl" E XIV** 153

Ecco dunque un vero e proprio sonetto rinterzato che, suir autorità del ms. Ghigiano, possiamo attribuire a Gino da Pistoia (1) e che sarà forse il secondo del suo canzonie- re (2). Si noti che per disposizione di rime non risponde all' una all' altra delle due forme normali di questo genere di poesia illustrate da L. Biadene nella sua bel- lissima « Morfologia del sonetto italiano y> perché dove nelle forme normali le rime che si alternano sono due nelle quartine e due nelle terzine, come in un sonetto ordinario (AaB. AaB:AaB. AaBr=GcD d C: D d G e D oppure AaB. AaB:AaB. AaB=:^ C D d G: D G e D.), qui una quinta rima si introduce a reggere i settenari delle quartine ed una sesta a reg- gere quelli delle terzine, in questo modo : A B e. A B e: ABc. ABc = DEDf:EDEf. Andrebbe adun- que, secondo la terminologia del Biadene, collocato tra le forme secondarie sebbene neppure con alcuna di

verso dato dal prototipo C. v. 12 e contenta il C. P. V. Et cont. il B. L. disire L. P. V. v. 13. Pero contento son pur ad am. C. A. B. e. son pure ad am. L. P. V. v 14. da cui C. L. P. A. V. B. gientil P. conuiene B. A. v. 15 speranza trare L. P. A. V. speranza trharre B. v. 16. Che loro di quel fiume hanno tutti i mss. : non cosi A secondo la stampa del Fiacchi, ma é evidente che si tratta di un conciero dell'editore. vv. 17-20. Mancano in lutti i mss. e le stampe.

(1) Anche gh altri mss. , derivanti dal Ghigiano, sono di necessità concordi nell' attribuzione a Gino. Il solo Vaticano 3213, del sec. XVI, mette bensi la rima tra le poesie di Gino, ma ha in margine un avver- timento della stessa mano che scrisse il codice: Alcuni attribuiscono questa C. ad Guido Guinizelli. Non possiamo tener gran conto di tale avvertenza finché ignoriamo chi siano questi alcuni.

(2) Forse anche 1' unico Infatti l' altra rima « Di nuovo gli occhi miei per accidente » (Uime di Gino, ed. Fanfani p. 162) registrata dal Biadene, Morfologia del sonetto italiano nei secoli XIII e A'iV (Fase. X degli Studi di filologia romanza pubb. da E. Monaci) tra i sonetti rinlerzati della seconda forma normale (p. i6) è di attribuzione incertissima, anzi non si trova in nessuno dei molti mss. consultali dal Barigli, Stor. lett. it. sopra cit. IV, 52.

154 F. PELLEGRINI

queste trovi una rispondenza precisa; per le quartine la ha invece (caso strano !) col frammento di rima che ho stampato più sopra, al numero 6, come si disse a suo luogo.

La breve ma preziosa collezione di poesie contenuta nel detto volume giudiziario si chiude con due rime che fan parte della nota Tenzone poetica tra l'Abate di Tivoli e Giacomo da Lentino. Come è noto essa consta di cinque sonetti conservatici assai guasti dal famoso codice Vaticano 3793 (1) e, tranne l'ultimo, anche dal codice Chigiano L. Vili. 305 (2): una edizione critica recente su questi due mss. ne fu data da E. Monaci a pp. 60-63 della a Crestomazia italiana dei primi secoli » (3). I no- stri sono il secondo, del Notaro Giacomo, e il terzo, del- l'Abate. Eccoli con le varie lezione dei nominati codici in nota:

20.

Feruto sono isuariatamente : amore m' à feruto ; or per che cosa ? - Perch' io ui saccia dir lo conuenente di que(ll)i che del trouar non anno posa.

Che dicono in lor dicto spessamente che amore à in deitate inclusa; et io si dico che non è neiemte, che più d' un dio non è ne esser(e) osa.

E chi lo mi uolesse contastare io lil mostrerei per via e manto, come non è più d' una deitate :

(1) Voi. IV p. 1-5 dell' ed. Comparetti e D'Ancona.

(2) vedi Propugnatore V. S. XI, par. L^ pag. 323 seg.

(3) Fascicolo primo (Città di Castello, Lapi, 1889).

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII " E XIV° 155

In uanitate non uoglo più stare, voi che trovate nono dicto e canto partiteui da ciò, che uoi peccate (1).

21.

Qual hom riprende altrui spessamente a le rampogne vene a le fiate: Per uoi lo dico, amico, inprimamente che non credo che lealmente amiate.

Che, s'amor vi stringesse coralmente, non parlereste per douinitate; An^i credereste veracemente che elli auesse in gran potestate.

Per ciò eh' è di si schura canoscenga

che douen come d[i] una batagla,

chi sta fa] ueder riprende chi combatte.

(1) Varianti dei Codd. Vaticano (V) e Chigiano (C): v. 1. svariatam. C. V. 2. 0 per che cosa \. C. v. 3. chad io degia dire V. ched io deggia dir C. v. 4. di quelli che di trouare V. di que' che di C.

V. 5. ca dicon ne lor detti V. che dicon ne lor decti C. v. 6. Ch' amore ade ira in se richiosa V. eh' amor a deità in se rinchiusa C. V. 7. ed io lo dico che nonn è nejente V. ed io lo dicho che non e niente C. v. 8. cadio damore sia od esser osa V. che dio damar sia od esser osa C. Come è manifesto la nostra lezione supera d'assai quella dei due codici e vale : Poiché non vi è osa esservi più di un solo Dio.

V. 9. me ne volesse V. C. v. 10. io gliene V. C. mosterria ra- gion dauanti C. rasgione avanti V. v. 11. Cadio non e sonon una d. V. che dio non e se non una d. C. v. 12. Ed io in vanita non volgilo st. V. Edio in uanita non ui stare C. v. 13. noni detti tanti V. noui decti t. C. v. li. posatelo V. C. di dir V. di dire C. che uoi peccale V. che uoi pecchate C.

156 F. PELLEGRINI

Quella ripresa non tegne ualenga.

chi accatta '1 mercato sa che uagla,

chi leua sente più che quei che batte (1).

A carte 86 v del Memoriale n.° 102 dell' anno 1301 (2) leggo due versi che paiono il cominciamento d'una ballata:

22.

Amor, poi che luntano

y' fui da gì' ochi oue prima te vidi

Mancante della seconda terzina è un sonetto che pro- duco dal Memoriale secruente n. 103 ancora dell' anno

'D"

(1) Varianti dei codd. Vaticano (V) e Chigiano (C) sopra nominati. V. 1. Qual omo alimi ripr. sp. V. Qual uomo altru r. s. C. v. 2. A re' ramponane viene co V astate V. ale r. C. v. 3. ^ te lo dico V. a vo lo dicho, amicho. v. 4. ca non credo ca lealem. V. cheo . . . lealmentam. G. v. 5. Samore tauesse feruto coralem. V. 5' amor u'a- uesse feruto e. C. v. 6. nom parlereste p. div. V. divin. C. v. 7. Nanti cr. ciertam. V. nostra credenQa fora certam. C. v. 8. Camore V. camor C. v. 9. Amore a molto scura canoscienza V. amore a m. schura chanoscien^a C. v. 10. si nadiviene come duna . . . [manca l'ultima parola] V. e diuen come q the ala batlalgla C. v. li. chi sta vedere V. chetten mente e riprende que che comb. C. v. 12. Quella [manca il resto] V. Quella ripresta non tengo C. v. 13. acatta lo m. . . . valgla C. v. \i. Chi lieve sense più eh. . . [manca la fine] V. che quel C.

(2) È intestato: Liber memorialium contractum et ultimarum vo- lunctatum per me Rolandum condam dni bernardinj merQarij notorio officio predicto prò primis sex mensibus .... tempore regiminis dni Guelfi de Caualcantibus potestatis bon. sub Anno dni millesimo trecentesimo primo. Indictione quartadecima.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl*^ E XIV ' 157

1301 (1): è, se non erro, un nuovo saggio di quel genere di poesia borghese leggermente scherzosa di cui abbiamo un notevolissimo esempio nell'efficace rima del Guinizelli : « Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo » . Mi dispiace che abbia bisogno di alcuni ritocchi qua e là:

23.

Ghusi di gl[i] odi soi foss' ella mancha quella crudelle e noua baxillisca, Che zaschum hom[o in]uolge e inuischa, 4 qual uol, se passi [u'] sedendo s' irabameha.

E milli n' à q2l morti e no se stancha e de co fare no par eh' alentischa, E qual d'amore più par che polischa 8 za no '1 lassa partir se no l[o] smancha.

Or domqua, qual uer le' prenderà scermo? eh' eir à natura tanto forte et agra, li eh' ella no teme qual de.... descermo (2)

(1) Comincia: In Christi nomine Amen Liber memorialium con-

traduum et uHimarum volumptatum sub Millesimo trecentesimo

primo indictione Quartadecima tempore dni sofredi de vergellensibus poiestalis bon. scriptus et compillatus per me Gregorium condam Al- dreuandini preuedelli notarium dicto officio. La rima è subito dopo l'intestazione sopra scritta.

(2) V. 3. Il ms. ho uolge v. 4. uol é scritto sopra le prime tre lettere di sepassi; dopo questa parola vien subito sedendo v. 7. po- lischa si legge chiaro v. 9. Forse prenderà' per prenderai'! Nel caso la poesia sarebbe indirizzata a una seconda persona per distorta dall' a- mare questa noua baxillischa v. 10. natura è scritto nata con una linea spezzata sopra il / v. li. dopo de seguono quattro asticelle scritte trascuratamente, che si potrebbero leggere mi, im, nu, un indif- ferentemente, ma che in nessun modo mi danno senso. L'ultima parola sta a se, staccala dalle asticelle in questione.

158 F. PELLEGRINI

Si veda quanf è graziosa una ballata scritta sopra carta sciolta, messa come segnacarte in un fascicolo d' atti ap- partenenti all' ufficio aque e strade dell' anno 1302 (1). La presenza delle rime dona (= donna): perdona ai vv. 13-15, unite alla forma lasa* per lasciate al v. 21 toglie ogni dubbio suU' origine settentrionale della poesia :

24.

Deo, lassatim' andare a ueder lo meo amore,

C^nte eh' auiti 'I core ^

4 pien d' one graue nequità nuiosa.

Deo, lasatim' andar per nostro honore, gente che siti tanto schanosenti e non uediti corno cardia amore, 8 se non uel dico, de grani tormenti

E de culpi pungenti che m' àn '1 cor feruto, che quasi àn departuto 12 lo spirto da la mia uita angososa.

Se tardo de ueder[e] la mia dona,

la morte nego starme auanti presta

e per cherir mergè non perdona, 16 ma crede far del meo fenir gran festa;

E per altro non resta

se non che me conforta

speranza che '1 cor porta 20 che tosto nega soa cera amorosa.

(1) Manca di intestazione: contiene contravvenzioni registrate nel sopra- delto ufficio dal die Sabati xiij octubris del 1302, al die lune xxij Julii dell' anno appresso. Si può essere certissimi che la carta inchiusa é di carattere contemporaneo, quantunque non sia della stessa mano che com- pilò il fascicolo delle contravvenzioni. Misura mm. 243 X 145 e non ha piegature.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl'' E XIV° 159

Qir me lasa', per deo, che sia presente:

forsi pietà farà noua partenza

da' soi bel' ochi, ed à ualur piacente 24 che contra morte me darà ualenga

che non mora senga

auer uecuta in prima

quella dona che cima 28 è sopra on' altra de beltà cuiosa (1).

Sul recto della stessa carta abbiamo due ballate di ge- losia. La prima, dove la donna si lamenta del marito, è in tale forma .linguistica che reputo buona cosa darne copia esattissima, senza il più piccolo ritocco:

25.

p Alla mala mor mora le maliias mari et a mala mors mora: p E sastu che ma fato le maluas mari | che per celusia ma-

( parti da si et ama p Esastu che ma fato le maluas oelos 1 che per celusia ma-

( parti dalus et a P Esastu che mafato le maluas gura | che per celusia ma

(chaga de cha et a (2).

Sastu col suo s di seconda persona conservato accenna al Piemonte o alla Venezia, ma poiché maluas, gelos, mari, parti, chaga, cha, possono essere veneti, dob- biamo fermarci a questa seconda regione : d' altra parte

(1) Varianti del manoscritto: v. 4. nuiossa v. 6. schanosente. La rima suggerisce di cambiare in schanoscenti, retto al plurale dal soggetto collettivo V. 23. eda ualur piaceli. Come in questo verso si dice i soi bel' ochi alludendo a quelli dell' amata pur senza farne il nome, cosi credo che à sia retto dal medesimo soggetto sottinteso.

(2) Tutti gli et sono espressi nel ms. col noto segno tironiano in forma di 7.

160 F PELLEGRINI

gli articoli le e le forme mor e mors non derivano certo dalla Venezia e fanno pensare ad un testo franco- veneto, anziché schiettamente italiano. Le congetture lin- guistiche sarebbero forse confermate da possibili raffronti con altre poesie dell'antica letteratura francese? E co- munque, qual è la costituzione originaria della rima ? Sono questioni che io metto innanzi senza osar di affrontarle.

Alla seconda ballata, che riferisce le querele e le male- dizioni di un amante contro il solito marito geloso (1), la spontaneità dell' invettiva acquista una cert' aria di non comune freschezza:

26.

A(lla) mala morte mora lo geloso 2 eh' à lo uiso crudele e doloroso.

E lo geloso e pien de ceiosia senga chason bate la dona mia: Che l(o) posa prender la par[a]lasia 6 tal che lui faga tristo e mi guioso.

Sauì che fa 'l geloso a la mia amata? che '1 me la tene in chamara serata E pur chome la fosse munachata 10 ad hubidenga.d' altro relioso.

Lo mal e '1 mal ano li dia deo a quel geloso uechio clian gudeo;

(1) È questo uno dei motivi abbastanza connuni della nostra lirica antica. Cfr. Gaspary, Scuola poet. sicil. (ed. cit. ) p. 78 seg.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 161

Mo' fosse mia la dona del cor meo 14 che lui farebi triste e mi quìoso (1)!

11 verso della carta sopra descritta, dell'anno 1302, reca un'ultima ballata meno importante delle altre e per di pili alquanto guasta nel metro. Non senza esitazione tento di ridurla, ponendo tra parentesi onciali le lettere e le parole che mi pare si devano espungere, e tra parentesi quadre quelle che la ragione metrica mi suggerisce di reintegrare :

27.

Dona, mercè demando a uoi, che moro amando.

Dona, non (pos)so celare 4 chome l'amor me (strenne e) tene,

si me strenne ad amare

uoi che siti tuta la mia spene:

Che non so chom(e) gabando 8 fui preso, a uoi guardando.

me ferì lo core,

dona mia, nostro (gentil) guardo

eh' on' altro (amor) pinsi fori

12 [etj è sol[o] per uoi che incendo et ardo, ch'ai uostro comando

son sempre, seruo stando.

(1) Varianti del ms.: v. 2. uisso v. 5. Cho lo posa prèder la parlasia. Parlasia cioè paralisia o paralisi v. 7. Saniti. La misura del verso mi suggerì di ritoccare questa forma verbale v. 10. d' al- tro è sicuro, ma non riesco a comprenderlo v. 13. Mo fosse la dona mia del e. m. Il metro e insieme il senso autorizzano lo spostamento del mia che mi permisi nel lesto. v. 14 quìosso.

Voi. Ili, Parte II H

162 F. PELLEGRINI

Humel mente te moui 16 e uane a la mia [ajmanga,

balata, oue la troui;

dili ch[e] aca de mi remembranca,

li conta in chantando 20 eh' e' moro desiando.

Tuto uo cunsumando

per nostro amor celando (1).

Due mozziconi di rima ci conservò la copertina membra- nacea d'uno dei soliti quaderni di inquisizioni dell' anno 1306 (2). Il primo è questo:

28.

Al nome di dio è buono incuminciare

tucte cose che l'ofn] uiene a flfare:

intendi, fìlglo, se noli imparare

sapienza,

Senno, bontade et congnosscenga,

a ccio eh' i' dico abbiate prouedenca ;

queste parole sono tucte

(1) Il ms. al verso 18 legge renebraga.

(2) Segnato 11 secondo l'antica numerazione. Comincia: Liber ie- stium receptorum et examinatorum super processihus et inquisitionibus faciis ex officio sapientis viri dui lohanninj de Julianis ex balia et au- ctoritate sibi concessa super recuperando m et reinueniendam pecuniam et auere comunis bonon. et singularium personarum et scriptus per me Riccomannum notarium ad ipsius dui lohanninj ludicis officium spe- cialiter deputalum sub anno dni millesimo trecentesimo sexto Indictione iiij , diebus et mensibus itifrascriptis, et sub anno dui m.ccc.vij Indi- ctione V. Va dal die vii) mensis Nouembris al die xij mensis decembris, e le rime sono sul verso della prima copertina.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII" E XIV° 163

È il principio della già nota a Dottrina dello schiavo di Bari )) (1), e merita qualche considerazione per il fatto che testimonia della diffusione di questa poesia in Bologna fin dall'anno sopra ricordato. La seconda consta di un sonetto satirico che sarebbe più interessante se non fosse monco e se si potesse intendere un po' meglio :

29.

Quel che s'appella per nome ser Octo et ponsi in testa per coramandatore Non mi par che 'n che Ili sia honore che li compangni di lui ponghan mocto.

Ma forsi el face per tenersi docto: per dio, l'onde leniamo a gran furore E a quella talpa faccia n tal remore che cci conceda di pian scachi e roccho.

Ma hen è uer(o) ch'elli è tanto cortese che mi somiglia lo re Allexandro (2)

La prima quartina forse significa: Colui che per nome si chiama ser Otto e che si pone avanti a tutti per co- mandante non mi par tale persona (che) rispetto alla quale (n che) sia onorevole cosa {Ut sia onore) che li compagni ne facciano pure un motto. Il verso ottavo vuol dire: Che si arrenda a discrezione e che la finisca; e la

(1) Dottrina della Schiavo di Bari secondo la lezione di ire antichi testi a penna. Bologna, G. Romagnoli, 1862 (edit. F. Zambrini).

(2) V. 2. Il ms. Intesta v. 3. Si potrebbe anche leggere bencheli, quantunque la maniera adottata nel testo mi sembri più probabile V. 4. 11 ms. Ma forsi chelface v. 6. 11 ms. tonde v. 8. Il ms. checcicoceda di pian liscachi el roccho. v. 10. Il ms. lare allex.

164 F. PELLEGRINI

frase è presa dal giuoco degli scacchi dove il rocco, cioè la torre, è uno dei pezzi piìi importanti perché sta sulla fronte della scacchiera quasi a proteggere gli altri. Con- cedere scacchi e rocco è dunque perdere la partita. Il vocabolo rocco non è nuovo agli scrittori del secolo XIII, e ricorre e per esempio anche al v. 8 del sonetto di Nicolò -Salimbeni Dossento scudelini di diamanti (1):

E voria c'a scachi on'om vincesse Dandogli rechi et cavaller inanti.

Le quartine d'un altro sonetto, parafrasante in una ma- niera che non è certo la più chiara il brutto proverbio: Lontan dagli occhi lontano dal cuore, ricorrono sul verso della seconda copertina d'altri atti processuah dell' anno 1309 (2):

30.

Vostr'amistà demostra certamente Lontano amor non durar spesse uolte; Ch'i bon sembiante et le parole molte, Le qual uuy fati a cui u'è de presente,

(1) Carducci, Int. ad alcune rime ecc. p. 145.

(2) Ha per titolo : Quaternus seu liber inquisitionum etc.,.; factarum et compositarum annis domini millesimo tricentesimo nono indictione septima die martis priw.a iulii tempore Pontifficatus dni Clementis pape quinti et poleslarie Mayniffici viri feraniini de mallatestis honorabis potestatis Ciuitatis bon.... composilus scriptus et ordinatus per me Pau- lum jìlium condam Martini aldrouandi de sancto lauditio imperiali au- ctoritate... etc. Va dal die xvj mensis Augusti al die ultimo mensis de- cembris.

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV" 165

Auiti retornà [co]sì a niente Chi son più sparti che no fo may folti. Ma tuti i bon penser se son distolti Da uui, partiti asay ligeramente.

Il peccato più grave e temo originario in queste quartine è quello della rima uolte = molte ai vv. 2-3 che di- venta folti = distolti nei vv. 6-7: è ben vero che il V. 6 può leggersi « Che son più sparte che no fo may folte » riferendo la proposizione relativa a parole soltan- to, ed anzi con ciò si accorderebbe l'articolo femminile del V. 4; ma come ridurre il verso seguente? Chi volesse a ogni costo un' altra rima in otte dovrebbe lavorarci un po' troppo di fantasia. Nel principio della seconda quartina è incerta la lettura del ms. tra Auiti e Amti, e per conseguenza non posso assicurare sulla esattezza del senso che, secondo me, ne deriva. Intenderei (vv. 3-6): Perché non appena (cosi), uno abbia avuto il tempo per ritornarsi alla mente, per ripensare, i buoni sembianti e le molte profferte che voi gli andaste facendo mentre l' a- vevate d'avanti, e sembianti e profferte sono di già di- leguati, sono più sparpagliati di quello che non fossero compatti e numerosi (folti) nella vostra bocca un mo- mento prima.

Per non lasciar indietro nulla, accenno ai pochi resti di un sonetto che trovai sul recto di un altro dei soliti libri di resoconti processuali dell' anno 1309 (1). La poesia

(1) Hec sunt Absolltitione seu sententie abssolucionum facte Late et pronuntiate per Magni fìcum el tenie m Virum ferantinum de mallatestis honorabillem proteslatem Ciuitatis et populi Bononie de infrascriptis per- sonis prò infrascriptis, de causis^ de processibus.... etc; et scripte per me Egidium francischi notarium dicti domini potestatis ad dieta malle- ficia deputatum. Sub Annis dni Millesimo Trecentesimo nono indictione Septima. Tempore dni Clementis pape quinti.

166 F. PELLEGRINI

era scritta come d'ordinario su 8 righe, quattro per le quartine e quattro per le terzine, ma fu raschiata, pare espressamente, fino da tempo antico: nel mezzo della pergamena la raschiatura è così grave che toglie ogni speranza di poter rilevare qualche cosa, mentre dalle parti lascia travedere le seguenti parole:

31.

1 Se baziocho (?) per la tua boccha cha si

(dolce tasto

2 . . . iangol del burgo .... dasto/ se mostra cum

(parol en prado

3 or non ensema mantener ben dritto el basto

4 la spera (?) ito nino . . . apanigado

5 Nemica vi 1 tor colore / per chel no

(tempi el corpo de venagia

6 ma V ndo tutor lo meglore/

7 che si b

8 Qia/unde tu canti laude col signore

Peccato che la raschiatura ci privi di questa rima forse di genere scherzoso, che sarebbe stata uno dei più cu- riosi ornamenti della nostra breve raccolta!

Resto ancora un istante fra le tirate senza senso, e do fuori uno scherzo, non una poesia propriamente detta, composto da un notaio sopra i nomi dei suoi colleghi , appartenenti forse alla famiglia del Podestà di Bologna Enrico di Armandino de' Bernarducci da Lucca. Pongo tale ipotesi perché il libro dell' anno 1311 sulla copertina del quale lo scherzo si trova (1) fu scritto da

(1) In nomine dnj Amen. Hic est liber siue quaternus Accusaiio- num etc. ; factus el composifus tempore poteslerie nobilis et potentis dnj

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 167

un ser Conte del fu Giovanni da Massa, a servizio del Podestà predetto, e appunto il nome di ser Conte figura primo tra quelli dei notai noverati.

32.

Ser Conte canti con te.

Ser Nieri a Nera la nera.

Ser Nello de nallo à nulla.

Ser Arrigho arregha de fichi dal foco.

Ser \anni venne di Vienna.

Ser Landò li n' di quel eh' elli à.

Ser Signore s' egnora di fare fero officio.

Ser michele mi chale di mi chulo.

Ser Tantobene tant' à bono tante bino (sic),

Ser Lapo à lupo sull'epa.

Ser Vanni dal fango a funghi di fingha.

Non mi affaticherò a cercare il senso delle righe 4, 9 ed 11, che non capisco. Nella terza andrà forse letto denaro in luogo di de nallo.

Dopo tanti componimenti amorosi e satirici veniamo ad un sonetto politico, tanto più pregievole in quanto allude a un avvenimento che spero di aver chiarito, e si capisce quasi tutto senza difficoltà. È sul verso della seconda coperta d' un libro d' atti del Podestà degli anni

henrici dnj Armannini de bernarducciis de luca honorabilis pofestaiis Ciuiiatis bon. sub examine Sapientis.... etc. ; et scripius per me Contem olim lohannis de massa luce dtstrictus notarium.... Sub anno dnj m . ccc . xj Indictione viiij tempore dnj clementis pape quinti diebus ei mensibus infrascriptis.

168 F. PELLEGRINI

1313 e 1314 (1) ed accenna alle sorti della città di Lucca nel periodo di tempo che tenne subito dietro alla morte di Arrigo Imperatore. Sentiamo che cosa ne dice G. Vil- lani (2):

« Nel detto anno 1314, essendo i ghibellini rimessi in Lucca , Uguccione molto tegnendo corti i Lucchesi che rendessono i beni loro a' ghibellini , e' guelfi di Lucca che gU si avevano appropriati non gli volevan rendere, per lo detto Uguccione fu ordinato tradi- mento in Lucca con gì' Interminelli, che v' erano rimessi, e co' Quartigiani e Pogginghi e Onesti; e subitamente a' 14 di giugno nel detto anno, la terra misono a romore, combattendo insieme, e giugnendo Uguccione alle porte co' Pisani e loro isforzo, per la detta parte gli fu data la postierla del Prato. Onde entrò nella terra con sua gente il vicario del re Ruberto, messer Gherardo da San Lupidio della Marca e gli altri guelfi di Lucca male in accordo e peggio forniti di cavalieri e di gente, e ben- ché avessono mandato per soccorso a' Fiorentini, i quali erano già venuti a Fucecchio, il loro soccorso fu tardi, perché Uguccione co' Pisani avevano già corsa

la terra E la città di Lucca per gli Pisani e Tedeschi

fu corsa e spogliata d' ogni ricchezza, che per otto di durò la ruberia, così agli amici come a' nemici, pur chi più avea forza, con molti micidii et incendii. »

(1) Porta il vecchio numero 815 e comincia: In nomine xpi Amen, hic est liber siue quaternus commissionum ^ relationum Jnquisitionum.... etc. compositus et ordinatus tempore Nobilts et polenlis Militis dni filippi dni Rossci de Gabriellibus de Eugubio honorabilis comunis et populi ciuitalis bononie Capitanei.... etc; et scriptus per Me Martinum Putii de Eugubio notarium sub anno dni m . iij . xiij . Indictione xj tem- pore dni Clemenlis pape quinti diebus et mensibus infrascriptis.

Va dal die secundo mensis oetubris del 1313 al die vj mensis Marti] dell'anno successivo.

(2) L. IX, cap. 59 (ed. Murai.).

RIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 169

A tale soccorso inefficace dei Fiorentini, di cui non riuscii a trovare cenni più estesi di questo del Villani, parmi alluda il nostro sonetto, nato forse nella guelfa Bologna, la quale non poteva veder certo di buon occhio la depressione della città amica toscana e l'indifferenza dei vicini nel lasciarla cadere.

Non sarà inutile ricordare come, appunto in seguito alla sopra accennata sconfitta dei guelfi lucchesi, si stringes- sero vieppiù le relazioni d' affari e di simpatia tra Lucca e Bologna : narra infatti il Ghirardacci nella sua Eistoria (1): « Delle famiglie Guelfe di Lucca, che furono cacciate et bandite con le loro clientele (dopo il 14 giugno 1314), et il numero infinito de gli artigiani, che parte per paura et parte per sospetto si partirono , molti habitarono ne' luoghi vicini , con isperanza di hauerui a ritornare : ma costretti poi dalla necessità, et dalla carestia di ogni cosa, vedendo i loro desiderij andare in lungo , si spar- sero altri a Vinegia, altri a Milano, et altri a Bologna. Ora r arte della Seta, di che solo i Lucchesi abondauano prima, et fioriuano di gloria, si cominciò con grande ar- tifìcio più assai a usare in Bologna » . . . . ecc. Ecco in- tanto il sonetto:

33.

Vostro soccorso, signor Fiorentini, Agli Lucchesi fi troppo lontano, Che dopo tracio ual porger la mano All' on eh' anega non duo bagactini.

(1) Della Hisloria di Bologna parte prima del R P. M. Cherubino Ghirardacci bolognese dell' ordine eremitano di S. Agostino. Bologna , G. Rossi, MDCCC, a p. 574.

170 F. PELLEGRINI

Ben si rasciona ch'eran fratellini Ne' uostri fatti in dar consolo sano: (E) noi gli lassate mettere al Pisano A final morte per li suo' fiorini.

Or ui ricordi dell' oste d' Arecoo

Et da Sansalui, et fi per lo migl[i]ore;

Forse fie tempo che rautrete uecco.

Rota si uolue a torno molto spesso; Tal crede uincer che gli è perditore, Che la costura non uien per rifesso (1).

Lasciando da parte l'ultimo verso che, per quanto abbia fatto, non potei spiegare, tutto il resto si capisce. Il passo relativo all' oste d'Arezzo, di cui l' anonimo autore del sonetto vorrebbe che i Fiorentini si ricordassero, è com- mentato da questo di G. Villani (IX, 44): « Nel detto mese d'Agosto nel 1312 si partì lo 'mperadore da Todi e venne per lo contado di Perugia, guastando e ardendo, e per forza prese la sua gente Castiglione Chiusino sopra il Lago, e di venne a Cortona e poi ad Arezzo e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore. E in Arezzo fece sua raunanza per venire sopra la città di Firenze, e subita- mente si parti d'Arezzo e entrò in sul contado di Firenze a 12 di settembre, e di presente gli fu renduto il castello di Caposelvole in su l'Ambra che era de' Fio- rentini... » Sempre più avanzandosi l'Imperatore « atten- dossi (Villani cap. 46) alla badia di Santo Salvi forse con mille cavalieri » spaventando fortemente i Fiorentini

(1) V. 7. Il ms. al pisano v. 8. Affinai m. v. 9. delloste da ReQQO v. li. Il verso è scritto cosi: Che la costura no uienpri- fesso e il p dell' ultimo gruppo di parole ha l'asta tagliata sotto la riga ad uso di per.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl'' E XIV° 171

la cui cavalleria era stata battuta al castello dell'Ancisa il giorno prima (18 settembre) dalla gente Imperiale. La rota che si volve del v. 12 è naturalmente quella della Fortuna (1): la costura dell' ultimo verso potrebbe forse risolversi in una tosi' ura, data la grande somiglianza fra il e ed il ^ nel carattere della presente poesia, ma ancora che cosa se ne ricaverebbe?

Fermiamoci ora a vedere qual mai figura faccia un brano della Divina Commedia passando per mano d' un notaio bolognese del sec. XIV: diciamolo subito, ben poco onorevole per il disgraziato trascrittore. Sono i vv. 103-114 del e. V dell' Inferno e si leggono sul recto della seconda copertina d' un volume d' atti del Podestà dell' anno 1332 (2):

34.

Amor, eh' a nullo amato amar perdona,

Mi prese di costui piacere forte

Che, corno ai uidi, anchor non m' abbandona.

Amor conduxe nui a una morte : Ghaym actende chi da ulta ci spense. Queste parole da lor ci fuoron puorte.

(1) Per le rappresentazioni della Fortuna e della sua ruota, comu- nissime nella letteratura e. nell'arte medioevale, si può vedere l'articolo A. Medin, Ballata della Fortuna in PropuGxNATORe N. S. voi. II, fase. 78, p. 101 e seg.

(2) Col vecchio numero 66: Rie est liber seu Quaternus Testium et eorum actestationum Receptorum et examinatorum.... compositus Tem- pore Regiminis Magnificj et potcntis dnj Bindactij de Rkhasulis.... et scriptus per Me Angelum condam d. Monlegruario Sub anno dnj Mille- simo ccc xxxtj Indidione xv....

Va dal die xxj mensis Julii al die x mensii decembris.

172 F. PELLEaRINI

Mentre eh' io intesi queir anime offense

Giiinai '1 uiso e tanto '1 tien basso

Fin che M maestro mi dixe: Che pense?

Allocta respusi e comenoai: 0 lasso, Quanto duolce piensero, quanto disio Menò costoro al doloroso passo I

Che strana impressione fanno cosi camuffate queste divi- nissime terzine! E come vien fatto di pensare che il povero notaio avrebbe speso più utilmente il suo tempo riportando in loro luogo tutta intera una nuova rima, di cui trascrisse il solo principio:

Quando la ladra vole

el cor de ciascun co

Invece si fermò così a mezzo del secondo verso.

Cinque sonetti di svariato argomento abbiamo sopra un documento cartaceo portante la seguente notazione del fu cav. Michelangelo Gualandi che , anni or sono , fece ricerche nell'Archivio di Stato bolognese: « In un libro di atti, anno 1332 da luglio a dicembre. Vecchio registro n."* 68, Nuovo Registro n.'* 541 ». Come non abbiamo alcuna ragione per dubitare che la carta sia stata real- mente trovata nel libro sopra detto, così nulla ci vieta di credere che vi sia stata posta nel tempo in cui il libro si stava scrivendo, perché il carattere del documento risale certo alla prima metà del trecento. È un foglio di mediocre formato piegato a mezzo e scritto sulle quattro faccie. Sotto 1' ultimo sonetto si legge : Ser bernardj de cassagnanis (1) e più basso ancora è trat-

(1) il ms. de cassangnis. Cercai inutilmente il nome di questo sere tra quelli dei notarì mentovati nei Memoriali dell'anno 1332.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIII'' E XIV** 173

teggiato rozzamente uno stemiùa con in mezzo un cane (?) rampante. Tutto nello stesso inchiostro e della stessa mano che stese i sonetti. Avremo dunque il nome del- l' autore? Non sono lontano dal crederlo specie perché nel sonetto secondo e sopra tutto nel terzo si danno delle cancellature e delle correzioni che è quasi impossibile procedano da un semplice copista. Il carattere piuttosto trascurato rese qua e dubbia la trascrizione:

35.

La mia sagura m'à si de peto, non è pressona che questo sapesse che de pietade forte no piangesse, 4 si mal [m']à roto le rine col peto:

e de grameca fatto m'à un Ietto che par la piuma de spine de pese, me'I me più inogla che i (?ude'Ie messe 8 che de dolia porte cholaretto.

No me farebe mal(e) de questa pena eh' i' ò portata [per] lungo tempo 11 s'altri n' auesse un poco al meo talento

de quella gogla che ma' no refrena : de quella che portò la madalena 14 ouer del gusto misser san lorengo (1).

(1) Varianti del ms: v. 1. madasideppeto v. 4. simalaroio, un po' incerto v. 7. melme più inogla: queste parole sono di somma incer- tezza per colpa delle aste degli m e delle altre che seguono, tutte eguali. Leggendo come feci si potrebbe credere pleonastico il primo me (cfr. v. 11 in principio del son. num. 37) e spiegare il resto cosi: ciò (7) mi annoia {inogla) più che le messe non annoino i Giudei. Ma cosa è il cholaretto del v. ottavo? Il verso falso rivela qualche errore di

174 F. PELLEGRINI

36.

Mercè domando a la dolce speranza, s' i' ò falato, che la me perduni, e la prego che no m' abandunj, 4 eh* in questo mondo non ò più speranza :

la 'nde te prego che n' ahi pietanza : che d' un sol ghuardo tu lo paghi e dunj

uni

8 pur che tinisi drita la balan^a.

Mi me son 'corto è lungo tempo per quel eh' i' sono tu m' a' conosuto, 11 e de uesighe tu m' a' pasuto

che non fo ma' fogla per lo uento: i' ò credenza, e so ben che no mento, 14 che l'amor nostro il uedo auer perduto (1).

37.

r ne rengracio l' alto deo signore che m' à cauato for d' one penserj ed àme fato incontra lu mainieri 4 e sono insito for d' one dolore ;

trascrizione vv. 9-14. Forse valgono: Non sentirei il male di questa pena che portai cosi a lungo se altri avesse a mia volontà un poca di quella gioia (in senso ironico, per sofferenza) che non finisce mai: di quella cioè sostenuta dalla Maddalena o dal giusto San Lorenzo.

(1) v. 6-8. Questi due versi nel ms. si seguono senza alcuna inter- ruzione — V. 13. In luogo di io credenra prima era stato scritto: mio speranza, ma fu cancellato.

RIME INEDITE DEI SECOLI XIIl'' E XIV® 175

la 'nde ne lodo l(o) dolce saluadore che del nemico m' à fato guirerj ; e s' òme fato uman(o) più che sparuierj , 8 grande alegre^a n'a^o nel meo chore.

La 'nde prego tutj pechaturi che retornatj a deo che perduni; 11 si l[o] pregati che '1 no u' abanduni

e for traga de tanti doluri: si receva a qui grandi dul^uri 14 ed alegrcQa sempre ma' ce duni (1).

38.

L' amor(e) m' à preso e te' me si al desola d' un damisel(lo) che par de paradiso , quand'eo lo miro nel so dolce uiso 4 e in i ochi vaghi con la dolce boca,

e de r amore el m' à si forte rota che '1 m' à donato nel so dolce riso, che'l spirto mio dal so non è deuiso 8 c[h]' a tal partì d' amore el m' à conduta.

La 'nde so ben che murirò a dolore per quel che digo, che no son creguta: 11 me in casa mia cascun[o] no m'aiuta.

(1) V. 1. Io speranza in latto deo signore variante cancellata v. 3. e incontra tu sonfato si mainierj var. cancellata v. 4. Insilo é participio di insire (cfr. son. n.** 39, v. 7) e corrisponde ad uscito V. 9. tuij pechaturi è cancellato e sopra si legge, pure cancellato : con alegro core.

176 F. PELLEGRINI

più mi consumo ca la glaga [a]l(o) sole, ed ò perduto tuto l(o) meo valore; 14 de ti pensando tuta son perduta (1).

39.

Dolce amor meo, nu sen tuti vna parte e semo tuti un core ed un volere, abi per certo che me fa morire 4 questo che digo, e n' ò uerasi carte.

me se sapese far(e) de le sete arti, i' ne farebi per a ti seruire : che d' one pena for uorebi insire , 8 ch'i [ò] penato troppo per amarte.

Si stu à pena, ed eo non ò alegre^a, anti son gunto quasi 'n su la morte; li ed òme consumato l(o) cor forte

che one ben eh' i' ò parme tristeca : abi per certo eh' i' n' ò gran gramega 14 quand' i' te nego stare a cotal sorte,

che te prego che no m' abandunj 16 che d' un sol ghu[ardo tu] me paghi e dunj (2).

Il colorito dialettale di tutti i cinque sonetti parmi accenni ad origine bolognese : caratteristico in questo senso credo il desota (n.° 38, v. 1) attestato della rima,

(1) V. 5. La prima parola nel ms. era che ma le prime due lettere furono cancellate v. 10. son crcQutn fu posto in luogo di me creguio cancellato v. 11. cascun no è di dubbia lettura.

(2) V. 6. penati il ms. v. 16. Dopo ghu... la carta é corrosa.

EIME INEDITE DEI SECOLI Xllf E XIV° 177

che confronterei col sàtta (subtus) attuale (1) : anche V one per ogni (n.° 37, vv. % 4: n.° 39 v. 7), se si riscontra qua e in testi antichi non bolognesi, e per altro comune e costante in quelli di Bologna, e si trova ancora oggidì in composti del medesimo dialetto come incòsa (= oncòsa) ecc. (2). Le molte concordanze poi, così dialettali come di parole (noto il la' nde che ricorre ben quattro volte nei sonetti 36, 37 e 38) e persino di versi interi (cfr. i vv. 3 e 6 del num. 36 con i vv. 15-16 del num. 39), fanno fede che l'autore delle cinque rime fu sempre una sola persona. Il loro mediocrissimo pregio letterario mi determina a lasciarle senz' altra illustrazione oltre alle brevi note poste sotto a ciascuna di esse. Quanto al metro, le quartine seguono lo schema predominante e normale nel sec. XIV: ABBA; ABBA, ed i terzetti si riportano allo schema CDD; GGD, di cui il Biadene re- gistra quattro soli esempi (3). In uno di questi il sonetto è caudato, precisamente come nel n.° 39 stampato di sopra.

Faccio una breve scorsa fuori dell' Archivio , e forse

anche un po' fuori dell' età che mi sono prefìsso , pas- sando nella Biblioteca universitaria pure di Bologna a copiarvi un' ultima brevissima rima in forma di madrigale : la trovai nell' esaminare documenti di storia bolognese per altre ricerche e, poiché la credo inedita, mi dispiacerebbe ritornasse nell' oblio. Si legge sulla penultima carta di un quaderno dell' anno 1383 contenuto nella busta Mss. n.° 52 (segnata sul dorso n. 91), ed ha carattere contem- poraneo al quaderno stesso:

(1) A. Gaudenzi, / suoni, le forme e le parole" dell' odierno dialetto della Città di Bologna. Torino, E. Loescher, 1889, p. 25, § 5 n. 1.

(2) A. Gaudenzi, Op. ciL, nella nota preced. p. 25, § 4, n. 3.

(3) L. Biadene, Morfologia ecc. p. 37, lettera epsilon.

Voi. Ili, Parte li. 12

178 F. PELLEGKINI RIME INEDITE DEI SECOLI Xìlf E XIV'^

40.

Ne r aer(e) chiaro vn zifalco zentile star(e) sopra l' ale vidi, e molta zente , e qual di lor(o) li staua reuerente.

Gum gran sospiri e cum dulzi parole « torna, torna, per dio, me parue udire, che s'tu ten fuzi me uedray [morire] ».

Al sum de le parole tanto bello pietoso retornò quel uago ucello.

Non ho fatto ricerche per spiegare V allegoria, verosimil- mente politica, che si cela sotto il grifalco.

Mi permetto due parole ancora , prima di finire. In questa rassegna di antiche rime ho implicitamente dichiarato inedite tutte quelle cui non ho messo in nota le varianti tratte da precedenti edizioni: mi preme di- chiarare che so benissimo che posso averne dato per nuova taluna già stampata e forse abbastanza conosciuta, 0 per mia ignoranza o per insufficienza di ricerche, e mentre fin da questo punto ne chiedo scusa al lettore , lo prego di non volermi gettare la prima pietra, pensando che « hanc veniam petimusque damusque vicissim ».

Flaminio Pellegrini

INDICE DELLE CARTE

DI

PIETRO BILANOIONI

Contributo alla bibliografia delle rime volgari dei primi tre secoli.

(Continuaz. da pag. 271, N. S., Voi. D, Parte II)

PARTE L RIME CON NOME D'AUTORE

c

I. Calderone Anselmo.

1. Acciò che 7 voto cucchiai' non imbocchi (son.)

Edizz.: BuRCHTELLO, Sonetti (Firenze, 1490 e), e. 57 [Battista Alberti]: Londra, 1757, p. 238 [Anselmo Calderoni].

2. Amico alcun non è cìC altrui soccorra (son.) Yedi Faytinelli Pietro.

3. ^en che si dica nel volgar parlare (canz.)

Mss.: *Magliab. VII, 3, 1009, e. 45 h [Morale chanzona di Mes- sere Anselmo Chalderoni sopra amicizia recitata per lui in Santa Maria del fiore]: MI, 81 (già ci. Vili, 1270), e. 50 h [Messere Anselmo araldo recitò questa chanzona il detto di (22 ottobre 1441)] *Vat. 3212, e. 225 [Anselmo araldo di Firenze]. * Laur., pi. XC inf., 38, e. 18 a [Anselmo Calderone araldo del Conte d'Urbino quarto dicitore].

4. Ben sei gagliardo fante in sul garrire (son.) (1)

Ms. : Riccard. 2254, e. 126 6 [Sonetto di M esser Anselmo a Burchiello facto a petitione di Messer Rosello].

(1) Al Burchiello, che rispose col son.: Buffon, non di comun ri' alcun sire.

180 e. B L. FRATI

C, I 5. Con V aiuto di quel che visse insonte (canz.)

CALDERONE jyjg . * y^t 3212, e. 184 b [Canzone morale di messer

Anselmo da Firenze a detestalione e biasimo della in- vidia].

6. Io ho fornito per lo carnovale (son.)

Ms.: *Magliab. VII, 7, 1168, e. 115 ab [Anselmo Calderone]. Ediz.: Burchiello, Sonetti. Londra, 1757, p. 227 [Burchiello].

7. Io ti rispondo, Burchiel tartaglione (son.) Ms.: Magliab. VII, 7, 1168, e. 42 b.

8. Non è chi non conosca il mio errore (son.)

Mss. : * Magliab. VII, 3, 1010, e. 114 a [Sonetto del detto buf- fone (messer Anselmo Calderoni) riprende uno innamo- rato]. *Laur., pi. XLI, 34, e. 36 h [a non.] (1): *pl. LXXXIX, 44, e. 164 b [e. s.] *Palat. 200, e. 41 a [Petrarca]: *215, e. 89 6 [Sonetto fatto a stanza d'uno ina morato al quale era dato molta noia da un suo amicho riprendendolo et che più honor gli era a ritrarsi della 'npresa che seghuirla non sappiendo di che natura sonoi leghami d'amore e però chon uno inpito di sdegno in servigio di detto in a- raoratoquel tal fautore del sonetto introducie che questo inamorato adirizzi accholui questo sonetto].

9. 0 della nostra Italia unico lume (son.)

Mss.: *Magliab. II, 40 (già ci. VII, 1010), e. 114 b [Sonetto del detto (messer Anselmo Chalderoni) pel maestro Nic- cholò ciecho]: *cl. VII, 1168, e. 99 a [Sonetto di messere Anselmo al maestro Nicholò ciecho]. * Laur., pi. XLI, 34, e. 75 b [M.® N. cieco per epso Cosimo de Medici]. *Pa- lat. 215, e. 89 a [Sonetto di messer Anselmo Chalderoni fatto al maestro Niccholo ciecho a di 17 di dicembre 1435]. *Riccard. 1154, e. 229 b [So. di misser Anselmo Cal- deroni a M.** Nicolò Cieco dove gli fa una dimanda].

(1) È attribuito a Cosimo Aldobrandini dal Bandini, Calai, codd. Bihlioth. Med. Laur., voi. V, col. 149.

CALDERONE A.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 181

10. 0 lume de^ terrestri cittadini (son.) (1). C, i

Mss.: *Magliab. II, 40 (già ci. VII, 1010), e. lU « [Anselmo Cal- deroni]. * Laur. pi. XLI, 34., e. 75 a [Anselmo Calderoni]. *Palat. 215, e. 90 a [Sonetto di messer Anselmo Chalderoni mandato a Chosimo de Medici in laude della virtù di lui et di Lorenzo a onta di malivoli invidiosi].

11. Ora è venuto il tempo, ora è il destino (canz.)

Ms. : *Laur. SS. Annunz. 122, e. 219 [Canzone in rima terza fecie Anselmo da Firenze per Braccio da Montone].

12. Farmi risuscitato quelV Orcagna (son.)

Mss.: Magliab. VII, 7, 1168, e. 70 [a non.]: VII, 3, 1009, e. 173 [e. s.]: VII, 7, 1171, e. 25 [e. s.].

13. Fer risturare a chiunque giace (canz.) Ms. : *Laur. Segniano 4, e. 104 [a non.]

14. Principe glorioso e terso Buca (canz.)

Ms.: Bologn. Univ. 1729, e. 208 [Messer Anselmo Buffon fio- rentino a lo Illustrissimo Philippo Maria duca de Milano].

15. Siccome gli otto santi della guerra (son.)

Ms. : *Riccard. 2734, e. 19 a [Sonetto di messer Anselmo Chalderoni araldo della Signoria di Firenze a' dieci della gravezza].

16. Te Beum laudamus te tutti cantando (cap.)

Ms. : * Magliab. II, 40 (già ci. VII, 1010), e. 174 ò [Versi fatti per messer Anselmo Chalderoni quando fu rotto Niccholò Piccholino e laude del magnificho Chonte Ternaj].

n. Cane della Scala.

Guelfi, el gran prence nohil di Stericco (son.)

Ms.: *Bologn. Univ. 1289, e. 1276 [Messer Cane dalla Scala a Bologna].

(1) Diretto a Cosimo de' Medici.

182 Ce L. frati

C, III CAPPONI G. in. Capponi Gino di Neri.

Dólci car figli miei, che per paura (son.) Ediz. : Lami, Catal. mss. Pàccard., p. 101.

IV. Carelli (de') Andrea.

1. Di me la quarta, e primo dir puote (son.)

Mss.: *Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de Garelli da Prato]. *Riccard. 1091, e. 225 a [a non.].

2. Io son la prima luce a dirozzare (son.)

Mss. : *Laur. Red. 151, e. 97 h [Andrea de' Charelli da prato]. *Riccard. 1091, e. 223 6 [anon.].

3. Io son la terza gloria reggitrice (son.)

Mss.: *Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de' Charelli da prato]. *Riccard. 1091, e. 224 a [anon.].

4. Io son la terza più grata e faconda (son.)

Mss.: Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de Charelli da prato]. *Riccard. 1091, e. 224 6 [anon.].

5. Io son seconda delle quattro, a questa (son.)

Mss. : *Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de' Charelli da prato]. *Riccard. 1091, e. 224 6 [anon.].

6. La seconda misura son, che tolgo (son.)

Mss.: *Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de' Charelli da prato]. *Riccard. 1091, e. 2236 [anon.].

7. Le tre sorelle sopradette fanno (son.)

Mss.: *Laur. Red. 151, e. 97 6 [Andrea de' Charelli da prato]. Riccard. 1091, e. 224 a [anon.].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 183

C, V V. Carini Neri. carini n.

V arco, la corda, i gravi colpi e doppi (son.)

Mss.: Vat. 3213, e. 442 [Conte Ricciardo]. *Univ. Bologn. 1739, e. 886 [Neri de Carinis de Florentia purgatoris viri ci a ri ss imi carmina cuidam amico suo] (1). *Riccard. 1154, e. 3086 [Neri Carini Purgatore]: *2735, e. 1666 [Sonetto di Carino fatto a stanza d'uno inamorato che pigliava consiglio con Cino di messer Francesco Rinuccini che modo tenesse].

Carratori (de') Jacopo.

Yedi Garalori Jacopo.

VI. Caterina (s.) da Siena.

0 spirito santo^ vieni nel mio cuore (lauda)

Edizz. : S. Caterina da Siena, Opere ptibbl. da G. Gigli. Siena 1707, voi. IV, p. 341. Crescimbeni, ed. Yen., VII, 193.

Vn. Cavalca Domenico.

1. A Dio eletta e consacrata sposa (serv.)

Mss.: Riccard. 1155, e. 16: 1278, e. 94 [Cavalca].

Edizz.: Volgarizzamento del dialogo di S. Gregorio . . . opera del P. Domenico Cavalca Domenicano con alcune poesie dello stesso. Roma, Pagliarini, 1764, p. 447 [Cavalca]. Scella di rime antiche [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p, 72 [e. s.] Raccolta di laude spirituali impressa a petizione di Ser Pietro Pacini da Pescia. s. a., e. 71 b [e. s.].

(1) In questo codice leggesi a e. 248 a la risp. che ine: Se tutto el stil d' Homero inseme acchioppi.

184 Ce L. frati

C, VII 2. Avendo Cristo detto V uom beato (son.)

CAVALCA. D. Ediz. ; Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 457 [Ca-

valca].

3. Ben fare e mal patir vita di santo (son.)

Ediz.: Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 457 [Ca- valca].

4. Che ogni regno diviso venga meno (son.)

Mss. : Riccard. d306, e. 36 a - 56 a. Magliab. XXXIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 23-2.

Ediz. : Cavalca, Disciplina degli spirituali col Trattato delle Trenta Stoltizie [ed. Mons. G. Bottari]. Roma, Pagliarini, 1757, p. 297 [Ca- valca].

5. Chi al principio non fa resistenza (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a; 1306, e. 36 «, 56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bo- dleiana : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina degli spirituali. Roma, 1757, p. 280 [Ca- valca].

6. Chi lene sguarda a Cristo in croce stare (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 455 [C a- valca].

7. Chi di combatter per Cristo ha vergogna (son.)

Mss.: Riccard. 1306, e. 36 a - 56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Ca- nonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a- 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Boma, 1757, p. 293 [Cavalca].

8. Chi loda il corridore e sta a vedere (son.)

Ediz. : Scelta di rime ant. ined. di celebri autori toscani [ed L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 80.

9. Chi per paura di pene e d' asprezza (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136fl-U6rt: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXX Vili, 5. Canonie. 165 nella Bodle- iana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12fc.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 185

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 291 C, vii

[Cavalca]. cavalca D.

10. Chi vuole a Cristo avere compassione (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 454 [C a- valca].

11. Chi vuole imprender d' aver pas'iensa (serv.)

Mss. : Casanat. d, VI, 36, in fine. Marc. cL ÌX it., 182, e. 268. Laur. pi. LXXXIX sup., 98 e. 50. Canonie. 206 nella Bodleiana di Oxford. Riccard. 17U, e. 1396: 1155, e. 25: 1274, e. 606: 1258, e. 24 6. Bibl. Naz. di Firenze, palai. 6, e. 106.

Edizz. : Libro di patientia in lingua Fiorentina. Firenze, Bonacorsi, 1490, [Cavalca]. Cavalca, Medicina del cuore ovvero Trattato della pazienza. Roma, 1756, p. 268 [e. s.].

12. Conviensi aW uom tutto a Cristo dare (son.)

Ediz.: Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 453 [Ca- valca].

13. Cristo, eh' è capo e guida di quesf oste (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a* 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. "Bibl Naz. di Firenze, palai. 89, e. 2 a- 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 286 [Cavalca].

14. Bi questa guerra Cristo capitano (son).

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136^-146 a;

1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze Palai. 89, e. 2a-12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina degli Spirituali. Roma, 1757, p. 275 [Cavalca].

15. Dio venne in carne per ricomperare (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 452 [Ca- valca].

16. Donocci in croce Cristo sapienza (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 456 [Ca- valca].

186 e. E L. FRATI

C, vn 17. Fra gli altri mi par questo un grande errore (son.)

CAVALCA D. Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a:

1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a- 12 6.

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 278 [Cavalca].

18. In luogo e tempo tenebrosi posti (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana : 232. * Bibl. iNaz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Edizz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 277 [Cavalca]. Scelta di rime ant. ined. di celebri autori tose. [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 81 [e. s.].

19. L uom che per Cristo V arma a croce porta (son.)

Mss.: Riccard. 1306, e. 36a-56«. Magliab. XXXVIII, 5. Ca- nonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 292 [Cavalca].

20. L' uomo assalito cH è saggio di guerra (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 ^>.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 273 [Cavalca].

21. L* uomo è saggio, e ha molti nimici (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canoniciano 165 nella Bodleiana : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali, Roma, 1757, p. 282 [Cavalca].

22. Molti hanno ricevuto già gran danno (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 ft.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 187

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 276 e, vn [Cavalca]. cavalca d.

23. Mólti sconfitti e pochi vincitori (son.)

Mss.: Riccard. 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Ca- nonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palai. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 295 [Cavalca].

24. Molto fa gran pazzia quei che s' arrischia (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio^ p. 455 [Ca- valca].

25. Morendo Cristo in croce, ci die' vita (son.)

Mss. : Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palai. 89, e. 2a-12«.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 274 [Cavalca].

26. 'N està dura hattaglia, nella quale (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a:

1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palai. 89, e. 2 a- 126.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 274 [Cavalca].

27. Non solamente stolti riputati (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palai. 89, e. 2 a- 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 290 [Cavalca].

28. 0 alto stato esser uom suo nimico (son.)

. Ediz.: Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio^ p. 454 [Ca- valca].

188 e. E L. FRATI

C, VII 29. 0 crist'iano^ che ti vince V ira (serv.)

CAVALCA D. Mss. : Casanat. d, VI, 36, in fine. Laur. Med. Pai. 33. Laur.,

plut. LXXXIX sup., 98, e. 13. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 48, e. 112. Riccard. 1155, e. 23: 1274, e. Ma. Marciano ci. IX it., 182 e. 267. Canonie. 206 nella Bodleiana di Oxford. Canonie. 8. Canonie. 6. Edizz. : Cavalca, Libro di patientia. Firenze, Bonaccorsi, 1490 [Cavalca]. Cavalca, Medicina del cuore, ovvero Trattato della pazienza. Roma, Pagliarini, 1756, p. 72 [e. s.].

30. 0 menti dure^ più crude che pietra (son.)

Ediz. : Scelta di rime antiche ined. di celebri autori tose. [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 82 [Cavalca].

31. Farmi quesf altra singoiar pazzia (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 80, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, Pagliarini, 1757, p. 271 [Cavalca].

32. Fer V uomo^ eh' era infermo, visitare (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 455 [C a- valca].

33. Per sette gradi saglie uom penitente (son.)

Ediz. : Cavalca, Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 453 [C a- valca].

34. Per troppo esser discreti e dilicati (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a - 96 6 : 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana di Oxford : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a -12 6.

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali, p. 269.

35. 'Più, che tentar lo nimico non ci osa (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a: Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-126.

Ediz. : Cavalca , Disciplina d. spirituali , Roma , 1 757 , p. 287 [Cavalca].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 189

36. Foi cK al mondo servir ti sei rimasa (son.) C, vn

ìMss.: Med. Palat. 33, e. 161. Riccard. 1155, e. 20. cavalca d.

Edizz. : Cavalca, Medicina del cuore, ovvero Trattato della pazienza. Roma, Pagliarini, 1756, p. 320 [Cavalca]. Cresclmbeni, ed. Yen., Ili, U2.

37. Foi che a croce V uom porta la 'nsegna (son.)

Mss.: Riccard. 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIIl, 5. Ca- nonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12ò.

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali, Roma, 1757, p. 294 [Cavalca].

38. Foi che non fuggi lo fuoco, ben ardi (son.)

Ediz.: Scelta di rime antiche [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 5 1812, p. 81 [Cavalca].

39. Poi che sei fatto frate^ o caro amico (son.)

Mss.: Laur. plut. XC inf. , 129, e. 159 [Cavalca]: plut. LXXXIX, 44,sup., e. 37 [anon.] Riccard. 1351, e. 138 6 [anon.]: 1155, e. 13 [Cavalca]: 1478, [e. s.] Cod. Boncompagni 7, e. 166 6 [e. s.].

Edizz. : Fioreti de laudi da diversi doctori compilati ad consolatione e refrigerio de ogni persona spirituale. Brixiae, per Jacobum de Bri- tannicis, s. a., in 8.", e. 98 6 [anon.]. Rime e prose del buon se- colo [ed. T. Bini]. Lucca, 1852, p. 77 [Jacopo ne]. Cavalca, Vol- garizz. del dial. di S. Gregorio. Roma, 1764, p. 439 [Cavalca]. Jacopone da Todi, Laudi. Venetia , Benalio, 1514 [Jacopone]. Rime ani. toscane. Palermo, Assenzio, 1817, voi. Ili, p. 182 [Cavalca].

40. Quand' è l' uom combattuto dal diletto (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a - 96 6 : 1274, e. 136 a- 146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXIII, 5 Canonie. 165 nella Bo- dleiana : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 87, e. 2 a - 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 283 [Cavalca].

41. Quando il nimico non può tanto fare (son.)

Mss. : Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIIl, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana : 232. * Blbl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 o - 12 a.

190 e. B L. FRATI

G, VII Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali, Roma, 1757, p. 285

CAVALCA D. [Cavalca].

42. Quanto ti debbo, Cristo, voler bene (son.)

Ediz, : Cavalca , Volgarizz. del dial. di S. Gregorio, p. 453 [C a- V a 1 e a].

43. Quantunque V uoni combatta in questa vita (son.)

Mss. : Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12 h.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 288 [Cavalca].

44. Quesf altra mi par non minor pazzia (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 284 [Cavalca].

45. Questa stoltizia molto a Dio dispiace (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6. 1274, e. 136 a -146 a:

1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 281 [Cavalca].

46. Son alcuni altri cavalier valenti (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36a-56fl. Magliab. XXXVHI, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a- 12 6.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 279 [Cavalca].

47. Son alcuni altri stolti cavalieri (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36 0-56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana: 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz. : Cavalca , Disciplina d. spirituali. Roma , 1 757 , p. 289 [Cavalca].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 191

48. Son alcuni altri superbi ingannati (son.) C, vm

.«« CAVALCANTI

Mss.: Riccard. 1317, e. 94 a -96 6: 1274, e. 136 a -146 a: g.

1306, e. 36fl-56fl. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana di Oxford: 232. *Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2a-12 6.

Ediz. : Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, Pagliarini, 1757, p. 270 [Cavalca].

49. Stolta presunzione è d' indugiare (son.)

Mss.: Riccard. 1317, e. 94a-96 6; 1274, e. 136 a -146 a: 1306, e. 36a-56fl. Magliab. XXXVIII, 5. Canonie. 165 nella Bodleiana : 232. * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 89, e. 2 a - 12 6.

Ediz. Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 272 [Cavalca].

50. Tre generation trovo di pietadi (son.)

Mss.: Riccard. 1306, e. 36 a -56 a. Magliab. XXXVIII, 5. Ca- nonie. 165 nella Bodleiana : 232.

Ediz.: Cavalca, Disciplina d. spirituali. Roma, 1757, p. 296 [Cavalca].

Vili. Cavalcanti Guido.

1. Al povero gentil e vergognoso (son.)

Ms. : Marc. ci. IX, it., 191, e. 118 6 [Guido Cavalcanti].

2. Coìue air infermo che giace m' avviene (son.) Ms.: *Marc. ci. IX, it., 191, e. MI b [Guido Cavalcanti].

3. Cosi m' avviene j donna mia valente (son.)

Ms.: "Marcel. IX,it.,191, e. 117fl [Guido Cavalcanti].

4. Da più a uno face sillogisìno (Son.)

Mss.: *Chig. L, Vili, 305, p. 61 [Guido Cavalcanti a frate Guittone d' Arezzo]. Bologn. Univ. 2448, e. Qa [Guido Caval- canti a fra Guittone d'Arezzo].

192 e. E L. FRATI

C, Vili 5. Di vii materia mi conven parlare (son.) (1).

CAVALCANTI G.

Ms. : Vat. 32U, e. 446 [anon.].

Ediz. : Rivista di filol. romanza. Imola, 1873, voi. I, p. 88 [Guido Cavalcanti].

6. Gianni^ quel Guido salute (mott.)

Ms.: Chig. L, Vili, 305, e. 61 [Guido Cavalcanti]. Ediz.: Francesco DA J^arberino, Documenti d' Amore. Roma, 1640, Tavola, s. v. Sonetto (framm.) [Gianni Al fan i].

7. Guarda ben, ti dico, guarda ben, guarda (frott.) Vedi Antonio di Matteo di Meglio.

8. Io non pensava, che lo cor giammai (canz.)

Mss. : Bibl. Capitolare di Verona, cod. cdxlv [G. Cavalcanti]. *Laur. SS. Annunz. 122, e. 162 a [anon.].

Edizz. : Canzoni di Dante, madrigali del detto, madrigali di m. CiNO e di m. Gerardo Novello. Venezia, 1518. Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 125 [Incerto]. G. Cavalcanti, Rime ed. ed ined. [ed. A. Cicciaporci]. Firenze, 1813, p. 31 [G. Cavalcanti]. G. Cavalcanti, Canzone tratta ora dai mss. p. e. del p. B. Sorio. Verona, Vicentini e Franchini, 1851 (mancante della 1.* stanza).

9. Io sono il capo mozzo dallo imbusto (canz.) Vedi Alighieri Dante.

10. X' oscura morte vorrìa che venesse (son.)

Ms. : *Marc. ci. IX it., 191, e. 118 6 [Guido Cavalcanti].

11. Lasso, sovente la vostra amistate (son.)

Ms. : *Marc. ci. IX it., 191, e. 117 6 [Guido Cavalcanti].

12. Lo gran tormento che *nseme paterno (son.)

Ms. : *Marc. ci. IX it., 191, e. 118 [Guido Cavalcanti].

(1 ) Responsivo al son. di Guido Orlandi : Per troppa sottiglìanza il jil si rompe, che replicò per le stesse rime col son. : Amico, i' saccio ben che sai limare.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 193

13. Mio intendimento è posto tanto altero (son.) C, x

BECCARE DA SIENA

Ms.: *Marc. ci. IX it., 191, e. 120 b [GuidoCavalcanti]. ceccarello

14. Noi Siam le triste penne sbigottite (son.)

Mss. : Bibl. Capitolare di Verona, * cod. cdxlv, c. 53 [M esser Cine]. *Vat. 3214, e. 164 [Guido Chavalcanti]. *Bologn. Univ. 1289, e. 138 a [anon.]

Edizz. : Rime ined. d'ogni secolo. Milano, 1870, p. 11 [Guido Cavalcanti]. Jahrb. d. deutsch. Dante -Gesellschaft. Leipzig, 1871, voi. Ili, p. 300 [Dante Alighieri].

15. Non posso più soffrir tanto martire (son.)

Ms. : *Marciano ci. IX it., 191, e. 118a [Guido Cavalcanti].

16. 0 cieco mondo, di lusinghe pieno (madr.)

Mss. : * Bibl. Naz. di Firenze, palat. 105, e. 123 6 [anon.]. * Laur. Med. Palat. 105, e. 123 fc [anon.]

17. Poi che di doglia il cor convien eh' io porti (ball.) Ms. : *Laur. SS. Annunz. 122, e. 162 a [anon.].

18. Sonar hracchetti, cacciatori aizzare (son.) Vedi Alighieri Dante.

19. Tutto lo mio desìo aggio en lo flore (son.)

Ms.: *Marc. ci. IX it., 191, e. 119 6 [Guido Cavalcanti].

20. Veder poteste quando ?;' inscontrai (son.)

Mss. : * Vat. 3214, e. 137 6 [G. Cavalcanti]. Chig. L, VIII, 305, e. 57 b.

Ediz. : Raccolta di rime ant. toscane [ed. Villarosa] Palermo, 1817, voi. I, p. 167.

IX. Cavalcanti Jacopo.

1. Aìnore, li occhi di costei mi fanno (son.)

Mss.: *Vat. 3214, e. 134b [Iacopo] (1) Chig. L, VIII, 305, e. 84 [Iacopo Cavalcanti].

(1) Questo cod. servi verosimilmente all'Allacci.

Voi. Ili, Parte II. 13

194 e. K L. FRATI

C^ IX Edizz. : Allacci, Poeti «n/. ,p. 445 [Jacopo da Lentino].

"ciccmir Valeriani, I, 309.

2. Per li occhi miei una donna ed Amore (son.)

Mss.: Vat. 3214, e. 134 a [Jacopo]. Chig. L, Vili, 305, e. 84 [Jacopo Cavalcanti]. Magliab. VII, 7, 1208, e. 26 [c.s.] Ric- card. 2846, e. 45 [e. s.]

Edizz.: Allacci, Poeti ant, p. 444 [Jacopo da Lentino]. Vale- RiANi, I, 300 [e. s.] Crescimbeni, ed. Ven., Ili, 81 [Jacopo Ca- valcanti]. NANNUCCI^ I, 296 [e. s.]

X. Ceccarello da Siena.

Io ho dolore ira e tanta doglia (son.)

Mss.: *Laur. SS. Annunz. 122, e. 69a [Ciecharello da Siena]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 200, e. 45 6 [a non.].

XI. Gecchi Jacopo.

1. Lasso, eh* i' sono al mezzo della valle (canz.)

Mss.: *Riccard. 1100, e. 45a [Jacopo Ciecchi notaio fio- rentino]: 1091, e. 107 a [Jacopo Cechi]: * 2735 , e. 186 6 [Jacopo Ciechi]. *Mariicell. C, 152, e. 63a [Ser Jacopo].

Ediz. : Lami, Catal. mss. Riccard., p. 118.

2. Morte, perch' io non truovo a cui mi doglia (canz.)

Mss.: *Riccard. 2735, e. 186a [Jacopo Ciechi notaio di Firenze]: 1091, e. 106 [Jacopo Cecchi]: 1100, e. 44 [Jacopo Cecchi]. Magliab. VII, 3, 1010, e. 153 [Jacopo Cecchi]. Marucell. C, 152, e. 62 [Jacopo Cecchi]. Senese S, IX, 18, e. 72 [Fazio degli Uberii].

3. 0 sconsolate a pianger V aspra vita (cap.)

Mss.: * Marucell. C, 152, e. 76 a [Jacopo Cecchi]. * Magliab. IV, 114, e. 20 a [a non.] (1).

(1) Il capitolo è mancante del principio per difetto della e. 19.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 195

Xn. Cecco d'Ascoli. C, xn

CECCO

1. Comanda astrologia (profezia) ^ ^^^^^

Ms.: Vat. 9049 [Cecco d'Ascoli].

Ediz, : Crescimbeni, ed. Ven., I, 264- [Cecco d'Ascoli].

2. Bi ciascheduna mi mostra la guida (son.) (1)

Ms. : * Casanat. d, V, 5, e. 87.

Edizz. : Opuscoli relig. letter. e morali. Modena, ser. 2*, voi. V, p. 271 [Cecco d' Ascoli]. Cino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso. Venetia, Imberti, 1589 [Cecco d' Ascoli].

3. Io non so eh' io mi dica, s' io non taccio (son.) Ediz.: Trucchi, I, 268 [Cecco d' Ascoli].

4. Io solo son ne' tempestosi fiumi (son.) (2)

Ms.: *Riccard. 1103, e. 133a [Ciecho].

Ediz. : CrescimbExNI, ed. Ven., I, 420 e III, 128 [Cecco d' Ascoli].

5. L'invidia a me ha dato si di morso (son.)

Ms. : * Cod. Bossi ora Trivulz. 1 058, e. 55 [Maestro Checcho da scoli].

6. Tu vien da lunge con rima halbatica (son.)

Edizz. : E. Narducci, Calai, de' mss. posseduti da Baldassarre Bon- compagni. Roma , 1862, p. 156. Giornale del Centenario di Dante. Firenze, Cellini, 1864-65, p. 274.

(1) Responsivo al son. di Cino da Pistoia : Cecco^ io ti prego per viriti di quella.

(2) Allo Stramazzo da Perugia in risp. al son. : Tu se 7 grande Ascolan che'l mondo allumi.

196 e. R L. FRATI

C> XIII Xni. Cecco di Meletto da Forlì.

CECCO

DI MELETTO j. Quaudo redire al nido fu disditto (son.) (1)

Mss.: *BoIogn. Univ. 1289, e. 96a [Cecco di Meletto de' Rossi]. "Laur. Med. Pai. 118, e. 21 [a non.] (2)

2. Voglia il ciel^ voglia pur seguir V editto (son.)

Mss.:*Bologn. Univ. 1289, e. 94a [Cecco di Meletto de'Rossi da Forlì] (3). Laur. Med. Pai. 118, e. 20 6 (4).

XIV. Cene dalla Chitarra

Alla brigata avara senza arnesi (son.) (5) Ms. : Chig. L, IV, 131, e. 272 [anon.]

XV. Ciano da Borgo San Sepolcro.

1. Cento fiate nel pensier mi rutola (canz.)

Ms. : * Marucell. C, 152, e. 67 a - [Canzon del detto ser Ciano come il senio dee essere fatto accio che ssi con- servi in buono stato].

2. Fisicamente chi ben viver vuole (canz.)

Ms. : *Laur. SS. Annunz. 122, e. 213 a [Canzone fecie ser Giano dal borgho a san Sepolcro d' uno asino e re- cata a similitudine].

(1) Responsivo al son. del Boccaccio: L'antico padre^ il cui primo delitto.

(2) Manchevole degli ultimi quattro versi.

(3) Il son. è manchevole di due versi nel secondo terzetto e fu in- dirizzato a quattro rimatori, dei quali si leggono le risposte in questo cod. : Perché l' eterno moto sopra ditto, e. 51 6 [Francesco Petrarca]: L' antico padre, il cui primo delitto, e. 94 6 [Giovanni Boccaccio]: Alzi l'ingegno ognun con quell'amitto, e. 95 a [Lancialotto Angu- s ci oli]: // cielo e 7 fermamenlo suo sta dritto, e. 95 6 [Maestro Antonio da Ferrara].

(A) Anche in questo cod. si leggono le risposte, ma anonime. (5) A Folgore di S. Gemignano che rispose col son. : Alla brigata nobile e cortese.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 197

3. Il giovane che vuole avere onore (son.) G, xv

Mss.: * Bologn. Univ. 158, e. 366[anon.] *Magliab. VH, 7, 4171, "^^g^ l^ e. 100 6 [anon.] Riccard. 2816, e. 96 6 [e. s.] : 818, e. 91 6 [Ser Gino]: 931, e. 616 [anon.] *Ambros. C, 35, e. 3996 [Ser Ciano dal Borgho]. *Palatino 315, e. 94 6 [anon.] •Laur. Med. Pai. HO, e. 124 a [e. s.] Senese I, Vili, 36, e. 33 6 [e. s.] *Laur., pi. XC inf.,47, e. 109 6 [e. s.] *Magliab. VII, 8, 1U5, e. 79 6 [e. s. tra i sonetti d'Antonio Pucci]: 'VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 85 6 [e. s.j Estense X, B, 10, e. 9 [Ant. da Ferrara]. * Canon. 13 nella Bibl. Bodleiana di Oxford [anon.]

Edizz. : Mai, Spicilegium Romanum. Roma, 1839, voi. I, p. 688 [Di Giano del Borgo]. Dino Compagni. Elude histor. et littéraire sur r epoque de Dante, par Karl Hillebrand. Paris, A. Durand, 1862, p. 430 n (1).

4. La vera sper'ienza vuol cK io parli (canz.)

Mss. :* Riccard. 1100, e. 36 [Dante Alighieri]. *Laur.,pl. XL, 43, e. 12 [e. s.] Laur. Red. 184 (già 151), e. 84 [Gino dal Bor- go S. Sepolcro]. 'Parmense 1081, e. 113 [e. s.] Cod. Bossi ora Trivulz. 1058, e. 80 [e. s.] Chig. L, IV, 131, e. 324 [e. s.]

Edizz.: * La Gioventù, Firenze, tip. Galileiana, 1867, p. 436 (2) [Gino dal Borgo]. G. Witte m\ Jahrbtich der deutsch. Dante-Ge- sellschaft, voi. Ili, p. 270 (3) [Dante Alighieri].

5. Nel mio intelletto nuovo pensier formasi (canz.)

Ms. : *Mariicell. C, 152, e. 66 a [Ganzon di ser Giano dal Borgo a San Sipolcro come dee essere fatto il signore acciò che ssi conserui nel suo buono stato].

6. Onestamente se nel pensier piove (canz.)

Mss.: 'Trivulz. 1058, e. 92 6 [Ser Giano dal borgo Sanse- polcro]. Marciano 63, e. 55 6 [Sier Ciano de San Sepulcro de l'onor e gloria mondana].

(1) Di sul Magliab. VII, 6, 1190, e. 1 a.

(2) Pubbl. di sul Laur. Red. 184.

(3) Dai codd. Riccard. 1100 e Laur., pL XL, 43.

198 e. E L. FEATI

^> ^^" ■■ XVI. Cincio.

GINO DA PISTOIA

1. i> uno fermo penserò (ball.) Ms.: *Vat. 3793, e. 102 [Cincio].

2. Di sua grave pesanza (ball.) Ms.: *Vat. 3793, e. 102 [Cincio].

3. Lo lontano e periglioso affanno (ball.) Ms.; *Vat. 3793, e. 102 [Cincio].

Gino da Borgo San Sepolcro. Vedi Ciano.

XVII. Gino da Pistoia.

1. A che^ Roma superba, tante leggi (son.)

Mss.: Laur. Med. Palat. 118, e. 22 [C ino da Pistoia]. Laur., pi. XL, 50, e. 8 (1) [e. s.] Marc, ci. IX it., 137, e. 15 [e. s.].

Edizz. : Rime di messer CiNO DA Pistoia novellamente poste in luce [da N. Pilli]. Roma, 1559, e. M a [Cino da Pistoia]. Rime toscane di CiNO Sigibaldi raccolte e date in luce dal p. Faustino Tasso. Venetia, Imberti, 1589 [e. s.] Rime di Gino da Pistoia, no- vellamente date in luce da S. Ciampi. Pisa, Capiirro, 1813, p. 104 [e. s.].

2. A forza pur convien eh' alquanto spiri (canz.)

Mss.: *Barber. XLV, 47, e. 22 [Dante]. *Laur. SS. Annunz. 122, e. 121 a [anon.] *Marc., ci. IX it., 191, e. 79 6 [Cino]. *Ric- card. 1118, e. 145 a [e. s.]

3. A vano sguardo ed a falsi sembianti (son.)

Ms. : Barber. XLV, 47, e. 155 [Cino da Pistoia]. Ediz.: Allacci, Poeti ani, p. 276 [Cino].

4. Ahi Dio , come s' accorse in forte punto (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 77 [M.° R inucci no] Ambros. 0, 63 supra, e. 32 [anon.]

(1) Aggiunto in fine alle rime di Cino di mano del sec. XVIII.

INDICE DELLE CARTE DI F. BILANCIONI, P. I.* 199

Edizz. : Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino C, xvn DA Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 13 a [e. s.]: ed. S. Giampi, p. ^i^

37 [e. S.]. DA PISTOIA

5. Ahi lasso, ch'io credea trovar pietate (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia]. Vat. 3214, e. 142 [e. s.]: 3213, e. 237 [e. s.] Ghig. M, VII, 142, e. 41 [e. s.j Veronese 445, e. 51 [D a n t e]. Laur., pi XG inf., 37 [e. s.] Magi. VII, 1010 [e. s.] Riccard. 2846 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 19 [Dante]. Gino da Pistou, Rime, ed. F. Tasso, p. 38 [Gino]: ed. S. Gllmpi, p. HO [e. s.].

6. Ahimè cK io veggio che %ma donna viene (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 59 [Dante]. Bologn. Univ. 1289, e. 18 e 132 [M esser Gino]. God. Galvani [e. s.] Braidense A G, XI, 5, e. 101 [e. s.] Marc, ci. IX it., 191, e. 98 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 41 [Dante Alighieri]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 180 [a non.]

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 40 [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 71 [e. s.] : ed. N. Pilli, c. 29 a [e. s.] Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 30 [e. s.] Dante, Poesie liriche. Roma, 1843, p. 202 [Dante].

7. Ahimè eh' io veggio per entro un pensiero (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 70 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 82 [e. s.] Vat. 3213, e. 232 [e. s.]: 3214, e. 143 e 157 [e. s.] Veronese 445, e. 52 [e. s.] Riccard. 1118, e. 138 [e. s.] God. Boncomp. 7, e. 155 [e. s.] Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.]: VII, 1208, e. 11 [e. s.].

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti. 1527 [Gino]. Gino DA Pistoia, Rime, ed. Pilli, c. 25 a [e. s.] : ed. Giampi, p. 63 [e. s.].

8. Al mio parer non è chi in Pisa porti (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 86 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 95 [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 117 [e. s.j God. Gal- vani [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 148 [e. s.].

9. Alessandro lasciò la signoria (son.) Vedi Alighieri Dante.

200 e. K L. FRATI

C x's^I ^^' ^^^^ hatfaglia ove Madonna abbatte (son.)

GINO Mss.: Casanat. d, V, 5, e. 96 [Gino da Pistoia] Univ. Boi.

DA PISTOIA 4289, e. 118 [e. s.] Cod. Galvani [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 102 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 122 [e. s.].

11. Amato Gherardticcio, quaiid' io scrivo (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 9i [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e. 115 [e. s.] God. Galvani [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 73 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 36 b [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 87 [e. s.].

12. Amico, la novella mia cornacchia (son.)

Ms.: * Marciano, ci. IX it., 191, e. 93 a [M esser Gino].

13. Amico, se egualmente mi ricange (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 88 [Gino da Pistoia]. Vai. 3213, e. 241 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Univ. Boi. 2448 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime. ed. Ciampi, p. d53 [Gino].

14. Amor ch^ ha messo in gioia lo mio core (ball.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 41 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 249 [e. s.] Riccard. 2846, e. 29 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 94 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Magi. VII, 7, 1208, e. 5 [e. s.] Laur. Strozz. 170, e. 62 [a non.]

Edizz. : Trissino, Poetica. Verona, 1 729, p. 54. Gino da Pistoia, Rime, ed. Ciampi, p. 147 [Gino].

. 15. Amor che vien per le più dolci porte (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 89 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 98 [e. s.] Univ. Boi 1289, e. 99 [e. s.] God. Gal- vani [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 31 [a non.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 86 [Gino].

16. Amor che viene armato a doppio dardo (son.)

Mss.: Casanat. d, V, 5, e. 92 [Gino da Pistoia] Univ. Boi. 1289, e. 107 [e. s.]. God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 105 [Gino]: ed S. Ciampi, p. 113 [e. s.]

I

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 201

17. Amor è uno spirito che ancide (son.) G, xvn

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia]. Chig.M, VII, U2, e. [e. s.] Casanat. d, V, 5, e. 82 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 99 [e. s.] Vat. 3212, e. 237 [e. s.]: 3214, e. 142 [e. s.] Veronese 445, e. 52 [Dante]. Barber. XLV, 47, e. 168 [Gino da Pistoia], Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzoni ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pi- stoia, Rime, ed F. Tasso, p. 51 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 19 a [e. s.] : ed S. Giampi, p. 50 [e. s.]

18. Amor, il veggo ben che tua virtute (canz.)

Mss.: Trivulziano 1058, e. 102 [Gino da Pistoia]. Ghig. L. Vm, 305, e. 53 [a non.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, Suppl, p. 17 [Gino].

19. Amor, la doglia mia 7ion ha conforto (madr.)

Mss.: Marciano, ci. IX it.,191, e. 99 [Gino da Pistoia]. U- niv. Boi. 1289, e. 36 [e. s.] Biccard. 1118, e. 141 [e. s.] Laur. Med. Pai. 118, e. 23 [e. s.] Magi. VII, 8, 1187, e. 21 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 4 a [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 17 [e. s.]

20. Amor, la dolce vista di pietate (ball.)

Mss.: Biccard. 1118, e. 141 [Gino da Pistoia]. Marciano, ci. IX it., 213, e. 19 [e. s.]: ci. IX it., 191, e. 93 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 32 6 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 79 [e. s.]

21. Amor, la donna che tu mi mostrasti (madr.)

Mss.: * Marciano, ci. IX it., J91, e. 100 a [Gino]. * Riccard. 1118, e. 141 b [e. s.]

22. Amor, si come credo, ha signoria (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 77 [M.° Binuccino]. Univ. Boi- 1289, e. 34 [Gino da Pistoia]. Vat. 3214, e. 134 [e. s.] : 3793, e. 141 [M.° Binuccino]. Magi. VII, 1208, e. 29 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 83 [Gino]. Nannucci^ I, 214 [M.° Binuccino].

DA PISTOIA

202 C. B L. FRATI

C, XVII 23. Angel di Dio simiglia in ciascun atto (son.) ~ciNO Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 800 [Gino da Pistoia]: M, IV,

U2, e. 41 [e. s.] : L, Vili, 305, e. 42 [e. s.] Vat. 3213, e. 252 [e. s.]: 32U, e. 108 [e. s.]: Casanat. d, V, 5, e. 65 [e. s.] Laiir., pi. XL, 50, [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 10 [e. s.] Riccard. 1118, e. 140 [e. s.] Cod. Galvani [e. s.].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime^ ed. N. Pilli, e. 8. è [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 28 [e. s.]

24. Angelica figura e dilettosa (son.)

Ms.: *Ghig. L, Vili, 305, e. 72 [Gino da Pistoia]. Ediz. : Gino da Pistoia, Rime ridotte a miglior lezione da Enrico BiNDi e Pietro Fanfanl Pistoia, Niccolai, 1878 [Gino].

25. Anzi che Amore nella mente guidi (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 89 [Gino da Pistoia]. Gasanat.

d, V, 5, e. 97 [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 120 [e. s.] Marciano, ci. IX ital., 191, e. 92 [e. s.] Vat. 3213, e. 242 [e. s.].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 41 6 [G i n o] : ed. S. GiAMPi, p. 99 [e. s.]

26. Apparvemi Amor subitamente (son.)

Mss.: *Ghig. L, Vili, 305, e. 86 [Gino da Pistoia]. Vat. 3214,

e. 138 b [Arrighuccio fece questo chome amore li ap- parve].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani [Gino]. Rivista di filol. romanza, I, 87 [Arriguccio].

27. Atti cortesi, sguardo e bel diporto (son.) Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 24 [Gino].

28. Avvegna che crudel lancia intraversi (son.)

Mss.: Ghig. M, VII, 142, e. 41 [Gino da Pistoia]: L, Vili, 305, e. 84 [Gino da Pistoia]. Marc, ci. IX ital., 191, e. 89 [e. s.] Vat. 3213, e. 238 [e. s.] Ghig. M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204, [e. s.].

Edizz.: Sonetti e Canzoni ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 11 [e. s.]: ed. N. Pilli, c. 17 b [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 46 [e. s.]

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 203

29. Avvegna che mestier non mi sia mai (son.) C, xvn Vedi Alighieri Dante.

30. Avvegna w' alibia più volte per tempo (canz.)

Mss.: Yat. 3213, e. 256 [Gino da Pistoia]. Barber. XLV, 429, e. 112 [e. s.]: XLV, 47, e. 38 [Guido Guinicelli]. Ric- card. 4118, e. 65 [Gino da Pistoia]: 1456, e. 492 [e. s.] Mar- ciano 63 (degli ita!.), e. 62 [Dante]. Chig. M, IV, 442, e. 44 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Dante, De vulg. eloq., lib. II, cap. 6. Gino da Pistoia, Rime, ed. Dindi e Fanfani [Gino]. Allacci, Poeti ant, p. 377 [G. Guinicelli]. Trucchi, I, 290 [Gino da Pistoia]. Vale- RiANi, I, 87 (1). Gino, Rime. ed. Carducci, p. 9 (2).

31. Bella e gentile amica di pietate (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 94 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 4289, e. 49 [e. s.] Marc, ci. IX, ital., 491, e. 99 [e. s.J Vat. 3243, e. 243 [e. s.]: 3244, e. 488 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 39 [Dante]. Laur. , pi. XG inf. , 37 [Gino]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 59 [G i n o] : ed. N. Pilli, c. 27 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 67 [e. s.]: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [e. s.]

32. Ben dico certo che non fu riparo (son.)

Vedi Alighieri Dante.

33. Ben è si forte cosa il dolce sguardo (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 75 [Gino da Pistoia]. Univ.

Boi. 1289, e. 14 [C.S.] Marciano, ci. IX ital, 191, e. 99 [e. s.] Vat.

3243, e. 236 [e. s.]: 3214, e. 141 [e. s.] Veronese 445, e. 50 [Dante]. Laur., pi XG inf., 37 [Gino]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino

da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 19 a [e. s.] : ed. S. Ciampi, p. 50 [e. s.]

(1) Riprodotta dalla race, dell' Allacci.

(2) Riprodotta dalla race, del Trucchi.

204 e. B L. FRATI

C, xvn 34. Bernardo^ io veggio che una donna viene (son.)

GINO

DA PISTOIA

Vedi sopra, n.° 5.

35. Bernardo, quel gentil che porta V arco (son.) (1)

Ms.: *Chig. L, Vili, 305, e. 90 [Gino da Pistoia]. Ediz. : Doctmenti d' amore di Francesco da Barberino. Roma, 1640, Tavola, s. v. Sibilla (vv. 9-10).

36. Caro mio Gherarduccio^ io non ho inveggia (son.)

Mss.: Casanat. d. V, 5, e. 93 [Gino da Pistoia]. Boi. Univ. 1289, e. 113 [e. s.] Cod. Galvani [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 103 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 123 [e. s.]

37. Cecco ^ io ti prego per virtù di quella (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 86 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e. 101 [e. s.] God. Galvani [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 406 [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 96 [e. s.]

38. Cercando di trovar lumera in oro (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 99 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e. 114 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Veronese 445, e. 47 [e. s.] Chig. L, IV, 131, e. 747 [e. s.] Riccard. 1103, e. 132 [Dante]. Laur. Red. 184 (già 151), e. 112 [Gino da Pistoia]- Vat. 4823, e. 447 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed F. Tasso, p. 72 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 44 a [c. s.] : ed. S. Giampi, p. i04 [e. s.]

39. Certe mie rime a te mandar vogliendo (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 59 [G. Cavalcanti]. Vat. 3214, e. 132 [Guido Orlandi]. Veronese 445, e. 53 [Messer Gino]. Riccard. 2846, e. 33 [Guido Gaualcanti]. Cod. Bartoliniano [e. s.] Laur., pi. XLI, 20, e. 13 [a non.]

Edizz.: U Etruria, I, 390 [Gino da Pistoia]. G. Cavalcanti, Rime edite ed ined. [ed. A. Giccuporci]. Firenze, 1813, p. 14 [G. Cavalcanti].

(1) Respons. al son. di Onesto da Bologna : Bernardo, quel del- l' arco del diamasco.

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 205

40. Chi a' falsi sembianti il core avvisa (sod.) C, xvn

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 181 [Gino da Pistoia]. Edizz.: Allacci, Poeti ant, p. 283 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, Supplera., p. 15 [e. s.]

41. Chi ha un buon amico e noi tien caro (son.)

Ms. : Val. 32U, e. 144 [Messer Gino].

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 155 [Gino].

42. Chi sei tu che ^pietosamente cheri (son.)

Mss.: *Riccard. 1118, e. 137 a [Gino da Pistoia]. ^Marciano, ci. IX ital., 191, e. 59 6 [a non.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 415 [Gino].

43. Ciò eh' io veggio di qua w' è mortai duolo (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 91 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e. 20 [e. s.] Vat. 3213, e. 243 [e. s.]: 3214, e. 159 [e. s.] Laur Med. Pai. 118, e. 23 [e. s.] Laiir., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone ecc. Firenze , Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 5 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 15a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 41 [e. s.]

44. Ciò che procede di cosa mortale (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 85 [Gino da Pistoia]. Ghig. M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Laur. Med. Palat. 118, e. 22 [e. s.] Vat. 3213, e. 238 [e. s.] Laur., pi XL, 50, e. 8 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistou, Rime, ed. N. Pilli, c. 36 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 87 [e. s.]

45. Come in quegli occhi gentili e in quel viso (canz.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 39 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213 e. 249 [e. s.] : 3214, e. 108 [ano n.] : Trivulz. 1058, e. 93 [G i n o, da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 67 [e. s.] Riccard. 1118, e. 142 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Ghig. M, IV, 142, e. 41 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 7 6 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 25 [e. s.]

506 e. E L. FRATI

C, XVII 46. Come li saggi di Neron crudele (son.)

GINO

DA PISTOIA ^^^^•- Casanat. d, V, 5, e. 94 [Gino da Pistoia]. Boi. Univ.

1289, e. 116 [e. s.] Cod. Galvani [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 74 [Gino].

47. Come non è con voi a questa festa (son.)

Mss. : Ghig. L, Vili, 305, e. 73 [Gino da Pistoia]. Riccard. 2846, e. 16 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Boi. Univ. 2448 [e. s.] Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 142 [e. s.]

48. Con ciò sia cosa cìC al mio nascimento (son.) Ms. : *Vat. 4823, e. 4466 [Gini de Pistorio].

49. Con gravosi sospir traendo guai (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 73 [Gino da Pistoia]. Marc, ci. IX ita!., 191, e. 90 [e. s.] Magi. VII, 1208, e. 13 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 32 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 78 [e. s.]

50. Cuori gentili e serventi d' Amore (canz.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305 [G i n o da Pistoia]. Vat. 3213 [e. s.]: 3214 [a non.] Boi. Univ. 2448 [Gino da Pistoia] Riccard. 2846 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 138 [Gino].

51. Da che ti piace, Amóre, eh' io ritorni (canz.)

Mss.: Barber. XLV, 47, e. 77 [Nicolò de' Rossi]. Marc, ci. IX ital., 191, e 77 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c 216 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 55 [e s.]

52. Da poi che la natura ha fine posto (canz.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e 78 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e 111 [e s.] Cod. Galvani [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 93 [Gino] : ed. N. Pilli, c 37 a [e s.] : ed. S. Ciampi, p. 89 [e. s.]

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 207

53. Dante, io ho preso V abito di doglia (son.) G, xvii

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 86 [Gino da Pistoia]: L, IV, ^^^^ 131, e. 793 [e. s.]: M, IV, 142, e. 41 [e. s.] Val. 3213, e. 239 ^^ ^^^^°^^ [e. s.] Bibliot. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Cln'o da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 36 6 [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 88 [e. s.]

54. Dante^ io non odo in quale albergo suoni (son.)

Mss.: GasanaL d, V, 5, e. 60 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1288, e. 22 e 98 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Vat. 3214, e. 160 [e. s.]: 4823, e. 3 [e. s.] Riccard. 2846, e. 15 [e. s.]: 1306, e. 90 [e. s.]: 1103, e. 134 [e. s.] Magi VI, 3, 143, e. 25 [e. s.] Laur. Red. 184, e. 72 [e. s.] Laur., pi. XG inf. , 47, e. 117 [e. s.] Marucell. G, 152 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 87 [e. s.]: ed. S. GlAMPI, p. 112 [e. s.]

55. Dante, quando per caso s' abbatidona (son.)

Mss.: Magliab. VI, 3, 43, e. 24 [M esser Gino]. Ambros. C, 35 sup., e. 395 [e. s.]

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi p. 151 [Gino].

56. Degno son io eh' i* mora (canz.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 44 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 253 [e. s.] Gasanat. d, V, 5, e. 63 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 128 [e. s.] Riccard. 1118, e. 146 [e. s.]

Edizz. : Dante, De vulg. eloq., lib. II, cap. 2. Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 66. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 10 b [Gino]: ed. S. Gumpi, p. 31 [e. s.]

57. Deh ascoltate come il mio sospiro (ball.)

Mss.: Marciano, ci. IX ital., 191, e. 101 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistou, Rime, ed. F. Tasso, p. 50 [e. s.]: ed. N. Pilli, c. 30 b [e. s.] : ed. S. GiaiMPI, p. 74 [e. s.]

58. Deh com' sarebbe dolce compagnia (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia] : M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 13 [e. s.] Vat. 3214, e. 141 |c. s.]: 3213, e. 236 [e. s.] Veronese 445, e. 50 [Dante].

208 e. E L. FRATI

C, XVII Ambros. 0, 63 supra, e. 40 [a non.] Barber. XLV, 47, e. US [Ciqo ^^ da Pistoia]. Parmense 1081, e. 120 [anon.] DA PISTOIA Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino].

Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli [c. s.] : ed. Giampi, p. 34- [e. s.]

59. Deh Gherarduccio, cowH campasti tue (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 70 [Gino da Pistoia]. Marc, ci. IX ital, 191, e. 93 [e. s.] Vat. 32U, e. 142 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 42 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 100 [e. s.]

60. Deh moviti, Pietate, e va incarnata (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 92 [Gino da Pistoia]. Marc, ci. IX ital., 191, e. 96 [e. s.] Vat. 3213, e. 244 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 12 [anon.]

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino DA Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 19 6 [e. s.] : ed. S. Giampi, Suppl., p. 23 [e. s.]

61. Deh non mi domandar perch' io sospiri (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia] :M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Marc, ci. IX ital, 191, e. 96 [e s.] Laur. Med. Pai. 118, e 22 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e 8 [e. s.] Vat.

3213, e. 233 [e. s.] Riccard. 2846, e. 19 [e. s.] God. Bartoli- niano [e. s.] Boi. Univ. 2448 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 127 [Gino].

62. Deh piacciavi donar al mio cor vita (ball.)

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 31 a [e. s.J : ed. S. Giampi, p. 75 [e. s.]

63. Deh quando rivedrò 7 dolce paese (canz.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 74 [Gino da Pistoia]. Univ. Boi. 1289, e. 109 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Giornale Arcad., a. 1822, voi. XIII, p. 392. Gino da Pistoia, Rime. ed. F. Tasso, p. 75 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 42 b [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 100 [e. s.]

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 209

64. Desio pur di vederla, e s' io m appresso (son.) C, xvn

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 175 [Gino da Pistoia]. Edizz. : Gino da Pistoia, fizme, ed. S. Ciampi, Suppl. , p. 14 [Gino]. Allacci, Poeti ani., p. 281 [e. s.]

65. Di nuovo gli occhi miei per accidente (canz.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 131 [Ventura Monaci]. Cod. Galvani [Gino da Pistoia].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 33 b [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 81 [e. s.]

66. Di quella cosa che nasce e dimora (son.) Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 434 [Gino].

67. Dilettomi di voi che mi parete (son.) Ms.: *Gliig. L, Vili, 305, e. 84 [Gino da Pistoia].

68. Donna, il beato punto che ni avvenne (ball.)

Mss.: Marc, ci. IX ital., 191, e. 100 [Gino da Pistoia]: cl.IX ital, 213, e. 20 [e. s.]

Edizz.: Canzoni di Dante, madrigali del detto, ecc. Venezia, Gu- glielmo da Monferrato, 1518 [Gino]. Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 35 [e. s.] Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [e. s.] Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 85 [e. s.] : ed. N. Pilli, c. 30 b [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 74 [e. s.]

69. Donna, io vi miro, e non è chi vi guidi (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 85 [Gino da Pistoia]. Univ.

Bologn. 1289, e. 17 [e. s.] Vat. 3213, e. 239 [e. s.]: 3214, e.

155 [e. s.] Veronese 445, e. 50 [Dante]. Laur., pi. XG inf.,

37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino

da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 8 [e. s.]: ed. N. Pilli, c. 15 6 [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 42 [e. s.]

70. Donna^ la p'ietate Vedi appresso, n.° 140.

71. Donne mie gentili, al parer mio (son.) Ms.: *Marc., ci. IX ital., i91, e. 94 h [M esser Gino]. Voi. IH, Parte II. 14

210 e. '^ L. FRATI

C, xvii 72. Bruso, se nel partir vostro in periglio (son.)

DA PISTOIA ^^•' ^^"^' ^^^^' ^^^' 118, e. 22 [Francesco Magnani].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 39 b [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 94 [e. s.]

73. Due vivi soli^ or fino, ebano raro (son.) Ms.: *Marc., ci. IX ital., 136 [Gino].

74. E' m' ha si punto crudelmente male (son.)

Ms. : Ambros. 0, 63 supra, e. 10 [Gino da Pistoia]. Edizz.: Anzeige-Blatt fiir Wissenschaft u. die KUnste, voi. XLII. Vienna, 1828. Witte, Dante- Forschungen, I, 454.

75. È si forte e possente il dolce sguardo (son.) Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 12 [Gino].

76. Egli è tanto gentile ed alta cosa (son.)

Ms.: Ghig. L, Vili, 305, e. 90 [a non.]

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 39 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 27 a [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 66 [e. s.].

77. Era già vinta e lassa V alma mia (son.) Vedi appresso, n.° 248.

78. Fa della mente tua specchio sovente (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 85 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 239 [C.S.] Riccard. 2846, e. 16 [e. s.] God. Bartolini. [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Univ. Boi. 2448 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 152 [Gino].

79. Fior di virtù si è gentil coraggio (son.) Vedi Alighieri Dante.

80. Gentil donne valenti, or m' aitate (son.)

Ms.: Marc, ci. IX it., 191, e. 97 [M esser Gino].

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia Rime, ed. F. Tasso, p. 16 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 23 a [e. s.]: od. S. Giampi, p. 159 [e. s.j

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 21 1

81. Gentil mio il parlare amoroso C, xvn

Vedi la ball.: La dolce innamoranza (n.° 123), di cui questa é la stanza finale.

82. Gentili donne e donzelle amorose (son.) Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. Bl\di e Fanfani, p. 430 [C i n o].

83. Già trapassato oggi è V undecim^ anno (son.)

Mss. : Laur. Med. Pai. 118, e. 21 [Gino da Pistoja]. Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] (1).

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 3i6 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 83 [e. s.].

84. Giovane della luce del mio core (madr.)

Mss.: *Marc. ci. IX it., 191, 1006 [Gino da Pistoia]. Ric- card. 1118, e. 143 [e. s.]. Ediz.: Trucchi, I, 288.

85. Giusto dolore alla morte m' invita (soa.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 88 [Gino da Pistoja]: M, IV, U2, e. 116 [e. s.] (2). Vat. 3213, e. 241 [e. s.] Riccard. 2846, e. 16 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448 , e. 24 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 134 [Gino].

86. Gli atti vostri, gli sguardi e 7 bel diporto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 87 [Gino da Pistoja]. Vat. 3213, e. 240 [e. s.] Riccard. 1118, e. 126 [Guido Cavalcanti]: 4823, e. 447 [C.S.] Laur., pi. XG inf., 37 [Gino da Pistoia]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 18 6 [Gino]: ed. S. Gumpi, p. 49 [e. s.]

87. Gli occhi vostri gentili e pien d^ amore (son.)

Mss.: Ghig., L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoja] GasanaU d, V, 5, e. 85 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Marciano ci. IX, it., 191,

(1) Aggiunto in fine alle rime di Gino di mano del sec. XVIII.

(2) Contiene le sole terzine.

212 e. E L. FRATI

C, XVII it., c. 91 [e. s.] Vat. 3113, e. 233 [e. s.] Riccard. 1118, e. 137 '^^ [e. s.] Cod. Barloliniano [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] DA PISTOIA Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, p. 20 [Gino]: ed.

S. Ciampi, p. 20 [e. s.].

88. Graziosa Giovanna, onora e eleggi (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 63 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 230 [e. s.]. Riccard. 2846, e. 15 [e. s.] Cod. Bartolini, e. 10 e 93 [e. s.] Boi. Univ. 2448 e. lU [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 154 [Gino].

89. Guarda crudel giudicio, che fa Amore (son.)

Mss.: Chig., L, Vili, 305, e. 77 [M.*' Rlnuccino]. Vat. 3214, e. 123 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pi- stoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 7 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 156 [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 42 [e. s.].

90. Guardando voi 'n parlare ed in sembianti (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]. Mar- ciano ci IX it., 191, e. 94 [e, s.] Riccard. 2846, e. 14 [e. s.] Cod. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 37 [e. s.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 141 [Gino].

91. Guardate, amanti, io mi rivolgo a vui (madr.)

Ms. : Cod. Pinelli esemplato dal Vecchi [Gino da Pistoia]. Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, Suppl., p. 16 [Gino].

92. I più begli occhi che lucesser mai (madr.) Vedi appresso, n.° 132.

93. Il dolor grande, che mi corre sovra (son.)

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze Giunti, 1527. Gino da Pi- stoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 4 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 14 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 38 [e. s.].

94. Il mio cor, che ne' begli occhi si mise (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 87 [a non.] Ambros. 0, 63 supra, e. 15 [a non.].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 213

Edizz. : SonpJti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da C, xvn Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 12 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 35 cino

[e. S.]. DA PISTOIA

95. Il sottil ladro, che negli occhi porti (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 87 [Gino da Pistoia]. Boi. Univ, 1289, e. 123 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Laur. Red. 184, e. 74 [Dante Alighieri]. Ghig. L, IV, 131, e. 690 [e, s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, [Gino]: ed. N. Pilli [c. s,]. ed. S. Giampi, p. 48 [e. s.].

96. Il ^affir, che dal vostro viso raggia (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 87 [Gino da Pistoia] Vat. 3213, e. 240 [e. s.] God Bartoliniano [e. s.] Laur, pi. XL, 50, e 8 [e. s.] Ghig. L,IV, 131, e. 794 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 23 [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 13 [Gino] ed. N. Pilli, c. 2 a [e. s.].

97. In disnore e in vergogna solamente (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia]. Gasanat.

d, V, 5, e. 85 [e. s.] Vat. 3213, e. 233 [e. s.] Riccard. 1118,

e. 137 [e. s.] Laur., plut. XL, 40, e. 8 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Marciano ci. IX ital., 191, e. 90 [e. s.] Bibl. Naz. di Fir., palat. 204 [e. s.].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 7 a [Gino] : ed. S. Ciampi, p. 24 [e. s.].

98. In verità questo liòel di Dante (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 89 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 103 [e. s.].

Edizz. : Gino da Pistoia , Rime , ed. F. Tasso , p. 92 [G i n o]: ed. S. Ciampi, p. 114 [e. s.].

99. Infra gli altri difetti del libello (son.)

Mss. Gasanat. d, V, 5, e. 89 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 104 [e. s.].

Edizz.: Cino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. t06 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 110 [e. s.].

GINO DA PISTOIA

214 C. E L. FRATI

C, xvn 100. Insin che gli occhi miei non chiude Morte (son.)

Mss. : Chig. L, Vili, 305, e. 50 [Gino da Pistoja] : L, IV, 131. e. 795 [e. s.] *Magliab. VII, 991, (ora IV, lU), e. 28ò [Dante Alighieri]. Val. 3213, e. 244 [Gino da Pistoia]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 16 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 12 [e. s.]

101. Io era tutto fuor di stare amaro (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 405, e. 70 [Gino da Pistoia]: M. VII. 142, e. 41 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 11 [e. s.] Vat. 3214, e. 140 [e. s.]: 3213 [e. s.] Laur. pi. XG inf., 37 [e. s.] Ric- card. 2846, e. 17 [e. s.] Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 151 [Gino].

102. lo fui *n suir alto e 'w sul beato monte (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 88 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 100 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 90 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 35 a [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 85 [e. s.]

103. Io guardo per li prati ogni fior bianco (madr.)

Mss.: Bologn. Univ. 1289, e. 120 6?*', 149 e 178 [Gino da Pistoia]. Riccard. 2846, e. 18 [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 143 [Gino].

104. Io maledico il di, cV io veddi prima (son.)

Mss.: Laur. Red. 184, e. 72 [Dante Alighieri]. Laur.: pi XL, 49, e. 48 [e. s.] Vat. 4823, e. 446, [Ginus de Pi storio]. Magliab. VII, 624, e. 4 [Dante Alighieri]. Riccard. 1103, e. 138 [Gino da Pistoia]: 1094, e. 138 [Dante Alighieri].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 29 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 108 [e. s.].

105. Io mi son dato tutto a tragger oro (madr.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 61 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 250 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 28 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 141 [Gino.].

INDICE DELLE CAETE DI P. BILANCIONI, P. •* 215

106. Io non domando, Amor (ball.) ' ^^^

GINO

Edizz. : Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 58 [Gino]. Clno da Pistoia DA Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 6 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 21 [e. s,] Sonetti e canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Dante].

107. Io non posso celar il mio dolore (canz.)

Mss.: Chig. L, Vili, 304, e. 42 [Cino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 251 [e. s.]: 3214, e. 103 [e. s.] Casanat. d, V, 5, e. 69 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 95 [e. s.] Magliab. VII, 1208 [e. s.] Laur., pi. XC inf., 37 [Dante].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 17 6 [Cino]: ed. S. Ciampi, p. 47 [e. s.] Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 126 [Incerto] Filippo Massini, Lezioni accademiche. Pavia, 1611, p. 16 [Jacopo da Lentino].

108. Io non so dimostrar chi ha 7 cor mio (terzine)

Vedi la ball: Lasso che amando la mia vita more (n.° 130), della quale questo componimento è un' alterazione.

109. Io prego., donna mia (ball.)

Ms. : Marciano 191, ci. IX it., 98 [M esser Cino].

Edizz.: Sonetti e Canzone. Firenze, Giunti, 1527 [Cino]. Cino DA Pistoia. Rime, ed. N. Pilli, c. 31 a [e. s.] : ed. S. Ciampi, p. 75 [e. s.] Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 48 [e. s.]

110. Io sento pianger Vanima nel core (son.)

Mss.: Bologn. Univ. 1289, e. 10 [Cino da Pistoja]. Marciano ci. IX it., 191, e. 59 [Dante]. Vat. 3214, e. 136 [Cino da Pistoja]. Laur. Red. 184, e. 74 [Dante Alighieri]. Canonie. 101 nella Bodleiana di Oxford, e. 62 [e. s.].

Edizz.: Gino da Pistoja, Rime, ed. N. Pilli, c. 15 a [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 41 [e. s.]

111. Io son chiamata nuova hallatella (ball.)

Mss.: Riccard. 2846, e. 7 [a non.] Cod. Moiick. posseduto da A. Morlara [Dante Alighieri]. Cibi. Naz. di Firenze, palat. 180 [a non.]

Edizz.: Gino, Rime, ed. Carducci, Firenze, 1862, p. 32 [Cino da Pistoia]. Rime di Dante e Giannozzo Sacchetti [ed. F. Palermo]. Firenze, 1857 [Dante].

216

e. K L. FRATI

C, xvii 112. Io son colui, che spesso ni inginocìiio (son.)

DA wItoia ^*^^-' ^•"^- L, IV, 131, e. 792 [Gino da Pistoia]: L, Vili,

305, e. 90 [e. s.] Vat. 3213, e. 242 [e. s.] Cod. Bartoliniano [e. s.] Boi. Univ. 2448, e. 24 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S, Giampi, p. 157 [Gino].

113. Io son vago della bella luce (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 57 [Dante Alighieri]. Bologn. Univ. 1289, e. 130 [Messer Gino]. Marciano 191, ci. IX it., e. 56 [Dante Alighieri]. Vat. 3213, e. 153 [e. s.] Laur. pi. XL, 49, e. 48 [e. s.]: pi. XG sup., 135 I, e. 168 [e. s.] Ganonic. nella Bodlejana di Oxford, e. 62 [e. s.] Laur. Strozz. 1 70, e. 56 [e. s.] Magliab. VII, 624, e. 4 [e. s.]: VII, 371 [e. s.] Riccard. 1103, e. 140 [a non.]: 1094, e. 138 [Dante] Braidense A G, XI, 5 [e. s.] Barber. XLV, 130 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 16 [Dante] Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. \h [Gino]: ed. S. Giampi, p. 12 [e. s.]: ed. F. Tasso, p. 27 [e. s.]

114. Io trovo il cor feruto nella mente (son.)

Ms. : Ambros. 0, 63 supra, e. 38 [a non.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 23 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 59 [e. s.] Sonetti e Canzone, ecc., Firenze, Giunti, 1527.

115. Volta speranza che mi reca amore (canz.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 301 [Gino da Pistoia]: L, Vili, 305 e. 43 [e. s.]: L, IV, 131, e. 87 [e. s.] Vat. 3213, e. 25^ [e. s.]: e. 150 [Dante Alighieri]: 3214, e. 106 [Gino da Pistoia]: Gasanat. d, V, 5, e. 71 [e. s.] Laur. SS. Annunz. 122, e. 161

[a non.] Riccard. 1118, e. 147 [Gino da Pistoja] Magliab. VII, 128, e. 8 [e. s.] Senese I, Vili, 36, e. 106 [a non.]

Edizz.: Dante, Rime, Venezia, 1518 [Dante]. Sonetti e

Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 121 [Incerto] Gorbinelli, Raccolta di rime ant. dietro la Rella mano (1595) [e. s.] Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 27 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 68 [e. s.] Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 62.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 217

116. V alta virtù, che si ritrasse al cielo (canz.) C, xvn

. CINO

Mss. : Barber. XLV, 37, e. 40 [Gino da Pistoia] Marciano ^^ Pistoia ci. IX it., 191, e. 107 [Guido Gavalcanti]: 63, e. 35 [anon.] Gasanat. d, V, 5, e. 79 [Gino da Pistoja] Riccard. 1118 [e. s.]

Edizz. : Allacci, Poeti ant, p. 264 [Gino] Dante, Rime. Ve- nezia, 1518, [Dante] Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 96 [Gino] ed. S. Ciampi, p. 119 [e. s.]

117. U anima mia, che va si pellegrina (son.)

Mss.: Bologn. Univ. 1289, e. 24 [Guido Cavalcanti]: e. 137 [anon.] Val. 3214, e. 162 [Guido Cavalcanti]. Veronese 445, e. 54 [e. s.] Riccard. 2846, e. 34 [e. s.]: 1118, e. 163 [anon.] Ghig. L, Vili, 305 [Gino]. Magliab. VII, 7, 1208 [e. s] Laur. pi. XG inf. 37 [e. s.] Gasanat. d, V, 5 [e. s.] Bibl. Naz. di firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 27, 38, 45 e 47. Sonetti e Canzone, ecc, Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 10 [Gino] ed. N. Pilli, c. 17a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 46 [e. s.]

118. L'anima mia vilmente è sbigottita (son.)

Edizz. : Gino da Pistoia , Rime, ed. S. Ciampi, p. 30 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 10 a [e. s.] Trissino, Poetica, Vicenza, 1529, e. 23 e 38 [e. s.] Cavalcanti, Rime, ed. Gicciaporci [Cavalcanti].

119. L'intelletto d' amor che solo porto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 70 [Gino da Pistoia) Gasanat.

d, V, 5, e. 81 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 35 [e. s.] Vat. 3214.

e. 139 [e. s.]: 3213 [e. s.] Veronese 445, e. 52 [e. s.] Laur, pi. XG inf., 37 [e. $.] Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.]: VII, 1208, e. 10 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Piilli, c. 13 6 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 37 [e. s.]

120. Z' uo7n che conosce è degno eh' abbia ardire (canz.)

Mss. Ghig. L, VIII, 305, e. 42 [Gino da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Vat. 3213, e. 250 [e. s.]: 3214, e. 107 [e. s.]

218 e. K L. FRATI

C, xvn Trivulz. 26, e. 94 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e 78 [e. s.] Casa- ^i^f5 nat. d, V, 5, e. 68 [e. s.] Magliab. VI, 3, U3, e. 46 [a non.] DA PISTOIA Edizz. : Dante, Rime. Venezia, 1518 [Dante]. Sonetti e Canzone

ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 124 [Incerto]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 16 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 43 [e. s.]

121. La bella donna, che in virtù W amore (son.) (1)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 74 [GJno da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Gasanat. d, V, 5, e. 86 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 17 [e. s.] Vat. 3214, e. 157 [e. s.]: 3213, e. 235 [e. s.] Barber. 1548, e. 147 [e. s.]: XLV, 47 [e. s.] Laur. Med. Pai. 118, e. 23 [e. s.] Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Veronese 445, e. 51 [Dante] Magliab. VII, 1041, e. 13 [anon.] Bibliot. Naz. di Firenze, palat. 204.

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, ed. F. Tasso, p. 6 [Gino]: ed. N. Pilli, e. 11 « [e. s.] ed. S. Giampi, p. 33 [e. s.]

122. La bella stella che 7 tempo misura (canz.)

Mss.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 72 [Gino da Pistoia] Gasa- nat. d, V, 5, e. 136 [Selvaggio] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 203 [e. s.] Vat. 4823, e. 24 [Selvaggio in prima, poi G. Guinicelli] Magliab. VII, 8, 1187, e. 30 [anon.] Bologn. Univ. 1289, e. 159 [Gino da Pistoia] Laur. SS. Annunz. 122, e. 119 [anon.]

Edizz.: Dante, Rime. Venezia, 1518 [Dante] Sonetti e Can- zone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 p. 118 & [Incerto] Gino da Pistoia Rime. ed. N. Pilli, c. 20 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 52 [e. s.] ed. F. Tasso, p. 53 [e. s.] Valeriani, I, 96 [Guinìzelli] Trucchi, III, 292-92 [N. antico] (2) Agostino Gallo, Lettera critica. 1833, p. 11 [Guido delle Golonne].

123. La dolce innamorane (ball.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 41 [Gino da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Vat. 3213, e. 250 [e s.] Trivulz. 1058, e. 49

(1) Egualmente comincia un son. di Bonaccorso da Montemagno.

(2) Vi sono riprodotte le stanze 2.'' e 5.^ in forma di separati ma- dri c:ali.

à

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 219

[c. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 4.18, e. 65 [Al bertuccio della C, xvn ViolaJ Cod. Bartoliniano, e. 48 e 94 [Gino da Pistoia] Riccard. '^[^ ' 2846 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 114 [e. s.] da Pistoia

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 148 [Gino] Valeriani, II, 223 [Albertuccio della Viola].

124. La dolce vista e 7 del guardo soave (canz.)

Mss.: Chig. M, IV, 142, e. 41 [Gino da Pistoia]: L, VIH, 305, e. 27 [e. s.] Vat. 3213, e. 246 [e. s.]: 4823, e. 23 [e. s.] Gasanat. d, V, 5, e. 61 [e. s.] Barber. 1547, e. 110 [e. s.] Brai- dense A G. XI. 5, e. 64 [e. s.] Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.j Bibl. Naz. di Firenze, palat 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gl\o da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 81 [e. s.] : ed. N. Pilli, e. 38 a [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 91 [e. s.]

125. La grave udienza degli orecchi miei (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 118 [Gino da Pistoia] Vat. 3213, e. e. 246 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 200 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 10 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 31 [e. s.J

126. La somma virtù d^ amore, a cui piacque (canz.)

Mss.: Magliab. VII, 1187 [Gino da Pistoja]. Riccard. 1118 [Incerto].

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani [Gino].

127. La vostra disdegnosa gentilezza (canz.)

Mss.: Vat. 3214, e. 155 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 16 [e. s.] Riccard. 2846, e. 25 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 143 [Gino].

128. Lasso eli io feci una vesta da amante (son.)

Ms.: 'Riccard. 1118, e. 138 a [Gino da Pistoia].

Ediz.: Gino da Pistoia, /Jj'm^, ed. Bindi e Fanfani, p. 414 [Gino].

2*20 e. li L. FRATI

C, XY!! 129. Lasso che io più non veggio ti chiaro sole (son.)

GINO

DA PISTOIA ^^^' ^h'S- L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]. Vat.

3213, e. 246 [e. s.]: 3793, e. 118 [a non.] Riccard. 2846, e. 19 [Messer Gino]. God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 115 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 96 [Gino]: ed S. GiAMPi, p. 29 [e. s.]

130. Lasso che amando la mia vita more (canz.)

Mss. Ghig. L, Vili, 305, e. 44 [Gino da Pistoia]: L, IV,

131, e. 802 [e. s.] Vat. 3213, e. 254 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 90 [e. s.] Gasanat. d, V, 5. e. 66 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Laur. pi. XL, 50, e. 2 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 162 [e. s.] Riccard. 2846, e. 20 [e. s.]: 1118, e. 144 [e. s.] Magliab. VII, 7, 1208, e. 6 e 9 [e. s.] Laur. Med. Pai. 118, e. 33 [Dante Alighieri]. Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] : Laur. Stroz. 170, e. 109 [e. s.]: Laur. SS. Annunz. 122, e. 160 [anon.] Senese I, VIII, 36, e. 103 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Bime, ed. S. Giampi, p. 158 [Gino].

131. Jjasso pensando alla destrutta valle (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 86 [Gino da Pistoja]. Bologn. Univ. 1289, e. 99 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 64, [Gino]:

ed. N. Pilli, c. 40 « [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 96 [e. s.]

132. Li più begli occhi che lucesser mai (ball.)

Mss.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 64 [Dante Alighieri]: ci. IX it., 213, e. 19 [e. s.] Laur. Med. Pai. 87, e. 186 [Anon.] Riccard. 1118, e. 144 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 58. Dante, Rime. Venezia, 1518 [Nuccio Piacente]. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 149 [Gino].

133. Li vostri occhi gentili e pien d* amore (son.) Vedi sopra, n.° 87.

134. Lo core mio che negli occhi si mise (son.) Vedi sopra. n.° 94.

GINO DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^^ 221

135. Lo dolor grande che mi corre sovra (son.) C, xvn Vedi sopra, n.° 93.

136. Lo fin piacer di qiieìV adorno viso (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia] Casanat.

d, V, 5, e. 93 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 12 [e. s.] Val. 3214,

e. UO [e: s.]: 3213, e. 235 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 57 [Dante]. Veronese M5, e. 49 [e. s.] Laur., pi. XC inf., 37, [Gino] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone^ ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 15 [Dante] Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 4 6. [Gino]: ed. S. Giampi, p. 19 [e. s.]

137. Lo fino Amor cortese^ chi! ammaestra (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 86 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 239 [e. s.] Riccard. 2846, e. 19 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 22 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze , palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gl\o da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 134 [Gino].

138. Lo gran desio^ che mi stringe cotanto (canz.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 43 [Gino da Pistoia]. God. Barto- liniano [e. s.] Biccard. 2846 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 32 [e. s.] Ediz.: Glno da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 128 [Gino].

139. Madonna, la beltà vostra infolUo (son.)

Mss.: Ghig. M, VII, 142, e. 41 [Gino da Pistoia]: L, VIII, 305, e. 87 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 161 [e. s.] Vat. 3213, e. 241 [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 1 78 [Guido G a v a 1 e a n t i]. Laur., pi. XG inf., 37, [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 25 6 [e. s.]: ed. S. Gi.\mpi, p. 64 [e. s.] Allacci, Poeti ant., p. 376 [G. G a vai canti].

140. Madonna la pietate (ball.)

Mss.: Vat. 3213, e. 258 [Gino da Pistoia]. Marciano, ci. IX ital, 191, e. 99 [e. s.] Riccard. 1118, e. 144 [e. s.] Palatino 274 filza X, e. 108 [e. s.I Magliai). VII, 1, 1041, e. 8 [e. s.]: VII, 371 [e. s.]

222 e. B L. FRATI

C, XVII Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 51. Dante, Rime.

GINO Venezia, 1518. Sonetti e Canzone ecc. Firenze, Giunti, 1527.

DA PISTOIA Gino da Pistoia, Rime, ed F. Tasso, p. 36 [Gino]: ed. N. Pilli, e. 30 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 73 [e. s.]

141. Madonne mie, vedeste voi V altrieri (son.)

Ms.: * Marciano, ci. IX ital, 191, e. 59 a [Dante].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 20 [Dante], Gino da Pistoia, Rime^ ed. N. Pilli, c. 6& [Gino]: ed. S. Giampi, p. 23 [e. s.]

142. Mercè di quel signor cJi è dentro a mene (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 87 [Gino da Pistoia] Vat. 3213, e. 240 [e. s.] God. Bartolìniano [e. s.] Laur. pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Riccard. 2845, e. 17 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 23 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 155 [Gino].

143. Messer Boson, il vostro Manoello (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 90 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 104 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 91 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 114 [e. s.]

144. Messer ., lo mal che nella mente siede (son.)

Mss.: Ghig. M, VII, 142, e. 41 [Gino da Pistoia]: L, Vili, 305, e. 93 [e. s.] Marciano ci. IX ital, 191, e. 91 [e. s.] Vat. 3213, e. 245 [e. s.] Magi. VII, 1187, e. 21 [e. s.] Bibl Naz. di Firenze, palat. 504 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 41 6 [e. s.] ed. S. Giampi, p. 98 [e. s.]

145. Meuccio, i' feci una vista d' amante (son.)

Mss.: *Ghig. L, Vili, 305, e. 89 [Gino da Pistoja]. * Mar- ciano ci. IX it., 191, e. 97 a [e. s.]

146. Mille dubbi in un dì, mille querele (son.)

Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e. 23 [Gino da Pistoja]. Mar- ciano ci. IX il., 137, e. 16 [e. s.J

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 523

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 35 a [Gino]: ed. c^ xvii S. GiAMPi, p. 84 [e. s.] ^^

DA PISTOIA

147. Mille volte richiamo il di mercede (sestina)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 76 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 121 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 60 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 29 b [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 71 [e. s.]

148. Moviti, pietate, e va incarnata (son.) Vedi sopra, n. 60.

149. Naturalmente cìiere ogni amadore (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 91 [Gino da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Vat. 3213, e. 244 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso [Gino]: ed. N- Pilli, c. 41 a [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 98 [e. s.]

150. Naturalmente ogni animale ha vita (canz.)

Mss.: Magliab. XXI. 675 [Gino]: XXI, 85 [e. s.] Gasanat. d, V, 5 [e. s.] Boi. Univ. 1289, e. 108 b [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 209 [Gino].

151. Nelle man vostre, o dolce donna mia (son.)

Ms.: Magliab. VII, 391 [Gino da Pistoia].

Ediz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 17 [Dante]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 30 [Gino]: ed. S. Giaaipi, p. 108 [e. s.]

152. Nel tempo della mia novella etate (canz.)

■p^ Mss.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 82 [Gino da Pistoia]: cl.IXit.,

^ 63, e. 66 [anon.] Laur., pi. XL, 50, e. 2 [Gino da Pistoia]

Trivulz. 37 [e. s.] Magliab. VII, 3, 991, e. 46 [Dante]: VII, 1,

1041, e. 53 [e. s.] Ghig. L, IV, 131 [e. s.] Laur. Red. 184 [e. s.].

224 e. E L. FRATI

C, XVII Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, Append., p. 19

GINO [Gino].

DA PISTOIA

153. Non che in presenta della vista umana (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 77 [Gino da Pistoia] Bologn. Univ. 1289, e. 124 [e. s.] Parmense 1081, e. Ili [e. s.] God. Gal- vani [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 26 a [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 64 [e. s.]

154. Non credo, che in madonna sia venuto (son.)

Mss.: Ghig. L, IV, 131 [Gino da Pistoia]: L, Vili, 305, e. 21 [e. s.] Vat. 3213, e. 243 [e. s.]: 3214, e. 159 [e. s.]

Marciano, ci. IX it., 191, e. 59 [Dante] Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 44 [e. s.]: ed. N. Pilli, e. 40 b [e. s.] : S. Giampi, p. 97 [e. s.]

155. Non è bontà, virtù, valore (son )

Ms. : God. Scappucci, citato dal Fanfani.

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 432 [Gino].

156. Non spero che giammai per mia salute (canz.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 63 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 230 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 19i, e. 70 [e. s.] Riccard. 2846, e. 22 [e. s.]: 1118, e. 150 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, in principio [a non.]: pi. XG inf., 37, [Dante Alighieri]. God. Galvani [Gino da Pistoia]. God. Bartohniano [e. s.] (2).

Edizz. : Dante, De vulg. eloq., lib. II, cap. 5. Trissino, Poetica, Vicenza, 1529, p. 28. Raccolta di rime ant. tose. Palermo, 1817, voi. I, p. 288 [Ser Noffo d'Oltrarno]. Valeriani, 1, 155 [e. s.] Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 145 [Gino].

157. Non «;' accorgete^ donna, d' un che more (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 240 [e. s.] Vat. 3213, e. 240 [e. s]: 4823, e. 446 [e. s.] Veronese 445, e. 48 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 8 [e. s.] Laur. Red. 184, e. 74 [e. s.J Laur.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 225

pi. XC inf.; 37 [Gino]. Palat. 204 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 333, C, xvn in fine [Dante Alighieri]: ci. IX it., 191, e. 58 [e. s.] ^^

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 27 [Gino]: da fistoli ed. S. GiAMPi, p. 107 [e. s.] Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 17 [Dante].

158. Novellamente Amor mi giura e dice (son.)

Mss. : Veronese 445, e. 49 [a non.] Riccard. 1059, e. 60 [Gino da Pistoia].

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 150 [Gino].

159. Novelle non di veritate ignude (son.)

Mss.: Bologn. Univ. 1289, e. H e 131 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 232 [e. s.]: 3214, e. 140 [e. s.] Riccard. 2846, e. 17 [e. s.] Ghig. M, VII, 142, e. 41 e segg. [e. s.]: L, Vili, 305,

e. 70 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 153 [Gino].

160. 0 Dio, poi' m' hai degnato (canz.)

Mss.: Vat. 3214, e. 104 [Gino da Pistoja]. God. Bar-

toliniano [e. s.] Riccard. 2846, e. 20 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 163 [Gino].

161. 0 giorno di tristizia e pien di danno (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 86 [Gino da Pistoja]. Vat. 3213, e. 239 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 90 [e. s.] Parmense 1081 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 62 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 25 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 62 [e. s.]

162. 0 Morte, della vita privatrice (canz.)

Mss.: Vat. 3214, e. 120 [Lapo Gianni]. God. Bartoliniano [e. s.] Ghig. L, Vili, 305, e. 52 [c.s.] Marciano, ci. IX it., 63, e. 52 [a non.] Riccard. 1094, e. 145 [Lapo Gianni]. Laur., pi. XL, 49, e. 56 [e. s.] Magliab. VII, 8, 112, e. 65 [e. s.] Mouck. 5, e. 194 [e. s.] Bibl. Naz. di Parigi, cod. itaL 557, e. 23 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 101 [e. s.] Magliab. VII, 1076 [Gino].

Voi. Ili, Parte H

DA PISTOIA

226 e. rt L. FRATI

C, XVII Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 268 [Gino]. Gino da Pistoia,

GINO Rime, ed. S. Giampi, Append., p. 7 [e. s.J

163. 0 tu, Amor^ che m' hai fatto martire (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia]: M, VII, U2, e. U [e. s.] Vat. 3213, e. 233 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 93 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: GiiNo da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 32 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 77 [e. s.]

164. 0 voi, che siete vèr me si giudei (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 74 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 235 [e. s.]: 3214, e. 155 [e. s.] Veronese 445, e. 50 [Dante]. Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 9. [Gino]; ed. N. Pilli, c. 17a [e. s.] ed. S. Giampi, p. 45 [e. s.]

165. 0 voi, che siete voce nel deserto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 91 [Gino da Pistoia]. Vat. 3214, e. 158 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 20 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 150 [Gino].

166. Occhi miei, deh fuggite ogni persona (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 118 [a non.] Vat. 3213, e. 246

[Gino da Pistoia]. Marciano, ci. IX it., 191, e. 90 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 4 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 18 [e. s,]

167. Oda ogni uom la cagion dermici sospiri (son.) Vedi appresso, n.° 239.

168. Ogni allegro pensier, eh' alberga meco (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 85 [Gino da Pistoja]: M,

VII, 142, e. 41 [e. s.] Vat. 3213, e. 238 [e. s.] Marciano ci.

IX it., 191, e. 89 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 42 [C i n o] : ed. N. Pilli, e. 29 a [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 70 [e. s.] Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [e. s.J

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 227

169. Ohimè cK io sono alV amoroso nodo (son.) C, x^ti

CLNO

Ms. : * Parmense 1081, e. 93 6 [Gino da Pistoia]. j^^ Pistoia

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 417 [Gino].

170. Ohimè lasso, or sonvi io tanto a noia (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia]. Gasanat.

d, V, 5, e. 85 [e. s.] Vat. 3213, e. 233 [e. s.] Riccard. iilS,

e. 439 [e. s.] Laur., pi. LX, 50, e. 8 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 91 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 11 6 [Gino]: ed. S. GuMPi, p. 33 [e. s.]

171. Ohimè lasso, quelle trecce blonde (canz.)

Mss.: Barber. XLV, 47, e. 41 [Gino da Pistoia] Marc, ci. IX ìL, 191, e. 69 [e. s.] God. Boncompagni 7, e. 89 [e. s.] Braidense AG, XI, 5, e. 99 [e. s.] Riccard. 2846 [Incerto]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 180 [a non.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, e. 128 [Incerto]. Dante, Rime. Venezia, 1518 [Dante]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 35 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 85 [e. s.] F. Massini, Lezioni accademiche. Pavia, 1611, p. 16 [Jacopo da L e n t i n o].

172. Onde ne vieni, Amor, cosi soave (son.)

Ms. : Marciano, ci. IX it., 191, e. 96 [Messe r Gino]. Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 316 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 61 [e. s.]

173. Or dov' è, donne, quella in cui s' avvista (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 73 [Gino da Pistoia]. God. Bar- toiiniano [e. s.J Bologn. Univ. 2448, e. 27 a [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 142 [Gino].

174. Ora se vC esce lo spirito mio (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e 91 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 243 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 12 [a non.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [Gino] Laur., pi. XC inf., 37 [e. s.]

228 e. li L. FRATI

C, xvn Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino].

^^ Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 21 [e. s.]: ed. N. Pilli, DA PISTOIA e. 24 a [e. s.] : ed. S. Giampi, p. 60 [e. s.]

175. Fer una merla, che d' intorno al volto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 87 [Gino da Pistoia]. Vai. 3213, e. 240 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Trivulziano 1058, e. 47 [e. s.] Riccard. 2846, e. 16 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 13 a [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 152 [Gino].

176. Ferché nel tempo rio (canz.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 39 [Gino da Pistoia]. Cod. Boncomp. 7, e. 155 [e. s.] Magliab. VII, 6, 993, e. 4 [e. s.]

Vat. 3213, e. 247 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 92 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 108 [Guido Gavalcanli]. Gasanat. d, V, 5, e. 64 [Gino da Pistoia]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Riccard. 2846 [Incerto].

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 67 [11 solo capoverso].- Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli,, c. 14 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 39 [e. s.] Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Incerto]. Dante, Rime. Venezia, 1518 [Dante].

177. Perché voi state forse ancor pensivo (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 91 [Gino da Pistoia]. Boi. Univ. 1289, e. 106 [e. s.] God. Galvani [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 88 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 109 [e. s.]

178. Pianta Selvaggia a me sommo diletto (son.) Vedi Piacentini Marco.

179. Picciol dagli atti, rispondi al Picciolo (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 63 [Gino da Pistoia]. God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 26 a [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 154 [Gino].

180. Pietà e mercè mi raccomandi a voi (son.) Ms.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 97 [M esser Gino].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 229

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 15 [Gino]: ed. C, xvn N. Pilli, c. 23 a [e. s.] : ed. S. Ciampi, p. 58 [e. s.] Sonetti e T^ Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [e. s.] da Pistoia

181. Pippo, se fossi buon mastro in grammatica (son.)

Mss. : Laur. Red. 18i, e. 126 [Gino da Pistoia]. Laur.

(già de' Serviti) 1687 [e. s.] Laur. SS. Annunz. 122, e. 260 [e. s.]

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, append., p. 24 [Gino].

182. Poi che io fui, Dante, dal mio natal sito (son.)

Mss.: Gasanat. d, V, 5, e. 59 [Gino da Pistoia] Laur. Med. Pai. 118, e. 20 [e. s.] Laur. Red. 184, e. 72 [e. s.] Vat. 3213, e. 256 [e. s.]: 4823, ce. 3 e 448 [e. s.] Univ. Boi. 1289, e. 97. Veronese 445, e. 48 [e. s.] Chig. L, IV, 131, e. 690 [e. s.] Magliab. VII, 1041, e. 10 [e. s.]: VII, 991, e. 28 [e. s.]: VII, 1010, e. 15 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 41 [e. s.] Moiick. I, e. 21 [e. s.] Riccard. 1103, e. 130 [e. s.]: 1156, e. 42 [e. s.]: 1088, e. 62 [e. s.] Palatino 180 [a non.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 79 [G i n o] : ed. N. Pilli, p. 97 [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 79 [e. s.]

183. Poi che é f è piaciuto, Amor, eh' io sia (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 74 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 234 [e. s.]: 3214, e. 143 [e. s.] Riccard. 2846, e. 18 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 20 i [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 128 [Gino].

184. Poi che saziar non posso gli occhi miei (madr.)

Mss.: Marc, ci. IX it., 191, e. 100 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 36 [e. s.] Magi. VII, 8, 1187, e. 22 [e. s.] Senese S, Vili, 36, e. 103 [a non.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 25 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 123 [e. s.] Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 36. Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Dante].

185. Poscia eh* io vidi gli occhi di costei (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 63 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 81 [e. s.] Boi. Univ. 1289, e. 34 [e. s.] Vat. 3213,

S30 e. R L. FRATI

C, xvu c. 230 [e. s.]: 32U, e. 139 [e. s.] Trivulz. 1058, e. 56 [e. s,] GINO Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.]: VII, 1208, e. 10 [e. s.] Laur., DA PISTOIA pi. XC inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 34 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 266 [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 66 [e. s.]

186. Prego il vostro saver, che tanto monta (son.)

Ms. : God. Scappucci citato dal Fanfani.

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindi e Fanfani, p. 428 [Gino].

187. Quai son le cose vostre, cJi io vi tolgo (son.)

Mss.: Ghig. L, VIII, 305, e. 70 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 90 [e. s.] Vat. 3213, e. 258 [e. s.]: 3214, e. 142 [e. s.] Riccard. 1118, e. 67 [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 164

[e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 89 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 113 [e. s.] Allacci, Poeti ant., p. 278 [e. s.]

188. Qual dura sorte mia, donna, acconsente (son.)

Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e. 21 [Gino da Pistoia] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia , Rime , ed. F. Tasso , p. 28 [Gino]: ed. N. Pilli, eia [e. s.]

189. Quand' io pur veggio che sen vola il sole (canz.)

Mss.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 69 [Gino da Pistoia]. Ric- card. 2846 [Incerto].

Edizz.: Dante, Rime. Venezia, 1518 [Dante] Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 118 [Incerto] Trissino, Poetica. Vi- cenza, 1529, p. 77. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 12 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 55 [e. s.]

190. Quando Amor gli occhi rilucenti e belli (canz.)

Ms. : Laur. Med. Palat. 118, e. 19 [M esser Gino]. Edizz.: Gino DA Pistoia, fì/me, ed. F. Tasso, p. 17 [Gino]: ed. N. Pilli, c. Sa [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 15 [e. s.]

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 231

191. Quando ben penso al picciolino spazio (son.) G, xvn

Mss.: Casanat. d, V, 5, e. 93 [Gino da Pistoia] Bologn. ^^ pjg^oiA Univ. 1289, e. 108 [e. s.] Cod. Galvani [e. s.] Laur. Red. 184, e. 115 [Niccolò Soldanieri]. Riccard. 683, e. 193 [a non.]

Magliab. VII, 3, 1010, e. 227 [e. s.]: VII, 8, 1187, e. 31 [e. s.]

Laur. Med. Palat. 119, e. 145 [e. s.] Ghig. L, IV, 131, e. 743 [Pi erozzo Strozzi].

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 65 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 39 a [e. s.] : ed. S. Ciampi, p. 93 [e. s.]

192. Quando potrò io dir: dolce mio Dio (canz.)

Mss.: Barber. XLV, 47, e. 39 [Gino da Pistoia]. Gasa- nat. d, V, 5, e. 75 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, in princ. [e. s.]

* Bologn. Univ. 1289, ce. 132 e 148 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Laur. SS. Annunz. 122, e. 49 [e. s.] Magi. VII, 1076 [e. s.]

Edizz.: Allacci, Poeti anU, p. 262 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 66 [e. s.]: ed. N. Pilli, c. 33 a [e. s.]:

ed. S. Ciampi, p. 79 [e. s.]

193. Quanto la cosa maggior diletto (son.)

Mss.: *Riccard. 162, e. 239 6 [a non.]: 1103, e. 129 a [Ries- ser Gino] (1)

194. Quanto pili fiso miro (ball.)

Mss.: Marc, ci. IX it., 191, e. 64 [Dante Alighieri] Cano- nie. 101 nella Bodleiana di Oxford, e. 62 [e. s.]

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 53 [Gino da Pistoia]. Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [e. s.] Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 47 [e. s.]: ed. N. Pilli, e. 30 a [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 73 [e. s.]

195. Quel sottil ladro che negli occhi porti Vedi sopra, n.° 95.

196. Quella donna gentil^ che sempre mai (son.)

Mss.: Vat. 3214, e. 156 [Gino da Pistoia]. Veronese 445,

e. 51 [Dante] Parmense 1081, e. 98 [Messer Gino].

(1) Di mano più moderna.

232 e. B L. FRATI

C XVII Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino].

" ^^ Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 23 i [e. s.]: ed. S. Giampi, p. DA PISTOIA 60 [e. s.]

197. Questa donna che andar mi fa pensoso (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. li [Gino da Pistoia]. Gasanat.

d, V, 5, e. 93 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 36 [e. s.] Vat. 3213,

e. 235 [e. s.]: 32U, e. 153 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 58 [Dante]. Ambros. 0, 63 supra, e. 7 [e. s.] Laur. Red. 184, e. 72 [e. s.] Magliab. VII, 991, e. 28 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 14 [Da nte]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 2 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 14 [e. s.].

198. Questa leggiadra donna, ched io sento (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 77 [M.° Rinuccino]. Veronese 455, e. 48 [Dante]. Barber. XLV, 47, e. 167 [Gino da Pistoia].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino DA Pistoia, Riìne, ed. F. Tasso, p. 41 [e. s.] : ed. N. Pilli, e. 24 b [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 62 [e. s.].

199. Saper vorrei se Amor che venne acceso (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 85 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 238 [e. s.]. Laur., plut. XL, 50, e. [e. 8 s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 203 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 13 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 2 a [e. s.]

200. Sarebbe rara e dolce compagnia (son.)

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 1 [Gino].

201. Se conceduto mi fosse da Giove (son.)

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 141 [Gino da Pistoia]. Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 274 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, append., p. 11 [e. s.]

Clx\0 DA PISTOIA

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONT, P. I.* 233

202. Se gli occhi vostri vedesser colui (son.) C, xvn

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 91 [Gino da Pistoia]. Val. 3213, e. 243 [e. s.]: 32U, e. 159 [e. s.] Laur., pi. XC inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso , p. 24 [e. s.] : ed. S. Ciampi , p. 61 [e. s.]

203. Se il viso mio alla terra 5' inchina (son.)

Mss.: Bologn. Univ. 1289, e. 3 [M esser Gino] Marc, ci. IX it., 191, e. 57 [Dante]. Veronese 445, e. 49 [e. s.] Riccard. 1118, e. 126 [e. s.] Ambros. 0, 63 sup., e. 7 [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 166 [e s.] Vat. 3214, e. 133 [Gino da Pistoia].

Edizz. : Allacci. Poeti ani. , p. 292 [D a n t e]. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 9 h [Gino]: ed. S. Giampi, p. 30 [e. s.]

204. Se il vostro cor del forte nome sente (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 85 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 238 [e. s.] Laur., pi. XL 50, e. 8 [e. s.] Ghig. M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 4 a [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 18 [e. s.]

205. Se io avessi creduto che si caro (son).

Ediz. : Gino da Pistoia, Due sonetti inediti pubbl. per le nozze del sig. Domizio Torti colla sig.^ Giuseppa Franchini. Pistoia, 1819. [Gino].

206. Se io smagato sono ed infralito (son.)

Mss : Ghig. L, Vili, 305, e. 44 [G i n 0 d a P i s 1 0 i a] Trivulz. 1058, e. 90 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 109 [Guido Cavalcanti]. God. Bartoliniano [Gino da Pistoia]. Riccard. 2846, e. 25 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 24 a [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 131 [Gino].

207. Se mai leggesti gli scritti d' Ovidi (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 89 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 97 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 121 [e. s.] Marciano

234 Ce l. frati

e, xvn ci. IX it., 191, e. 92 [e. s,] Vat. 3213, e. 242 [e. s.] Bibl. Naz. ' '^^ di Firenze, palat 204 [e. s.]

DA PISTOIA Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 42 a [Gino]:

ed. S. GiAMPi, p. 99 [e. s.]

208. Se mercè non Wb aita^ il cor si more (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia]. Gasanat.

d, V, 5, e. 84 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Vat. 3213 , e. 232 [e. s.]: 3214, e. 143 [e. s.] Laur. Med. Pai. 118, e. 23 [e. s.] Ric- card. 1118, e. 139 [e. s.] Laur. pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Magliab. VII, 1208, e. 11 [e. s.] Parmense 1081, e. 115 [anon.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [Gino].

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 9 a [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 29 [e. s.]

209. Se mi riputo di niente alquanto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 88 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213,

e. 241 [e. s.J Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 5 & [Gino]: ed. S. GlAMPI, p. 21 [e. s.]

210. Se non si move cC ogni parte Amore (son.)

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 178 [Gino da Pistoia]. Edizz.: Allacci, Poeti ani., p. 282 [Gino] Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, append., p. 14 [e. s.]

211. Se non si muor^ non troverà mai posa (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 76 [Gino da Pistoia]. Bologn.

Univ. 1289, e. 19 [e. s.] Vat. 3213, e. 237 [e. s.]: 3214, e.

158 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 9 | Dan te]. Bibl. Naz. di Fi- renze, palat. 204 [Gino].

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze , Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 2 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 11 6 [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 34 [e. s.]

212. Se questa gentil donna vi saluta (son.)

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 175 [Gino da Pistoia]. Edizz.: Allacci, Poeti ani., p. 280 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, append., p. 13 [e. s.]

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 235

213. Se tra noi puofe un naturai consiglio (son.) G, xvn

Ms.: Laur Med. Pai. 118, e. 22 [Agatone Drusi]. , ^^^^^^^

Ti \ PISTOIA

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime , ed. N. Pilli , c. 39 6 [C i n o] *• ed. S. Ciampi, p. 95 [e. s.] Trucchi, voi. I, p. XI [Agatone Drusi].

214. Se tu, martoriata mia soffrenza (canz.) (1).

Mss.: Trivulz. 1058, e. 100 [Gino da Pistoia]. Cod. Bartoli- niano [Lapo Gianni]. Chig. L, Vili, 305, e. 50 [a non.]

Edizz.: Valeriam, II, 126 [Lapo Gianni]. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, suppl., p. 17 [Gino].

215. Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi (son.)

Mss.: Laur., pi. XL, 44, e. 28 [Dante Alighieri]. MagL VII, 1010, e. 15 [e. s.].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Dante]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 31 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 109 [e. s.]

216. Se voi udiste la voce dolente (son.)

Mss. : Ghig. L, Vili, 305, e. 86 [anon.] VaL 3214, e. 155 [Gino da Pistoia]. Veronese 445, e. 50 [Dante].

Edizz.: Sonetti e Canz., ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia: Rime, ed. F. Tasso, p. 23 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 246 [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 61 [e. s.]

217. Senza tormento di sospir non vissi (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 73 [Gino da Pistoia]: M, IV. 142, e. 41 [e. s.] CasanaL d, V, 5, e. 82 [e. s.] VaL 3213, e. 234 [e. s.] Magliab. VII, 1208, e. 13 [e. s.] Laur., pi. XC inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, pp. 45 e 47. Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 52 [e. s.] : ed. N. Pilli, c. 27 b [e. s.] : ed. S. Ciampi, p. 27 [e. s.]

(1) È la stanza finale della canz. di Lapo Gianni: Donna, se il prego della mente mia.

236 e. B L. FRATI

C, xvn 218. Ser Mula, tu ti credi senno avere (son.) (1)

DA PISTOIA ^^^^■' *J^o'og"- Univ. 1289, e. 100 6 [Ms. Gino]. *Cod. Gal-

vani, e. 14 6 [ano n.]

219. Serrato è lo mio cor di dolor tanto (son.)

Ms.: *Ghig. L, Vili, 305, e. 88 [Gino da Pistoia]. Ediz.: Trucchi, I, 286 [Gino]. (2)

220. Si doloroso non potria dir quanto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 87 [Gino da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Laur. Med. Pai. 118, e. 23 [e. s.] Laiir., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Val. 3213, e. 239 [e. s.] Riccard. 2846, e. 19 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 12 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 156 [Gino].

221. Si è incarnato Amor del suo piacere (son.)

Ms. : Marciano, ci. IX ital, 191, e. 95 [M esser Gino]. Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 34 a [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 82 [e. s.]

222. Si m! ha conquiso la Selvaggia gente (canz.)

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 43 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 102 [e. s.]

223. Si m' hai di forza e di valor distrutto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 63 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213, e. 230 [e. s.] Riccard. 2846, e. 17 [e. s.] God. Bartoliniano [e. s.] Magliab. VII, 991, e. 67 [e. s.]: VII, 1208, e. 10 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 8 a [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 127 [Gino].

(1) Responsivo al son. di ser Mula de' Muli: Omo saccente è da maestro saggio.

(2) La sola prima quartina.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 237

224. Si mi distringe Amore (canz.) C, xvii

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 40 [Gino da Pistoia]. Trivulz. 1058, jj^ Pistoia e. 93 [e. s.] Cod. Barloliniano [e. s.] Riccard. 28i6, e. 30 [e. s.] Bologn. Univ. 2M8, e. 20 ò [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 135 [Gino].

225. Signor, é non passò mai peregrino (son.)

Mss.: Ghig. M, VII, 142, e. 41 [Gino da Pistoia]: L, Vili, 305, e. 84 [e. s.] Vat. 3213, e. 237 [e. s.] Laur. pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.J

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 27 a [Gino]: ed. S. Giampi, p. 88 [e. s.]

226. Signor, io son colui che vidi Amore (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 13 [e. s.] Vat. 3213, e. 236 [e. s.]: 3214, e. 141 [e. s.] Ambros. 0, 63 supra, e. 32 [a non.] Barber. XLV, 47, e. 166 [Gino da Pistoia]. Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.]

Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistou, Rime, ed. N. Pilli, c. 40 a [Gino]: ed. S. Gumpi, p. 95 [e. s.].

227. Solo per tener vostra amistia (son.)

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. Bindì e Fanfani, p. 433 [Gino].

228. Sovra ogni altra vaghezza vago sono (son.) ^

Ms.: *Riccard. 1103, e. 1066 [Gino da Pistoia].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime. ed. Bindi e Fanfani, p. 416 [Gino].

229. Sta nel piacer della mia donna Amore (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]: L, IV, 131, e. 796 [e. s.] Marciano, ci. IX, it., 191, e. 94 [e. s.J Vat. 3213, e. 245 [e. s.] Laur., pi. XG inf., 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 14 [Gino]: ed. N. Pilli, e. 2 6 [e. s.]

DA PISTOIA

238 C. E L. FRATI

C, XVII 230. Su per la costa, Amor^ deìV alto monte (canz.)

^^^^ Ms. : Marciano, ci. IX it., 63, e. 29 [M esser Gino].

Ediz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 125 [Gino].

231. Tanta è T angoscia ch^ aggio dentro al core (son.)

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. Ili [Gino]: ed. S. Giampi, p. 49 [e. s.]

232. Tanta paura m' è giunta d'' Amore (canz.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 45 [a non.] Val. 3213, e. 255 [Gino da Pistoia]: 32U, e. 102 [anon.] Marciano, ci. IX ital, 191, e. HO [Guido Gavalcanti]. Gasanat. d, V, 5, e. 72 [Gino da Pistoia]. God. Bartoliniano [e. s.] Riccard. 1118, e. 152 [e. s.]: 2846, e. 27 [e. s.J God. Galvani [e. s.] Ghig. L, IV, 131 [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 150 [Gino].

233. Trecce conformi al più raro metallo (son.) Vedi Piacentini Marco.

234. Tu che sei voce che lo cor conforte (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 76 [Gino da Pistoia] Bologn. Univ. 1289, e. 18 [e. s.] Vat. 3213, e. 237 [e. s.]: 3214, e. 158 [e. s.] Veronese 445, e. 52 [e. s.] Laur. , pi. XG inf. , 37 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 13 6 [Gino]: ed. F. Tasso, p. 3 [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 38 [e. s.]

235. Tutte le pene, eh' io sento d' Amore (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]. God. Bartoliniano [e. s.] Riccard. 2846, e. 15 [e. s.] Bologn. Univ. 2448, e. 27 h [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, p. 141 [Gino].

236. Tutto ciò eh' altrui piace, a me disgrada (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 88 [Gino da Pistoia]. Gasanat. d, V, 5, e. 91 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 105 [e. s.] God. Galvani [e. s.] God. Parmense 1081, e. 98 [e. s.J

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I."^ 239

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 70 [C i n o] : ed. c^ xvn S. Ciampi, p. Ili [e. s.] '^^

^_„ ^ ._.,_,_ , ^ DA PISTOIA

7Ó1. Tutto mi salva ti dolce salutare (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]. Casanat. d, V, 5, e. 55 [e. s.] Chig. M, VII, U% e. 41 [e. s.]: L, IV, 131, e. 799 [e. s.] Marciano, ci. IX, ilal, 191, e. 95 [c.s.] Vat. 3213, e. 2i5 [e. s.ì Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz.: Gino da Pistoia, Rime, ed N. Pilli, c. 5 6 [Gino]: ed. S. Ciampi, p. 20 [e. s.]

238. Udite la cagion de^ miei sospiri (son.)

Ms.: Marciano, ci. IX it., 191, e. 97 [M esser Gino].

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 14 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 22 b [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 58 [e. s.] Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 35.

239. Un' alta ricca rocca^ e monte manto (son.)

Mss.: Casanat. d, V, 5, e. 91 [Gino da Pistoia]. Riccard. 1118, e. 140 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 106 [e. s.] Cod. Gal- vani [e. s.]

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 71 [Gino].

240. Un anel corredato d' un rubino (son.)

Ms.: *Ghig. L, VIII, 305, e. 85 [Gino da Pistoia].

Ediz.: Gino da Pistoia, Rime, ed. Dindi e Fanfani, p. 437 [Gino].

241. Una donna mi passa per la mente (son.)

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia] : M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Val. 3213, e. 236 [e. s.] : 3214, e. 141 [c.s.] Marciano, ci. IX il., 191, e. 89 [e. s.] Veronese 445, e. 52 [Dante]. Laur., pi. XG inf., 37 [Gino]. Bibl. Naz. di Firenze, palai. 204 [e. s.]

Edizz.: Trissino, Poetica. Vicenza, 1529, p. 48. Sonetti e Can- zone, ecc. Firenze, Giunti, 1527 [Gino]. Gino da Pistoia, /?/mf, ed. F. Tasso, p. 37 [e. s.]: ed. N. Pilli, c. 25 b [e. s.]: ed. S. Ciampi, p. 63 [e. s.]

240 e. B L. FRATI

C, XVII 242. Una gentil piacevol giovinella (son.)

GINO

DA PISTOIA ^^^•- ^^'^- ^' ^^'^' ^^^' <^- '^'^ t^'"® ^^ Pistoia]: M, VII,

U2, e. 41 [e. s.J Vat. 32U, e. 144 [e. s.]: 3213, e. 234 [e. s.]

Laur., plut. XL, 50, e. 8 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. S. Ciampi, p. 23 [Gino]: ed.

N. Pilli, c. 6 h [e. s.]

243. Uomo, lo cui nome per effetto (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 84 [Gino da Pistoia]. Marciano, ci. IX it., 191, e. 96 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. F. Tasso, p. 13 [Gino]: ed. N. Pilli, c. 19 h [e. s.]: ed. S. Giampi, p. 51 [e. s.]

244. Uomo smarrito, che pensoso vai (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 75 [Gino da Pistoia]: M, VII, 142, e. 41 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 12 [e. s.] Vat. 3213, e. 236 [e. s.]: 3214, e. 140 [e. s.] Magi. VII, 991, e. 67 [e. s.]

Riccard. 2846, e. 18 [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 166 [e. s.] Laur., plut. XL, 50, e. 8 [e. s.] Bibl. Naz. di Fiienze, palat. 204 [e. s.]

Edizz.: Allacci, Poeti antichi, p. 279 [Gino da Pistoia]. Gino DA Pistoia, Rime, ed. S. Giampi, append. , p. 13 [Gino].

245. Vedete, donne, bella creatura (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 72 [Gino da Pistoia]. Vat. 3213 , e. 234 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Magi. VII, 1208, e. 11 [e. s.] Marciano, d. IX it., 191, e. 95 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 7 a [G i n o] : ed. S. Giampi, p. 24 [e. s.]

246. Veduto han gli occhi miei si bella cosa (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 117 [Gino da Pistoia]. Bologn. Univ. 1289, e. 161 [e. s.] Vat. 3213, e. 245 [e. s.] Marciano, ci. IX it., 191, e. 98 [e. s.] Ghig. L, IV, 131, e. 198 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.] Laur., pi. XG inf., 3.7 [e. s.]

Edizz.: Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527. Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, e. 31 6 [Gino]: ed. S. Giampi, p. 76 [e. s.]

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 241

247. Vinta e lassa era già V anima mia (son.) C, xvm

Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 71 [Gino da Pistoia]. Bologn. ^^^^^ Univ. 1289, e. 9 [e. s.] Vat. 3213, e. 233 [e. s.]: 32U, e. 152 [e. s.] iMarciano, ci. IX it., 191, e. 94 [e. s.] Riccard. 2846, e. 15 [e. s.] Laur., pi. XL 50, e. 8 [e. s.] Magliab. VU, 1208, e. 12 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 32 6 [Gino]: ed. S. GiAMPi, p. 162 [e. s.]

248. Voi che per nova vista di ferezza (son.)

Mss.: Ghig. L, Vili, 305, e. 74 [Gino da Pistoia]: M, VH, 142, e. 41 [e. s.] Gasanat. d, V, 5, e. 83 [e. s.] Vat. 3213, e. 235 [e. s.]: 3214, e. 156 [e. s.] Riccard. 1118, e. 139 [e. s.] Laur., pi. XL, 50, e. 8 [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 8 [e. s.]: 2448 [e. s.] God. Galvani [e. s.] Marciano, ci. IX iL, 191, e. 95 [e. s.] Veronese 445, e. 51 [Dante]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204 [e. s.]

Edizz. : Gino da Pistoia, Rime, ed. N. Pilli, c. 5 a [Gino]: ed. S. GlAMPI, p. 19 [e. s.]

249. Voi che per somiglianza amate i cani (son.)

Ms. : Barber. XLV, 47, e. 155 [Gino da Pistoia]. Edizz. : Allacci, Poeti ani. , p. 277. Gino da Pistoia, Rime, ed. S. GiAMPi, append., p. 12 [Gino].

XVIII. Ciclo de la barba di Pisa.

Compiutamente messo intenzione (canz.) Ms.: *Vat. 3793, e. 34a [Giolo de la barba di pisa].

XIX. Colonna Egidio.

Fa, sposizione mia, sicuramente (quartina)

Ms.: Laur., pi. XLI, 20, e. 25 [a non.]

Edizz.: G. Gavalcanti, Canzone d' amore con l' esposiiione del Maestro Egidio Colonna Romano degli Eremitani. Siena, Marchetti, 1602, p. 50 [E. Colonna]. Bandini, Calai, codd. Hai. Bibl. Med. Laur., voi. V, p. Ili [anon.]

Voi. HI, Parte II. 16

242 e. « L. FRATI

^' ^^ XX. Colonne (Delle) Odo.

COLONNE 0.

0^^ ?a55a innamorata (canz.)

Ms.: Vat. 3793, e. 6 [Incerto].

Ediz.: Allacci, Poeti ant., p. 4-99 [Odo delle Colonne].

XXL Compagnetto da Prato.

1. Per lo marito ch'ho rio (canz.)

Ms.: *Vat. 3793, e. 256 [Compagneto da prato].

2. L'Amor fa una donna amare (canz.)

Ms.: *Vat. 3793, e. 25 6 [Compagnetto da prato].

XXII. Compagni Dino.

1. Al novel tempo e gaio del pascore (L'Intelligenza).

Mss. : Magi. VII, 1035 e. 1 [Dino Compagni]. Laur. Gadd. 74, e. 21 [anon.]

Edizz. : OzANAM, Documents inédits pour servir a V hist. littér. de l' Italie. Paris, 1850, p. 138 e 321. Trucchi, I, 9 [anon.]

2. Amor mi sforma, e mi sprona valere (canz.)

Mss.: Laur. Gadd. 193, e. 41. * Veronese 445, e. 62 [Dino Compagni].

Ediz.: D. Compagni, Cronaca colla Diceria a papa Giovanni XXU e alcune rime. Prato, Guasti, 1846, p. 266 [Dino Compagni].

3. L' intelligenza vostra, amico, è tanta (son.) (1)

Mss.: *Vat. 32U, e. 1506 [Dino Compagni]. Riccard. 2846, e. 98 6. Moiickiano 5.

Ediz. : Ozanam, Documents inédits pour servir à V hist. littér. de V Italie. Paris, 1850, p. 319.

4. Non vi si monta per iscala d' oro (son.) (2)

(1) A Mastro Giandino.

(2) A Guido Guinizelli.

I

COMPAGNI D.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 243

Mss.: Vat. 321 4, e. 165. * Veronese 445, e. 64 [D i n o C o m p a g n i]. ^ j. ^.jj Riccard. 2846, e. 98 b. Bologn. Univ. 1289, e. 29 L '

Ediz. : Crescimbeni, ed. Yen., Ili, 117 [Dino Compagni].

5. 0 sommo saggio, e di scienza altera (son.) (1)

Mss.: *Vat. 3214, e. 165 [Dino Compagni]. * Veronese 445, e. 65 [e. s.] Riccard. 2846, e. 97. Moiick. 5, e. 65. Cod.

Bartoliniano.

Ediz.: Scelta rime antiche [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 64 [Dino Compagni].

6. Ovunque Amore in sua forza mi carpa (son.)

Ms.: *Vat. 3214, e. 166ò [Dino Compagni]. Ediz. : OzANAM , Documents inédits pour servir à l' hist. littér. de l'Italie. Paris, 1850, p. 309.

7. Se mia laude scusasse te sovente (son.) (2)

Mss.: Vat. 3214, e. 166 [Dino Compagni]. Ediz.: Trucchi, I, 264 [Dino Compagni].

G. E L. Frati

(1) A M. Lapo Saltarell, che risp. col son. : Vostra questione è di sotti l matere.

(2) A Guido Cavalcanti.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV

NEL CODICE 277 EX BRERA AL R. ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA

Federigo d'Aragona re di Trinacria mandò in dono nel 1316 al doge Giovanni Soranzo un leone ed una leo- nessa (1), i quali come furono portati a Venezia, vennero rinchiusi in una stanza a terreno del palazzo ducale, che era stata ridotta a guisa di gabbia. Stava essa nel porti- cato presso le abitazioni dei gastaldi o banditori del doge, ed era stata separata dallo spazio esterno con piccole travi disgiunte le une dalle altre, talché le belve non po- tevano uscirne ed erano di continuo in vista del pubbli- co. In breve la leonessa fu fecondata dal leone, e dopo tre mesi nella mattina del 12 Settembre 1316 diede alla luce tre leoncini « vivos et pilosos » come è attestato

(1) Risulta dai documenti registrati nei primi tre libri dei Comme- moriali al R. Archivio di Stato a Venezia che il re Federigo fu sempre nella migliore corrispondenza con Venezia. Sotto il suo regno furono fatte molte trattative tra i due Stati perchè i Veneziani volevano che fosse data una conveniente indennità a quanti dei loro cittadini erano stati danneg- giati nella guerra del Vespro Siciliano. Le pratiche andarono in lungo solo perché Federigo non poteva per le condizioni dell' erario pagare la somma richiesta; le trattative erano in corso anche quando furono da lui donati i leoni alla Repubblica.

G. MONTICOLO POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 245

da un documento di quel tempo (1). Il fatto era insolito perchè generalmente si credeva che nei nostri climi e nello stato di cattività la leonessa non potesse procreare, e che ad ogni modo i feti nascessero quasi senza le ap- parenze della vita (2) e dopo una gestazione molto più lunga, laonde non deve sembrare strano che i Veneziani ne sieno rimasti molto meravigliati. Era stato testimonio della nascita dei leoni anche il segretario ducale Giovanni Marchisini a cui il doge ordinò di comporre una breve memoria dell' avvenimento e di registrarla (3) in uno degr importantissimi volumi della Cancelleria che conte- nevano le trascrizioni utTiciali dei trattati seguiti tra Ve- nezia e gli altri Stati. Infatti quella scrittura si legge alla carta 13 del volume IV dei « Pacta » col titolo di « Leo- nissa pariens » e con la data del 12 Settembre 1316, vale a dire del giorno stesso nel quale era avvenuto il parto meraviglioso. È notevole il tono enfatico dell' esor- dio come se il documento si fosse riferito ai supremi interessi della Repubblica; la registrazione venne fatta « ad eternam rei memoriam tam personariim nunc viven- cium quam futurarum et quod publice omnibus innote- scat » non altrimenti che se quello fosse stato il ricordo d'una splendida vittoria o d'un trattato molto onorevole,

(1) Il documento fu pubblicato dal Cecchetti nel fascicolo 55 del- VArchmo Veneto {La Vita dei Veneziani nel iSOO. L La città e la laguna p. 8, nota 1).

(2) Aristotele nel libro IV cap. VI dell'opera nepi ^(pcov y£vso"£w^), osserva che i leoni nascevano ciechi, e senza articolazioni (àdidp^qtùTa) a lui si riferisce Plinio nel libro VIII cap. XVII della sua Historia natu- ralis.

(3) Il documento sopra ricordato termina cosi la sottoscrizione: « Ego lohannes Marchisini, ducatus Venetiarum notarius, sicut oculata fide vidi nativitatem dictorum animalium, sic de mandato dicti domini ducis pre- dieta scripsi et registravi ».

246 G. MONTICOLO

e vantaggioso, e Y importanza che con enorme esagera- zione si volle dare a quell'avvenimento dagli stessi uomini pubblici nei loro atti di governo , non si può spiegare che trasportandosi col pensiero in tempi nei quali anche negli Stati che davano continue prove di sapienza pra- tica, il misticismo dominava le menti e spesso impediva di vedere e giudicare i fatti nel loro valore reale. Secondo le vedute del tempo quel parto cosi meraviglioso doveva avere un significato ed essere il simbolo d'un grande avvenimento che si riferiva ai supremi interessi della città e forse poteva essere conosciuto mediante l' esame di tutte le circostanze di tempo e di luogo nelle quali il fenomeno si era presentato. Anche sotto un altro aspetto il documento dei « Pacta » è degno di nota perchè Federico vi è ricordato come re di Sicilia « per sere- nissimum dominum Fredericum Sicilie regem » mentre per il trattato con Bonifacio Vili non poteva portare altro titolo legale che quello di re di Trinacria.

Altri documenti ci dimostrano che a Venezia anche gli uomini di lettere furono molto colpiti da queir avve- nimento meraviglioso e ne trassero la materia per com- porre poesie in lode della Repubblica. Alcune di esse ci sono state conservate da un prezioso manoscritto del R. Archivio di Stato di Venezia con le indicazioni dei loro rispettivi autori, che furono il maestro di grammatica Giovanni, il gran cancelliere ducale Tanto e un frate Pietro dell' ordine dei Predicatori. 11 codice che con- tiene le poesie sul parto della leonessa, è 1' antichissimo registro ufficiale delle Promissioni ducali , composto sotto il doge Francesco Dandolo (1), successore imme-

(1) La natura dell'articolo mi impedisce di confermare la mia affer- mazione con le debile prove; per ora soltanto osservo che la Promissione di Francesco Dandolo non solo si distingue dalle precedenti per la mag-

i

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 247

dialo di Giovanni Soranzo (1). I versi si leggono nelle sei ultime carte del codice (2) e vi furono trascritti da due copisti di quel tempo, come risulta dai caratteri i quali manifestano le forme proprie del secolo XIV. La trascri- zione potè esser fatta per ordine del Governo o per ini- ziativa personale di qualche scrivano della Repubblica, ma delle due opinioni è a mio giudizio più probabile la prima. È vero che i registri ufficiali della Cancelleria ve- neziana, specialmente quando per la loro antichità non servi- vano più oltre ai bisogni dello Stato o del pubblico ovvero quando si tenevano soltanto come libri di consultazione, perchè quasi tutti i loro fogli erano stati riempiuti, venivano talvolta usati dagli scrivani nelle pagine bianche per fini molto diversi da quelli con i quali nella loro origine erano stati composti; infatti quei copisti più d'una volta di pro- prio arbitrio e per passatempo scrivevano su quelle carte più cose di genere diverso e tra le altre molti passi più 0 meno lunghi di poeti classici italiani e latini che sape- vano a mente. Cosi il Liber Comunis secundus ha in più luoghi (3) qualche verso di Virgilio, d' Ovidio e d' un anonimo italiano del secolo XIII o XIV (4); così nel Liber Comunis primus furono scritti alcuni motti in latino (5)

giore diligenza e nitidezza della trascrizione, ma anche perché ci presenta di fianco al prologo in miniatura il ritratto del doge, circostanza che in un registro ufficiale ha grande valore per indicarne l'origine. Le quattro Promissioni seguenti sarebbero state registrate in seguito, probabilmente di mano in mano che erano state giurate dai rispettivi dogi.

(1) Giovanni Soranzo mori il 31 Decembre 1328, come risulta dal registro delle Promissioni (e. 58 A).

(2) Dalla 138 A a tutta la 143 B.

(3) Alle carte 63 B, 218 B, 219 A, 219 B.

(4) Cosi anche il motto: « si vis bonum potare lac, lac pota de vacha ».

(5) Alla e. 123 B; tra gli altri si legge il seguente: « ac porta {il cod. ha portam) tecum si vis comedere mecum; si te non portabit {cioè si tu non portabis) con mego non manducabit {cioè manducabis).

5^48 G. MONTICOLO

e molti versi italiani (1), tra i quali tre lunghi frammenti della Divina Commedia trasformati nella sintassi e nella struttura delle parole per influenza del dialetto veneziano e talvolta anche alterati in qualche luogo ove la memoria non assisteva con fedeltà l' opera dello scrivano (2). Ma mentre i versi contenuti in que' due registri per la ma- teria e per la forma poco accurata della scrittura corsiva hanno tutte le apparenze di aggiunte casuali, irregolari ed arbitrarie, le poesie del codice ex Brera manifestano una trascrizione nitida e diligente e direi quasi una scrit- tura solenne, come quella che troviamo non solo nel testo delle Promissioni ma anche nella maggior parte degli altri registri ufficiali della Repubblica nei secoli XIII e XIV. Inoltre se Giovanni Soranzo ordinò che del parto meraviglioso si facesse menzione nel quarto volume dei Pacta, a più forte ragione si può ammettere che il Go- verno abbia prescritto più tardi la trascrizione delle poesie composte su quel tema, nei registri dello Stato, tanto più che alcune erano state fatte per ordine del doge stesso e così avevano quasi il carattere di documenti pubblici. D'altra par- te facilmente si comprende il motivo per cui tra i numerosi registri ufficiali fu scelto il codice delle Promissioni se si

(1) Furono scritti alle carte 6 B, 58 A, 103 A, e sul foglio di guardia.

(2) I frammenti appartengono al canto III dell'Inferno («per me se va ne la cita dolente mi messe dentro ale sagrete cosse »), all' XI del Purgatorio («ho (sic) padre nostro che nen cieli stay ma per chello eh' è 'nrieto a noy restalo »), al VI del Purgatorio quando se parte el zogo de la zara si chuy porze la man più non fa presa »). Notevole è l'ultimo perché di fianco ha il sorite: « Chi ben beve, ben dorme; chi ben dorme, mal no pensa; chi mal no pensa, mal no fa; chi mal no fa, in paradiso va; ora ben beve che paradiso avere » e dall'altra parte: « tasi, mato bachion » parole con le quah lo scrivano forse ri- spondeva a un suo collega che lo importunava con le chiacchere, e più sotto: « caro conpare, andemo a conscio a piar... > ove la ommissione dell'oggetto toglie il senso alla frase.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 249

considera che in quei versi erano state trovate analogie nuove tra la nascita dei leoncini e il leone, simbolo di S. Marco, il quale alla sua volta era il simbolo della Re- pubblica e si identificava con essa e col suo principe. Inoltre il registro delle Promissioni era il più importante perchè conteneva gli statuti politici della Repubblica e però era il più adatto ad accogliere poesie che si riferi- vano alla grandezza della città e ne preannunziavano nuove glorie.

Il registro consta di più fascicoli in foglio , eguali nella forma, ma diversi nel numero delle carte; ciascuno di essi per lo più contiene una sola Promissione^ e i sette ultimi vennero aggiunti o scritti in più tempi tra la morte di Francesco Dandolo e la elezione di Giovanni Grade- nigo (1339-1355). Le forme dei caratteri dimostrano che la registrazione dei documenti ufficiali nel codice venne fatta da più scrivani ; uno di essi fu « Bonincontrus fìlius Nicolay Bovi de Mantua » (1) che nei registri del Mag- gior Consiglio è ricordato più volte col titolo « ducatus Veneciarum scriba » (2) o « notarius curie maioris » (3); nel codice delle Promissioni (4) trascrisse quella di An- drea Dandolo e poi aggiunse in rosso:

« qui partem primam Bonicontrus scripsit et ymam ».

Nel principio del secolo XIV a Venezia non mancava chi si dilettasse di poesia, ma anche in quella città quanti col-

(1) Cosi il suo nome appare in un documento del 15 ottobre 4315 pubblicalo da L. Pedrin nell' opuscolo Lupaii de Lupatis, Bovetini de Bovetiìiis, Alhcrtini Mussati nec non Jambonì Andreae de Favafuschis carmina quaedam ex codice veneto nunc primum edita. Padova, 1877, Tip. Seminario (a. pag. S3).

(2) Presbiter e. 124 B, Neptunus e. 102 A etc.

(3) Presbiter e. 135 A, Neptunus e. 102 A eie.

(4) Cod. 277 ex Brera a e. 95 B.

250 G. MONTI COLO

tivavano queir arte consideravano come sommo maestro Al- bertino Mussato che da poco tempo (1) a Padova aveva avuto la corona poetica alla presenza dell' Università in- tera, e così il maestro Giovanni e il cancelliere Tanto gli scrissero dei versi sulla nascita dei leoni per provocare da lui una risposta nella quale l'avvenimento fosse cele- brato con tutto lo splendore dell' arte e in modo degno della grande llepubblica.

Il maestro Giovanni compose per il primo alcuni distici intorno a quel fatto e li dedicò al doge Giovanni Soranzo. Poche notizie ci sono rimaste su quel poeta; solo si sa che allora professava grammatica a Venezia ed era amico del Mussato il quale gli scrisse due epistole in due circostanze diverse (2). Il Gloria (3) trovò in un documento originale del Museo Civico di Padova con la data del 5 Gennaio 1306 il ricordo di un « magistro lohanne professoris gramatice, quondam domini Naxin- bene de contrata sancte Crucis » e notò che a suo giu- dizio il maestro Giovanni sarebbe stato innanzi al 1314 professore di grammatica nella Università padovana (4). I distici si leggono a e. 138 A del codice « ex Brera » e sono, per quanto mi consta, il solo documento che attesti come quel grammatico attendeva anche a scrivere in poesia. I versi sono alquanto pedestri nei concetti e nella

(1) Nel natale del 4314 secondo lo Zardo (Albertino Mussato. Studio storico e letterario, Padova, tip. Seminario 1884, p. 153). Cf. anche i Monumenti della Università di Padova Ì222-Ì3i8 raccolti da Andrea Gloria pp. 364 sg. (nelle Memorie del r. Istituto Veneto di scienze, let- tere ed arti voi. XXII parte II e III. Venezia Antonelli 1885-87).

(2) Sono le episole IV e XV.

(3) Gloria op. cit. parte III pag. 608.

(4) L' epistola IV ove il Mussalo ricorda la incoronazione, dimostra che il maestro Giovanni stava già a Venezia nel tempo in cui quella poesia era composta.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 251

forma e talvolta anche peccano contro la chiarezza; l'au- tore dopo r invocazione a Giovanni Soranzo, descrive il fatto, ne rappresenta la novità, tenta di spiegarne il signi- ficato simbolico e ne designa con precisione la data. Le sue spiegazioni si riferiscono alla città ove il parto av- venne e al numero dei leoncini; secondo lui il fatto straordinario era avvenuto a Venezia perchè essa aveva per patrono S. Marco e per insegna il suo leone; i leon- cini erano stati tre perchè tante erano le stirpi dei popoli retti dal doge, i Veneziani, i Greci e gli Slavi.

I distici del maestro Giovanni, benché diretti al So- ranzo, furono mandati, probabilmente dall' autore stesso, al Mussato perchè questi vi rispondesse con altri versi sul medesimo tema infatti tra le poesie di lui si legge, anche nell' edizione del 1623, l' epistola XV, la quale, come r autore afferma (1), è una replica ai distici del maestro Giovanni. Il Minoia nella sua monografìa sul Mus- sato pose r epistola tra le poesie giovanili perchè gli sembrò un lavoretto di scuola nell' invenzione e nella forma (2), ma i distici di Giovanni ai quali il poeta pa- dovano risponde, non lasciano luogo a dubbi sulla data della composizione e dimostrano che l' epistola venne scritta dopo il 12 Settembre 1316, vale a dire quando r autore era giunto al suo cinquantaquattresimo anno (3). La poesia è in forma di dialogo tra il Mussato e Urania,

(1) Il Mussalo ricorda la poesia del maestro Giovanni non solo nel- l' epistola XV, ma anche nell'altra che è inedita e si legge a e. 140 A del codice « ex Brera ».

(2) Minoia. Della vita e delle opere di Albertino Mussato. Roma, Forzani 1884 p. 176.

(3) Sulla nascita del Mussato cf. Gloria op. cit. p. 364, 365, Novati Nuovi studi su Albertino Mussato nei volumi VI e VII del Giornale sto- rico della letteratura italiana, e Marchesini Documenti inediti su Al' bertino Mussalo nel voi. I, fase. 5 e 6 del Propugnatore^ Nuova Serie.

252 G. MONTICOLO

il primo propone alla Musa la difesa dei poeti antichi contro il maestro Giovanni il quale a proposito di quel- la avvenimento aveva scritto :

« nam miranda canunt sed non credenda poetae »

e cosi le domanda la spiegazione di due fatti, vale a dire come mai contro le affermazioni di tutti i poeti la leonessa partorì tre leoncini vivi, e come mai il leone nel suo stato di cattività potè fecondarla. Urania risponde che i due quesiti sono assai facili; non si deve fare alcuna meraviglia se i tre leoncini vennero alla luce in piena vitalità dopo un parto precoce perchè gli esseri forti per natura, spesso col favore degli astri nascono prima del tempo e in perfetta salute come avviene anche nell'uomo; d'altra parte quantunque vi sia esempio di belve nate nelle gabbie, cioè nello stato di cattività, è pur vero che nessuna ragione a noi nota impedisce la nascita degli animali feroci anche in quelle condizioni; ciò peraltro non toglie che il fatto sia fuori delle regole comuni, e per certo è di buon augurio alla città e le preannunzia che diverrà più forte per l' acquisto di vasti domini.

L' epistola del Mussato non piacque al Soranzo per la sua brevità (1) e però il doge diede l' incarico a Tanto, gran cancelliere della Repubblica, di comporre su quel tema una nuova poesia e di mandarla al Mussato per avere da lui in risposta un' altra epistola nella quale la materia fosse svolta con maggiore ampiezza, specialmente per il significato che l' avvenimento poteva avere rispetto ai destini della città. Le poesie composte da Tanto in quella circostanza, furono trascritte nel codice ex Brera

(1) Mi pare che ciò risulti dai versi 10-20 della prima epistola di Tanto.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 253

ed hanno il pregio di farci conoscere non solo un ver- seggiatore sinora ignoto, ma anche una polemica gram- maticale che ci rappresenta le idee e i metodi dei dotti intorno a quella materia nel principio del secolo XIV. Poche notizie si hanno intorno a Tanto e per la maggior parte si riferiscono alle attribuzioni speciali del suo ufficio. Il più antico ricordo di lui, per quanto mi consta, si legge nel Liber Comimis primus (1) a e. 25 A e per la sua importanza merita di essere pubblicato per intero:

« CXII (2). Pro magistro Tanto cancellano.

Millesimo ducentesimo octuagesimo primo, indictione nona, die . xx . marcii fuit capta pars quod magister Tantus cancellarius debeat laudari (3) a populo prò cancellarlo.

Item quod prò notarlo publicetur.

Nota quod die nono exeunte marcio (4) fuerunt pre- dicta in publica conclone laudata et eciam confirmata ».

Dal documento si rileva che Tanto professava gram- matica a Venezia prima che fosse sollevato alla dignità di gran cancelliere di Stato, il quale ufficio non gì' im- pedi di continuare i suoi studi nelle lettere, come risulta dalle poesie del citato manoscritto (5). I registri ufficiali

(1) 11 Liber Comunis primus è il più antico registro delle delibera- zioni del Maggior Consiglio e si conserva a Venezia al R. Archivio di Stato. Il documento fu pubblicato ma solo in parte, con inesattezze nella lezione e senza l' indicazione della fonte dal Tentori nel suo Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica e sulla corografia degli stati della Repubblica di Venezia. Venezia Horli 1785 (III, p. 46 sg.).

(2) Il numero CXII si riferisce alla terminazione ed indica il suo posto rispetto alle altre comprese tra i « Consilia pertinentia Comuni i».

(3) Il doc. significa che la sua nomina approvata dal Maggior Con- siglio, doveva essere proposta per la conferma all'assemblea generale del Comune, chiamala « arengo ».

(i) Il 23 Marzo.

(5) 11 documento rettifica anche la data (1282) che il Sansovino nella Venetia ritta nobilissima rt singolare descritta in XIII /?6n(pag. 121) (issò per la nomina di Tanto a gran cancelliere.

254 G. MONTICOLO

delle deliberazioni del Maggior Consiglio (1) dimostrano eh' egli fu segretario d' una Commissione la quale aveva

(1) Nel Liber Bifrons che fu composto dopo il 6 Aprile 1309, a e. 1 A si legge: « Ego Tantiis cancellarius de precepto Nicolai Arimundo, Ugolini lustinian, Francisci Dandulo, Marini Faletro et Henrici Michaelis cancellari ». Nel Liber Cerberus, di poco posteriore al Bifrons al quale pili volte rimanda (p. e. dopo la terminazione decima di quelle relative al comune, ove si legge: « istud consilium est in Bifrons ad Comune, capitulo 27 ») si trova la firma di Tanto con una dichiarazione consimile dopo le terminazioni 26, 32 e 47 del primo capitolo. Nel Liber Fractus si leggono in piìi luoghi (p. e. a ce. 66 B, 94 B, etc. ) le firme dei commissari e di Tanto, e così pure nel Liber Luna (p. e. a ce. 17 B, 18 A, 18 B, etc.) e nel Liber Zaneta (p. e. a ce. 1 A, 2 B, 5 B, etc); mancano al contrario le sottoscrizioni di Tanto nel Liber Pilostis, ove la stessa Commissione ha costantemente un altro segretario nella persona di « lohanninus Calderarius notarius ». Nel Liber Presbiter a e. 142 B dopo la seconda parte della terminazione del 17 Marzo 1315 che fu can- cellata, si legge: « Ego Tantus cancellarius de mandato dominorum Ni- colai Arimundo, Ugolini lustiniano. Marini Faletro et Henrici Michaelis cancellavi » , laonde parebbe che la Commissione fosse stata nominata non prima del 17 Marzo 1315, se da un'altra testimonianza non risultasse che essa funzionava anche nel 1307; infatti nel Liber Fractus a e. 94 B Tanto aggiunse alla sua solita cancellazione e firma la seguente nota cronologica, la quale ne determina il tempo : « die lovis . viii . februarii quinte indicionis 1306 » e però si deve ritenere che quella Commis- sione sia stata nominata due volte, cioè prima dell'otto Febbraio 1307 e dopo il 17 Marzo 1315. È degna di nota la sottoscrizione di Ugolino Giustinian a e. 66 del Liber Fractus, perché non assisteva in quel giorno all' opera dei commissari ; infatti si legge : « ego Hugolinus Justinianus scribi feci ... » a cui seguono alcune lettere sbiadite e illeggibili (forse « seu mandavi »). La sottoscrizione di Tanto come segretario di quella Commissione, si legge anche nel Liber Magnus dell' Avogaria , che é in continuazione del Liber Cerberus (a e. 1 B, 2 A, 3 B, dopo terminazioni 22 Marzo 1300 - Marzo 1307). La stessa firma si trova anche in altri due registri del Maggior Consiglio, cioè nel Liber Capricornus a e. 58 B dopo una terminazione del 13 Novembre 1311, e per l'ultima volta nel Liber Clincus a e. 25 B dopo una terminazione dell' undici decem- bre 1315, laonde la Commissione, probabilmente fu nominata tra la fine di quell'anno e alcuni mesi innanzi al 1 marzo 1319, rilevandosi da un

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 255

avuto il mandato di cancellare quante terminazioni non avevano più valore perchè erano state abolite da nuovi provvedimenti o erano divenute inutili per altre cause eventuali. 1 commissari furono Nicolò Arimondo, Fran- cesco Dandolo, Marin Falier, Enrico Michiel ed Ugolino Giustinian che più volte non prese parte ai lavori dei colleghi 0 dissenti dal loro voto, e le loro sottoscrizioni sono seguite e in certo modo convalidate da quella di « Tantus cancellarius » o anche « notarius et cancella- rius » , il quale dichiara d' aver cancellato la terminazione 0 le terminazioni precedenti per mandato della Commis- sione. Dai medesimi registri si rileva che Tanto fu se- gretario d' altre due Commissioni, alle quali pure era stato affidato in tempi diversi l' incarico di cancellare le ter- minazioni del Maggior Consiglio che, come sopra si è detto, non avevano più valore; una era formata da Paolo Dol- fino e Nicolò Morosini , 1' altra da « Fiellus Geno » e Andriollus Michael » , ma Tanto spesso appose la sua firma a quelle dei commissari con molta irregolarità per- ché più volte dimenticò di scrivere il suo nome e anche il segno di tabellionato, e però in quei casi la forma della scrittura è l' unico indizio estrinseco per cui le frasi indeterminate « ego cancellarius cancellavi » e simili devono essere a lui solo riferite (1). Il libro primo dei Pacta a e.

documento di queir epoca eh' egli da molto tempo non era più in grado di adempiere agli obblighi del suo ufficio. Tutti i registri che ho ricor- dato in questa nota, si conservano a Venezia al R. Archivio di Stato.

(4) Le firme della prima Commissione si leggono più volte nel Liher Magnus del Maggior Consiglio dopo terminazioni in data 10 Luglio 1302 - 22 Maggio 1305 (e. 60 B, 86 A etc). Le firme della seconda si leg- gono nel Liber Presti ter, pure esso del Maggior Consiglio, a e. 103 A, 111 A et dopo terminazioni in data 28 Agosto e 30 Dicembre 1313 e 6 Gennaio 1314. Anche questi due registri si conservano a Venezia al R. Archivio di Stato.

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716 A prova che Tanto (1) « notarius et ducatus Venetiaram cancellarius » talvolta sopravvedeva alla trascrizione dei do- cumenti che di mano in mano si aggiungevano all'antica rac- colta di quel registro nelle pagine bianche. Spesso lo trovia- mo come testimonio nei contratti del Governo e nelle deli- berazioni della Signoria (2); talvolta anche ci viene pre- sentato dai documenti nell' esercizio delle sue ordinarie funzioni. Cosi nel 15 Aprile 1306 presentò in persona ai magistrati del Piovego un' istanza che Giovanni Magno vescovo di lesolo aveva fatta al doge perchè quegU uf- ficiali determinassero i confini delle terre ed acque ap- partenenti alla sua mensa episcopale (3) ; cosi nel 30 Giu- gno 1310 per comando espresso del doge Pier Grade- nigo trasmise agli ufficiali al Cattaver l' ordinanza che loro imponeva la confisca dei beni di Marco Quirini « de domo malori » implicato nella congiura di Baiamonte

(1) Cf. la mia dissertazione « I manoscritti e le fonti della cronaca del diacono Giovanni » al cap. XXIII, pagg. 207 e 208 nota 1 nel n. 9 del Bullettino dell' Istituto storico Italiano.

(2) Cf. il Liher Fractus a e. 27 B ove dopo la deliberazione presa dalla Signoria il 7 Dicembre 1312 si legge: « ego Tantus cancellarius presens fui ». Maggior numero di testimonianze ci viene dato dai libri primo e secondo dei Commemorali, ove Tanto è testimonio ad atti pub- blici di quel genere dal 7 Settembre 1300 al 14 Luglio 1321. Cf. Pre- DELLi, / Libri Commemoriali, regesti, nei Monumenti pubblicati dalla R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria, Serie I, Docu- menti voi. I, p. 10, n. 27; p. 232, n. 284 eie. Tanto fu anche te- stimonio a un contratto di vendita del 13 Giugno 1306 seguito nel pa- lazzo ducale tra Michele Morosini e il Comune Veneziano; il doc. fu pubblicato dal Vergi nella Storia della Marca Trivigiana V, pp. 19-21 dei docc. che lo trasse dal cod. Trevisaneo, ma ne esistono due copie migliori e più antiche nel hbro I (e. 84 B) e nel libro II (e. 178 A) dei Pacta.

(3) II documento fu pubblicato dal Corner nelle Ecclesiae Torcel- lanae. Ili, 403 sg.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 257

Tiepolo (1); cosi il 3 Aprile 1314 intimò in nome del doge ad Accursio preposto di Pistoia e vicario generale « in spiritaalibus et temporalibus » di Iacopo vescovo di Castello, di ricevere con gli atti del processo laco- bello prete di S. Barnaba, già detenuto col permesso del vescovo nelle pubbliche carceri perchè aveva fabbricato monete false (2) ; cosi pure per ordine del doge nelF Ot- tobre del medesimo anno depose presso i camerlenghi del comune una certa quantità di gemme e di metalli preziosi (3). Tanto fu anche più volte incaricato dell' uf- ficio di procuratore del comune Veneziano per ratificare alcune /convenzioni seguite tra la Repubblica e altre città ; così il 12 Giugno 1316 con Dionigi Adami procuratore del comune di Bologna ratificò la convenzione stipulata a Padova da Leonardo Emo a nome di Venezia col me- desimo Adami, pel quale trattato veniva annullato il de- creto dei due comuni che permetteva ai loro rispettivi cittadini le rappresaglie per alcune offese già avve- nute (4); cosi pure il 3 Settembre 1316 trattò con Zara in nome di Venezia per il pagamento di una somma che la Repubblica doveva a quella città (5). Secondo il Ten- tori. Tanto visse sino al 1323 (6) e venne ascritto alla

(1) Cf. Predelli, op

(2) Cf. Predelli, op. e

(3) Cf. Predelli, op

(4) Cf. Predelli, op. e

(5) Cf. Predelli, op

p. 101, n. 435.

it. p. 139, n. 615.

it. p. 146, n. 639.

it. p. 158, n. 698.

it. p. 160, n. 706. L'esame degli altri do- cumenti Veneziani del secolo XIV potrà dare altre notizie sulle legazioni di Tanto, perchè il Sansovino (op. e loc. cit. ) afferma che fu mandato ambasciatore « in più luoghi a diversi principi per le bisogne della città »; a Venezia non ho potuto compiere le ricerche intorno a questa parte del tema.

(6) Tentori, op. e loc. cit. Del resto la seconda epistola del Mus- sato compresa in questa collezione dimostra (v. 14) che Tanto era molto più di lui innanzi cogli anni.

Voi. Ili, Parte 11 17

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nobiltà Veneziana, ma quella data non è molto esatta. Infatti il registro del Maggior Consiglio intitolato Phro- nesis ha due documenti i quali danno molti particolari intorno agli ultimi anni di Tanto e al tempo della sua morte. Uno di essi il quale si legge a e. 12 B, dimostra che nel Marzo 1319 Tanto era assai vecchio, e da molto tempo non poteva attendere con assiduità (1) ai doveri del suo ufììcio; esso è il seguente: « Die primo ».

« Cum cancellarius maioris curie sit multum senex et antiquus ita quod non potuit, iam est diu, nec potest bene exercere officium cancellarle, et, sicut est notorium, Pistorinus substinuerit et substineat prò eo totum onus, capta fuit pars quod de cetero idem Pistorinus sit vice- cancellarius maioris curie, et quod omnes notarli maioris curie, eidem respondeant et obediant sicut faciunt can- cellarlo; et prò isto labore addantur dicto Pistorino vi- cecancellario soldi . xl . grossorum annuatim, ita videlicet quod sicut habebal annuatim prò suo salario libras . x . grossorum, ita de cetero habeat libras . xii . grossorum in anno ».

L' altro documento si legge a e. 126 A, è in data del 12 Febbraio 1324 e dimostra che Tanto era già morto; tale infatti è il testo:

« Quod Pistorinus vicecancellarius sit de cetero can- cellarius ducatus Veneciarum cum salario et condicionibus cum quibus erat magister Tantus qui nuper decessit, et

(1) La frase del documento « non potuit, iam est din, nec potest bene exercere officium cancellane » significa che da un pezzo Tanto non era assiduo al suo ufficio, non già che non vi attendesse mai ; difatti, come ho notato sopra, dai documenti dei due primi libri dei Commemo- ridi si rileva ch'egli fu testimonio ad atti pubblici anche il li lugHo 1321.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 259

nichilominus quando continget fieri arrenga, laudabitur in ea et prò notario Venetiaram » .

« De non 15, non sinceri % de sic 637 » (1) Tanto ebbe anche un figlio di nome Pietro, come risulta da un documento del 10 Dicembre 1307 del libro primo dei Commemoriali (2) in cui frate Algisio, priore dei Predicatori in Grecia, scrisse al doge Pietro Gradenigo d' aver eseguito gli ordini di lui insieme al priore di Tebe, dando a Pietro figlio di Tanto il possesso della prebenda Tebana (3).

(1) Le frasi danno le cifre della votazione. « Non sìnceri )> significa « astenuti ». Lo stesso documento si legge anche nel registro Neptunus dell' Avogario, ma, caso strano! con un'altra data (7 Febbraio 1324 a e. 232 A.

(2) Cf. Predelli, op. cit. p. 81, n. 343. Forse anche figlio di lui fu quel Marco, scrivano ducale, che più volte fu il segretario di alcune Commissioni incaricate di cancellare le terminazioni nei registri del Mag- gior Consiglio ; il suo nome si trova spesso nelle firme con l' aggiunta « fìlius cancellarli » o « filius condam cancellarli » nei registri Capri- cornus (e. 40 A), e Presbiter (e. 65 B, 66 A etc).

(3) Il Cecchetti nella memoria intitolata Libri, scuole, maestri, sussidii allo studio in Venezia nei secoli XIV e XV (Archivio Veneto, voi. XXXII, pp. 329-365) non fa mai menzione di questo maestro di grammatica e poeta. Il lavoro del Cecchetti ha al soUto le tracce della fretta precipitosa con la quale venne composto ; non solo v' è grande disordine nella materia, ma anche alcune testimonianze non sono state ricordate; e altre non sono state esaminate come si doveva. Per esempio egli cita il noto documento del 982 che si riferisce alla fondazione del monastero di S. Giorgio Maggiore (ed. dal Cicogna, Iscrizioni Vene- ziane, IV, 284-288) e vi ricorda la sottoscrizione « Signum manus Dominici magistri Dimitrii » ove nota che per il a signum manus » la persona non poteva essere un maestro di grammatica, ma un arti- giano, ma non considera che il genitivo « magistri Dimitrii » poteva benissimo designare anche il padre del firmatario. Lo stesso documento gli avrebbe potuto dare una testimonianza non dubbia nella sottoscrizione « ego Martinus presbiter et grammaticus manu mea subscripsi », ma egli non ne fece mai menzione! A pag. 331 si legge: « Sola memoria

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Tanto compose V epistola in distici e in essa descrisse il fatto, ne rivelò le circostanze straordinarie, attribuì il prodigio a S. Marco, e anche ne determinò con molta precisione il tempo e la rispettiva posizione degli astri perchè il Mussato nella replica per mezzo di Urania ne rivelasse il significato recondito. Il doge non fu molto soddisfatto della poesia (1), nondimeno ordinò che fosse mandata a Padova al Mussato (2). Tanto obbedì, ma unì ai distici un' altra epistola come introduzione, e in essa dopo le lodi del sommo maestro che viene paragonato a Vir- gilio e dopo il ricordo della sua laurea poetica gli mani- festò le ragioni per le quah gli mandava i distici susse- guenti. « Il Soranzo », osservò Tanto, a lesse la poesia del Mussato, ma avrebbe desiderato che il tema fosse stato svolto con maggiore ampiezza ; gli Dei sogliono es- sere più loquaci quando rivelano all'uomo i suoi destini; Urania al contrario tanto andò per la via più breve che per suo influsso il poeta in quella epistola, rispondendo alla Musa, usò come breve una sillaba lunga » . L' os-

nei documenli veneziani antichi di un lavoro poetico del sec. XIV, che troviamo nei libri delle Grazie è del 4331,15 Dicembre, in cui si dice: « Maestro castellano, qui compilavit metrice lihrum de historia quon- dam domini pape Alexandri et Imperatoris Frederici de guerra et pace habita inter eos et poslmodum Venetia confirmata, secundum quod de- picta est in sanclo Nicolao de palacio et Cronicam ad honorem domini

ducis et Comunis Veneciarum cum magno studio et labore Grazie

reg. IV ». Ora lasciando da parte l'errore di credere che nel sec. XIV non vi sieno slati altri poeti a Venezia, noterò che l'autore intese la parola a castellano » come se il documento avesse ricordalo un mae- stro del sestiere di Venezia chiamalo « Castello » mentre è evidente che quelle parole si riferiscono al celebre Castellano bassancse.

(i) Ciò si rileva dal verso 31 della prima epistola di Tanto.

(5) Che il Mussato fosse allora a Padova, si rileva anche dall'ultimo verso della seconda epistola di Tanto.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 261

servazione di Tanto si riferiva al verso 16 dell' epistola del Mussalo:

« et bene propositis illa sopita tuis »

ove r « 0 » di (( sopita », lungo per natura, era stato usato come breve. Inoltre Tanto indicò al poeta le que- stioni che in quella poesia non erano state trattate; in- fatti soggiunse: come mai il Mussato non indicò il mo- tivo per cui il parto fu triplice? perchè non volle spie- gare la nascita di animali in condizioni di vita e di clima cosi diverse da quelle che ad essi erano naturali? i dubbi potevano essere risolti traendo V oroscopo del fatto, e però i distici che seguono l' epistola, indicheranno con molti particolari al poeta la posizione degli astri nella mattina del 12 Settembre perchè Urania trovi col loro sussidio le ragioni profonde di queir avvenimento.

Il Mussato rispose con una lunga epistola in distici la quale manca nelle edizioni ed è molto importante non solo per il valore intrinseco, ma anche perchè è un do- cumento di una controversia in materia grammaticale. L' epistola è al pari dell' altra in forma di dialogo tra il poeta ed Urania, la quale risolve i dubbi e i quesiti che le sono proposti. La poesia consta di tre parti, ma la prima (vv. 1-30) serve solo come proemio alle altre due e comprende l' elogio di Tanto, specialmente per le cognizioni astronomiche delle quali aveva dato prova nei suoi distici. Nella seconda parte (vv. 30-66) Urania spiega il motivo per cui nell' altra poesia aveva illustrato il fatto con tanta brevità, e afferma che gli astri sono troppo nobili perchè vogliano dichiarare i fatti insoliti avvenuti negli animali; d'altra parte essa conosce il futuro non solo per r esame delle stelle, ma anche osservando le ombre dei morti, le viscere degli animali, i fulmini e i

262 G. MONTICOLO

tuoni, il volo e il canto degli uccelli, gli urli delle fiere, e aggiunge che dall' osservazione di questi fenomeni e non da quella degli astri potè preannunziare a Venezia grandi conquiste, laonde mentre ripete il presagio del- l' altra epistola, dichiara che non seguirà il poeta nelle sue indagini astrologiche. Nella terza parte sono svolte alcune osservazioni relative all' etimologia e alla metrica, e in primo luogo il poeta per respingere 1' osservazione di Tanto fa giustificare da Urania 1' uso di « sopita » con r « 0 » breve. Gli argomenti addotti dalla musa sono due; l'uno è affatto teoretico (vv. 71-80), l'altro si fonda suir esempio dei classici ; « sopita » poteva essere usata anche in quel modo perchè secondo la testimonianza del lessico etimologico di Uguccione da Pisa deriverebbe da « sopor » ove la prima sillaba è breve (1) ; inoltre Ovidio nel verso decimo della decima eroide:

(1) Il passo del lessico di Uguccione a cui il Mussato si riferisce è il seguente secondo la lezione del codice Laurenziano S. Croce Sin. XXVll. 5 (c. 76 B)che qua ho corretto, togliendone alcuni evidenti errori di trascrizione col sussidio dei codici Laurenziano S. Croce Sin. XXVII, 1, 7, (sec. XIII), Marciano Lat. XIII. 16 (sec. XlIl-XIV), Vaticano Regina Lat. 1648 (dell'anno 1259) e 1627 (sec. XllI) e Vaticano Ottoboniano 1251 (sec. XllI).

^ Sopio . pis . vi . tum, id est facere dormire, sedare, extinguere, terminare, conpescere, facere quiescere, unde sopitus . a . um et sopi- bilis . le . et conposito insopibilis . e . Item a sopio habetur sopor . ris, id est somnus sed sopor levis, somnus perpetua quies. Item sopor ipsa quies et sua- vitas et quietudo somni ; unde sepe contingit quod in aliquo est somnus in quo non est sopor, sed in quocumque est sopor , est somnus; unde soporus . a . um, id est quietus, dulcis, suavis, vel sopitus et dormiens, et soporo . as, id est sopire, facere dormire, et proprie cum sopore; unde soporabilis . le . liter . litas, et conposito consoporo . as; est etiam soporo aclivum cura omnibus suis conposiiis. Item sopor conposito soporifer . a . um, id est somnifer . a . um, soporem ferens. Item sopio conposilo assopio . pis, id est a sopore excitare et removere, consopio . is, simul sopire, et dissopio . pis, et desopio . pis in eodem seusu, id est absopire ; exso-

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 263

« Thesea prensuras semisopita manus »

la usò con l' « o » breve (1), quindi per l'una ragione e per 1' altra 1' osservazione di Tanto non avrebbe per Urania alcun fondamento. Ma il Mussato alla sua volta dalla difesa passa all' assalto, e domanda ad Urania per- chè mai Tanto, che pure avverte negli altri gli errori di quantità, spesso usi nei suoi esametri una vocale breve nella prima sillaba del terzo piede; infatti i versi della epistola di lui mostrano più volte quello sconcio p. e. il 45, il 65, il 71, r 87. Urania risponde che quello è un difetto assai grave e comune ai poeti poco esperti i quali ignorano V arte, ma che a Tanto, suo prediletto, concede in via di grazia queir abuso. Il Mussato replica con due distici di chiusa nei quali augura lunga e felice vita al doge e al gran cancelliere, ma nel penultimo verso:

« dux quoque lustrales ducat feliciter annos »

imitando la frase dell' epistola di Tanto (v. 84) :

« annus lustralis quo ducat iste fuit »

gli fa indirettamente due appunti, l' uno perchè nel v. 84 r « u » di « ducat » venne usato come breve mentre deve essere lungo per natura, 1' altro perchè secondo la grammatica quel verbo avrebbe dovuto essere costruito

pio, pis, similiter absopire; resopio, pis iterum sopire vel a sopore re- movere. Sopio et eius conposita adiva sunt et corripiunt liane sillabarli so . ».

(1) È da avvertire che nelle migliori edizioni critiche delle Eroidi^ p. e. in (piella procurata dal Merkel (Lipsia, Teubner, 1884, I, p. 105), fu preferita la lezione « semisiipina j> ; la voce « semisopita » é data da due soli manoscritti (op. e loc. cit. , pag. XVIIl).

264 G. MONTICOLO

non già in modo assoluto, ma col complemento oggetto ; la doppia censura viene fatta con la maggiore finezza, vale a dire soltanto col contrapporre un verso ove « ducat » ha lunga la prima sillaba ed è costruito come verbo transitivo.

A queste osservazioni cosi gravi Tanto doveva re- plicare e però scrisse al Mussato altre due poesie per difendere l' errore, V una in distici , l' altra in giambi. Nelle due composizioni la difesa è formata da una serie di sofismi e vaniloqui etimologici senza fondamento di verità, ma nella prima alla meschinità dei concetti s' ag- giunge r incertezza e l' oscurità della forma, laonde tanto r interpretazione quanto la punteggiatura presentano dif- ficoltà non lievi.

I distici si leggono alle ce. 141 B, 142 A, B del noto manoscritto e a mio parere si possono raccogliere in due parti. Nella prima mi sembra che sia compreso un breve dialogo tra Y autore e il verso « ducat » ; Tanto si rivolgerebbe a quella parola deplorando che essa gli sia stata causa di disdoro per l' errore nella quantità della prima vocale; il verbo gli risponderebbe che il Mussato errò in quel giudizio perchè non avendo trovato la vera derivazione di « ducat », confuse quel vocabolo con « ducere » ; le due parti si rivolgerebbero ad Apollo, alle Muse ed a Pallade perchè la controversia fosse col loro intervento definita. Dopo l' invocazione comincia la seconda parte; quelle divinità sono scese dal cielo per assistere alla disputa. Anche qui a mio giudizio quello che parla è il verbo « ducat » , il quale così ragiona : vi sono due « duco » , l' uno della terza coniugazione e d' uso classico, T altro della prima e proprio dell' idioma veneziano ; il secondo è più nobile del primo perchè de- nota r ufljcio del doge, ed ha anche T « u » breve e una costruzione diversa, essendo usato senza oggetto; « du-

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 265

care » deriva da « dux » direttamente, ma « dux » da « duxi » e « duxi » da « ducere » , quindi « ducere » sarebbe il bisavo di « ducare », ma non è assurdo che il pronipote abbia un significato più nobile perchè anche Abramo secondo la Genesi fu più grande di suo padre. Il verbo quindi si rivolge al poeta e gli dice che Tanto non può condannarlo anche se il Mussato fu indiretta- mente eccitato a correggere 1' errore ; queir eccitamento deve essere stato fatto solo per prova perchè il padre non può sacrificare il figlio; nello stesso modo Dio or- dinò ad Abramo il sacrifizio di Isacco, ma poi impedi che il comando fosse eseguito.

La poesia in giambi è d' interpretazione molto meno diffìcile e si legge, nel codice alle carte 142 B e 143 A. Essa è diretta al Mussato e forse rispetto alla precedente si trova nella stessa relazione che la prima epistola verso i distici intorno alla nascita dei leoni. Tanto loda il poeta padovano e ripete con maggiore chiarezza l' argomento principale dei distici; « ducat » deriva da « ducare », voce che é in uso solo a Venezia, e però è ancora ple- bea e non è giunta alla sede delle Muse, ma a poco a poco anch' essa, come le altre, perderà il nativo squal- lore e diverrà degna dell' Elicona e di Tempe.

Con queste poesie termina la controversia tra i due scrittori, ma il codice comprende altre tre composizioni che più 0 meno direttamente si riferiscono a quelle che ho sinora ricordato. L'una è una rozza e breve serie di esametri dedicati al Soranzo e composti da un frate Pietro dell' ordine dei Predicatori. A Venezia in quel tempo viveva appunto Pietro Calò da Chioggia che ap- parteneva ai Domenicani e aveva raccolto da varie fonti la materia per comporre le biografìe dei Santi. L' opera non venne mai stampata, probabilmente per la sua mole perchè è quasi il quintuplo della Legenda aurea di la-

266 G. MONTICOLO

copo da Voragine, ma ha un valore immenso e però fu usata più volte negli Acta Sanctorum (1). Le scarse no- tizie biografiche intorno al Calò mi impediscono di affer- mare con sicurezza eh' egli si dilettasse anche di comporre versi, laonde non posso provare la sua identità con 1' au- tore degli esametri. In essi è descritto il parto della leo- nessa come pegno di nuove felicità per Venezia, ma la poesia rivela nell' autore V uomo di chiesa e non l' uomo politico non tanto per V imagine usata da Giovanni nel- r Apocalisse, del leone invitto di Giuda a cui è para- gonato quello di Venezia quanto perchè augura alla città la vittoria sui nemici che le muovano guerra ingiusta- mente, e più della stessa vittoria le desidera la pace con ogni popolo.

Delle due poesie rimanenti la prima è un' ode ascle-

(1) Ne conosco due esemplari del secolo XIV, uno splendido per miniature, col ritratto di un frate domenicano che é in atto di scrivere sopra un codice e forse rappresenta l' autore, ed uno abbastanza nitido, ma senza fregi speciali. Il primo già si conservava nella biblioteca dei frati Predicatori di S. Giovanni e Paolo a Venezia ed ora sta alla Mar- ciana tra i manoscritti latini della classe IX in sei volumi (codd. 15-20), ma ai pregi artistici non vi corrisponde la bontà della lezione perchè r ho trovata molto scorretta. Molto migliore è il testo dell' altro esem- plare che si conserva presso la biblioteca Barberini a Roma in due volumi contrassegnati XIV, 86, 87; un tempo fu posseduto dal cardinale Matteo Orsini di monte Giordano, come risulta dalla nota : « Ilic codex olim erat in libris Matthei cardinalis de Ursinis de monte lordano qui obiit anno 1345 ». Un terzo esemplare del secolo XIV si trovava, una volta tra i manoscritti del convento di S. Domenico di Bologna come viene attestato del Foscarini ( Storia della letteratuva Veneziana^ Venezia, Galtei 1854, p. 378 nota 3) suU' autorità dell' Ecard e di Leandro Alberti, ma sino dal 1784, e forse anche prima, passò da quella biblioteca in mani ignote; infalli cosi è alteslato nel catalogo dei codici già conser- vali nel convento nei SS. Giovanni e Paolo di Venezia, pubblicalo nel 1784 nella Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici (Venezia, Occhi, 1784, cf. il volume 39 pp. 84-144).

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV ?67

piadea di quattro strofe, ciascuna delle quali comprende tre asclepiadei seguiti da un gliconio; venne composta sul modello di un inno liturgico che cosi cominciava:

« Sanctorum meritis inclita gaudia »

non rho trovato nella raccolta del Mone (1) nelle numerose poesie di quel genere pubblicate negli Analecta Bollandiana, bensì nel Thesaurus Htjmnolo- gicus del Daniel (I, 203) e nell' Hymnarius Mossiacensis del secolo X (2), dal quale si rileva che constava di sei strofe e cominciava nel modo seguente:

« Sanctorum meritis inclita gaudia pangamus, socii, gestaque fortia nam gliscit animus promere cantibus victorum genus optimum. »

La poesia é molto breve, consta di quattro strofe, e non ha il nome dell' autore ed é composta in lode di un vescovo di Padova:

« magna procerum progenie de Turri ».

È evidente che il prelato fu Pagano della Torre, il quale ebbe il governo di quella diocesi il 31 Marzo 1302 e lo tenne sino al 1319 (3). È noto che fu grande protettore del Mussato e promosse la sua laurea poetica nel natale

(1) Mone, Lafem/scAe Hymnen des Mittelalters. Freiburg, 1853-56.

(2) Das Hymnar der Abtei Moissac im 10 lahrhundert herausgc- geben von Guido Maria Dreves, Leipzig, Fues's Verlag 1888 p. 75, n. 97 (nella collezione degli Analecta hymnica medii aevt). Rolh nei La- teinische hymnen des Mittesalters (Augsburg. 1888, p. 94, n. 2H7 «Ad laudes ») lo pone tra gl'inni dei santi e ne riferisce solo il primo verso.

(3) Cf. Gloria, Monumenti della Università di Padova (1318-1405). Padova, Tip. Seminario 1888, I, 63.

268 G. MONTICOLO

del 1314; da un documento del 12 Settembre 1314 pub- blicato dal Verci (1) si rileva eh' egli fece parte della Commissione incaricata dal podestà e dagli anziani di Pa- dova di esaminare un'istanza nella quale i Veneziani do- mandavano soddisfazione per alcuni danni che avevano ricevuto dai padovani. L'inno è una lode della nobiltà, virtù e sapienza del vescovo che per la moralità viene paragonato a Seneca; il poeta gli desidera la protezione del cielo e finisce col dire che aveva preso dal suo scaf- fale una cetra a cento corde per comporre quella poesia melica. Non è impossibile che il poeta sia stato Tanto e che r inno abbia avuto occasione dalla laurea del Mus- sato e dall' opera della Commissione per le indennità dei Veneziani che erano stati offesi e danneggiati, ma per ora su questo particolare non posso dir nulla di preciso. L' ultima poesia fu composta dal Mussato e si legge anche nell' edizione del 1623, ove è l' epistola VI , ma il codice dell'Archivio in più luoghi varianti migliori e comprende anche la lettera con la quale il poeta accom- pagnò al doge Soranzo i suoi versi. Nella lettera il Mus- sato ricordò se stesso con le parole: « Albertinus Mu- xatus paduanus, istoriarum scriptor et artis poetice pro- fessor », dalle quali si rileva che la poesia fu posteriore al 1314 in cui egh compì V Historia augusta e anteriore al 1318, epoca del suo esigilo; quindi presso a poco venne composta nello stesso tempo delle altre due epi- stole (2). Gli esametri mostrano che l' autore era molto innanzi nell' arte e che li compose con molta cura, forse perchè erano diretti al capo della Repubblica. La poesia

(1) Vergi, Slorìa della Marca Triviqiana e Veronese. Venezia, Storti VII, pag. 53 dei documenti; doc. DCXCIX.

(2) 11 MiNOiA, op. cil. , pag. 176 pone anche questa tra le poesie giovanili.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 269

comincia con una invocazione a tutte le divinità del mare perchè si presentino alla superfìcie delle onde e stabili- scano a chi debbano dare il comando delle acque ; alla loro presenza il poeta dichiara che quell' onore deve essere conferito al doge di Venezia a preferenza di qualunque altro principe. I titoli per i quali gli spetta quel premio sono la vastità dei domini, i lunghi viaggi delle sue navi per tutti i mari, la pietà, la giustizia e la sicurezza della città, separata per mezzo delle acque dalle altre terre e difesa dalla natura stessa contro qualunque assalto ne- mico. La poesia finisce col giudizio delle divinità le quali concedono al doge Soranzo il dominio dei mari.

Dalle osservazioni che sino qui ho fatto intorno alle nove poesie facilmente si deduce che furono raccolte nel codice ex Brera l' una appresso F altra per V affinità della materia. Infatti sette si riferiscono più o meno diretta- mente al parto della leonessa; la penultima è una lode del protettore del Mussato e l'ultima è ispirata dallo stesso concetto che nelle altre due epistole sui leoni viene espresso nel vaticinio di Urania, ma la materia vi è svolta in modo più elevato e con grande sfoggio d'i- magini e correttezza di forma, e però a mio avviso essa supera tutte le altre come opera d'arte. Le poesie rap- presentano anche un momento notevole nella storia della letteratura veneziana del secolo XIV, e siccome sono quasi tutte ignote, cosi ho creduto opportuno di pubbli- carne il testo illustrandolo nelle parli che potrebbero essere meno ovvie alla generalità dei lettori.

Roma, 8 Giugno 1890.

G. MONTICOLO.

a e. 138 A

Versus magistri Iohannis, ad magisteum Muxatum de Leo- nibus natis in ducali palagio tempore illustris viri

DOMINI lOHANIS SUPERANCII DUCIS VeNECIARUM.

Inclite dux Venetum, gaude, Superance lohanes (1);

continuat Dominus grandia dona tibi. gaudeat urbs Veneta tali protecta patrono

qui bello semper paceque promicuit; te duce sperandum succede prospera cuncta,

iamque Deus noviter mirificavit eam hoc sine mistero grato non creditur esse;

uber (2) iam properat pacificusque status. Namque duodecimi septembris mane die!

illuxit Veneta mirus in urbe stupor; urbe leo Veneta concluditur atque leena,

nocte dieque simul quos tenet una domus (3); ultra dimidium noctis leo mittere voces

quam plures satagit fortius et solito.

Commento

(1) Giovanni Soranzo sali al trono ducale dopo Marin Zorzi, ch'era venuto a morte il 3 Luglio 1312, come risulta dal registro delle Promis- sioni (e. 50 A); tenne quella dignità sino al 31 Decembre 1328, indizione XII (cf. registro delle Promissioni e. 58 A) e gli furono fatti splendidi onori funebri. Se ne può leggere la descrizione in una delle scritture non ufficiali aggiunte in quel registro negli spazi bianchi delle pergamene tra ciascuna Promissione e la susseguente ; essa si trova a e. 1 1 7 B.

(2) Il poeta volle coli' aggettivo « uber » mettere in maggiore evi- denza la relazione che voleva stabilire tra la prosperità politica ed eco- nomica di Venezia e il parto cosi fecondo e insolito della leonessa.

(3) La parola « statim » deve essere riferita a « natos » e non a « ut D.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 271

cum (a) valde mane festinus pastor eorum

visitai, hos reperii tres peperisse leam, ut slatim (1) nalos lambebal maler eosdem

a partu vivos cum specieque sua; posteriora lee partu signala propinquo,

antri conditio lestificantur idem, dux et magnales (2) solerli querere cura

pastorem studuit; hec rata iurat eis cura gentes varie cultu linguaque locoque

sint inibi, simile nullius auris habel. quam multi proceres, pagani cristi coleque

sumplibus immensis et nimio studio clauserunt leneros et adultos sepe leones

illis consimiles associando leas, non tamen ex illis nalos habnere cupilos;

soli mirifice tres peperere libi, aul natura suum mutavil nunc vaga cursum,

aut nostri veteres plurima folsa canunt. non sine mislerio parlus numerusque modusque

credilur, alque slupet littera cum populis. forte quod effigiem Marcus (3) gestando leonis

(a) cum] il coi. ha cur.

Commento

(1) La parola « domus » come più sotto « antnim » significa la gabbia dove quelle belve stavano rinchiuse. Nel ricordo ufficiale del libro quarto dei Pacta (e. 13 B) viene designala con maggiore precisione « clausura, sen cabia, seu camara de Irabesselis ».

(2) La parola « magnates » indica la nobiltà, ch'era già divenuta a Venezia l' unica classe privilegiata e s' era affatto separata dagli altri ordini della popolazione; per la serrata del Maggior Consiglio (1297) essa sola formava in quella repubblica lo Stato, laonde il poeta per indicare il Governo non usò la semplice voce « dux », ma la frase « dux et magnates ».

(3) Sino dai tempi più remoti i Veneziani considerarono S. Marco come il patrono della loro repubblica. 11 suo cullo a Venezia derivava dall' es- sere stato da lui fondato il patriarcato d'Aquileia ; quando poi il suo corpo

272 G. MONTICOLO

hoc agit ut partns fiat in urbe sua. est subiecta tibi gentis generatio triplex,

nam venetiis, sclavus, grecus et ipse (1) subest. communi modulo lea tres peperisse probatur;

arbiter hic aure certius est oculus. arguii antiquos novitas hec, pbylosophosque

in causis solitis nunc variare facit. quis primus fuit in silvis pariendo leenam?

autor persona que fuit huius operis (2)? nam miranda canunt, sed non credenda poete,

sed nihii incertum phylosophya capit. ■— Tunc sextus decimus annus post mille trecentos

septembrisque dies mane duodecimus; e. 138 B dux erat illustris lohanes tunc SuperanCus

sedes Im perii scissa favore vacans (3), mense coronatus fuit ilio papa, lohanes

nomine; vigenus ille secundus erat (4).

Commento

fu trasportato a Venezia da Alessandria sotto il doi^e Giustiniano Particiaco (827-829) e in suo onore fu innalzata la splendida chiesa, S. Marco di- venne il simbolo di quel comune e per cosi dire si confuse con esso. Sino dai tempi apostolici 1' evangelista era rappresentato allegoricamente per mezzo d' un leone, e nei testi piìi antichi del prologo che precede la Passio di lui, si legge: «Marcus ut alta fremit vox per deserta leonis». (i) Il poeta accenna agli Slavi della Dalmazia e ai Greci dei paesi già appartenenti all' impero Bizantino e divenuti dominio Veneziano dopo la quarta crociata.

(2) « Huius operis » =: « pariendo ».

(3) Dopo la morte di Enrico VII (Agosto 1313) la sede imperiale fu vacante, perché cinque dei principi elettori avevano eletto alla dignità sovrana Lodovico il Bavaro e gli altri due Federigo d'Austria; il pontelice Giovanni XII dichiarò l'impero vacante.

(4) Giacomo Duése di Cahors, vescovo di Freius e poi di Avignone, indi cardinale di Porto, fu eletto papa il 5 Settembre 1316; assunse il nome di Giovanni XXII.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 273

C. i38 B

Versus magistri Muxati respondentis ad predicta (1).

MUXATUS

Que dabis, Uranie, nostro responsa lohani (2), 0 dea tam miris solicitata (a) novis?

en lea comperta est vivìs fecunda trimellis, quos potuit cavea progenuisse leo. 5 sic cita raendaces testa tur vita poetas (3);

expedit ut vates hic tueare tuos (P).

Uranie

Plana satis, quaniquam multum laudande, lobanis questio; sic paucis persolvenda metris.

fortia, si fuerint signis adiuta supernis 10 anticipant ortus corpora multa suos;

labitur ad decimum persepe puerpera mensem, altera sed nono mense levata fuit.

sic quoque spirantes nasci potuere leones; edit enim vivos septima luna viros.

MuXATUS

15 Clara quidem satis est prime decisio cause,

et bene propositis (t) illa sopita tuis.

(a) soUicitata] così il cod. ; V ed. ha sollicitanda.

(p) neW ediz. il verso è expedit hic vates ut tueare tuos.

(Y) propositis] cosi il cod.; l' ed. ha responsis.

CO>niENTO

(1) L' epistola si legge, ma con alcune varianti, anche nell' edizione di Venezia delle opere del Mussato e ha il numero XV.

(2) È la poesia precedente che il maestro Giovanni dedicò a Giovanni Soranzo e mandò ad Albertino Mussato.

(3) 11 concetto è in relazione con quello manifestato dal maestro Giovanni che accusa di falsità i poeti.

Voi. IH, Parte II. 18

274 G. MONTICOLO

quod geniti natiqne domo, dea, solve secundam, quod non sit simili belua nata loco.

Uranie

Ista minor quippe (a) est nullo contraria testi, 20 et nihil ambigui quod videatur habet.

hec equidem (p) non posse negat contingere quisquam

nec ratio quevis illa fuisse vetat. si domibus similes fetus non repperit etas,

hoc sub sole tamen non habet ipsa novum. 25 quod magis est, ventura parant; sic auguror esse.

atque ea nativis sunt bene fausta locis; portendunt Veneto coniungi fortia regno,

fortia sed latis illa videntur agris.

e. 139 A

(r) Versus magistri Tanti cancellarii domini Ducis Venecciarum ad magistrum Musatum

I.

Musis, Musate, reor, prenomen honorum

nactus es, et fama clima per omne volas. summe poetarum, qui spirant, laurea cinxit

te caput (1); encleticus en tibi flecto meum, 5 Tantus ego, Venetus modo cancellarius, audens

tam tibi sublimi scribere vilis ego. Lucida cum celo declinai in ima sereno

stella, novum surgit ex oriente iubar;

(a) quippe] cosi il cod.; l' ed. ha prope. (p) hec equidem] così il cod. ; l' ed. ha ita quidem. (Y) versus magistri Tanti etc,] il cod. ha nel margine: de precepto domini ducis missi {sottintendi versus).

Commento

(1) Tanto allude all'incoronazione del Mussato, (natale liU4).

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 275

sic post occasum surgis, Musate, Maronis, 10 cui Patavum plausus usque propago canet.

Sci, vates, vidisse ducem responsa lohani (1)

per te missa; tamen mente rebellat eis. nam dea celestis, Musarum maxima, cernens intuitu certo sydera quicquid agant, 15 Uranie, ventura canens, ait: auguror esse (2)

certaque dimisit significata poli. Uranon est celum; celestia famina linquens, a re nomen habens non imitatur eam (3). senserat et vatès ipsam breviasse loquelam; 20 sistolat hic tempus (4) hic imitando deam.

preterea sopita tibi prior esse videtur (5)

questio; per triplicem quem tulit esse raodum quisve trium fuerit nucleare leonibus ortus pigruit et propter quid latet atque quia 25 altera, non solitum cum sit, miranda videtur,

tamquam si nostris thus oriatur agris. lusserat ut facerem dux qualiacumque valerem metra super dictis, facta iubendo legi.

Commento

(1) Tanto allude alla poesia del Mussato in risposa a quella del mae- stro Giovanni.

(2) Tanto allude alla frase « sic auguror esse i> che Urania proferisce nella poesia del Mussato.

(3) Tanto indirettamente si lagna col Mussato perchè la risposta di Urania sul significato mistico del parto della leonessa fu troppo breve, specialmente perché trascurò di indicare i futuri destini di Venezia secondo la posizione degli astri nel cielo in quel momento.

(4) « sistolat hic tempus » cioè come Urania fu breve nella risposta, cosi il Mussato abbrevia contro le regole la quantità dell'» o » di a sopita ».

(5) Tanto indirettamente censura il Mussato per il nuovo significato nel quale aveva adoperato nella poesia la voce « sopita », e poi espone le questioni che dal poeta non erano slate trattale. Nella poesia di Tanto 0 » di « sopita » è lungo; in quella del Mussalo è usalo come breve.

276 G. MONTICOLO

dura legeret, lector necdum mediasset, amenara 30 in primis faciem turbai et icit ea.

displicuere sibi, sed tandem iussit ut ipsa

mittere deberem, summe poeta, tibi. ergo mitto sequens precepta ducalia. quo sit est tibi dispositum quisque pianeta loco; 35 Uranie cernat bine elicienda futura,

aut sibi non semper sydera vera canunt (1).

n.

(2) Qui maris est custos, Venetum devotio, (3) summi,

scriba, salutifere pistis in orbe sator (4)

scemate constructa miro requiescit in illis

40 ede (5), novans Ariel (6) assimilata sibi.

Trinacria lato sodata (7) leena leoni;

lene dedit murmur Eolus, unda vadum.

Commento

(1) Qui finisce la prima poesia ove Tanto spiega al Mussato le cir- costanze per le quali compose la seconda; essa può considerarsi come un' introduzione premessa all' altra. Nei due ultimi distici Tanto allude alla descrizione dei segni celesti con la quale termina la seconda poesia per rappresentare al Mussato la posizione degli astri in quel momento e cosi per provocare dal medesimo una nuova poesia più complessa sullo stesso tema.

(2) Dal contesto si rileva che la nota marginale aggiunta nel codice ai primi versi della prima poesia « de precepto domini ducis missi » deve essere riferita soltanto alla seconda.

(3) « Venetum devotio » verso S. Marco. (4.) S. Marco evangelista.

(5) La chiesa di S. Marco.

(6) Più sotto al verso 101 si legge « quid velit hic Marcus Ariel signare futurura », quindi il poeta intende sempre che il soggetto sia S. Marco che aveva il leone per simbolo e avrebbe promosso il parto della leonessa meraviglioso per la novità, donde la frase « novans.... as- similata sibi ».

(7) A « sodata » sottintendi «est»; il poeta vuole significare che il re Federico dalla Trinacria mandò un leone insieme a una leonessa, (le e na sociala est leoni lato Trinacria).

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 277

ede palatina (1) simul ambo iocando cibando rugitus dantes physis amicai eos. 45 139B hic agit, hec patitur; hic gignit, concipit illa tres enixa suo tempore nocte satos. Non istos Ariel sivit viscasse cerebrum (2)

sicut physicines esse solere ferunt rugiat ut triduo genitor frangatque tenacem 50 humorem cerebri, tunc quasi vivat ob id.

0 quibus est physis totiens descripta leonum,

addite: lex Venete non tenet ista locum. per triduum rugire tamen studuere parentes crebrius et valide, voce tenente moram. 55 non oportunum fuerat rugire; petebant

nati braiantes ubere matris ali. post triduum pausas solitas habuere; satorum

activum meruit unus habere genus. viderunt gentes Venete, nos vidiraus ire 60 mox natos querule querere matris opem.

0 duplici res mira modo! Lucina removit fessa modum veterem, sic recreata novo, sive quod in reliquis verax, mendacia vates, Lethe hic infectus, famine pseustis aiL 65 multis principibus et multis regibus olim

hoc fuit in voto, nec potuere sequi; in caveis multis sodata leena leoni

dicitur, et nullis fas peperisse fuit (3). Ecce cronografiam. postquam promissa prophetis 70 salvificans venit gratia vera fides.

(1) Il palazzo ducale.

(2) Si credeva che i leoncini acquistassero la vista e i movimenti solo qualche tempo dopo la nascita.

(3) I concelti dei quattro distici che precedono le indicazioni cro- nologiche sono comuni anche alla poesia del maestro Giovanni; le due composizioni si assomigliano anche nel modo col quale viene rappresen- tato il tempo di queir avvenimento.

278 G. MONTICOLO

viginti vicibus et sex iubileus (1) abìvit

annus et incepti (2) quod superestat habet. quatuor in radice quadrata tolle quadratum

cum recte numeras, inde bis octo facis (3). 75 tempus erat quo scenopigia (a) servat hebreus (4),

septimus in numero mensis abimbre sacer(5) quo primo lux facta die (6); modo dicitur esse

sol dominus lucis que duodena fuit (7). Rector apostolicus venetusque fuere Iohanes(8); 80 ille leves animas, hic regit has (9) et onus,

inclita quem Venetis peperit Superancia proles,

quem probitas, virtus, sollicitudo beant.

(a) scenopigia] il cod. ha scenophegia.

Commento

(1) Presso gli Israeliti l'anno del giubileo ricorreva ad ogni mezzo secolo, quindi il poeta designa uno spazio di 26 mezzi secoli, cioè di 13 secoli dopo la nascita di Cristo.

(2) La parola « incepti » indica la parte del mezzo secolo non ancora compiuto.

(3) Il poeta compie la indicazione dell' anno ; da tutte quelle cir- conlocuzioni si deduce che il fatto avvenne nel 1316. Infatti nel linguag- gio del tempo « tolle quatuor in radice quadrata quadratum » significava elevare il quattro alla seconda potenza (4 X 4 = 16 « bis octo »); e nella frase « quatuor in radice quadrata » il quattro è concepito geome- tricamente come il lato del rispettivo quadrato. Il 16 deve essere ag- giunto ai 13 secoli, donde l'anno 1316.

(4) Tot cxTQvoTndYia, cioè la festa dei tabernacoli.

(5) II Settembre, settimo mese dell' anno a contare dal Marzo ; a Venezia l'anno civile cominciava col primo giorno del Marzo.

(6) La domenica per gli Israeliti era il primo giorno della settimana e corrispondeva al primo giorno della creazione ; per i pagani corrispon- deva al dies soliSy e a ciò allude il verso seguente.

(7) II giorno dodicesimo del Settembre.

(8) Giovanni XXII e Giovanni Soranzo.

(9) has » = le anime dei Veneziani.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 279

hinc sublìmari meritum diadema coronat (1); annus lustralis (2) quo ducat iste fuit (3). 85 Sidera sic ibant; faciem nani luaa secundam

Cancri tunc peragrans ipsius edis erat. altera fraterna lux (4) hanc traduxìt in edem

fratris, at Erigones yma tenebat iter, qua renovando lovem lancem librare propinqua! 90 noeti sed fessus equiparare diem.

Mars anni dominus, Stilbonque meabat in ipsa lance, sed hic levior prevolitavit eum (5). e. 140 A quem prima sivit facie, meat ipse secundam;

Scorpius in media Gypri de parte tenet; 95 sic et Saturnum retinebat Aquarius, unde

cerni non potuit, sole, sorore, love tetragonabat enim Martem Veneremque latenter

diffugium faciens retrogradando celer cum signo renovante Gronon; caput extitit ergo, 100 proxima Mercurio cauda Draconis erat.

Quid velit hic Marcus Ariel signare futurum, quisquis es in Fata vis discere glisco; doce (6).

Commento

(1) A « coronat » sottintendi « eum » cioè il doge « meritum sublimari »; a hinc » = per le virtù ricordate nel verso precedente.

(2) « Annus lustralis » significa che era già cominciato il quinto anno del governo di Giovanni Soranzo; infatti 1' avvenimento accadde il 12 Settembre 1316 e il Soranzo era salito al trono sino dal 13 Luglio 1312.

(3) Il verso è sbagliato perchè u » di a ducat » è lungo per natura; l'errore fu rilevato dal Mussato nella risposta e diede occasione a una nuova replica di Tanto.

(l) 11 sole; il verso seguente indica la costellazione della Libbra e r equinozio d' autunno.

(5) Mercurio, che descrive un'orbita più piccola di quella di Marte.

(6) Tanto dichiara apertamente che ha indicato la posizione degli astri nella mattina del 12 Settembre 1310 perché Urania, dea del cielo, in una nuova poesia del Mussato ne dichiari il signilìcato rispetto ai de- stini di Venezia.

280 G. MONTICOLO

c. i40 A

Versus Muxati respondentis ad predicta

MUXATUS

Diva parens heroa, metris attende remissis;

forte ea plus pensi quam mediteris habent. atque tuam pretende chelim paulisper in altum;

aspiret velis fortior aura tuis. 5 hactenus admissi per molia verba lohanis (1);

temptavit nostros altera cura modos; panditur archigrafi magni ducis actio Tanti (2)

que (a) non est humeris tanta ferenda meis. hic sublatus humo, convexi culmina celi (3) 10 tangit et a nobis pene videndus abit.

Uranie

0 Patavos inter mea parvula vatis ymago, qui, cum scire pares, erudiendus eris,

nil mirum (g), si summa placent tibi carmina Tanti; ante tuos ortus quippe magister erat (4).

(a) que] il codice ha quem.

(P) nil mirum] cosi ho sostituito la lezione nimirum del codice, evi- dentemente errata per la quantità e per il senso.

Commento

(1) Ad « admissi » sottintendi « modi »; allude alla poesia scritta precedentemente e molto più breve in risposta a quella del maestro Gio- vanni.

(2) La frase « actio » è in contrapposto a « molia verba » e de- signa il carattere più solenne della poesia di Tanto a paragone di quella del maestro Giovanni; il Mussato inoltre usò quella parola perché i versi di Tanto contenevano un insieme di accuse contro di lui per la poesia precedente, mascherate da continue e splendide lodi.

(3) Il Mussalo allude all' ultima parte della poesia di Tanto sui segni celesti e indirettamente afferma che non tratterà quel (juesito.

(4) Il verso dimostra che Tanto era mollo più vecchio del Mussalo.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 281

15 hic meus a summo sibi diggerit omnia celo (1),

sedulus, hac mecum factus in arte senex. raptus ad octavam persepe per ardua speram

destituii gressus post sua terga meos. nec fari me pudet; placcabilis illi 20 sepe quidem didici, sepe magistra fui.

nonne vides illi quam sint notissima celi

sidera sub propriis enumerata rotis? stella per occasum gradiens et queque per ortum volvitur aut toto lucet in orbe, sua est.

MUXATUS

25 En ego sic simplex, uno sub climate vivam?

bei michil die: de me quid, mea raater, crii?

Uranie

Sufficit et satis est animo si vixeris equo; sit libi cum paribus vita beata tuis.

MuXATUS

Sic faciam; quid me magnis conferre valeret? 30 insector, parve condictionis ero.

nunc michi die de te, celi regina comati,

cuius ab eterno famine nomen habes, cur responsa tuis ipsis affatibus egre

sic tulit enixe de novitate lee? (2)

e. 140 B Uranie

35 Sperabat stellis sic oblectatus in illis

me positis illas equiparasse feras.

Commento

(1) Secondo il Mussalo Tanto intendeva di spiegare tutti i fatti straor- dinari traendone l' oroscopo.

(2) Qui il Mussato fa spiegare da Urania perché mai la risposta nella poesia precedente fu cosi breve intorno al parto della leonessa.

282 G. MONTICOLO

nec quesita fui, nisi quis michi detulit illud

indicium nostris applicuisse polis, de genitis certamen erat, vivisque satisque 40 sicque alitis nulla posteritate feris.

quid super hiis dici potnit, quam corpora physis

quas habuit vires fudit in illa suas? pono super brutis prelustria sydera raro;

plus ea quam credas nobilitatjs habent 45 sunt eciam nobis alie quibus utimur artes,

que species multas utilitatis habent. quod peragunt parce; Stigii sum conscia pensi;

cerno sub infernis semper futura polis, sepe michi verum tepidis inquiritur extis, 50 nullaque me scisso corporo fibra latet.

etheris interea cerno, servoque volucres,

cum quibus indicio liberiore fruor. ars mea venturi quicquid sibi murmurat ales

concipit; audite dant michi multa fere; 55 nonnisi percusso panduntur murmura celo

nulla latent aures climata tacta meas. si bene tunc vidi, veneto latissima regno

rura per augurium iuncta fuere meum. non adii stellas, aliter contenta minore 60 indicio; satis hec explicuisse reor.

tempus erit, non longa mora est, ut in ornine vestro

exultet magni forsitan aula ducis.

MUXATUS

Adveniant bona, diva, precor, dum talia semper sint bona cum Fatavo participata meo (1).

Commento

(4) Era naturale che il Mussalo desiderasse che gh acquisti e le glorie di Venezia non fossero a danno di Padova e che anche questa città ne avesse la sua parte.

poesie latine del principio del secolo xiv 283

Uranie

65 Sic et erunt; hiisdem fundata penatibus olim (1)

nectitur auspiciis utraque terra bonis.

MUXATUS

dunque fluant multis plerumque vocabula metris

vel produeta parum vel breviata nimis, die, dea, si vox hec « sopita » sit emula nostre 70 que fuerat metris attenuata meis.

Ukanie

Emula non, sed leta, novum quia senserat usum,

VOX fuit antiquos non imitata viros; vox nova visa fuit prima quia venit ab arte,

tempore sed nullo tollitur artis opus. 75 detulit autori qui res ab origine format

vox tua, lex cuius digna favore fuit. fonte cadunt greco (2) quas format Ugucio voces (3),

Commento

(1) Secondo una nota tradizione priva d'ogni valore storico, al tempo di Attila tre consoli padovani avrebbero fondato Rialto. Il pili antico ri- cordo alla medesima venne fallo in via indiretta dagli <f Annales veneti breves » del secolo XIII contenuti nel cod. Vat. 5273 (e. 8 A).

(2) Il poeta accenna all' opinione generalmente diffusa nel suo tempo che il latino fosse derivato dal greco; dal verso non si deve dedurre che le « Derivationes » di Uguccione dessero le etimologie greche dei nomi latini, perché quel grammatico raccolse le parole in più gruppi secondo la loro origine senza uscire dai limiti della hngua latina.

(3) Il Mussalo allude al Lessico etimologico di Uguccione di Pisa , professore a Bologna e poi vescovo a Ferrara. Sulla sua vita e sul suo lessico, fatto a somiglianza di quello di Papia cf. Tiraboschi Storia della letteratura italiana IV 279, 320 (nota a) e 431. La prefazione del les- sico 0 « Derivationes » fu pubblicata, ma solo in parte dal Du Gange nel capitolo XLVI della Prefazione al Glossarium mediae et infimae la- tinitatis e anche dal Bandini nel catalogo dei codici Laurenziani {Caia-

284 G. MONTICOLO

sicque brevis greca fluxit ab arte (1) « sopor >. salva fides veterum maneat, cedatque sopori 80 qui dominus stirpis, si volet, usus erit.

MUXATUS

Mater, in hoc verbo cur sola mireris arte? de tanta Tantum suspicione trahe.

e. 141 A Uranie

Temptet in herois Nasonis carmina nostri « Thesea pressuras semisopita manus »(2); 85 Tantus in hoc tecum voluit colludere verbo;

illa taraen fleti verba soporis erant.

MuXATUS

Die, age, cum teneat veterum monimenta priorum

Tantus ut e minimis nulla movere velit, quod semel obtigerat vix de tot milibus uni, 90 cur caput est terni sic breve sepe pedis?

Uranie

Hoc ingens vicium est atque intolerabile semper, sed rudium mos est, quos grava artis onus.

hoc sibi nonnulli licitum.fecere moderni; laudat in hoc, vates, iussio nostra graves.

Commento

logus codicum latinorum bibliothecae Mediceae Laurentianae IV, 198, 199). Nei codici che ho esaminato il nome non é per solito < Ugnilo » ma « Uguilio, Uguicio ».

(1) Per « ars » s'intende l'etimologia o « ars derivationum ». Il lessico di Uguccione nel codice Vaticano Otloboniano 1251 (sec. XIII) cosi comincia: « Incipit ars Uguitionis gramaticalis ad vocabula expo- nenda ».

(2) Ovidio Eroidi, X, 10.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 285

95 hoc raichi mens fuerat nulli indulxisse poete;

sed iubeo Tanto cuncta licere meo.

MUXATUS

Certe eqiium est liceat; ratio non discrepat ulla,

ne bene quo cepit Carmine liber eat. dux quoque lustrales ducat feliciter annos (a) 100 mille; sequens totidem tempora Tantus agat (1).

e. 141 B.

Versus magistri Tanti cancelarii respondentis

AD PREDICTA carmina MAGISTRI MUXATI P0ETE PADUANI.

0 « ducat », 0 verbum positura breve, ni tuearis (2), dedecus es scribe, fratribus atque patri.

tu quoque despectum vilesces, aut Libitina indignum fies te rapiente nichil. 5 inter honorandi pretiosa poemata vatis

morsibus obtrectat te prosa sagax.

Griminor (3) ante; faties incognita fallere fecit

(a) annos] segue nel margine del codice in corsivo: caveat magister qualiler posuerit hoc verbum « ducat » in suis versibus; la parola ma- gister si riferisce a Tanto, e i versi sono i distici che aveva composto per ordine del doge.

Commento

(1) Cf. la mia introduzione.

(2) Allude al verso « annus lustralis quo ducat iste fuit » della sua prima poesia e vuole difendere l'errore dall'accusa del Mussato; si noti che anche in questo verso 1' « u » di « ducat » é usato deliberatamente come breve; è il poeta stesso quello che parla sino al verso 8 al verbo » ducat )».

(3) Risponde a Tanto il verso « ducat » per tutto il distico.

I

286 G. MONTICOLO

culpantem (1); latuit unde propager eum. Inter sic et non distantia maxima; insto 10 causarum meritis mota querella silet.

0 tu lux de monte Thabor, tu Thebe repertor

carminis et cithare, Thespiadesque novem, tu quoque Palla lovis de vertice nata, venite; criminor a prosa falsificasse metrum. 15 subdimur (2) arbitrio qiiorumlibet; inde remotum

auribus enormem poscimus esse Midam (3). Assumus en liti, quid fare? crepusculet ipsam (4);

finis ei dabitur lucidus absque Mida. De duce sermo notans regimen quinquene profatur (a) 20 < annus lustralis quo ducat iste fuit ».

imperat imperialis apex, rex regnat et ipse

dux ducat; hoc Veneta famen in urbe vetus (5). dux ducat exercens regimen; dux ducit euntem ut vir bonus, cecum femina, nauta ratem. 25 qui ducit servit, sed qui ducat, hic dominatur.

dux famulans ducit, dux dominando ducat.

(a) V. 19], ho riprodotto il verso come si legge nel manoscritto, ma va oltre la sua giusta misura.

Commento

(1) A mio parere « culpantem » è riferito al Mussato il quale se- condo Tanto non avrebbe conosciuto il valore e l' origine della parola « ducat » avendola giudicata una forma verbale di « ducere ». Tanto invece afferma eh' essa era una forma verbale di « ducare » , onde la « faties incognita » della parola avrebbe tratto in errore il Mussalo.

(2) Dal V. 11 al 17 parlano il poeta e il verbo « ducat » insieme.

(3) Tanto allude alla nota favola delle orecchie asinine di Mida dopo il suo giudizio nella gara tra Apollo, Pane e Marsia.

(4) Cioè Mida, il quale avrebbe confusa e non già chiarita e defi- nita (« lucidus finis ») la controversia.

(5) Tanto dopo d' avere spiegata la differenza tra « ducere » e « ducare » afferma che il secondo é un verbo speciale della Hngua usata a Venezia.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 287

forsitan equivoco fallii duce, tempora mutat,

fucus inest? cernat, « duco ducoque » sumus. non venit a « duco ducis » « dux »; est pater eius 30 < duxi », preteritum, sicut in arte patet (1),

cui, quamvis primara longet positura, coegit

hanc natura brevem ; « dux » imitatur eam. propter id accentum veterum profertur acute, casibus in cunctis abreviatur itera. 35 « rex » vero e centra non a « rego » gignitur; eius

est genitor « rexi »; vox nec acuta fuit sed circumflexam veteres cecinere videntes natura longam, nec positura iuvat; e. 142 A longa fit obliquis etiam prior. unde recessi 40 regredior; valuit « dux » generare « duco »;

istius est « duco » proavus, cui longior etas, sillaba longa datur, in pronepote brevis; sic proavo pronepos; felicior hic regit, ille dueit. id antiquis assimilare potes 45 None Thare pater est Habrae ? patre grandior hic est

hic Isahac legitur, hic genuisse Jacob; iste Joseph genuit, qui sub Pharaone Canopo (2)

prefuit. huic caruit prima propago pari, sicque « duco » pronepos proavum superavit honore. 50 proque nutrire « diìcat » equivoca tur ei

«dux» fuit exarcus patiens; raeminisse valemus

si revelasset eum sors velut ante fuit. ut Nabucodònosor, rem sub brevitate volentis enarare vide sermo quis aptus erit? 55 qui fuit exarcus reducavit sive reduxit?

rem prior eloquitur, nubilat alter eam.

Commento

(1) Tanto fa derivare i sostantivi come dux, rex dal perfetto del verbo corrispondente.

(2) Veramente gli Israeliti si stabilirono nella terra di Gessen, forse presso Suez.

288 G. MONTICOLO

non est ergo « ducat » quod « ducat »; noscitur autem

prò nutrire magìs; « educat » inde venit si tamen insolitum novitas id dicere temptet, 60 Argus Aristorides (a) (1) quippe licere facit.

Qui subrident? veniat sententia qualis (2)

cumque; vel hic discam, vel metra clara micant. Altera pars distans nequit alegare quod obstat (3) ludit ac inditio parvula prosa suo; 65 vidit enim quartum casura post « ducat » euntem;

non eget adiuncto significare « ducat »; nec, licet Alani (4) violenta licentia longet

hic derivatum nomen, adheret ei, nil titubans casum; servat nativius illud 70 finibus inmensis aurea dragma ducum (5).

unica dumtaxat reperitur abusio longans illud conpositum cum preheunte manu « u » dempta, sed nec veterum fuit ullus in ausu illud iuncturis associare metris. 75 nonne recordaris Dominum iusisse quod ulla

non pateretur agi conditione sacrum? cur Habrae natum, quem iussit sacrificari, e. 1 42 B parentem vetuit sacrificare patrem ?

temptativa fuit tantummodo iussio; temptat 80 sic te prosa sagax, sic imitata Deum.

(a) Aristorides] il cod. ha Aristotiles ma mi è sembrato un errore di trascrizione; cfr. il comento.

Commento

(1) « Argus » figlio d'Aristore fu l'architetto della nave Argo, ma qui rappresenta allegoricamente l'arte.

(2) A me pare che i due versi s'intendano pronunciati da Tanto verso i presenti alla lite che avevano riso al ragionamento precedente.

(3) Qui comincia la seconda replica nella quale « ducat » difende la sua costruzione senza oggetto.

(4) Probabilmente il poeta allude ad Alano di Lille « Alanus ab insulis ».

(5) Tanto significa che nella lingua usata a Venezia « ducare » era costruito senza alcun complemento.

i

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIY 289

C. 142 B

Domino Muxato poetarum poete propter prosulam monen- TEM forte aliud quam iustum rescribitur per metrum

lAMBICUM TRIMETRUM ET DIMETRUM.

0 magne magnos inter et felitior

virtutibus quam panditur,

Muxate, vatum principatu clarior

quam piena luce Cinthia, 5 ultra mereris laude sublimarier

quam sit modernis Iraditum.

Comes tibi sit longitudo temporum

et concupitis affuas (1),

nec corrisrenda misceantur actibus 10 nee horreas ob Eacum (2).

ducis peregi iussa mitlens parvuli

tibi saporis carmina (3) e. 143 A ut spreta que ducalis icerat manus

remorsa me calumpnient. 15 audivit ipse letus ubi carpitur

cesura tercii pedis

ni longa sit, licet dea licencier (4).

de quo dee regratior

et curiale dogma spondeo sequi

Commento

(1) L'augurio é in ricambio di quello fatto a Tanto dal Mussato nel V. 100 della seconda epistola.

(2) Eaco simbolo della giustizia; il poeta cosi allude alla sua con- troversia col Mussato.

(3) Tanto allude alla sua prima poesia che aveva diretto al Mussato per ordine del doge.

(4) Questi versi sono in corrispondenza coi seguenti del Mussato:

« cur caput est terni sic breve sepe pedis? » « sed iubeo Tanto cuncta licere meo ».

Voi. Ili, Parte 11. 19

290 G. MONTICOLO

20 parens inbenti sanius.

vidi seorsum quo gravarer acrius

ni prosa deviaverit

monens cavere me quid egerim « ducat >

ponens ut nunc hic ponitur 25 sed nostra salsis verba de paludibus (1)

inusitata regiis

ad Uraniam vel sorores ipsius

deducta palent primitus (2);

vident ibi nam tullianis omnia 30 depicta Tempe floribus

et audiunt iocunda sacri murmura

fontis caballo conditi (3)

cibosque cernunt per ministros Palladis

viris datos capacibus. 35 ramosa virtus quadrupes hic pullulat

qua vita fit beatior,

sed cum domesticaverint se regia

vatis, fugato pallido,

sument vigoris pauluilum. dicet « ducat >: 40 non sum quod esse remini;

inflectit en me prima coniugatio,

sed alterum vult terciam.

vos imperatis, optio vel altero

flt; indicans ego fui (4); \

45 rex regnat archos, imperator imperai, }

sic « dux ducat » nos dicimus. l

i

Commento i

a]

•l

(1) La poesia fu scritta da Venezia. )■

(2) Qui ripete che l'uso di « ducat » in quel senso e con quella costruzione era speciale della lingua adoperata a Venezia. '[

(3) 11 poeta allude alla 'lTUTroxpY]vY) presso 1' Elicona. !

(4) Ritorna il poeta sulla dillcrenza tra a ducere » e « ducare » e alTerma che « ducat » è congiuntivo, ottativo («optio») o ha valore imperativo, laddove « ducat » é indicativo; « altero >=:::« ducat ».

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV '291

nam dux ducavit iisque tunc qiiinquenio (1) equante lustrum tempore, «ducis» propago docta patris tempora (2) 50 ni rapta serrai ut « sopor »;

aut uniatur dictioni dictio; quandoque nam mutabitur, hortata dictionis est mutatio mutationem carminum (3).

e. 142 A

Versus fratris Petri ordinis predicatorum.

Sexto cum deno prescriptis mille trecentis annis et mensis septembris cum duodeno, Illirici pelagi princeps, Sovrance lohanes, et cives Veneti, miris gaudete novellis; en que scribuntur vobis presaga feruntur, nam quos Trinaclia misit provintia munus, nutriti ducis in cavea lea iuncta leoni, tres alios, Deus hoc numero gandet, genuere. Virgilius scribit: numero Deus impare gaudet(4). cliraate (5) sunt geniti sexto, res mira relatu;

Commento

(1) Cioè Giovanni Soranzo aveva cominciato il quinto anno del suo governo.

(2) Qui Tanto mette in relazione: il suo uso di « ducat » con quello di a sopita » nella prima poesia del Mussato.

(3) Tanto conchiude col notare che deve essere accettata la nuova frase coli' « u » breve come per natura è 1' « u » di « dux » o devono essere mutate le tre poesie, vale a dire non soltanto la prima nel verso « annus lustralis et », ma anche le altre due che di quell'er- rore trattano espressamente e ripetono più volte la voce « ducat » col- r « u » breve.

(4) Virgilio, Bucolica; egloga Vili, verso 75.

(5) Cioè a Venezia.

292 G. MONTICOLO

nani vigiles nati gradientes convaluerunt, quaque die fusi matris mamas petierunt. ergo novis miris, dux inclite, plaude, lohanes, vos etiam, cives Veneti, laudate benigne, en leo de luda (1) vicit subdens inimicum; sic Marius, maris ens custos, leo fortis, in hostem prevaluit vincensque tulit de Marte triuraphum ; sic et vos, dux et Veneti, bene iura tuentes hostes vincetis, non iuste bella moventes, sed Dominus pacis dat vobis undique pacem.

e. 142 B

HlMPNUS DOMINI EPISCOPI PaDUANI (2) DICOLOS TETRASTROPHOS, NAM PRIMI TRES VERSUS SUNT ASCLEPIADEI ET QUARTUS GLICONIUS, SICUT ILLE HYMPNUS « SANCTORUM MERITTS INCLITA GAUDIA » (3).

Magni pontificis, qui Patavas lavat mentes interius pectora fultiens, tutis consiliis magnitìcentiam exaltet pater omnium, qui virtute micat, qui sapientia, qui magna procerum progenie satus de Turri, Senecam qui redolet sacris vite moribus inclitum. ierarchia triplex celica muniat invictumque regat spiritualia

Commento ?

(1) L' immagine è usala da S. Giovanni nell' Apocalisse cap. 5. v. 5. f « Ecce vicit leo de tribù luda ».

(2) Pagano della Torre. !

(3) Cioè s' intende che la poesia corrisponde all' inno nella struttura ' metrica delle strofe, ma non nel loro numero ; infatti l' inno ha sei strofe. Per l'edizione cf. Dreves Das Flj/mnar der Ahtei Moissac im 10 Jahrhundert. Leipzig, Kues's Verlag 1888 p. 75, n. 07.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 293

certantem Domini prelia; Belgebut devictiis fugiat procul. de vatis pluteo centifidem chelira miscentem sapidis Thespiadum tonis sumpsi dulce melos; prosula sed tamen me poscit replicamina.

e. 143 B

SUMMO PELAGI DOMINO REGNIQUE VeNECIARUM PRINCIPI, lOHANI

SuPERANCio, Albertinus Muxatus PADUANUS, ISTORIARUM

SCRIPTOR ET ARTIS POETICE PROFESSOR, PEDES AMPLECTENS FAUSTO OMINE BENE FAUSTI MUNERIS DE PROFUNDO MARIS

suMMi Dei provisione prodeuntis et gratulatus do- mino MEO DUCI, COLLATIONE HABITA CUM SEQUACIBUS MEIS MUSIS, QUOD AB EIS HABUI AD VERSICULOS REDEGI NON QUALES HUIUSCE REI NOBILITAS APPECIIT , SED ETREI PU- BLICE MEE PERPLEXITAS PERMISIT , ET IMBECILLITAS CON- CEPIT INGENII, SUPPLENTE FIDEI MEE SINCERITATE DE- FECTUM; in EAMQUE SEMPER SPEM ERECTUS RERUM MA- GNITUDINES CONSCRIBERE AUSIM UT IN ME LAUDES CETERI RERUM SCRIPTORES SUPERIECTA ELLIMATIONE CONQUIRANT, ET HOC EQUIDEM MICHI PRECIPUUM EST UT OPTIMORUM SEMPER VIRORUM LAUDE CONSOLER. ACCIPITE IGITUR, QUESO, CLEMENTER, CLARE DUX, HOC POEMA CUM MINIMI EECON- MENDATIONE MANCIPII.

Ad nova, felices Muse, mea turba venite; pinguia tyrsigeri celebremus festa Liey; cuirite Nereides, vitreis quibus usus in undis Tritonesque leves et aquosi numina ponti (a) 5 Nise, Episoque, Talia, Gimodoceque 0), funditus llliricum spumis evolvite ponthura; prodite diversas faties, mirandaque visu

(a) pomi] // cod. ha phonti cfr. v. 6, ponthum. (p) ed. Limodoceque.

294 G. MONTICOLO

corpora sub variis aflferte latentia formis; fluctibus in mediis tumeant immania cete

10 et freta fulmineas iaciant ad litora focas.

Scilla feros rabidos Sicilia de parte molossos excitet; Giclopas alta compellat ab Etna (a); exurgant clauso dudum Syrenes ab antro deque sua liceat voces audire Garibdi,

15 quasque mari varias genuit natura figuras exhibeat quocumque freto, celoque sereno cernere veridicis non abneget ipsa poetis. tuque maris princeps dextro Neptunne tridenti verre (g) fretiim totumque imo (y) sub gurgite misce;

20 fac genus ensiferi super admirabile monstri (1)

prodeat et summis patulum caput efferat undis(8); sit genus hoc illud Veneto quod litore captum (e) attulit excelsam faustus piscator ad aulam. tu, Theti, Pellide genitrix (g) et diva profundi,

25 nimbosos delphinas agens ascende iugales cunctaque (ri) quesiti repetens vestigia nati pellito de tectis pecus hoc exire latebris (^). Huc huc, Pierides, adducite carmina, nimphe, vos etenim memores veterum per secula rerum;

30 ensifer hic piscis nostris se visibus ofifert; vera fides hec est non liete fabula fame, miremur, bene fausta cohors, exenia soli (2)

(a) excitet il cod. ha excitet et, /' ediz. ha excita et.

(P) ed. verte.

(Y) ed. uno.

(5) ed. prodeat? e summo capulum caput efferret undis.

(e) ed. prò littore captum.

(Q ed. genitrix Pellide.

(yj) cunctaque] ed. omnia.

(^) ed. genus hoc prodire latebris.

Commento

(1) Il pesce spada?

(2) exenia = dono.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 295

magnifico donata duci, miremur (a), et omnis

undique diffusi regio contermina mundi, 35 ast admirari sub iure quid expedit ulli?

fingamus positam iusto sub iudice causam (1);

dignificant valide solempnia (p) munera cause.

iuditiura dicturus aquis maris arbiter alti

poscitur, et digno (y) dandus superemicat (5) ensis; 40 cuius erit Venete magni (£)nisi presidis bore

digna manus capulo vel muneris utilis usus?

cuius agit mandata Libur Dalmasque Groaxque (2),

cui vix (^) dimidie magna (tq) pars servit Achaie (3) ;

quod mare scindit Arabs, quod gens Armena, quod Inda, 45 quod regina Phasi, quod gens infida Ganoppi,

excipiunt (4) Venetas onerosa lege carinas.

tendit vela leo Marcus maria omnia circum

Gadibus Herculeis, quem suscipit insula Tyle (5).

parque duci loto quisnam sex unus in orbe est? 50 qui sapis, equiparans equo libramine, confer.

(a) ed, miretur.

(p) ed. sublimia.

(Y) ed. d'igne.

{d) ed. supereminet.

(e) ed. magne.

(2) vixj // cod. ha vis; ed. ius.

(y)) ed. magne

Commento

(1) Le potenze del mare sono state convocate per eleggere un do- minatore delle onde; secondo il Mussato il doge avrebbe avuto quel- r onore.

(2) Gli Slavi sulla costa dell'Adriatico.

(3) Una parte dell' impero greco.

(4) Il soggetto di « excipiunt» e il complesso dei mail percorsi dai popoli ricordali nei versi precedenti.

(5) Secondo V esempio di Virgilio « Tyle » presso il Mussato non significa che il punto estremo del mondo verso settentrione.

296 G. MONTICOLO

namque alii sua regna tenent et finibus astant (1) ; cis Alpes populos certos regit Appulus, ultra Gallus in indomitis exercet prelia Francis, sic pharetra velox Parthus, sic ille Boemus,

55 sic reliqui propriis contenti sistere metis.

Europamque (a) Asiamque suis dux clasibus ambit, Penorumque aditus et binas navigat Ursas, tum pretio, tum vi, tum toti commodus orbi; dat mare, dant amnes, dant litora cuncta meatus.

60 exuperatque altas Venetum nummisma monetas iusticia librante ducis prò numine quodam quod sacer usus habet sancte sub ymagine Marci (2). quidni? sancta fldes illa dominatur in aula; sede sedet celsa nitidi dux arbiter equi (3);

65 opportuna suis sunt nulla cirographa verbis; conscriptos habet ille patres sacrumque senatum omnia qui planis animis (^) examina pensant et decreta suis mandant iustissima bullis. adde quod et bellis numquam violabile regnum est;

70 hunc sibi semotum reliquis ab origine mundi servavit natura locum, quo conderet omnes iusticie gazas atque inviolabilis equi; fluctibus in mediis convexi menia celi tegmen habent, aliis longe distantia terris.

(a) ed. Europam.

(p) il cod. ha s essendo quella parte del rigo molto corrosa

tanto che la scrittura della parola, meno deli s finale^ è affatto scom- parsa; ho supplito coli' edizione.

Commento

(1) Il poeta fa un paragone tra i Veneziani e gli altri popoli e nota che mentre questi s' accontentano di restare entro i loro connni, quelli percorrono colle navi tutti i mari.

(2) Nelle monete veneziane era disegnata l' imagìne di S. Marco.

(3) Si rileva dal contesto che « nitidi equi » significa la

giaslizia.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 297

75 ergo, bone muse, gladii date iura, sorores,

digna duci, pelagi cui summa potentia magni; que sibi vicinis verax deus extub't undis, queque placenda duci mittat bene fausta lohanni edite, Pyeride, Fatavo presagia vati.

80 ludicium pelagi fato datus indicat ensis,

cuius habet titulum Superantis digna lohannis gloria, perpetuo Venetis mansura sub evo. dum dabit Argolicis rati bus minor ursa meatus, Ginthius igniferis dum curribus ambiet orbem,

85 previus aurore dum pandet Lucifer ignes,

dux Venetum lati sceptro reget equora mundi.

Deo gratias (a).

(a) probohilmente le due parole furono aggiunte dal copista arrivato al termine del suo lavoro.

PROEMIO DELLE « DERIVAT10NESt> DI UGUCCIONE

SPIEGAZIONE DELLE ABBREVIATURE

lr=cod. Laur. S. Croce, pluteo XXVII, sin. cod. 5 (sec. XIII).

2 cod. Laur. S. Croce, pluteo XXVII, sin. cod. 1 (sec. XIII).

3 = cod. Laur. S. Croce, pluteo XXVII, sin. cod. 6 (sec. XIII).

4 = cod. Marciano Latino, XIII, 16 (sec. XIV).

5 = cod. Vaticano Ottoboniano 1251 (sec. XIII).

(mancano i primi fogli del lessico, e però anche il proemio, nei codici Vat. Regina Lat. 1627, 1648 del sec. XIII).

Aggiungo alle poesie del cod. 277 ex Brera il proe- mio delle a Derivationes » di Uguccione, che fu pubbli- cato solo in parte dal Bandini e dal Du-Cange, come sopra ho notato. L' edizione è tutt' altro che definitiva perchè ho esaminato soltanto sette esemplari di queir o- pera, ma il testo deve essere molto simile all'originale perchè quei codici che pure non mostrano notevoli dif- ferenze nella lezione, sono indipendenti gli uni dagli altri e hanno grande autorità, essendo quasi tutti del secolo XIII. Il proemio è importante non solo perchè indica il nome e la patria dell' autore , ma anche perchè il disegno generale dell' opera a cui il Mussato nella seconda epistola da me pubblicata si riferisce come a suprema autorità in materia di grammatica ed etimologia.

Incipit prologus in Uguiccione derivationibus (a).

(a) Il titolo è dato da ì; 2 Incipiunt derivationes magislri Ugutio- nis ma di mano diversa da quella del testo, peraltro anch' essa del se- colo XIII; 3 non ha il titolo; i Ugulionis episcopi ferrariensis liber incipit; 5 Incipit ars Uguitionis gramaticalis ad vocabula exponenda.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 299

Gum noslri protoplausti (a) sugestiva (^) prevaricatione hu- manum genus a sue dignitatis culmine quam (y) longe (§) decide- rit, ac triplicis incommodi (s), scilicet indigentie, vicii (Z) et igno- tie (iq), non modicam coartationem p) surapserit, triplex huic tri- plici incommodo nobis (i) a Deo suggeritur (x) remedium, sci- licet (>») commoditas (rt , virtus et sciencia (v). nam indigen- tie {Q moiestiam commoditas (o) vicii (?:) corruptionem virtus, ignorantie (p) cecitatem expellit sciencia; ad quam quidam longe ((7) accedentes panniculum (t) ab ea diripiendo (o) sibi totam nupsisse (cp) credentes, et si quandoque eam in quadam parte possideant (-/) , more tamen (4») bestiarum degentes , non modo predictam triplicem miseriam aliqua virtute non redi-

(a) 2 prothoplausti ; 5 omette cura nostri. (P) 3, 4, 5 suggestiva. (Y) 5 quem.

(8) 1 lunge.

(e) 2 incomodi.

(Q 4 corregge vicii su vitii; 5 vitii.

(y)) ignorancie.

(^) 2 choartationem ; 5 non modica coartatione.

(t) 4 incommodo a Deo suggeritur remedium nobis.

(x) 2 sugeritur.

(X) 5 silicei.

(fjL) 2 comoditas; 3 conmoditas.

(v) 2, 4 scientia.

(^) 3 indigencie.

(o) 3, 5 conmoditas.

(tz) 2, 5 vitii.

(p) 3 ignorancie.

((7) i lunge; 3 omeZ/e longe.

(t) i, 2 paniculum.

(u) 2 dirripiendo.

(9) 1 nubsisse; 4 rapuisse.

(X) 1 possiderant ; 3, 5 possederant, ma 5 con-egge il primo e. {^) i omette tamen; 5 aggiunge tamen con inchiostro più nero nello spazio interlineare come correzione fatta dalla stessa mano del testo.

300 G. MONTICOLO

mere (a) ut sic honestarum artium (^) exercitio (y) ad pristine decusationis celticum (S) honorem aliquantulum valeant promo- veri, sed etiam singulis diebus cumulare conantur. nam nec dentium (s) extantias (Z) elimare (vi), nec balbutientium (^) lin- guarum (i) vitiligines (x) abradere, nec ingenii (X) tarditatem excitare, nec madide (p-) memorie oblivia corripere vel negli- gentiam (v) redarguere, nec maledicta punire, nec sordes ac (4) vitia (o) repellere , sed potius (tt) in vitiorum (p) volutabro (ct) provoliiti (t) peccuniam (-j) congerere ac congeste inservire, vel etiam honestis officiis omissis (9) laciniam (/) corporis ingurgi- tare nituntur; quorum doctrinam vitam mortemque iuxta i^) extimandum (w) est. nos vero altius procedentes ne, si talentum

(a) 4 redimire.

(P) 4 arcium.

(y) 1 exercicio.

(5) 3 celatum; i celictum su relictum; 5 relatum ma corregge /'a su lettere abrase.

(e) dencium.

(^) i, 3 excantias; 5 estantias.

(tq) 5 eliminare.

p) balbutienciiim.

(i) 1 linguatium ma tium è punteggiato sotto come errato; 3 lin- gnarum.

(x) vitiligines] cosi ho sostituito ; 1 vitulagines ; 2 mutuligines ; 3, 4, 5 vituiigines.

(X) 1 ingeniis.

(pi) 4 invalide.

(v) 1, 3 negligenciam,

{Q 2 nec; 4 et.

(0) 1, 3 vicia.

(w) 1, 3 pocius.

(p) 4 viciorum; 5 sed in viciorum polius.

(<7) 4, 5 voluplabro.

(t) 1 provululi; 3 provolupli.

(0) 4 pecuniam.

(9) 2, 3 omissis; 5 obmissis.

(y) laciniam] cosi ho sostituito; 1, 3 laciviam; 2, 4, 5 lacimam.

(4*) 3 omette iuxta; 5 ha iuxla punteggiato sotto come errato.

(cu) 1 exstimandum; 5 existimandum.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 301

a Dee nobis concessum (a) infoderemiis (?), patenter (y) furti (8) arguì possemus (£), quod nature benefitio nobis denegabatur (^) per famam extendere laboravimus ut universe carnis generali- tas (tq) illam, licet tenuem , una cura corpore ne umquam (^) dissolverei ('.). opus igitur divina favente gratia (x) conponere statuimus in quo pre aliis vocabulorum signiflcationum distinctio- nes, derivationum origines (^), ethimolagiarura assignationes (p.), interpretationum reperientur (v) expositiones; quarum ignorantia latinitas naturaliter (4) indiga (o), quadam (:t) doctorum pigritia non modicum coartatur (p). nec hoc tantum ut cenodoxie vi- tream fragiiitatem (t) lucri faciamus (t) adiinplere conabimur quantum ut omnium sciencie litterarum («) invigilantium co- munis (9) inde utilitas exflorescat (/). nec cuivis descendat in

(a) 2 coraissum.

(P) 2 interciderimus e nello spazio interlineare d' altra mano alias infoderemus; 4 infoderimus.

(Y) 3 patuntur.

(5) 5 corr. furti su furtivi.

(£) 4, possimus.

(^) 1 quod nature beneficia denegabant; A quod nature nobis be- neficio denegabatur.

(y)) generalitas] 2 aggiunge d' altra mano nello spazio interlineare id est mors.

(^) ne umquam] 2 numquam; 4, 5 ne unquam.

(i) 3 dissolventur.

(x) 2 divina gratia favente.

(X) 1 orrigines.

(pi) 2 ethymologiarum ; 4 etymologiarum con\ su etymologias.

(v) 5 adsignificationes.

($) 3, 4 reperiuntur.

(0) 2 ha naturaliter scritto d'altra mano\ 5 omette naturaliter.

(tt) 5 indigna.

(p) 5 quedam.

(a) 2, 3 cohartatur.

(t) 4 vitream cenodoxie fragiiitatem; 2 scenodoxie.

(u) 2 faliamus.

(9) 1 lilerarum.

(^) 3 cominu'^.

302 G. MONTICOLO

mentem (a) nos in hoc opere perfectioneni (l^) insinuatim pol- liceri, cum nichil in humanis inventis (t) ad ungiiem (S) inve- niatur expolitum, licet aliis de hac eadem re tractantibiis (s) quadam singulari perfectione liaud (^) iniuria videri possimus excellere. nam hic parvulus siiavius (y)) lactabitur, hic adultus uberius ciababitur (^), hic perfectus affluentiiis delectabitur, hic (t) gignosophiste (>«) triviales, hic Q-) didascali quadru- viales, hic legum professores, hic et (p<) theologie (v) perscruta- tores (4), hic ecclesiarum gubernatores proficient (o) , hic sup- plebitur (tt) quicquid hactenus ex sciencie defectu (p) preter- missum est; hic eliminabitur (ct) quicquid a longo tempore male usurpatum est (t). si quis querat huius operis quis autor (o)

(a) 5 eflorescat.

(P) 3 mentes.

(Y) 1 perfectione.

(8) 1 inventionibus.

(e) 1 adiungere.

(^) 1 ha te e omette le parole seguenti sino a excellere.

(iq) 2 aut; 4 omette haud.

(^) 3 suavis; i omette suavius.

(t) 1, 3 omettono hic adultus uberius cibabitur.

(x) 1 aggiunge igitur.

(X) 1 gnosophiste; 3 gingnosiphiste ; 4 gygnosophiste.

(fi) 1 omette hic.

(v) 3, 5 omettono et.

{Q 1 thoeologie.

(o) 5 perscruptatores.

(tt) 2 profilient gubernatores; 3, 4 proficient gubernatores; 5 per- ficient gubernatores.

(p) 2 suplebilur.

(a) 1 quicquid ex sciencie defectu hactenus ; 4 quicquid ex sciencie defectu; 5 quicquid actenus sciencie defectum.

(t) 3, 5 elimabilur.

(u) qui finisce \ con V aggiunta : Explicit prologus ; incipit liber Uguiccionis de derivationibus, et primo de augeo.

POESIE LATINE DEL PRINCIPIO DEL SECOLO XIV 303

dicendum est (a) quia Deus (^); si querat huius operis (y) quis fuerit (8) instrumentum , respondendum est (£) quia patria pi- sanus nomine Uguicio (?) quasi Eugetio (ri), id est bona terra non tantum presentibus sed etiam futiiris, vel Uguicio (^) quasi Vigetio (t), id est virens terra non sibi sohim (x) sed etiam aliis, igitur sancti spiritiis assistente (>-) gratia, ut qui est omnium bonorum (|x) distributor, nobis copiam verborum auctim (v) sup- peditare (^) dignetur a verbo augmenti nostre assertionis au- spitium sortiamur (1).

(a) 3 auctor; 5 si quis huius operis querat quis auctor.

(P) 2 omette est.

(Y) 3 Dominus.

(5) 4. omette huius operis.

(e) 3 fuit.

{Z) 5 omette est.

(Y)) 2 aggiunge i interlineare a Ugucio; 4 Ugutio; 5 Uguitio.

p) 5 Eugetio.

(i) 2 Viegetio; 3 Vigecio; 4 Eugetio.

(x) 5 solum sibi.

(X) 5 adsi stenle.

(fi) 2 bonorum omnium.

(v) 5 verborum copiam augtim.

(4) 2 subpeditare.

Commento

(1) Il lessico comincia con la parola « augeo ».

Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui, per passare: Più lieve legno convien die ti porti.

(Dante. Inf, canto 111, v. 91, 92, 93),

Tutti i commentatori di questo passo si accordano nel dire che il più lieve legno, il quale deve trasportare Dante nell' altro mondo sia il vasello snelletto e leggero del Purgatorio, alla cui piaggia deve egli approdare, e non a quella dell' Inferno, essendo anima buona, e citano a conforto della loro opinione il v. 127 dello stesso canto :

Quinci non passa mai anima buona.

Il Biagioli aggiunge che, non potendosi ritenere come causa del rifiuto di Caronte a ricevere Dante nella sua barca il timore che questa affondasse avendovi già tra- sportato Enea vivo e grave di armi , è d' uopo am- mettere non essare la sua la barca destinata al tragitto di Dante, ma quella più lieve del Purgatorio. Caso strano nella storia dei commenti alla Divina Commedia: tutti si sono acchetati a queste ragioni, si è fatta tra i chio- satori altra questione che quella del significato della pa- rola porti, interpetrandola alcuni per i luoghi d' imbarco, altri con il Daniello, il Lombardi ed il Tommaseo, per le chiatte, che servono al passaggio dei fiumi. Dispia- cente di dover contraddire all' opinione tenuta per oltre cinque secoli, incomincio col domandare come mai possa

MISCELLANEA

305

Caronte dire a Dante « tu verrai nell' eternità , non ap- prodando alla spiaggia dell'Inferno, ma sibbene a quella del Purgatorio », se di fatto poi a quella approda? si dica che ciò avviene dopo, e che le parole di Virgilio « Caron non ti crucciare: Vuoisi così colà dove si puote Ciò che si vuole, e più non dimandare » dimostrano come questi in realtà non sapesse il volere del Cielo, e potesse per ciò dire « tu non verrai a piaggia qui », poiché anche dopo che Tha saputo, non prende Dante nella barca, ma lo lascia ancora sulla sponda. Occorre quindi ritenere che le parole di Virgilio, risposta a quelle di Caronte, non suonino come vengono comunemente in- terpetrate. A Caronte che dice a Dante « tu non verrai neir eternità approdando all' Inferno, ma al Purgatorio » , Virgilio non può rispondere « é volere del cielo che ap- prodi all' inferno » come dicono i commentatori , poiché non potendosi sopporre che Caronte disubbidisca a questo volere, che alle parole di Virgilio presti poca fede, mentre di fatto si acqueta appena uditele (quinci fur quete le lanose gote), é necessario ammettere che Vir- gilio abbia detta altra cosa da quella intesa dai commen- tatori. Ai quali si potrebbe inoltre domandare in qual modo rendano ragione della frase di Virgilio « non ti crucciare ». Perché mai Caronte si dovrebbe crucciare nel dire a Dante che ha sbagliato strada? Incontrandoci in persona che abbia sbagliato strada, noi non ci sde- gniamo certamente dicendole: « badi, non é questa la sua via » ; anzi la compassione che e' ispira ci toglie per- fino la possibilità di adirarci. vale il dire che Caronte è un vecchio e di quelli i più intrattabili ed uggiosi che si possano immaginare, i quali per un nonnulla si angu- stiano, e che quindi abbia potuto nel semplice accento rivelare ira, poiché osservando questi vecchi, si ritrova che non parlano mai, e, a più riprese interrogati, ri-

Vol. ili, Parie II. 20

306 MISCELLANE/L

spendono per monosillabi, maniere che non si riscon- trano in Caronte, il quale parla molto e senza essere da alcuno richiesto, e parla con un bel periodare, che non è certamente naturale in persona stizzita. Esclusa quindi la possibilità che Virgilio abbia potuto argomentare l' ira di Caronte dall' accento nel parlare , e non ritrovandosi ira nel contenuto del costui discorso:

Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui per passare: Più lieve legno convien che ti porti,

intero come vogliono i commentatori, resta inopportuna e addirittura non spiegabile la frase di Virgilio « non ti crucciare ». E se qualcuno volesse osservare che Caronte si è adirato quanto era detto a Dante:

E tu che se' costi , anima viva , Partiti da cotesti che son morti;

risponderemo che non solo da questa frase non traspare ira, ma che se Virgilio avesse voluto a questa frase ri- spondere, avrebbe detto « Caron non ti crucciare » non appena questi si fu taciuto in attesa che Dante si par- tisse, e non dopo, quando cambia tono e diventa, secondo il senso accettato, cortese e gentile. Ma v' ha di più : se Caronte dice a Dante « tu hai errata la via », perché non glielo dice subito, ma solo dopo quando vede che non si partiva? Forse per indurlo a partire: ma allora essendo questo un argomento che Caronte trae in campo dopo esperimentato vano il comando « partiti » , è chiaro che non possa sonar duro ed aspro, poiché non avrebbe avuta allora miglior fortuna del comando; ed escluden- dosi cosi viemeglio io sdegno dalle parole di Caronte,

MISCELLANEA 307

resta sempre inesplicabile la frase di Virgilio. Non è poi logico ed in armonia con il poema il credere che Ca- ronte dica a Dante ove debba andare: è forse Caronte il giudice delle anime? Che ne sa Caronte di Dante? A Caronte non interessa, deve interessare altro che il trasporto delle anime attraverso V Acheronte , e di nul- r altro egli si deve occupare e si occupa, e molto meno poi della destinazione delle anime, e di Dante in ispecie, il quale non essendo ancora morto, non può andare al- l' Inferno , come neppure al Purgatorio. E siccome di queste incoerenze nel Divino Poema non si trovano, è d' uopo ammettere che non ne sia stato ancora in questo passo inteso il senso. vale a persuaderci il contrario il verso 127 « quinci non passa mai anima buona » , ac- campato dai chiosatori, perocché il dire Virgilio a Dante che ivi non passa mai anima buona, e se Caronte si la- gna di te, é perché tu sei tale, non importa come con- seguenza che Dante non debba andare all'Inferno, bensì al Purgatorio, non essendo detto dove vanno le anime buone, le quali anzi vanno nel Paradiso. Si aggiunga che il fatto del non passare li mai anima buona, se porta per effetto che Caronte veggendone una si lagni, non importa che questa abbia sbagliato strada, come non l'ha di fatto Dante errata, e sia impedita nel suo cammino. Virgilio non dice non può passare, ma semplicemente non passa; non significa una legge, ma esprime soltanto un fatto, un fatto solito ad avvenire, ma che non contiene in gli elementi della sua necessità, come sarebbe dicendo alle anime dannate la stessa frase nel Paradiso, dove non può un' anima dannata passare, mentre per l' Inferno può un' anima buona passare, e vi passò lo stesso Cristo. Uno studio profondo del pensiero dantesco coadiuvato dal confronto degli altri passi a questo simili, ci rivela che quelle parole sono dette da Virgilio a dar conforto e

308 MISCELLANEA

coraggio a Dante che si avvia a sostener la guerra del cammino alto e Silvestro, essendo l'anima sua da viltate offesa, e a persuaderlo ora che incominciano le difficoltà che la sua gita non è folle. E questo conforto è reso necessario dal fatto che Caronte li lascia li sulla sponda , e se ne va su per 1' onda bruna , onde Virgilio dice a Dante: « non ti spaventare, non temere di nulla se noi restiamo qui: quella barca è fatta per passare le anime dannate, e non le buone, e quindi non ti meravi- gliare se Caronte non ci ha presi ivi dentro: noi passe- remo in altro modo ». La quale interpetrazione viene confermata dal fatto che Virgilio rivolge a Dante queste parole quando Caronte se ne va lasciandoli a terra, e non dopo risposto a Caronte, come avrebbe dovuto fare se avesse voluto spiegare le costui parole. Per la qual cosa non solo alcun sostegno non aggiungono queste parole di Virgilio alla comune interpetrazione, ma con- corrono ad infirmarla insieme con le altre esposte ragioni, alle quali aggiungeremo il fatto addirittura ine- splicabile di Virgilio che, mentre da per tutto si rac- comanda affinché a Dante non sia impedito lo suo fa- tale andare, e chiede anche che sia portato in su la groppa, che non è spirto che per V aer vada, qui non dice a Caronte di trasportarlo, ma si rimane con Dante a conversare sulla sponda come un viaggiatore che sulla piattaforma di una stazione ferroviaria assista fumando alla partenza di un treno, aspettando che giunga quello in cui egli deve prendere posto. Occorre dunque ammet- tere che Virgilio già sapesse come Dante non sarebbe stato trasportato di dall'Acheronte nella barca del noc- chiero della livida palude, ma in altro modo, e che a questo altro modo abbia voluto alludere nel rispondere a Caronte: « non ti crucciare ecc.... ». Ed a meglio ar- monizzare il discorso di Virgilio con quello di Caronte fa

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d'uopo ammettere che Caronte vedendo Dante non par- tirsi al suo comando, ma restare li fermo , come persona che volesse passare, gli abbia detto schernendolo : « ah !... non te ne vai?!... hai bel tempo ad aspettare li!... Ver- rai air altra sponda quando ti verrà fatto di trovare altro mezzo di trasporto, quando potrai passare volando!... ». E Virgilio già consapevole che un angelo avrebbe tra- sportato Dante di dal fiume, risponde a Caronte : « Sta pur tranquillo che precisamente legno più lieve lo por- terà : è volere del cielo , e lo vedrai fra poco » . E Ca- ronte allora mortificato tace (fur quete le lanose gote), e vieppiù acceso dalla rabbia manda fuoco dagli occhi ( occhi di bragia che intorno agli occhi avea di fiamme ruote), e mordendosi la parola in bocca, parla alle anime con gesti (loro accennando), e si sfoga a batterle col remo (batte col remo). Queste che hanno ascoltate le parole crude di Virgilio (crude per Caronte e per sé), cangiar colore e dibatterò i denti, poiché immaginarono subito r intervento celeste , e quindi un miracolo o la venuta di un angelo, che le avrebbe atterrite e funestate; e bestemiando si strinsero l'una all'altra (tutte quante insieme ) , quasi cercando l' una nascondersi dietro l' altra, e corsero ad imbarcarsi (si ritrasser alla riva malvagia) al più presto possibile. E non venendo da alcuno messa in dubbio la venuta di un angelo per ritrovarsi qui gli stessi segni che l' accompagnano alle porte di Dite , e per essere giustificata a parer nostro dalla riflessione che a far entrar Dante nell' Inferno la sola guida e forza della ragione è insufficiente, potendo questa condurre l'uomo nel vestibolo al più dell' Inferno , alla dimostrazione cioè della sua esistenza, ma non nel suo interno, nel suo modo di essere, che si appartiene esclusivamente alla religione, ed abbisognare quindi dell' aiuto del Cielo, cioè della re- ligione, noi troviamo che come questa venuta dell' angelo é da Virgilio preannunziata davanti a Dite:

310 MISCELLANEA

Oh quanto a me tarda eh' altra qui giunga ,

cosi debba essere anche qui da lui preannunziata, essendo canone supremo dell' arte di nulla esporre senza avervi convenientemente disposti gli animi, ( e Dante non ha mai fallito a questo precetto); e non ritrovandosi in altro modo preannunziata, è giocoforza ammettere che questo sia fatto nelle parole che Virgilio risponde a Caronte, giusta la nostra interpetrazione. La quale letteralmente intesa suona così: per altre vie (non per la via del fiu- me, poiché qui non vi è che una sola barca, e questa è la mia), per altri porti (per altri mezzi di trasporto), verrai a piaggia ( all' altra spiaggia dell' Acheronte ) , non qui (non qui dentro la mia barca); più heve legno con- vien che ti porti (per te la barca mia che porta le anime, le quali non hanno peso è troppo greve [finissima ironia], ci vuole una barca più leggera ancora, la quale voli sulle onde, senza neppure toccar acqua, senza aff'atto ba- gnarsi, una barca che vada per aria).

È il colmo dell' insulto , e molto spontaneo , ed a proposito, vedendo che Dante non vuole partirsi. A que- sto modo le parole « per altre vie ecc » conten- gono non un significato dolce od indifferente, ma un ter- ribile sdegno , che si estrinseca con l' ironia ed il sar- casmo, giustificato dalla resistenza di Dante a non par- tirsi; a questo modo diventa opportunissima e per le rime la risposta di Virgilio, il quale, come si vede in tutta la cantica, non resta mai al di sotto nel rispon- dere ai dannati, e qui riduce al silenzio Caronte col dirgli che avverrà precisamente quello eh' egli dice per deri- sione, passando Dante per 1' appunto per aria, e Caronte perde la sua loquacità ed ammutolisce rodendosi inter- namente dalla rabbia, che appalesa col fuoco che fa da- gli occhi, con i gesti e col battere le anime col remo, e

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le anime agghiacciano dallo spavento e sudano freddo aspettandosi un miracolo od un angelo, alla cui presenza vorrebbero involarsi. Nella quale interpetrazione siamo confermati dall' analisi grammaticale delle parole di Ca- ronte : perchè egli dice per altre vie, se ha voluto inten- dere la via del Purgatorio, la quale è una, come una è la via dell' Inferno e del Paradiso ? perché per altri porti, sia intendendo i luoghi di sbarco che le chiatte per il passaggio dei fiumi, se uno è il punto dove sbarcano nel Purgatorio le anime, ed una la barca che le tra- sporta? Evidentemente con il plurale ha voluto indicare r indeterminato della nostra interpetrazione e non il de- terminato di quella dei commentatori. I quali per piag- gia intendono 1' eternità, l' altro mondo ; ma hanno riffet- tuto che per poter dire dell' eternità piaggia, occorre im- maginarla quale un mare o quale un' isola , e Dante fa bensì r Inferno ed il Purgatorio circondati ciascuno da acqua, ma non immagina un fiume od un mare che cir- condi insieme Inferno, Purgatorio e Paradiso, li pone tutti insieme in una isola, ma in luoghi diversi e sepa- rati, e quindi la metafora supposta dai chiosatori, oltrec- ché non bella , è contraria all' idea dantesca, e conse- guentemente inaccettabile. Non é più naturale ritenere che abbia voluto alludere all' altra spiaggia dell' Ache- ronte, specialmente poi riflettendo che tutte le anime con le quali Dante parla in tutte tre le cantiche usando il verbo venire intendono sempre il luogo dove esse sono e non l' eternità, che tutti i tre luoghi descritti dalle can- tiche abbraccia? Ed é ciò anche logico, non potendo la mente di queste persone distrarsi dal luogo ove si trova 0 martoriata da pene crudeli ed incessanti, o da gaudio inesprimibile allietata, e pensare un' eternità diversa da quella che é ad essa toccata. Che se Caronte non é af- flitto da pene, dalle quali sia attratta tutta la sua atten-

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zione, si trova da secoli e secoli adibito a quell'uffizio, e circoscritte tutte le sue idee ad esso, è incapace di pensare altro da ciò che gli cade tutte le ore sott' oc- chio. Ma v'ha di più: Caronte è creazione pagana; egli trasportava le anime all' Èrebo già prima della morte di Cristo, quando il Paradiso, il Purgatorio esiste- vano; non ha mai avuta occasione di parlarne con al- cuno che fosse venuto dal Purgatorio, onde è inamissi- bile eh' egli parli pur dell' esistenza del Purgatorio , es- sendo uno di quei vecchi che inveterati nelle loro idee divengono incapaci di riceverne delle nuove, e molto meno poi che parli della sua descrizione e della barca guidata dall' angelo. Si aggiunga che il non qui riferito dai commentatori all' Inferno , grammaticalmente dev' es- sere riferito alla barca di Caronte, dovendo essere l' altro termine di paragone di più lieve legno ; e che sia così lo conferma la grammatica, la quale insegnando che qui esprime stato in luogo, dice chiaramente che qui indichi la barca e non l' Inferno, e non dipenda quindi da verrai, come vorrebbero i commentatori, poiché in tal caso Dante avrebbe dovuto dire qua, moto a luogo. E poi venire indica il luogo dov' è la persona che parla, e poiché Ca- ronte non ha ancora toccato riva, e parla del trasporto di Dante all' altra spiaggia dell' Acheronte , è chiaro che a questa altra spiaggia voglia alludere, e non alla spiag- gia dell' eternità. Si aggiunga che Dante già è alla spiag- gia dell' altro mondo, e quindi essendo ad essa venuto, non può sentirsi dire da Caronte verrai, futuro, se già vi è. E se si voglia poi ritenere, com' è più logico , che la spiaggia dell' altro mondo sia non quella dove sta Dante (la quale è di questo mondo), ma l'altra dove vuol essere trasportato, apparirà viemeglio che la parola spiaggia si debba riferire all' altra riva dell' Acheronte, e quindi cosi costrurre il passo: per altre vie, per altri

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porti, non qui (dentro la mia barca) verrai per passare a piaggia (all'altra spiaggia, alla spiaggia dell'Inferno); oppure « verrai a piaggia (all'altra spiaggia) per pas- sare neir Inferno » . Da ultimo se fosse vera la interpe- trazione dei commentatori che Dante dovesse traghettare all'altro mondo nella barca del Purgatorio (più lieve le- gno), egli non avrebbe dovuto dire più lieve, ma più veloce : la barca del purgatorio è più veloce, perché gui- data da un angelo, ma non più leggera. Per trasportare Dante, anima viva, occorre barca non più lieve, ma più pesante, poiché deve pescare di più per l' aumento di carico. Anche la parola conviene esaminata con attenzione conforta la nostra ipotesi, poiché se Caronte avesse vo- luto alludere al Purgatorio avrebbe detto: ti porterà, e non è mestrieri che ti porti. E questa ipotesi diventa certezza ritrovando noi nella nostra lingua la parola porto nel significato di trasporto : noi lo diciamo comunemente nelle frasi: porto franco, porto dovuto, porto gratuito,

spese di porto ecc E non solo nella lingua parlata

si riscontra questo significato, ma eziandio nella classica: nel dizionario della Crusca si legge: porto equivale por- tatura, condotta, lai. vectatio; Annibal Caro (lett. I, 34) dice: Fattosi pagare il porto di esse scrittovi di sopra

d' altra mano, andò via Redi (lett. II, 23): Al Sal-

vadori procaccio di Firenze ho consegnata una cassetta per V. Signoria Ill.ma franca di porto; e Checch. Assinol. (V, 2): « Non pagherebbe tanto di porto una lettera che venisse di Calicutte o dal Perlo ». Porto nei senso di trasporto è usato anche in latino, e Claudiano dice: « est etiam portitor qui portat sen navi, sen manu, hu- merisve » ; e Virgilio chiama Caronte « portitor orci » (Georgiche, lib. IV, V. 502, episodio di Orfeo ed Euri- dice): « nec portitor orci amplius obiectam passus tran- sire paludem » ; e nel lib. 6 dell' Eneide v. 298 : « por-

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titor hac horrendus aquas et flumina servat » , terribili

squalore Charon ecc Osserviamo da ultimo che la

nostra interpetrazione viene confermata dallo studio della risposta di Virgilio:

Vuoisi così colà dove si puote

Ciò che si vuole, e più non domandare,

la quale dovendosi riferire a più lieve legno che ti porti, non ha senso ironico. Concludiamo adunque che solo la nostra interpetrazione scioglie ogni difficoltà, e rende lo- gico che Caronte se ne vada senza prendere Dante nella sua barca, logico è il discorso di Caronte, logica la ri- sposta di Virgilio, e salvo il buon senso e la gramma- tica. E a consolidare un' ultima volta ancora la nostra interpetrazione, osserviamo che il « più non dimandare » di Virgilio non può ricevere che questo senso, cioè: « e più di quello che io ti dico, tu non domandare »; e di- cendogli Virgilio (secondo noi) che si vuole in cielo ap- punto che Dante sia trasportato in più lieve legno, lo mortifica di più soggiungendo : « e come ciò avverrà non ti deve interessare » . Invece secondo gì' interpetri biso- gna ritenere che il più non domandare riguardi la ra- gione che cosi si voglia in cielo, e si ha che Caronte domandi a Virgilio il perché di un volere del cielo, o che Virgilio possa supporre una tal domanda da Caronte. si alleghi l' identica risposta di Virgilio a Minosse, poiché se sono identiche le parole, non ne è identico il senso. A Minosse Virgilio dice prima:

Non impedir lo suo fatale andare:

e poi:

Vuoisi così colà ecc ;

MISCELLANEA 315

onde il « vuoisi così colà ecc » si riferisce a fatale

andare, e Virgilio con quelle parole la ragione per la quale l'andare di Dante è fatale, ed è perché voluto dal Cielo; perché poi sia voluto dal Cielo a Minosse non deve importare, e perciò anche a lui soggiunge: « e più non dimandare » . La quale interpetrazione è resa neces- saria a prescindere dal senso letterale delle parole, dal fatto che senza di essa, avrebbero da Virgilio eguale trattamento Caronte, infimo ministro dell' Inferno e Mi- nosse, il primo ministro di esso ; parità per altro distrutta anche dal fatto che Virgilio a questo dice: « non impe- dire a Dante di passare », mentre nulla dice a Caronte, ma lo disprezza completamente. E se a provarmi la pa- rità di trattamento i commentatori dicessero che, non potendosi nel « perché pur gride? » di Virgilio ritenere il pure pleonasmo, non continuazione di discorso, non essendo stato interrotto Minosse durante i quattro versi che pronuncia, (o tu che vieni al doloroso ospizio ecc.), e dovendosi per conseguenza, al dire di Biagioli, ammet- tere che Virgilio si ricordi in questo momento di Caronte, il cui incidente associ nella sua mente, e quindi si ri- volga a Minosse dicendogli: « gridi tu pore come Ca- ronte (anche tu?) », e per conseguenza al pari di que- sto lo tratti, risponderemo come essi non abbiano saputo ancora comprendere il significato di questo pure. Dante ha detto al principio del canto v. 4:

Stavvi Minos orribilmente e ringhia:

ben è vero che ringhiare non è parlare, ma non è nep- pure tacere (1): alle anime Minosse non parla che cin- gendosi la coda tante volte quantunque gradi vuol che

(1) Davanzali nella Irad. di Tacito (an. 2-63) dice: « Come nimici si misono in arme, la paura lii divisa; ringhiossi e non altro ».

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giù sian messe, e quindi il suo renghiare è per queste un gridare il più eloquente; non solo le giudica muo- vendo la coda, ma le sgrida con ringhi, che vengono da queste profondamente intesi. Ma Dante dice anche odono (dicono ed odono e poi son già volte), e quindi occorre ritenere che Minosse realmente parlasse, ma con tal rab- bia ed ira che il suono delle sue parole somigliasse piut- tosto al ringhio dei cani, e per conseguenza il pure a questo gridare alle anime si riferisce, e la frase di Vir- gilio suona: « perchè gridi pure verso di noi? ».

Roma, 27 Marzo 1890.

Prof. Giov. Giuseppe Gizzi.

DELLA ESATTA INTERPRETAZIONE DEI VERSI DI DANTE

« Gli occhi lor eh' eran pria pur dentro molli, Gocciar su per le labbra, e il gielo strinse Le lagrime tra essi, e riserrolli. »

Inferno XXXII 46-49.

Non è questione e contesa tra i commentatori an- tichi intorno alla interpretazione dei versi sopra citati, o almeno di tali dubbi non è fatto cenno. Cosi non ne par- lano il Lana, V Ottimo, Y Anonimo fiorentino, le chiose del falso Boccaccio, le chiose anonime pubblicate dal Selmi etc. La questione appare con Guiniforto e con Benvenuto , commentatori e leggitori ambedue della D. C. E la que- stione appare, per dir cosi, in tutta la pienezza, perciò che Benvenuto da Imola legge colla nota variante gocciar giù per.... Non è a credersi che questa lezione di Benvenuto potesse essere un emendamento di sua testa alla lezione comunemente accettata: troppo era egli vicino al poeta sommo è noto che egli leggeva Dante a Bologna nel 1365 come si arguisce dal suo stesso commento troppa era la venerazione di cui non solo egli, ma i tempi, se- gnatamente a Bologna, circondavano il poeta, perchè egli potesse arrischiare una correzione, pur credendo sospetto il manoscritto suo. Tanto più che anch' egli interpreta labbra per : palpebre. Noi di fatto troviamo la variante di Benvenuto portata dal God. Angelico che trovasi nella Biblioteca Angelica di Roma T. 6, 22, codice che piega

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air ortografia del dialetto romanesco o pugliese, senza al- terare punto la vera lezione Toscana. Per qual vicenda si ignora, manca del Purgatorio e per quanto ne dice il De Romanis è antichissimo e correttissimo, e certamente le sue varianti sono molto pregievoli. [D. C. col comm. del Lombardi Padova 1812] Angelo Sicca [Riv. delle varie lezioni della D. C. Padova 1832] cita pure tale variante come appartenente ai codici di Padova: n. 9, membra- naceo in foglio del secolo XIV, e al codice n. 67 mem- branaceo in foglio del XV. Tale variante occorre anche in tre delle prime edizioni. Tuttavia e un altro codice di Padova n. 316, membranaceo, in 8"^ del secolo XV e i quattro codd. confrontati dal Witte e quelli confrontati dallo ScarabelU e i codici Friulani esaminati dal Fiam- mazzo [Cividale 1887] e moltissimi altri, con quasi tutte le antiche e moderne edizioni, comprese le tre principalis- sime, V Aldina, e le due della Crusca, leggono gocciar su per. Pertanto una interpretazione sicura deve basarsi sopra questa lezione che certo per 1' autorità e il numero dei codici e delle edizioni dalle quali è portata^ è la piìi au- torevole. Il dubbio move dall'interpretazione che devesi dare al nome labbra; se cioè per esse devono intendersi le palpebre, quasi labbra degli occhi, oppure, come più vol- garmente sarebbe a intendersi, le parti esterne e carnose, gli orli insomma della bocca. A prima giunta parrebbe che tale senso dovesse richiedere l' una o l' altra lezione; che il gocciar su si accordasse meglio col primo senso ac- cennato, mentre il gocciar giù meglio starebbe col se- condo; ma in vero poi Benvenuto, anche con tale ultima lezione , interpreta labbra per palpebre, e d' altra parte anche volendosi dar l' altro senso a tale parola riesce con esso consona l'altra lezione, come già notò il Blanc, poiché veramente le lagrime cadono nell' atto che i peccatori eri- gono li visi verso il poeta. L'interpretazione adunque deve

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piuttosto scaturire dal giusto intendimento di ogni parte della scena, dal suo principale motivo, da una serie d'os- servazioni desunte dal luogo nel quale i poeti si trovano, e dal sentimento generale della Div. Commedia.

IL

Il Camicion dei Pazzi, Alberto Camicione de' Pazzi di Valdarno, rispondendo al desiderio del poeta, dice di quei due si stretti Che il pel del capo aveano insieme misto :

Se vuoi saper chi son cotesti due La valle, onde Bisenzio si dichina, Del padre loro Alberto e di lor fue.

D'un corpo uscirò: e tutta la Gaina Potrai cercare, e non troverai ombra Degna più d'esser fitta in gelatina.

Il poeta non ci dice altro, più copiose notizie ab- biamo dagli antichi commentatori: i quali tutti, per al- tro, si accordano nel giudizio che di essi il Poeta. Il Lana ci dice solamente di che famiglia fossero; V Ano- nimo aggiunge che si uccisero l'un l'altro. « Questi due » fratelli furono Napoleone ed Alessandro de' conti Alberti » (conti di Mangona) i quali furono di si perverso animo, » che per torre l' uno all' altro le fortezze, che avevano » in vai di Bisenzio, vennono a tanta ira ed a tanta mal- » vagita d' animo, che l' uno uccise l' altro, e cosi insieme » morirono ».

Amore è luce [luce intellettual piena d'amore Par. XXX, 40] e amore, come luce , riveste e accende tutto r empireo; e luce è calore, e fiamme di carità, e fiamme d'amore sono le anime de' beati, eternamente danzanti

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in mozzo a' fiori : odio è tenebra, e odio è gelo, e gelo avvolge i traditori nell'inferno, come rivesti l'anima loro nel mondo. Sia nelle visioni antecedenti alla Div. Com- media, sia nello stesso divino poema le pene sono distri- buite ai peccatori coi due criteri dell'analogia e dell'an- titesi e la fiamma e il gelo sono, per dir cosi, gli elementi punitori per eccellenza.

Le visioni medioevali parlano spesso di un bagno ghiacciato, nel quale anzi le anime passano dopo essere state immerse in un bagno bollente; castigo per altro già menzionato nella visione di Tespesio, narrata da Plutarco neir opuscolo Dei tardi puniti dalla giustizia divina. Tro- vasi nella visione di S. Paolo dell' undecimo secolo della quale abbiamo varie versioni dall'originale latino, di cui una italiana, riferita dal Villari nella nota sua pubblicazione, (1) in cui dicesi: gli demoni ardevano la metade e l'altra metade afredavano e nella visione di Thurcill riferita all' anno 1206 , narrata da Matteo Paris, il più veritiero dei monaci (dicesi) che scrissero storie; nelle visioni ri- ferite nei celebri dialoghi di Cesario d' Heisterbach , scritti nel 1222 , il ventiduesimo anno della sua professione di monaco, ove di un povero dannato dicesi : Jactatus est in locum tam frigidissimiim ut optaret redire in ignem. (Li- bro XII, e. 23) (1). E tale castigo ricorre nell' inferno di Giacomino , descritto in un poemetto intitolato : De Babi- lonia civitate infernali, pubblicato dal Mussafia, Vienna 1864. E neir inferno di Armannino, publicato dal Tom- maseo (Nuova Antologia Nov. 1831), nelle visioni riferite dallo Specchio di vera penitenza del Passa vanti etc. Se in questi e in altri scritti medioevali si ricorda la pena del caldo e gelo, segnatamente dominante nell' inferno dantesco, nella

(1) Ant. leggende e trad. che illustrano la D. C. Pisa, Nislri, 1865. Ann. dell' Univ. Toscane, voi. VIU.

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gelata dei traditori abbiamo più che tutto il ricordo della sacra proposizione, così spesso menzionata nel medioevo : Ibi erit fletus et strìdor dentium. La gradazione dell'im- mersione nello stagno gelato, che già potrebbe ricordare quella del canto decimo secondo nella sanguinosa ri- viera

in la qual bolle Quel che per violenza in altrui noccia

è pure comunissima nelle leggende medioevah. Narra Gregorio di Tour che Sunniulfo « referre erat solitus, ductum se per visum ad qiwddam flimien igneum.... dove erano immersi i dannati.... et erant alii iisqiie ad cingu- lum aia vero tisque ad ascellas, nonnulli usque ad men- tum, clamantes cum fletu se vehementer aduri » (Greg. Hist. lib. IV e. 33). Così nella visione di Thurcill abbiamo la gradazione dell'immersione in uno stagno d'acqua fredda formato dal fiume sul quale passa il ponte infernale ; nella visione di S. Paolo i dannati stavano pure alcuni sino al ginocchio altri sino alle ciglia, e nella fossa di S. Patrizio « era grande moltitudine di gente d' ogni maniera et etae, de' quali alquanti erano attuffati si profondi che quasi non si potevano vedere. Alcuni altri vi erano dentro fino alle ciglia, alquanti fino agli occhi, altri fino alle labbra, altri fino al collo,, altri fino al petto, altri fino al bellico, altri fino alle coscie, altri fino alle ginocchia, altri fino alle gambe, alcuni v' erano che non v' erano se non è un piede, altri v' erano con ambedue le mani, alcuni solo una mano.... » Se la sottigliezza della gradazione è qui spinta air ultimo grado, nella gelata dantesca essa è sem- plicissima, e raggiunge in tale sua semplicità il sublime. Se la pena dei traditori, duramente fasciati dal ghiaccio, come in vita loro ebbero l' animo chiuso ad ogni senti-

Vol. Ili, Parie II. 21

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mento di amore, è al poeta suggerita dal criterio analo- gico, nel caso speciale di cotesti due fratelli, l' analogia è dal poeta con evidenza e forza tragica grandissima com- mischiata air antitesi, in quanto il giudizio di Dio ha voluto insieme costretti questi due uomini, legati per natura dal sangue, figli dello stesso padre e della stessa madre [// padre loro Alberto..,. U un corpo uscirò] ma che si odiavano reci- procamente per gelosia di dominio. poteano mancare classici ricordi al poeta, come il Virgiliano a Eie, quibus in- visi fratres, » [Aen. VI] e di Stazio dove parla dei fratelli Tebani dei quali il poeta dirà poco dopo, e di Lucano dove di Romolo e Remo dice: 0 male concordes nimia cupidine coecil I quali fratelli disgiunti in vita sono uniti in morte; disgiunti in vita dallo stesso peccato, sono con- giunti neir inferno, morte dell' anima , dalla stessa pena. L'antitesi è spiccatissima e di grandissima forza dram- matica. Essi hanno i petti stretti e il pel del capo insieme misto come due che si cozzano. Questa antitesi è, per dir cosi, il motivo di tutta la scena e la naturale spiega- zione de' versi, ne' quali ci è dipinta, ce ne fa accorti in modo sicuro, in modo tanto potente che il Benvenuto disse : Et sic nota quomodo isti duo fratres interrogati » qui essent, ostenderint per evidens signum quomodo » fuerint unum par pessimorum fratrum qui tam cru- » deliter se invicem percusserant Or si vede di qual effetto sia questo quadro che incomincia con una lamen- tazione tenera, quasi direi affettuosa: Guarda come passi, Fa si che tu non calchi con le piante Le teste dei (ratei miseri lassi! e finisce con movimento orrendo: due teste di fratelli che si cozzano. Quanto effetto senza una pa- rola!

Qui è tutta la giovine forza del grande poeta, che con un movimento ci palesa tutto un carattere, mentre

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par che egli non ne abbia quasi V intenzione ; quella frase, buttata là, par quasi inconsapevole ; ed è appunto in que- sta inconsapevolezza del poeta che abbiamo tanta forza estetica. È lui che suscita l'imagine nella nostra fantasia com- mossa , e questa individualmente imprime, scolpisce, come può, come vuole, sicché più larga diviene la nostra interna commozione appunto perché l' obietto non è quasi più figlio del poeta , ma il poeta ce l'ha fatto figlio nostro. E perché si cozzano? Perché tanta ira li vinse? Essi si trovano riserrati ; ma dove ? serrati alla bocca ; dove r amore li avrebbe dovuti congiungere , 1' eterno volere li disgiunge coli' odio, ed essi si urtano, si martellano, coi due capi scambievolmente. L'altezza drammatica è veramente sublime! Il delitto è orribilmente espiato! Due fratelli che si odiano , unite le fronti , di guisa che i capelli dell' uno sono commisti con quelli dell' al- tro, e cosi unite perché eternamente cozzanti, stretti i petti loro sotto nel ghiaccio, borbottanti del freddo, è già grande; ma questa è la loro eterna pena, la loro eterna immobilità, essi non alzano la fronte per guar- darsi mai. Innanzi a questa immobilità della morte, che a mano a mano ci inoltriamo nella gelata, cresce, fino alla perfetta immobilità, anzi quasi sparizione assoluta del- l' individuo solo Lucifero move le ali, ma goccia pianto e sanguinosa bava , punitore degli altri , ma maggior punitore di se stesso innanzi a questa immobilità, dico, passa la vita, l'uomo vivo. Dante, e la vita pure si desta nei dannati : ma quale vita ! quale rappresentazione, e come scelta, e come, per dir cosi, ricavata dall' ambiente, come naturale in quella natura! Quel gelo freddo come la morte, non può essere che legame d' odio, il quale più violente- mente rinasce in loro ogni qual volta essi vorrebbero le- varsi da quella posizione nella quale l'eterna giustizia li

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ha messi: e rinasce più violento mentre le loro bocche, baciate dalla stessa madre, e sulle quali dovrebbe ancor fremere il ricordo dei primi baci d' infanzia , inconsape- volmente si toccano, eternamente colpiti dal castigo di- vino. Se nella vita, vivere, per loro fratelli dovea voler dire amarsi, omai nell' inferno , vivere significa per loro crudelmente, bestialmente odiarsi.

III.

Tale è la scena; or si vedrà come la sottigliezza di due commentatori, il Benvenuto prima, il quale legge giù cui si potrebbe or dimandare come le lagrime possono scendere giù se si gelano su negli occhi e il Guini- (orto poi, il cui commento fu stampato a Marsiglia, ab- biano protratta per tanto tempo una spiegazione assurda che toglie tutta la forza e la bellezza al dramma immaginato dal poeta. E in tale spiegazione i commentatori moderni sono quasi unanimi, alcuni eccettuati, fra i quali il Tommaseo, ed è tale interpretazione che il Blanc riportò e sostenne in una delle sue note: I comm. antichi e moderni, egli dice, » pare non abbiano ben misurato la difiìcollà di questo » passo. La principale questa si è, che cosa debbasi in- » tendere per labbra, se sieno coteste proprio le labbra, » 0 le labbra degli occhi, le palpebre. Per la prima spo- » sizione stanno Benvenuto (?) il Biagioli , (e questi in » opposizione al Lombardi) il Costa (? cfr. l'edizione di » Bologna 1842) il Tommaseo; tutti gli altri incomin- » ciando dal Guiniforto per la seconda. Quelli che ac- » Gettano la prima, danno certo la preferenza alla variante » giù che occorre già in tre delle prime edizioni. Se non » che la prevalentissima autorità de' ms. e delle vecchie

MISCELLANEA 325

» stampe è per su, lezione che pur noi prendiamo per

» la vera, poiché le lagrime possono ben gocciare giù alle

T> labbra, mentre che il viso è abbassato, ma non mentre

» che è eretto, e quel che più monta, il tra essi non

» può certo riferirsi alle labbra , onde i seguaci di

» questa opinione amano di leggere qui tra esse. V edi-

» zione di Ravenna del 1848, citata dal Bianchi, ha tra

» esse. Ma gli sta contro affatto che strinse tra esse, va

» per grammatica strettamente unito a e riserrolli, la qual

» forma è accertata per la rima. Inoltre si capisce bene

» che le ombre a mirare i vegnenti, aprono gli occhi

» che da prima eran chiusi, ma non si dice mai che ab-

B biano aperta la bocca. E in fine non si può vedere

» qual danno rechi a' dannati il riserramento delle labbra

)) per le lagrime gelate, dove il chiudimento degli occhi

» {tra essi occhi) toglie loro la vista de' passeggieri che

» bramano di conoscere, e li muove naturalmente a disfo-

ì> gare la rabbia. La sola difficoltà che tuttavia incontri

» la nostra interpretazione (per la quale le labbra sono

» prese per palpebre, e il tra essi è riferito agli occhi)

» si è, che, come ebbe a notare il Cesari, la similitudine

» che segue [Legno con legno spranga mai non cinse

» Forte così], non si aggiusta bene al chiuder degli occhi;

» ma la cosa è pur la medesima per chi prenda labbra per

n le vere labbra. La chiosa del Daniello che le lagrime

» in quel alzare il viso in su si ritraessero nel concavo

» degli occhi, e quivi si aggelassero, si oppone aperta-

j) mente così al senso letterale de' versi, come al tutt' in-

» sieme ; che ciò accade soltanto nella Tolomea XXXIIF,

» 94 seg. Da ultimo il tra essi potrebbe forse riferirsi

» agli stessi peccatori, e verrebbe a dire : Le lagrime ri-

» gelate li strinsero e li riserrarono 1' uno all' altro; la

» similitudine ci starebbe, ma non sapremmo intendere

» come le teste potessero tuttavia riurtarsi fra loro.

326 MISCELLANEA

Filologicamente nulla osta ad intendere labbra per gli orli delle palpebre , noi abbiamo esempio della parola latina labium labbro , sia nell' aurea classicità [Caes. : ut eius fossae soliim tantumdem pateret , quantum summa labia distabant [ l. 7 B. Gali. 72. ] sia nella più bassa [Plinio 1. 31 e. 2 ad fin. Herba in labiis fontis vivens] , adoperata nel senso di orlo , sebbene questo di Dante sarebbe il solo esempio nel quale tale parola verrebbe applicata agli orli delle palpebre; senza necessità per altro di questa metafora , tutt' altro che bella in quanto essa può dar luogo all' equivoco (1). Della parola labbro, usata nel senso generale di orlo, abbiamo esempi anche nella parlata, a' tempi di Dante, come Fio. St. 27. Di sopra intorno intorno fa un labbro d'oro a modo di spranga per modo che le cose che ci mette- ranno suso non possano cadere. Ma altre osservazioni si possono fare su riserrare. Tale verbo ha propriamente il senso di : serrare di nuovo e tutti i commentatori in questo senso si accordano; di fatto quelli il riferiscono ad occhi, dicono appunto che i peccatori avevano prima gli occhi chiusi^ al che si potrebbe rispondere, come mai il poeta non ne facesse cenno; che anzi il Gamicion dei Pazzi dice: Perchè cotanto in ìioi ti specchi? Poiché egli col capo basso vedea riflesso nel ghiaccio trasparente come vetro l'ombra del poeta. RiserroUi si dice dunque qui de' dannati che , stretti al petto , abbassate le fronti, intrecciati i loro capelli , stanno cozzandosi , dalla qual posizione levatisi , vengono rinserrati nuovamente in una guisa che dovea accendere in loro l' ira più bestiale, essen- dosi uniti, essi che si odiano, nella bocca, dove pegno di amorosa unione, dovea congiungerli il bacio. È soltanto

(1) In fine di verso, Par. XXVI, 72, il poeta nostro indica con la parola « (jonna » le varie membrane, o involucri che rivestono l'occhio.

MISCELLANEA 327

girone della Tolomea che i peccatori hanno gli occhi co- perti di duri veli, sicché Frate Alberigo prega Dante che glieli voglia levare. Ma del resto è anche affatto insussi- stente che le lagrime gocciolanti dagli occhi aperti aves- sero tosto potuto gelarsi sulle palpebre ; tanto è vero che anche in questo terzo girone della Tolomea, le lagrime una sull'altra cominciano totalmente a gelare all'estre- mità del coppo sotto il ciglio, finché n' é riempito ; ma prima che tutto questo avvenga, occorre un certo tempo tanto che Alberigo dice:

Si eh' io sfoghi il dolor che 'I cor m' impregna Un poco, pria che il pianto si raggeli.

E se questo avviene nel terzo giro, dove il freddo, la pena, è maggiore, non é naturale qui che le lagrime si geUno sulle labbra , cioè un po' più basso ? Puerile poi é il far derivare la loro ira dal non aver potuto ve- dere Dante , la ragione fu trovata dal Buti e ripe- tuta poi dagli altri. Alberigo non domanda già a Dante che gU levi i duri veli perché possa vederlo, ma perché possa piangere. Stiracchiati sono i significati alle- gorici che si vorrebbero trarre da questi occhi eterna- mente chiusi, secondo 1' accennata interpretazione, stirac- chiati e troppo sottili. Ecco Benvenuto : Et per hoc » videtur innuere quod tales, licet videantur aliqiiando » aperire oculos mentis tamen cito inglaciatur, induratur » cor, sicut videmus interdum homines cnidelissimos plo- » rare molliter ad modum meretriculae; tamen Nero cru- » delissimus non effudit lagrimam visa matre Agrippina

» mortua, quipostea gladio se interfecit E il Lan-

» dino: Che le lagrime agghiacciassero in modo che » risserrassero loro gli occhi, dinota che l' invidioso ben-

328 MISCELLANEA

» che vegga la miseria, nondimeno il freddo, cioè il » mancamento della carità, non lo lascia vedere et muo- » versi a compassione. Ma si potrebbe domandare an- cora come il conte Ugolino possa tener gli occhi aperti, dicendolo pur Dante, con gli occhi torti, lui che è nel se- condo giro, dove è maggior freddo? La rabbia, la vergogna freme in questi due primi giri, analoghi di pena, come ana- loghi di peccatori, in quanto tutti sono traditori del sangue; ove abbiamo Ugolino che rode le tempie all' arcivescovo, e due fratelli che si cozzano. Ma ciò che rende evidente la nostra interpretazione, è il paragone che ne segue, il quale altrimenti non si può spiegare e lo confessano pure gU av- versari, e un poco anche lo Scartazzini! La risposta che a questa difficoltà porta il Blanc, non va, però che io credo che il serrame di ghiaccio non tenga già le labbra individual- mente, ma le quattro labbra dei fratelli unite come in bacio, le quali, come si può capire dalla posizione loro, essendo erette le teste, si trovano a contatto. Notisi ora come mirabilmente propria diviene l'imagine! Le lagrime gelate sono spranga tra bocca e bocca. Il Blanc finisce col dire che, se uniti i peccatori fossero stati, non pote- vano cozzarsi. Giustamente , se la rabbia non li accendesse! Ma essi tosto che le loro bocche sono con- giunte si dividono aspramente rabbiosamente, più forte- mente urtandosi con le teste per la fatica stessa, se non fosse l'ira, del dividersi. Notisi ancora la proprietà del su per già osservata dal Blanc quando dice le lagrime possono ben gocciare giù alle labbra quando il viso è abbassato, ma non mentre che è eretto. Esse appunto, erigendo i peccatori il loro viso, cadono sulle labbra a dirittura, senza strisciar per le gote; che in fondo forse potevano, anche nel primo giro, gelare e non arrivare alle labbra, onde il poeta dice: Ognuno in giù tenea volta

MISCELLANEA 329

la faccia. Appunto erigendo il viso , le lagrime goc- ciano , verbo appropriatissimo , gocciano sulle labbra che sono prominenti. Ora riporterò le sei ragioni dello Scartazzini , non perchè portino alcun che di nuovo, ma perchè egli riassume tutte le ragioni della tesi op- posta alle quali metterò accanto le mie: l."* Le lagri- me gelavano già prima di arrivare alla bocca. Il poeta prima di tutto dice su, sicché le lagrime non strisciano per le gote, ma gocciano sulle labbra; d'altra parte nel primo giro della gelata, essendo il freddo meno intenso le lagrime potevano arrivare anche per le gote fino alle labbra senza gelarsi. 2.°) tra essi nel v. seg. non può riferirsi a labbra. Verissimo, si riferisce ai peccatori. 3.°) il gelo non riserrò a quei due miseri le labbra della bocca che il poeta non dice che l* avessero aperta; sibbene riserrò gli occhi che essi avevano aperti per veder chi fosse. Non è dimostrato che essi avessero gli occhi chiusi, e il riserolli riferito a peccatori sta benissimo, poiché essi anche prima erano uniti nell' atto di cozzarsi, « e il pel del capo aveano insieme misto » 4.°) avendo i due piegato il capo indietro per guardare in su, le la- grime non potevano scorrere giù per le guancie in modo da arrivare alla bocca, quand' anche il gelo non le avesse subito fatte agghiacciare. E le lagrime appunto non scor- rono, ma gocciano sulle labbra, cascano sulle labbra pro- minenti neir atto di erigere le teste. 5.°) Se le lagrime scorressero giù sino alle labbra della bocca, gli occhi resterebbero liberi. E nessuno ci dice che sieno restati chiusi. 6.°) V ira che li vinse V. 51 si comprende benis- simo se prodotta dal non poter vedere, ma non se gli occhi restassero liberi. Quest' ira si comprende malissimo, quando si supponga come causa di essa l' essere restati i peccatori semplicemente con gli occhi chiusi: si com-

330 MISCELLANEA

prende benissimo quando si dica: causa di essa fu il trovarsi uniti, e uniti, nella bocca, dove è amore, e essi hanno odio. Aggiunge poi dopo l' impossibilità del cozzare, argomento del Blanc cui già rispondemmo; e di più dice che le lagrime non erano bastevoli a serrarli, il quale argomento è ridicolo.

Riassumendo adunque la concezione di tale episodio, diremo che il genere della pena è l' analogia, il modo è l'antitesi, in quanto essi si odiano, e dovrebbero amarsi, antitesi che resta nell' eternità di queir eterno cozzo; che vive allorché passando il poeta, la vita, i dannati si muo- vono e trovandosi uniti alla bocca, quasi in un bacio, si martellano nuovamente con la testa. Cosi abbiamo ricostruito sulle vere sue basi , al vero suo posto , nel giusto suo valore, questo piccolo dramma, che, sebbene di pochi versi, si può dire veramente dantesco nella su- blimità della scena e della poesia, che la proprietà della lingua si sforza a rendere precisa con evidenza quasi ma- tematica, e dove l' altezza del concetto e della tragedia morale straordinariamente commuove e insegna, vivendo tutto il poeta solo neir azione dei dannati.

Arnaldo Foresti

ANTICHI PROVERBI IN RIMA

I proverbi che qui si pubblicano costituiscono una serie bastantemente importante, che nel presente risveglio degli studi paremiologici , merita 1' attenzione del folklo- rista e del filologo, sia per la sua ampiezza , sia per il tempo in cui fu composta o riunita.

Essi si rinvengono in due codici: nel Riccardiano 2924 e nel Vaticano Regina 1603. Il primo è un volu- metto cartaceo della fine del secolo XV, o dei primi del successivo; misura cm. 20 X 13, e consta di 37 carte scritte di mano elegante: ogni pagina comprende quasi sempre 16 righe; la prima carta è inquadrata in un fre- gio, che reca in cima, dentro a uno svolazzo, in caratteri ad oro, il motto : Vive memor leti, e dappiede uno scudo rosso sormontato da una lista turchina con gigli gialli: nel campo rosso una corona verde, e dentro a questa una torre bianca con a lato le iniziali K e A. Il codice Riccardiano contiene: Il Capitolo delle Noie di A. Pucci; adesp. e anepigrafico , ( e. 1^-8^ ) ; i nostri proverbi , anch' essi senz' alcuna didascalia ( e. 9''-22^ ) , e finalmente poche laudi e rime d'argomento sacro (e. 23''-37b ). Il codice

332 MISCELLANEA

vaticano Regina 1603 è un grosso zibaldone di appunti e lettere autografe di Sertorio Qualtromani, dotto cosen- tino del Cinquecento, che vi ricopiò questa nostra serie proverbiale da e. 35^ a 43^, intitolandola Canzone, e at- tribuendola, nientemeno, a Brunetto Latini (1).

Non m' intratterrò troppo su questa attribuzione, per- ché, sia un' idea del Quattromani o sia anche più antica, non mi par ora possibile confermarla in alcun modo, utile discuterla fm che non soccorrano migliori argomenti, che potrebbero esser pòrti da un nuovo testo dei pro- verbi che li accompagnasse con più ampia didascalia. Non però mi sembra difficile spiegare il nome del Latini in capo a codesti versi, e con la fama di scrittore didattico eh' ebbe il gran notaio fiorentino, e per certa, sebbene affatto estrinseca, analogia onde taluno potè pensare al Tesoretto ; come anche non credo sconveniente 1' attribu- zione per rispetto al tempo cui essa riporterebbe il no- stro componimento, perché se i due testi che io soli co- nosco sono assai recenti, non perciò si può dubitare dell' antichità di questi alessandrini a quartine monorime, che col sapore arcaico della lingua e col metro ci richia- mano a consimili documenti di poesia morale del du- gento e del principio del trecento, dai Proverbia que di- cimtur feminarum, dai poemetti di Bonvesin e di Giaco- mino, ai proverbi di Jacopone : Perché gli uomin diman- dano detti con brevitate, dove è anche atrmità grande di materia.

Non ho creduto utile di far seguire al testo qualche comparazione con altre serie proverbiali, che pur sarebbe

(1) A e. 32 ib il QuaUromani ricominciò una seconda copia dei Proverbi, ma non andò olire al terzo verso.

MISCELLANEA 333

Stata necessaria; ma chi si affacci a quel campo che è il paremiologico, dove ancora son da scavare documenti importantissimi, vedrà quanto sia difficile procedere a sif- fatti confronti senza aver prima messe in sodo questioni ben più ardue, filologiche e cronologiche. Altri, che pur volle seguire un tal metodo nelle serie alfabetiche pro- verbiali, dovrà accorgersi che il suo fu appena un primo inizio, perché testi di pari importanza a quelli da lui il- lustrati giacciono tuttavia inediti.

Nel produrre questo mio, poiché il codice Vaticano presenta forme sensibilmente rammodernate, credetti con- veniente fondarmi specialmente sul Riccardiano, che offre maggiori garanzie, sia perché più antico, sia perché con- tiene una serie ben più completa dell'altro, dove mancano i vv. 45-96, 119, 126 e 127; volli però che ogni varietà di lezione fosse scrupolosamente avvertita in nota.

M. Menghini.

PROVERBI

Chi lava el capo a l' asino perde il ranno e '1 sapone, Chi predica in diserto vi perde el sermone; Soffia due e tre volte quando è caldo il boccone; Non te fidare in homo che aggia rotto el groppone. 4.

Non comperar mai panno che senta lo vergato; Non si vuole adastiare chi è stato malato, chi ha perduto a gioco chi è innamorato; Non cavalcar cavallo restio, travato. 8.

Non se vuol giudicare mai erba con rosata; Non lodare mai femmina che giace infantata;

Al cavallo eh' è infermo falli la cenerata;

Guardate da bocca sotto che par vita beata. 12.

di di', di notte non te piaccia el romore,

chi è menzognaro furo o rapportatore,

chi va murmurando chi se fa cambiatore.

metter mai a intrata amore de signore. 16.

Chi sta sotto signore, non te fidar de loro: Chi pili se mostra agnello quello è più traditoro; Ogni cosa che luce non creder che sia oro; Già mai de mal toletto non se fa bon lavoro. 20.

1. F. il capo; R. se perde el sapone. 2. R. in villa o selva; V. lo sermone; R. se perde. 3. R. Soffia doi o tre; nello tuo boccone. 4. V. Non aver fede; V. che abbia; 5. R. comparar; del vergato. 6. R. Non se vole adastare; V. ammalato. 8. V. restivo, 0 intravato. 9. R. se vole indicare mai erba in rugiada. 10. V. quando ella è affalata. 11. V. Il cavai che è ripreso fagli. 12. V. Guarti di bocca sorta. 13. V. non ti piaccia il. 14. R. furo né. 15. f. mormo- rando; né chi fa il. 16. V. Non mettere ad entrata amore di signore. 17. V. non ti fidar di. 18. V. si mostra angelo ; traditore. 19. V. Ogni; R. credo che non sia. 20. V. Giamai di mal colletto si fa buon.

MISCELLANEA

335

Parenti amici non dir: « cotanti n' aggio », Però che oggi è un mondo che ogn'uom fa a suo vantaggio ; Abbi mente a la polza a chi hai fatto oltraggio; Non te fidar de matto che se tegna esser saggio, 24.

Colui che te spelucca o tollete el pel da dosso, Sempre te vorrà bene finché avrai carne adosso : Non te vorrà vedere poi che serai scosso, Ai'echiedelo de un servizio sempre dirà : « non posso ! ». 28.

Chi pili contento ài, cresciuto et allevato,

Gavatol de pregione e da forche spiccato,

Fatto grande e possente de la sua terra in stato ,

Se metti el pie in fallo vorrà che si' spallato. 32.

Non se vole già mai perdonar più de una volta;

Faccia buon fundamento chi fa la casa a volta;

Non te fidare in guercio in cigliatura folta;

Non se tòr la cosa da poi che ella è tolta. 36.

Ogne hom che mostra i denti non credere che rida.

credere che pianga chi fa pili alte strida;

Non te mettere in bosco se non hai bona guida,

Non tener troppo savio chi troppo se raffida. 40.

21. R. ne haggio; V. n'hagio. 22. V. Perché oggi è un tempo; ciascun fa suo ; R. che ogne homo fa a suo avantaggio. 23. V. Tieni mente; R. ad chi. 24. V. Non ti fidare in; che si tenga; R. che se tegna saggio. 25. V. che ti spilucca; e toiti i pei. 26. V. ti vorrà; R. ben fin che ài; V. in dosso. 27. La prima parte manca in V; dopo che ti hard. 28. V. Chiedilo d'un servigio. 29. R. Chi più contento ce e cr. ; V. Chi più avrai arricchito. 30. V. R. Cavatolo ; V. da prigione; V. da le forche. 31. V. Fattoi; et dalogU terra e stato. 32. V. Si metti lo. / vv. 33-36 sono in V disposti d a b e. 33. V. Et no si può tornare la vita poi che è tolta. 34. V. fondamento; R. chi farà casa con volta. 35. R. oguagliatura gionla. 36. V. Non si può dar la cosa giammai più che una; R. torre. 37. V. Ogni huom; creder tu; 38. V. Non creder tu; più volte. 39. V. Non li metter; buona. 40. V. molto savio; R. traffida.

336 MISCELLANEA

Chi ha magnato more non sputare bianco, Non è si bona pelle che non senta de fianco; Mal correre a palio cavai che è troppo stanco; Chi apre gli occhi e vede conosce el troppo e '1 manco. 44.

Non dire in una volta ogne cosa che sai:

Non se vole magnare a un pasto ciò che hai; A chi dèi dare e rendere non vale « e' tornerai' »; Sempre pensa e dispensa ogne impresa che fai. 48.

La mala compagnia sempre mai la refiuta,

Non creder che sia tuo ogne hom che te saluta;

Non fu mai senza vizio chi ha mala paruta,

Non te fidare in monaco in femina barbuta. 52.

Per giuoco per via già mai non desdegnare, Non dir motto a la donna che possa vergognare. Quando sai che hai torto lassate maneggiare, Nel loco dubitoso abbi senno a l'intrare. 56.

Prendi di questo mondo, fin che ce stai, diletto; Non è mai peggior vita che vivere in sospetto; Quanto pili fino è il zuccaro tanto fa miglior confetto. Sempre sta' queto a tavola, e buccica nel letto. 60.

Non pigliare sconforto de nulla adversitade,

Non soperchia allegrezza nella prosperitade : Chi la sua voglia tempera glie ne ven gran boutade, Sempre de po' el mal tempo si ven la chiaritade. 64.

Del vitio che tu hai [altrui] mai non reprendere:

Con hom che è litigioso non se de mai contendere;

Non se de' mai donare quel che non pòi vendere,

Dolce è r altrui togliere : amaro è poscia el rendere 68.

41. V. mangiato ; può. 42. V. buona; del. 43. V. può ; cor. al pa- lio cavallo. 44. R. gli occhi e vede ogne cosa el tippo e '1 ranco. 45-96. Mancano in V. 46. adun. 47. Ad chi. 51. fa. 54. dar. 58. che de vivere. 59. tanto se fa. 63. glie vene da gran. 64. si vene.

MISCELLANEA 337

De vecchio de povero mai non se voi far strazio; 'Nanti 'I servizio sia fatto non dire: « io te rengrazio»; Chi ha mala mogliera mai non se ne ve' sazio: Ad hom [eh' è] luxurioso poco giova el topazio. 72.

Ad hom che troppo abbaia gettali un osso in canna; Molti compara ad onza che vende poi a spanna; Molto deletta a 1' api del fare el mei la manna; Matto è chi per figlioli l' anima se danna. 76.

Ogne màrtir che vedi non creder che sia santo, Non creder che sia papa ogne hom che porte manto; De la mogliera altrui mai non se voi dar vanto; Non sta ad ogne pugno portare uccello in guanto. 80.

Non scusar mai denari de la derrata confusa, Cui usa corte spesso glie fa la mala musa; Se non hai facto fallo non pigliare la scusa; Molto guasta le vigne la grandine e la rusa. 84.

Chi vole bona pace faccia bona guerra: Destrugga la mal erba chi voi la bona terra;

Chi non va con follia già mai cammin non erra,

Non è de niun frutto V aver che se sotterra. 88.

Quanto più gratti el marmo tanto meno ne accatti, Sempre te pon con savii, non te impicciar con matti ; Quando te leghi in carta fa' che sian chiari i patti, Mai non hai ben del somaro se non quando el batti. 92.

Non te piaccia già mai brigata più de sei,

chi sta alto in banca e mena gambe e pei:

Intervegna quel che po', e [tu] fa' quel che dèi ;

Non mostrar mai col deto e dir: io amo colei. 96.

Quando più fai carezze e fai agio al serpente. Se vederà el destro, te ficcarà el dente;

73. uno osso. 7i. comparano; ad spanda. 75. el mele. 86. mala. 88. l'avere. 90. poni; e non. 91. siano. 9i. e mena le gambe ei pei. 95. Iniervegnate 96. dire. 97. V. carezze et agio. 98. V. Se egli vedrà il; li ficcherà lo.

Voi. Ili, Parte li. 22

338 MISCELLANEA

Quando l'homo à lo stato ognun se fa parente;

Femena, poi ch'è pregna, mai 'nanzi, non se pente. 100.

Non è si piccol santo che non venga sua festa:

Non dir: « Per quella via non giro, per questa »:

Quando è maggior sereno si vien più gran tempesta;

Se non hai grande invito, non fare altrui molesta. 104.

Rade fiate vene bon mangiar senza sale, Volese medicina secondo corno è '1 male; Tosto se rompe el collo chi voi volar senz' ale: Chi voi salire in cielo troppo vorria scale. 108.

Chi crede comperare parecchie fiate vende. Sempre cade o si tronca chi troppo si distende: Spendi quella moneta che corre, e che si spende.

112.

Guarda che tu non metti ambo i pie in un calzaro; Sempre vole el bastone el villano e '1 somaro; Secondo che è la lana se vole el pettenaro; Mai non fidare il tuo a chi il suo gioca a zaro. 116.

Mai guarì ben ferita medico piatoso, Non pòi far maggior onta che tòr bagno a rognoso; Non vagheggiar la moglie de hom che è geloso. Chi te gioca del gaino non gli esser piatoso. 120.

99. y. Quando tu sei in istato ogni huom ti si fa. 100. 7. Femina; inanzi non si. 1 versi di questa quartina sono disposti in V: a b d e. 101. V. picelo!. 102. V. Di nulla via: mai non girò per; R. non girrò mai per. 103. V. Quando è più bel. 105. V. fiate è buono il man- giar. i06. V. Vuoisi; che è Io male. 107. V. Si rompe il; vuol; R. vole: 108. JR. vole V. vuol; molle vorrebbe. I versi 109-111 non sono in R. La quartina 113-116 ha, in V, i versi disposti a b d e. 113. R. Guarda che non; ambo i pei in un calzaio; V. due piedi ad un. IH. R. somaio; V. vuol il b. il villano e il. 115. V. Si vuole; /?. petlenaio. 116. V. il tuo; R. ad chi se gioca el suo ad azaio. 117. R. Mai gua- risce ferita; V. pietoso. 118. V. può'; l'ugna al rognoso; R. tórre. 119. Manca in V. 120. V. Chi gioca del mancino; R. glie essere.

MISCELLANEA 339

Non fa mai bono arrosto chi fa foco de paglia: Chi è da cantar messa e chi da star in battaglia; Meglio è star a Varano che star a Senegaglia, Se tu vuoi bon coretto, fa* ben chiavar la maglia. 124.

Al falcion che ha gran dente se voi la bona rota, Al cane che è mordente se voi altro che nota ; Non se vole altro ferro arrotare alla rota; Meglio è la borsa piena che de portarla vota. 128.

Mai de coda de asino non se fé' bono stazo ; Ad chi non piace el buffone non piace el sollazzo; Non te delette mai chi se infinge esser pazzo. Non è sanza rio vizio chi sente del mulazzo. 132.

Chi sa de menoretto e chi sa de sbaraglio;

Mai se lava el mortaio che non sappia de aglio; Non comparar mai panno da chi vende a retaglio;

Chi voi seccare i porri si pona el tortomaglio. 136.

Quando 1' hom te favella guardali sempre in volto:

Se te ten mente, è savio, e se ride è stolto.

Se parla e non te guarda non te ne fidar molto;

Sempre stima el tuo biado poi che l' arai recolto. 140.

121. V. Non fu m. buon dove è f. di. 122. V. da cantare a messo; chi è da stare. 123. V. Rade fiale è sano il pesce senza scaglia. 124. R. Se tu hai. canti. 125. V. Falcior; R. falcione; V. denti; si vuol la forte raota. 126-27. Mancano m 7. 128. F. da portarla vuota. 129.F. Giamai die. d'asino; se fé' bon setaccio. 131. 7. iNon ti diletti mai chi si finge. 132. Y. senza. 133. V. sa del minoretto: chi sa de lo. 134. R. Mai se lava ben; V. che non senta de l'aglio. 136. V. vuol; R. vole; 7. pongavi il cortomaglio. 137. 7. si favella; guardalo sempre al. 138.7?. tene a mente; 7. Sei ti tien: se no egli é. 139. R. nguarda; 7. et non guarda non ti fidare, R. fida. 140. 7. Allor stima il tuo; quando; R. r hai ; 7. raccolto.

340 MISCELLANEA

Quando hai bon terreno fanne bona magese: Se hai fidato amico si'gli largo e cortese; Dove sta la mala erba non ce perder le spese: Sempre el balestro carco et in braccio el pavese. 144.

Quanto tu giochi a scacchi guardate da scacco rocco: Tieni mente a le mano che vada quel che è tocco; Non fu mai bon cristiano del regno de Marocco; Chi non cura niente o elio è matto, o sciocco. 148.

Non tener mai nell'orto nulla erba puzzolente; Non tener mai in bocca el magagnato dente: Non nutricare in casa venenoso serpente; Meglio è lo bono amico che '1 cattivo parente. 152.

Chi è stato nemico et è reconciliato, Tien la mano al coltello quanto te sta da lato: Meglio è stare solo che male accompagnato; El popolo ogne mese vorria mutare stato. 156.

Non pure de acqua fredda li homini hanno sete, Però dice el proverbio « gatto, tiente a parete »; Chi lavora a sozo se voi vestir de rete, Non respondeno ogne tempo le stelle alle pianete. 160.

Meglio è dire : « io son questo » che dire : « questo io fui »; Più sa el matto i soi fatti che el savio li altrui, Non portare mai foggia che se dica: «chi è colui?» Non dir mai de te stesso ad ogne cosa: « io fui ». 164.

141. y. hai Io buon f. buona raaicse. 142. R. Se hai bono; V. leale e. 143. V. Più sta ; 144. V. ha il pavese. 145. F. Quando giochi olii s. guardale. 146. R. tien; F. a la; che vada a quel. 148. V. o egli è; 150. V. Et non tenere in b. il. 152. R. '1 bono. 153. V. riconciliato. 154. R. mano sul; V. ti sta. 155. V. esser solo. 156. R. popolo vorria ogne mese mutar stato. 157. V. Non é pur. . . che gli. 158. R. Però disse; V. il p. g. tienti al. 159. V. lavora sottile; si vuol vestir de. 160. V. Non risponde ogni t. le feste. 161./?. che questo fui. 162. /?. li soi; V. suoi; il savio gli. 163. V. Non portar foggia addosso che ognun dica. 164. V. de te ogni.

MISCELLANEA 341

Quando el tuo amico falla gastigalo in segreto: Chi vele altrui correggere convien che sia discreto; Ogne piccola cosa non mettere in decreto, Quanto el vino è pili dolce se fa pili forte aceto. 168.

Fa' che sempre favelle la lettera che scrivi, Non dir: «la nave è al porto» nauti che ella arrivi; Bon bestie fa la villa e homini cattivi ; Chi troppo dorme o giace son pili morti che vivi. 172.

Chi pensa e non dispensa rade volte vien fatto; Colui che canta a mensa o è ricco o è matto; Chi non teme vergogna non atterrà mai patto; Non sa tanto la volpe che non sappia pili el gatto. 176.

Chi non sa scorticare non averà la pelle, Alcuna volta è gionto el giotto a le frittelle; Faccia el fabro la chiave el tomaio scodelle, Non te porre a giocare con chi sa de smarcile. 180.

Mostrate sempre bigio per aver meglior fama :

Se non hai bon cavallo non correre a quintana;

Non vien sanza cagione al lion la quartana;

La frutta de Romagna alcuna volta è sana. 184.

Ogne hom che mette pegno egli è tenuto stolto, Ciascun porta la foggia comò è fatto nel volto, Le some alli segnali se conoscono molto, Non sa però seri mire ogne uom eh' è ben affolto. 188.

165. V. e! tuo; a. f. riprendilo 166. V. vuole; sia segreto. 167. 7. Ogni picciola; /?. non mettere a qualerno e star quelo. 168. V. il vino; se la. 169. V. favelli; che tu scrivi. 170. V. la nave in ; innanzi che. 171. /J. e fa li h. 1 72. V. dorme et. 1 73. V. rade fiate. 1 7 i. V. 0 egli è ricco o matto. 175. V. non osserva mai. 178. R. è vento el gisto; 179. V. el fabro la chiave, e il tornalor le. 180. V. Non ti; delle smarrelle. La quartina 181-181 ha inV. i versi disposti a b d e. 181. V. Mostrati; miglior lana. 182. F. buon; non corre alla. 183. V. Non vien senza e. al leon. 184. F, Li frutti; son sani. 185. V. Ogni huom. 187. V. a le segnali; si riconoscon. 188. V. Ogni liuom, che va a salto.

342 MISCELLANEA

Non è meglior vestire che 'I cor de l' amatore,

Chi non sa desegnare non è bon depintore;

Secondo che è la carne se voi dar el savore;

Non te serrare in casa quando sona a romore. 192.

Una piccola pietra fa revoltar gran carro, Chi è signor non dorma ogne hom con lui ha larro ; Tutti i lìorin che vedi non son de mezzo carro, Poi che r uomo è morto non glie bisogna farro. 196.

Cosi comò va el mondo così terreno estima, Chi non sa dir l' offltio dagli la disciplina, La forte inlìrmitate vuol forte medicina, Doi spade non se affanno mai ben in una vagina. 200.

« Cosi vorria aver fatto!» non fu mai buon latino: Poi che la cosa è fatta ogne hom se fa indivino. Sempre alberga per tempo quando vai per camino, fiume, signore non voler mai vicino. 204.

L' argento e l' or eh' è bono fa prova al ceneraccio. La mercantia vale secondo che ha lo spaccio; Non esser troppo subito pigliar per altrui impaccio. Poca forza ha il leone poi eh' è caduto al laccio. 208.

Abbi per menzognaro chi d' ogne cosa giura. Non se volle mai mettere in battaglia a ventura; Cavai che è troppo vecchio mal piglia l' ambiatura, Dov' è la gelosia mai l' hom non se assigura. 212.

189. V. megllor; che gire al cimatore. 190. V. disegnare; buon dipintore. 191. V. si vuol fare il sapore. 193. Y. picciola p. fa riversar. 194. V. iiiiomo aspella. 195. V. non son di. 196. V. Dopo che; gli. 197. V. come; va il; tu cosi ti rincliina. 198. /ì. doglie. 199. /^ infirmila; 200. V Doi spade non slan bene poste in una vagina. 201. R. non fa mai ben a pieno. 202. F. si fa. 204-. lì. non voler mai per. 205. R. oro; V. buono si prova. 206. F. che é lo. 207. R. pigliare; V. a pigliar l'altrui. 208. R. ha lu lione. 209. V. Chi ad ogni. 210. V. si vuol;/?, a la ventura. 211. /?. Cavallo; V. mai prende. 212. V. Chi ha la; già mai non si assecura.

MISCELLANEA

343

Quanti più hai nemici tanto più sta' siguro, Chi non entra per uscio o è ladro o è furo, Quando son li tremoti non stare sotto el muro, Colui che è vizioso non voi lume all'oscuro. 216.

Non se voi mai dir quattro se tu non l' hai in seno : Chi credi aver in borsa più tosto te vien meno, Non te fidar de servo in nuvol in sereno, Cavai che ha forte bocca vole forte el freno. 220.

Prova ogne cosa 'nanzi che prove el tuo amico. Se te responde male non è maggior nemico; El giovane a battaglia, a conseglio l'antico. Se '1 rio hom te voi male non ten curare un fico. 224.

De questo mio viluppo non voglio più cantare, Chi el saprà ben a mente saprà ben motteggiare: Non lo tenere a vile: te porrla ben giovare! Serò molto contento de chi el vorrà chiosare. 228.

213. V. securo ; 214. Y. per l' uscio o egli é ladro o furo. 215. y. sono i tremoti; R. sono li terremoti; V. il muro. 216. V. vicioso non vuol lume ma scuro; R. vole. 217. 7. vuol; R. vole mai dire. 218. V. Chi si crede haver più in; ti tien. 219. Y. li fidare; R. nuvolo in sereno. 220. R. El cavallo; Y. di forte; si vuol lo forte freno. 221. Y. ogni cosa innanzi; provi lo tuo. 222. Y. Se '1 ti. 223. Y. Il giovane. 224. Y. Se il reo huom ti vuol. 225. Y. De questo. 226. Y. Chi lo saprà a mente. 227. R. tenere vile; R. che le porrla.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS

(Continuazione e fine da pag. 287, Parie I).

LXXXV.

De 'pulcritudine ejpistolarum et venusta vel inejpta dispositione verborum.

Nota quod prepositìo potest removeri a suo casu proprio (1) mediante genitivo, ut « de Guidonis bonitate confido ». Non tamen bene diceretur « bonitate loquor de Guidonis »; nec si alius casus interponitur valet, ut si dicam « de Guidone forte diligente confido » ; sed recto posset determinatio inter- poni, ut « de vostra confido non modicum (2) bonitate (3) ». Item verborum transpositio turpis et incongrua confugiatur, ut ibi « omnis caput habet homo ». Non est enim alicuius ornatus pretextu deformis transpositio facienda , ut si dicam : « Vostre de servitiis mihi factis quantascumque possum gratiarum actio- nes uberes et immensas refero bonitati ». Vides qualiter hoc adiectivum «vostre» confunditur ex nimia distantia subiecti;

(1) proprie P. prime 0.

(2) modica 0.

(3) liberalitate R.

Voi. Ili, Parte 11. 23

346 EDIDIT A. GAUDENZl

sic tamen distare poterit competenter: « Honestate conspicuus, sapientie luce perfectus ad honorabiles dignitatum gradus debet clericus promoveri » ; quod non multum laudo.

LXXXVI.

Qualiter dictiones nimis celeres cum tardis debeant

commisceri.

Item dictiones nimis celeres magnam deformitatem inducunt. Exemplum: « lUius ieiunia ad nihilum profìciunt, qui vitiis dedi- tus, se minime corrigit ». Item dictiones nimiam tarditatem ha- bentes, cursum impediunt et ornatum. Exemplum: « Vitiorum purgationem requiriti ieiuniorum sacratus adventus ». Sed pul- crum est, quod celeres dictiones et tarde invicem misceantur. Exemplum: « Illa corporalis abstinentia commendatur, in qua et cibus prò parte subtrahitur, et vitia penitus removentur ».

LXXXVII.

De alia pulcritudine.

Item ad summam -pertinet venustatem ut, quotiens potest fieri sententie gravitate servata , (1) nominativi et obliqui sequantur, et verba nunc primum, nunc medium, nunc ulti- mum locum debeant possidere. Exemplum : « Dabuntur in ni- miam egestatem divitie temporales ». Item ad pulcritudinem et ornatum dignoscitur pertinere, ut relativum coniunctione non indigens suum preveniat antecedens. Exemplum: « Qui penitentiam non egerit in presenti, peccatori venia negabitur in futuro ». Item ad magnam pertinet venustatem, ut relati- vum nullo mediante iuxta suum verbum ponatur. Exemplum: « In errorem non de facili labitur qui metitur (2) rerum exitus sapienter (3) ». Item est alia pulcritudo laudabilis, ut sino coniunctionis suffragio duo verba personalia clausulam de-

(1) Codd. add. quod.

(2) raeditatur?

(3) diligenter R.

GUIDOXIS FABE SUMMA DICTAMINIS 347

beant terminare. Exemplum: « Celestis pietas, dum peccatores corrigit, consolatur, et eorum qui ceciderunt miseretur ». Item pulcherrimum artifìcium inculcatur, ut duo verba in duo ca- sualia transeant, et idem adiectivum utrique conyeniat et sup- positum verbis (1) reddatur. Exemplum: « Nimium transito- rias mundus iste infelix, et divitias cumulat et diligit digni- tates ».

LXXXVIII.

De cursu qui debeat hodie observari.

Nota quod pulcriores dictiones locari debent in principio et in fine : medium vero locum teneant minus digne ; nec ad tam nobilissimum edifìcium omnes dictiones indiiferenter sumantur, sed ille dumtaxat accedant, que maiores verborum et sententiarum pariant venustatem. Nec fìnem usurpare pre- sumant alique dictiones nimia longitudine vel brevitate defor- mes. Attende igitur, dictator (2), quod taliter ad ornatum di- ctiones debes in distinctionibus ordinare : nam si fìnalis dietio fuerit trisillaba cum penultima longa , precedens di- ctio suam penultimam longam prestet. Exemplum: « Con- tagione delictorum purgata , gratia celesti donante , mu- nera virtutum adcrescant » ; vel sic : « Qui doctori mercedem non exhibet, avaritie tenacitate sordescit ». Item si brevis fuerit penultima, et in precedenti dictione penultima brevia- tur. Exemplum: « De alto corruit Lucifer, qui coequari (3) voluit Domino ». Si vero tetrasillaba dietio fuerit fìnitiva, cuius penultima sit acuta , tunc suam penultimam corripiat antecedens. Exemplum: « Qui digne Deo militare desiderat, negotiis non debet secularibus implicari ». Quod si pen- ultima sit correpta, precedontis partis penultima prolongatur. Exemplum : « Non est ieiunium commendandum, quod elemo-

(1) verborum lì. P. verbi 0.

(2) 0 lector 0,

(3) exequari R.

348 EDIDIT A. GAUDENZI

sinis carere dignoscitur »; vel sic: « Longe distat a tramite rationis, qui honestum se reputat avaritie dehonestatus rubi- gine ». In periodo vero datur regula singularis , quia semper debet esse dictio quatuor sillabarum, cuius penultima sit acuta. Exemplum: « Privilegium meretur amittere, qui concessa sibi abutitur potestate ».

LXXXIX.

De consillahicatione.

Item, ad habendam copiam dictionum que secundum re- gulam prenominatam in distinctionibus fìnitivis requiruntur, nota quod bisillabe dictioni consìUabicatur monosillaba in hunc modum: « Illud ieiunium divinis auribus est acceptum, quod eleemosynarum pietate non vacat ». Item consillabicantur due bisillabe, et fìt dictio quatuor sillabarum ; item una mono- sillaba et trisillaba, et efficitur tetrasillaba (I) isto modo: « Pro salute gentium animam suam debet ponere bonus pa- stor », et « Pro tuenda iustitia sapiens se opponere non formidet ».

LXXXX.

De signis post exordia.

Nota quod ista signa congrue secuntur exordia, et in principio narrationis ponuntur « hinc, inde, igitur, itaque, ergo, sane, nimirum, equidem, siquidem, ideo, idcirco, proindo, quare, nam, namque », et similia. Exemplum: « Ad amicum secure confugitur, de cuius gratia nullatenus dubitatur. Hinc est, etc. », vel « Proinde est (2), quod amicitiam vestram de qua piene confìdimus exoramus etc. »

(1) trisillabe et efficitur tetrasillaba Y. trisillabe efficitur tetra- sillaba 0,

(2) et cet. add. codd.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 349

LXXXXI.

De signis petitionuyn.

Item nota quod ista sunt signa petitionis « eapropter , qua- propter, cuius rei causa, quamobrem, hinc est, profecto , verum quia, quocirca, qua de re, quare, ergo, igitur, itaque, idcirco, unde, hinc est, proinde est, ideo » et similia. Et post primam distinctionem petitionis in principio sequentis distinctionis debet sequi « quatenus » yel aliqua alia coniunctio adiuncti- va, sequente modo similiter subiunctivo. Exemplum: « Quare dominationi vestre supplico quantum possum, quatenus me vestrum famulum habere dignemini commendatum ».

LXXXXII.

De signis divisivis.

Item valde utile et necessarium est unum significatum ab alio scire dividere ut , cum plura dicis diversa , signa convenientia (1) ponas ; et sint ista « ad hoc , preter hoc (2), preterea, insuper, super eo, vero », et similia. Nam sicut humanum genus per dominos et potestates regitur, sic dictiones per sua capita, idest signa, in epistola ordìnantur.

LXXXXIIL

De brevitate dictaminis.

In dictamine labora esse brevis, et videas ne sìs obscu- rus. Brevitas est, in qua nullum nisi necessarium assumitur verbum.

(1) congruentia 0. competentia V. P,

(2) ad hec, preter hec P. V.

350 EDIDIT A. GAUDENZl

LXXXXIV.

De participiis: quomodo ponantur, punctentur et construantur.

Nota quod dictatio debet sollicite inspicere a quo verbo regatur participium , quod in suo dictamine duxerit ap- ponendum. Item nota quod participium semper debet poni in ea- dem clausula cum suo verbo a quo regitur. Item nota quod inter participium et verbum a quo regitur, coniunctio vim copulandi habens vel vocem aut etiam intellectum, cadere nunquam potest, cum participium in se copulam habeat interclusam; sed participio verbum adiungas, ut « legens disco » idest « lego et disco ». Item nota quod quando participium regitur a verbo precedenti, semper punctum ante participium facias suspensi- vum. Exemplum: « Existo Bononie, circa studium litterarum facturus quod ad tuum honorem debeat pertinere ». Si vero a verbo sequenti regitur, ante participium debet fieri pun- ctum planum. Exemplum; « Existo Bononie circa studium litterarum. Facturus itaque quod tibi debeat compiacere, te rogito puro corde ut secure petas si qua possum facere tibi grata ». Item nota quod participium ex parte appositi constru- ctionem senper retinet sui verbi, unde, sicut bene dicitur « Amo Platonem » ita bene dicetur « Sum amans Platonem ». Item nota quod participium debet esse eiusdem numeri et persone cum verbo a quo regitur, ut « Legens profìcio ».

LXXXXV.

Quando proprium nomen ab hoc ablativo « NOMINE » terminetur, et quando dicitur « DE RE PREDICTA » vel « DE IPSA RE ».

Item nota quod illa propria nomina debent tantummodo per istum ablativum « nomino » terminari, que ad appella-

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 351

tionem aliquam trahi possunt: ut cum dico «. mitto ad vos latorem presentium nomine Benedictum »; nam posset dici « Benedictum » tantum. Hoc tamen fallit, quando signum parti- culare cum aliquo appellativo precedit proprium nomen, ut « quidam homo nomine Martinus »; nam male diceretur « quidam homo Martinus », propter repugnantiam substanti- vorum. Item nota quod, quando in una clausula fìt mentio de aliqua re precedentis clausule, debet dici « memorata res » vel « predicta , pretaxata » vel « prefata, supradicta, preli- bata, sepe dieta, nominata » vel « ante dieta » Si autem fiat mentio de re eiusdem clausule, non ponas talia nomina, sed recurre ad r elati vum, dicens « de ipsa re » vel « prò re ipsa » vel « de re illa » vel « de re eadem ».

LXXXXVI. De regulis occurrentibus in dictamine.

Item nota quod isti duo genitivi « harum » et « presentium » sunt talis nature, quod senper comprehendunt in se istud sub- stantivum « litterarum », nec debet poni, immo causa ornatus taceri, quod non contingit in aliis casibus eiusdem condeclinii. Item nota quod non debet aliquis calumniari locutionem illam, quam usus et consuetudo probavit. Item nota quod si ceuma in oratione veniat, adiectiva dictio cuius gratia fìt ceuma, sive sit nomen si ve sit verbum, concordari debet cum proxi- miori, ut « Socrates et Berta est alba E. (1) et Plato cur- rit ». Item nota quod si occurrant in oratione conceptio, ma- sculinum concipit femininum ut « vir et mulier sunt albi »; et neutrum concipit illa duo, ut « mancipium, vir et mulier sunt alba ». Tamen neutrum non concipitur a masculino, unde male dicitur « vir et mancipium sunt albi »; nec femininum concipit neutrum, unde male dicitur « mulier et mancipium sunt alba ».

(1) Codd. Ego.

352 EDIDIT A. GAUDENZI

LXXXXVIL

Qualiter epistole corrigantur.

Item nota quod in dictamine semper debemus uti verbis propriis, vel ad aliam similitudinem decenter translatis, ut « pratum ridet » et « litus aratur ». Item nota quod in ver- bis prime et secunde persone intelligitur certus et determina- tus nominativus, unde non debet in epistula poni pronomen prime yel secunde persone nisi causa discretionis ut « vivo ego, dixit dominus »; vel causa determinationis faciende, vi- delicet quando plures sumus qui scribimus vel mittimus, et ego solus volo aliqua specialiter dicere et singulariter declarare.

LXXXXVIII. De verbis transmissivis.

Nota quod « destino, mitto » et omnia verba transmissiva, si post se accusativum recipiunt rationablem rem denotan- tem, alium accusativum semper exigunt cum prepositione ut « mittam nuntium meum ad te » Si vero accusativus ille aliam rem denotat a rationabili, semper sequi debet dativus casus, ut « mitto C. solidos tibi » et non « ad te ».

Item nota quod cum uni dicimus « vos » causa honoris, si dictio sequens est adiectiva significatione, tamen debet poni tatummodo in singulari numero ut « vos estis pater meus, adiutor meus, dominus meus et benefactor meus ». Si vero est adiectiva voce et significatione, et participium sive mediate sive immediate veniat cum substantivo, debet poni tantum, plurali numero, ut « vos estis legentes », et « vos legentes perflcitis » Si vero est nomen, et immediate veniat cum substantivo, semper debet poni plurali numero, ut « vos albi curritis ». Si vero mediate veniat adiectivus cum substantivo, potest poni in singulari et in plurali ut « vos estis albus », et « vos estis albi ».

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 353

LXXXXIX.

De origine, possessione et signiflcatione quorumdam

verborum.

Item nota quod, si proprium nomen sequitur aliqua de- terminatio que sensum habeat vulgaris articuli genitivi, de- terminatio debet sequi in ablativo casu, mediante prepositio- ne, ut « Martinus de Bononia, Petrus de Mutina ». Si autem est appellativum, et vis denotare possessionem, debes ponere genitivum, ut « Martinus iudex Bononie ». Si vis notare orriginem, tunc cum prepositione ablativus ponatur ut « Mar- tinus miles de Ferraria, Johannes iudex de Bacano ».

Item nota quod extorquere ad bonum ponitur, ut « quic- quid honoris subiectis inpenditur, in dominorum gratiam retorquetur »; ad malum quasi semper: nam extorquere^ hoc est ab invito exigere. Item redundare ponitur ad bonum, ut in decretalibus « Tua legatio ad honorem et commodum sedis apostolico redundabit »; ad malum sepius et proprius ponitur, ut « pena redundabit in caput tuum ».

C.

Qualiter hoc verbum DUXI cum participio degenerante in nomen ponatur.

Nota quod hoc verbum « duxi » si ponatur cum participio desinente in dus degenerante in nomen , quod descendat a verbo habente constructionem ad accusativum, tunc recte venit et congrue ponitur. Exemplum : « Duxi vestram gratiam suppliciter exorandam, rogandam, flagitandam, monendam, depre- candam , confortandam ». Si vero tale participium degenerans descendat a verbo habente constructionem ad dativum, tunc hoc verbum « duxi » male et incongrue ponitur cum eodem. Exemplum: « Duxi vestram gratiam, dilectionem, amicitiam »

354 EDIDIT A. GAUDENZI

vel« benivolentiam supplicandam » vel « consulendam » Sed po- tius recurratur ad gerundium et constructionem ipsius, ut « duxi vestre gratie consulendum » vel « amicitie suppli- candum ».

CI.

De resolutione verbi in participium.

Item nota quod quando tibi occurrunt duo verba eius- dem persone, alterum illorum ornatus de causa est in par- ticipium resolvendum : exemplum « lego, disputo »; con- verte unum in participium, et sic dicas: « Legens disputo » vel « disputans lego » ; « veniam et faciam » : converte vel resolve alterum : « Veniens faciam » vel « veniam fa- cturus quecumque de tua fuerint voluntate » Quod si tria tibi occurant (1) dicenda, pone verbum unum et duo parti- cipia copulata. Exemplum : « Existo Padue studens prò vi- ribus et intendens iis que tibi debeant compiacere ». Et hoc locum habet quando ambo participia vel precedunt verbum, vel etiam subsecuntur. Si vero in medio duorum participio- rum verbum ponatur , coniunctio intervenire non potest ; quia cum sit copulativa similium naturarum, duo participia simul posita unum quorum venit respectu alterius recte co- pulat (2) : sed cum verbum cadit in medio, tunc secundum participium non venit in locutione respectu primi, sed potius respectu verbi, et ideo non debet intervenire copula, quia ver- bum et participium copularet. Exemplum. « Studens prò vi- ribus existo Bononie, intendens iis que tibi utilia sint et grata ». Si vero quatuor vel plura potere debes vel declarare , tunc recurre ad verba, participia, gerundia et per ablativos ab- solutos hoc facias diligonter. Exemplum: « Receptis lifteris et plenius intellectis, quas mihi nuper tua dilectio destinavit, tibi deservire desiderans toto posso , cogitansque quod mihi

(1) verba add. P.

(2) copulant V.

GUmONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 355

ad opprobrium pertineret si id prò quo veni Vercellas lauda- biliter non complerem, studeo diligenter, aquam de fontibus theologie iuxta parvitatis mee modulura hauriendo pectore sitibundo ».

cn.

De relativis et antecedentibus.

Item nota quod relativum positum in una epistola nun- quam debet (1) referri ad antecedens in alia epistola positum. Exemplum : ecce aliquis signifìcavit mihi quod Faventiam vene- rat, ubi me desiderabat videre, et ego rescribo : « Quia cupitis me videre, ad illam veniam civitatem ». Item nota quod quando in epistola duo vel tria ponuntur antecedentia, cum relativo est alterum adsumendum. Exemplum: « Martinus et Petrus ad te veniunt. linde ipsi Petro tale quid facias meis precibus et amore ». Aliud exemplum: « Petrus promisit Martino unam loricam quam ipso vellet ». Si non reassumas (2) antecedens, dubium esset qualem ipsorum, Petrum vel Marti- num, intelligere debeamus.

CHI.

De correlativis et e'pistolarum urhanitate (3)

Item nota quod quando vis correlati vum reddere rela- tivum, hoc facere debes per suum consimile, reddens ad hanc dictionem « tantum » hunc terminum « quantum » , ad « tanto », « quanto », ad « eo » « quod », ad « quoniam » « ideo », ad « quia » « idcirco », ad » totum » « quotum », ad « talem » « qualem » et cet.

(1) potest vel debet P.

(2) reaffi rmes P.

(3) De correlatione R,

856 EDIDIT A. GAUDENZI

Item nota, quod summa urbanitas est rethoricorum co- lorum flosculis dictamina purpurare, et circumvallare pro- verbiis sapientum, et maiorum doctorum auctoritatibus insi- gnire ; nec alicuius urbanitatis pretextu auctoritatis verba de- bes transponere vel mutare. De quibus breviter snpponamus.

CIIII.

De ornatu orationis et coloribus rethoricis.

Ornatus orationis elegantia, compositione ac dignitate confìcitur. Elegantia facit orationem latinitate puram et ex- planatione conspicuam ; latinitas barbarismum et solecismum relegat. Explanatio verbis usitatis et propriis, seu competenter aliunde translatis reddit orationem lucidam et apertam. Con- positio eflicit omnes partes orationes equabiliter perpolitas, cuiuslibet inconcinnitatis vitiis relegatis. Dignitas est que ora- tionem quarumdam exornationum varietate colorat. De qui- bus sub compendio videamus.

CV.

Quid sit repetitio.

Repetitio est cum plures orationes continue ab eadem incipiunt dictione, hoc modo : « Liberalitas confert famam, liberalitas placat Dominum, liberalitas dat honores ».

evi.

De conversione.

Conversio est cum plures orationes continuo fino simili terminantur, videlicet hoc modo: « Se ipsum odit avarus in mundo nil est scelestius quam avarus ».

GUmONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 357

CVII. De complexione

Complexio utramque continet predictarum hoc modo: «Quis liberabit nos de manu hostis ? Christus. Quis prò nobis apud Patrem continuo intercedit? Christus. Quis est venturus ad iudicandum omnes? Christus. Quis ergo super omnes est ti- mendus et amandus ? Christus ».

CVIII. Quid sii traductio.

Traductio est, per quam idem verbum crebrius repetitum in varias signifìcationes traducitur, hoc modo: « Reddat tibi Deus valetudinem, quia valetudinem pateris nimis gravem ».

cvim.

Quid sii contentio.

Contentio est, cum diversis rebus oratio conficitur hoc modo: « Diabolus superbus hominem superbientem seduxit ad mortem, Christus humilis hominem obedientem reduxit ad vitam ».

ex.

Quid sii explanatio.

Explanatio est, que per interpellationem alicuius indigna- tionem confìcit aut dolorem hoc modo: « Pater tradidit fì- lium suum prò nobis , quem vos , o ludei , morte turpissi- me condemnastis; et tamen hoc peccatum vobis non statui ipse misericors postulavit ».

358 EDIDIT A. GAUDENZI

CXI.

De ratiocinatione.

Ratiocinatio est, cum a nobis ipsìs poscimus rationem quare quidve dicamus , hoc modo : « Si maiores nostri aliquam mulierem unius peccati dampnabant, plurium convictam simili iudicio reputabant. Quo pacto quia impudicam credebant , eam quoque veneficam extimabant ? Quia multis consuevit in- sidias emoliri que corpus suum addixerit voluptati ».

CXII.

De sententia,

Sententia est idem quod proverbium generale, ut si di- cami « Is est vere liber qui nulli turpidini servit »; vel sic: « Vere bonus est, qui aliis prodest et nomini nocet, etiam iniuria lacessitus ».

CXII.

De contrario.

Contrarium est , quod ex duobus diversis alterum brevi- ter affirmat, hoc modo : « Qui sibi nequam est , cui bonus erit? ».

CXIIII.

Quid sit memhrum

Membrum orationis est res breviter absoluta quo, cum sententiam fmit, alio rursus orationis membro excipitur, hoc modo: « Divitias multai habet, ot divitiis non expletur ».

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 359

cxv.

Quid sit articulus,

Articulus est cese orationis per singula verba disti nctio, hoc modo : « Hic pius, prudens, humilis, pudicus ».

CXVI. De terminatione similium casuum.

Similiter cadens est duarum vel plurimum casualium di- ctionum sub eisdem casibus similiter terminatio, hoc modo: « Odit malitiam qui diligit iustitiam ».

CXVII. De similiter desinentibus.

Similiter desinens est dictionum casu carentium similis exitus , hoc modo : « Hic docet , ille nocet. Hic sapit , ille rapit ».

Interdum isti colores miscentur hoc modo : « Quid fa- cerem in tanto periculo constitutus? Pugnarem? Sed erat hostium multitudo robustior. Discederem ? Sed locus munitis- simus non sinebat ».

cxvni.

Quid sit gradatio.

Gradatio est repetitio superioris verbi ante additum con- sequentis, hoc modo : « Quod libot licet, et quod licet impune facis ».

360 EDIDIT A. GAUDENZI

cxvnii.

Quid sit difjinitìo.

Diffinitio est que ipsius rei breviter complectitur potesta- tem , hoc modo : « Maiestas reipublico est , in qua civitatis amplitudo et dignitas continetur ».

cxx.

De correctione.

Correctio est que, primo sublato, id quod videtur, ma- gis idoneum consequenter ponit, hoc modo : « Invidia plerum- que bonos sequitur, immo nequiter insectatur ».

CXXI.

Quid sit ocupatio.

Occupatio simulat se noUe dicere quod tamen maxime dicit, hoc modo : « Furtum quod olim fecisti non dicam , sed de perpetrato a te adulterio non silebo ».

CXXII. Quid sit disiunctio.

Disiunctio est cum eidem supposito diversa verba red- duntur, hoc modo : « Christus carnem mortalitatis recepit, diabolum superavit, captivos ad libertatem reduxit, regnum vite cunctis fìdelibus reparavit ».

CXXIII.

Quid sit coniunctio.

Coniunctio est cum verbum interpositum extremis clau- sulis est reddendum, ut: « Humilcm sapiontia reddit, sed pe- cunia suporbum ».

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 361

cxxnii.

Quid sit adiunctio.

Adiunctio est quando verbum non interpositum primis clausulis redditur , et extremis prepositum est , ut si dicam : « Controversia indici, sed medico vulnus placet ».

cxxv.

Quid sit conduplicatio.

Conduplicatio est geminatio unius dictionis vel plurium : « Fuit, fuit quondam in hac republica virtus ! »

CXXVI.

Quid sit interpretatio.

Interpretatio est eiusdem sententie utilis repetitio , sed non vocis, hoc modo : « ludei Christum crucifìxerunt , fìlium Dei patibulo tradiderunt ».

CXXVII.

Quid sit eommutatio.

Commutatio est, cum due sententie discrepantes ita com- mutantur, quod ad priorem posterior contraria priori deducitur; ut si dicam: « Virtus non provenit a dignitate, sed dignitas a virtute ».

CXXVIII. Quid promissio.

Promissio, est cum voluntati alicuius nos ex toto su-

biicimus , ut si dicam : « De persona rebusque meis facite sicut placet ».

Voi. Ili, Parte 11. 24

362 EDIDIT A. GAUDENZI

CXX Villi. Quid dubitatio.

Dubitatio est, cum de duabus aut pluribus quid dicendum sit potius nos ostendimus dubitare, hoc modo : « Primus ho- mo, nescio pater aut vipera nominandus, nos paradisi gaudiis spoliavit ».

cxxx.

Quid expeditio.

Expeditio est, cum multis sufficienter enumeratis unum infertur ; ut si dicam : « Christus passus est vel causa sui, vel causa nostri: non causa sui, quia peccatum non fecit, igitur causa nostri ».

CXXXI.

Quid sit dissolutio.

Dissolutio est, cum singulìs membris redditur suum ver- bum, nulla interposita coniunctione, hoc modo: « Succumbit vitium, virtus regnat, natura triumphat (1) ».

CXXXII.

Itetn quid sit precisio.

Precisio est inchoati sermonis imperfectio, ut si dicam : « Ista mulier sepe suum .... ; tacebo tamen, ne dicam a- liquid me indignum ». Intelligitur autem « celotjpavit virum suum ».

(1) Qui il copista del codice vaticano deve aver saltato una carta, giacche seguita coi Proverbi di Salomone.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 363

CXXXIII.

Quid sit conclusio.

Conclusio est, quando breviter colligendo infertur id quod provenit ex predictis, hoc modo: « Si reverendos igitur ne- queunt facere digaitates , si ultro imprbborum contagione sordescunt, si mutatione temporum splendere (1) desinunt, si gentium extimatione vilescunt, quid est' quod expetendum pul- critudinem in se habeat, nedum aliis prestet ? » (2).

CXXXIIII.

De decem exornationìbus.

Decem exornationes que secuntur ab usitata verborura potestate recedunt , et quasi novam signifìcationem indu- cunt; quarum prima dicitur nominatio, de qua primo videa- mus.

CXXXV.

Quid sit nominatio.

Nominatio est cum rem aliquam propter necessitatem non suo verbo nec alio idoneo nominamus, hoc modo : « Fra- gor civitatis auditur: iste fenerator a populo sibilatur ».

CXXXVI.

Quid sit prenominatio.

Prenominatio est acceptio grati vocabuli prò ingrato, vel 0 contrario, ut: « Recordare, Domine, patrum nostrorum A-

(1) Codd. splendore.

(2) P expetende paleritudinis . . . habent , . prestent.

0 expetende pulcritudinis . . . habeant . . . prestent.

364 EDIDIT A. GAUDENZI

braam, Ysaac et lacob »; vel sic: « Videte quid agendum sit in fìlium Verris ».

CXXXVII.

Quid sit denominano.

Denominatio trahit rationem a rebus fìnitivis et propin- quis, ut « crux liberat vos a morte » idest « crucifìxus ».

CXXXVIII.

Quid sit circuitio.

Circuitio rem simpliciter circumscribìt , ut « Christus misericordia nos redemit » idest « Christus misericors ».

CXXXVIIII. Quid transgressio.

Transgressio permutat ordinem naturalem , quandoque in prepositione ; et tunc vocatur perversio , ut « aures ad vestras » ; quandoque in aliis partibus, et tunc vocatur tra- iectio^ ut « tuam rogo amicitiam ».

cxxxx.

Quid swperlatio.

Super latio transgreditur veritatem, ut « tu es candid ior ni ve, sermo tuus est dulcis ut favus mellis ».

CXLI. Quid sit intellectio.

Intcllectio est, cum pars prò toto accipitur voi e con- trario, ut « anime fiiiorurn Israel intravorunt Egyptum », id

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 365

est « ipsi fìlii Israel ». Item « hic situs est Petrus », id est « corpus ipsius Petri ».

CXLII.

Quid sit abusio.

Abusio est prò certo et simili verbo alterius verbi similis vel propinqui acceptio aliena, ut « vires hominis breves », idest < parve »; item statura parva », idest « brevis ».

CXLIII.

Quid sit translatio.

Translatio est de una re ad aliam ex quadam idonea similitudine alterius verbi iam inventi traductio, ut « pra- tum ridet » idest « floret ».

CXLIV.

De permutatione.

Permutati© est idem quod allegoria; hec enim aliud ver- bis et aliud sententia demonstrat, ut « David superavit Goliam » idest < Christus diabolum ».

CXLV. De exornatione sententie.

Exornationes autem sententiarum sunt iste que secuntur. Non enim attingunt sermonem, scd solam rem, et inde con- tinent (1) venustatem.

(1) contrahuat P. 0.

366 EDIDIT A. GAUDENZI

CXLVI. Quid sit distributio.

Distrìbutio est negotiorum in plures res aut personas certa divisio, ut « beati pauperes spiritu, beati mites, beati qui lugent ».

CXLVII. De licentia.

Licentia est quedam grata reprehensìo in maiores, hoc modo: « Patientia vostra facit, ut quidam minus debite vos honorent.

CXLVIIL Quid sit diminutio.

Diminutio est quedam sententie attenuatio causa maioris benivolentie captando, ut « Gregorius episcopus , servus ser- vorum Dei »; voi sic: < Loquar (1) ad dominum meum: cum sim cinis et pulvis ».

CXL Villi.

Quid sit descriptio.

Descriptio est res consequentes perspicue dilucideque ex- ponens, ut si dicam : < Si apostolicus negligenter egerit, a ty- ranno (2) ecclesia conculcabitur, et cunctis periculum immi- nebit, et tyrannus quasi leo rugire incipiet contra oves ».

(1) loquitur P.

(2) in tyrannidem 0.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMIXIS 367

CL. Be divisione.

Divisio est , que rem partitur et partitami ratione absolvit , hoc modo : « Universe vie Domini sunt misericor- dia et veritas. In iudicio honorum misericordiam et veri- tatem servat , quia beatitudo sanctorum partim est de tri- butione iustitie partim de munere gratie : in iudicio autem malorum veritatem solam, quia mali nullam sibi viam mi- sericordie reliquerunt ».

GLI. De frequentatione.

Frequentatio est, cum res in causa disperse coguntur in unum locum, hoc modo : « A quo tandem vitio abest iste ? Proditor est sue pudicitie , insidiator aliene , cupidus, pe- tulans, superbus, impius in parentes, ingratus in amicos, infe- stus cognatis, in superiores contumax, in equales fastigiosus, in inferiores crudelis, denique in omnes intolerabilis ».

cLn.

Quid sit expolitio.

*

Expolitio est cum in eadem sententia manemus, et aliud atque aliud dicere videmur; et hec exornatio valdc facun- dum efficit dictatorem; ut si dicam: « Christianus prò virtute fidei nullum periculum vitandum putat ; quaro , si oportet , prò defensione fidei mortem subire debet ».

(1) ubique V.

368 EDIDIT A. GArDENZl

CLIII.

De comminor atìone.

Cbmminoratio est, cum sententiam in qua maior vis est diutius agitamus, et sepius ad eandem revertimur, ut si di- cam « beati qui lugent », et hoc postea sepius repetatur, si- cut faciunt predicatores sermocinando.

CLIIIL

De contentione.

Contentio est per quam contraria referuntur, ut : « Vos lugetis, hic autem exultat » Est alia contentio circa exorna- tionem verborum, de qua diximus; ut « superbis humilem, sed humilibus exhibes te superbum ».

CLV.

De sim^iUtudine.

Similitudo ad probationem sue cause aliquid verisimile elicit aliunde, ut ; « Corpora Gallorum habent quoddam simile suis viribus (1), quod in primo impetu inhorescunt, sed ad calorem modicum citius dissolvuntur ».

CLVI.

De eocemplo.

Exemplum est alicuius facti vai dicti preteriti cum certi auctoris nomine proposito ut : « Cave ne tibi accidat sìcut lude, qui sacramentum Dominici corporis in iudicium sibi sumpsit ».

(l) suis viribus 0.

GUIDONIS FABE SUMISIA DICTAMINIS 369

CLVII.

Quid sii imago.

Imago est forme cum forma digna collatio; ut « Chrìstus tamquam ovis ad occisionem est ductus ».

CLvni.

Quid effectio.

Effectio est corporalis forme per verba expressio; ut « David erat rufus, stature mediocris, et subcrispus ».

CLVIIII.

Quid sit notatio.

Notatio est cum alicuius natura describitur certis signis, ut si dicam: « Iste iactanter defert annulum gemmatum » vel « demonstrat ».

CLX.

Quid sit sermocinano.

Sermocinatio est, cum alicui persone sermo conveniens attribuitur, ut si Christus dicat: « Ego sum lux mundi ».

CLXI.

Quid sit conformano.

Conformatio est cum nova persona vel res nominata in- troducitur ad loquendum, ut si terra dicat: « Ego sum magna parens ».

370 EDIDIT A. GAUDENZI

CLXII.

Quid significatio.

Significatio est res que plus in suspicione relinquit quam sit positum in sermone, ut « iste cognovit quamdam abbatis- sam »: talis enim locutio est valde ambigua; vai sic « quid aliene domui feceris omnes sciunt » ; sic enim signiflcas quod sis fur.

CLXIII.

Quid brevitas

Brevitas est res ipsius (1) tantummodo verbis necessariis expedita, ut « Christus est conceptus de spiritu sanctu, natus de Maria virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifìxus, mor- tuus et sepultus ».

CLXIIII.

Quid sit demonstratio.

Demonstratio est, cum res ita verbis exprimitur, ut gerì negotium et res ante oculos videatur; sicut in passione Chri- sti videtur, ubi omnia que ante rem, et in re, et post rem ac- ciderunt expressissime declarantur.

CLXV.

De sapientia Salomonis.

Vani sunt sensus hominis, et etas senectutis vita in- maculata.

(1) ipsis P. 0.

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 371

Melior est sapientia quam vires, et vir prudens magis (1) quam fortis.

Multitudo sapientium sanitas est orbis terrarum.

Unus introitus est omnibus ad vitam, et similis exitus.

Sapientia est pretiosior sole, et super omnem stellarum dispositionem luci comparanda (2) invenitur prior.

Thesaurus desiderabilis in ore sapientis quiescit , vir autem stultus deglutit illum.

CLXVI. De proverbiis Salomonis.

Audiens sapiens sapientior erit^ et intelligens gubernacula possidebit.

Timor Domini principium sapientie.

Sapientiam atque doctrinam stulti despiciunt.

Custodiet dominus rectorum salutem , et proteget gra- dientes simpliciter.

Ne sis sapiens apud temet ipsum, time Dominum et re- cede a malo. Quem diligit Dominus corripit et castigat, et quasi pater in fìlio conplacet sibi.

Melior est acquisitio sapientie negotiatione argenti et auri.

Ne dicas amico tuo « vado et revertere et cras dabo tibi », cum statim possis dare.

Ne contendas adversus hominem frustra, cum ipse tibi nihil mali fecerit.

Inlusores Dominus deludet, et mansuetis dabit gratiam.

Oculi tui recta videant, et palpebre tue precedant gres- sus tuos.

Vade ad formicam, o piger, et considera vias eius, et disco sapientiam ; que sine duce parat estate cibum et congre- gat in quo-messe comedat.

Noli arguere derisorem ne oderit te. Argue sapientem et diliget te.

(1) Bibl. (Sass. e. 6, V. 1): vir prudens quam fortis.

(2) Bibl. (Sass. e. 7, v. 29): comparata.

372 EDIDIT A. GAUDENZI

Filius sapiens letifìcat patrem : fìlius vero stultus est me- stitia matris sue.

Qui congregat in messe fìlius sapiens est, qui autem stertit estate fìlius confusionis est.

Qui ambulat simpliciter, ambulat confìdenter.

Odium suscitat rixas^ et Universa delieta operit caritas (1).

Abscondunt odium labia mendacia. Qui profert contume- lias, insipiens est.

In multiloquio peccatum non deerit: qui autem modera- tur labia sua, prudentissimus est.

Sicut acetum dentibus et fumus oculis , sic piger bis qui miserunt eum (2).

Ubi fuerit superbia , ibi erit contumelia ; ubi fuerit hu- militas, ibi sapientia.

Simulator ore decipit amicum suum: insti autem libe- rantur scientia.

Qui ambulat fraudulenter revelat arcana : qui autem fìdelis est, celat animi (3) comnissum.

Ubi non est gubernator, populus corruet ; salus autem ubi multa sunt Consilia (4).

Qui conturbat domum suam possidebit ventos, et qui stultus est serviet sapienti.

Melior est pauper et sufficiens sibi quam gloriosus et indigens pane.

Fatuus statim indicat iram suam : qui autem dissimulat iniuriam, callidus est.

Substantia festinata minuetur ; que autem paulatim manu coligitur, multiplicabitur.

Qui cum sapientibus graditur, sapiens erit; amicus stul- torum eis efficitur similis.

Qui parcit virge odit filium suum: qui autem dilìgit illum, instanter erudit.

{\) R. Caritas operit omnia delieta.

(2) P. add. in via.

(3) B. Bibl. {Provi. 11, 13): animi amici.

(4) P... ubi salus autem multa Consilia.

GUroONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 373

Risus dolori mìscebitur, et extrema gaudii luctus occupat.

Liberai animas testis fidelis, et profert mendacia versi- pellis.

Responsio mollis frangit iram (1), sermo durus suscitai furorem.

Lingua sapientum ornai scientiam; os faiuorum ebullit siuliiiiam.

Melius est parum cum timore Domini , quam thesauri magni et insatiabiles.

Vir iracundus provocai rixas; qui patiens est mitigai susciiaias.

Melius est parum cum iustitia (2), quam multi frucius cum iniquitate.

Homo perversus (3) suscitai liies (4) , et verbosus se- parai principes.

Melior est bucella sicca cum gaudio, quam domus piena viciimis cum iurgio (5).

Corona seum fìlli fìliorum, et gloria fìliorum paires (6) eorum.

Omni tempore diligii qui amicus est , et semper (7) in angusiiis conprobatur.

Animus gaudens eiaiem floridam facii, spiritus iristis ex- siccai ossa.

Ira pairis est filius stulius , et dolor matris qua genuit eum.

Qui prius respondet quam audiai, siulium se demonsirai et confusione dignum.

(1) Codd. virum.

(2) Codd. letitia.

(3) superbus P.

(4) brigas R.

(5) Odio y.

(6) parentes P. Y.

(7) Bibl (Prov. 17, 7): frater,

374 EDIDIT A. GAUDENZI

Divitie addunt amicos plurimos: a paupere autem et ii quos habuerit separantur.

Multi colunt personam potentis, et amici sunt dona tri- buentis.

Qui diligit epulas in egestate erit; et qui amat vinum et pinguia, non ditabitur.

Melius est nomen bonum quam divitie multe: super argentum et aurum gratia bona.

Nubes et ventus et pluvie non sequentes , vir gloriosus promissa non complens.

Patientia lenietur princepes, et lingua mollis confringet duritiam.

Aqua frigida anime sitienti, et nuntius bonus de terra longinqua.

Flagellum equo et camus asino et virga in dorso im- prudentum (1).

Ne respondeas stulto iuxta stultitiam suam, ne sibi effi- ciaris similis.

Cum defecerint Ugna (2) extinguetur ignis; et susurrone subtracto (3) iurgia conquiescent.

Laudet te alienus, et non os tuum: extraneus et non labia tua.

Melior est manifesta correctio, quam amor absconsus (4).

Meliora sunt vulnera diligentis quam fraudulenta odien- tis oscula.

Melior est vicinus iuxta, quam frater procul.

Totum spiritum suum profert stultus: sapiens differt et rcservat in posterum.

Qui delicate nutrit a pueritia servum suum, postea illum sentiet contumacem.

(1) imprudenti 0. P.

(2) P. defecerit lingua, 0. defecerint lingue.

(3) susurro subtracto V. turrone subtracto P.

(4) absconditus 0. P..

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 375

Qui nimium emungit, elicit sanguinem : qui provocat iras, producit discordias (1).

Fallax gratia et vana est pulcritudo: mulier timens Do- minum ipsa laudabitur.

CLXVII.

De libro Ecclesiastes.

Omnia tempus habent, et suis spatiis transeunt universa sub celo (2).

Melior est puer pauper et sapiens rege sene et stulto.

Multas curas secuntur somnia, et in multis sermonibus invenitur stultitia.

Multo melius est non vovere, quam post vota promissa non reddere.

Melius est a sapiente corripi, quam stultorum adulatio- nibus decipi.

Ve tibi , terra cuius rex est puer, et cuius principes mane comedunt (3).

Qui observat ventum non semìnat, et qui considerat nu- bes nunquam metet.

CLXVIII. De libro Ihesu.

Noli esse sicut leo in domo tua, evertens domesticos et opprimens subiectos tibi.

Non sit porrecta manus tua ad accipiendum, et ad dan- dum collecta.

(1) P. add. falsas.

(2) Nei Codd. P. 0. R. quest'ultimo detto è posto fra i proverbi

(3) P. priaceps... comedit.

376 EDIDIT A. GAUDENZI

Non ventiles te in omnem ventum, et non eas in omni via (1).

Verbum dulce multiplicat amicos et mitigat inimicos.

Multi pacifici sint tibi, et consiliarius sit tibi unus de mille.

Amicus fìdelis protectio fortis: qui autem invenit illum, invenit thesaurum.

A iuventute tua excipe doctrinam , et usque ad canos invenies sapientiam.

Non litiges cuna homine potente, ne forte incidas in ma- nus illius (2).

Non spernas hominem in sua senecta; etenim (3) ex nobis senescunt.

Cum iracundo non fac^as rixam, et cum audaci non eas in desertum.

Non omni homini cor tuum manifestes, nec cum fatuis consilium habeas.

Ne derelinquas amicum antiquum : novus enim non erit similis ei.

Noli despicere hominem iustum pauperem, et noli ma- gnificare virum peccatorem divitem.

Non agnoscitur in bonis amicus, et non absconditur in malis inimicus.

Qui tetigerit picem (4) inquinabitur ab ea: et qui commu- nicaverit superbo induet superbiam.

Bona est substantia cui (5) non est peccatum in conscien- tia, et nequissima paupertas impii.

Ante iudicium para iustitiam tibi, et antequam loquaris disce.

Memento paupertatis tempore abundantie et necessitatem paupertatis in die divitiarum.

(1) Bihl. (Ecc. 5, 11): in omnem viam.

(2) P. in raanus eius iucidas.

(3) et erunt 0.

(4) P. coinquinabitup.

(5) P. cum.

GUIDONIS FABE SUMMA. DICTA.MINIS 377

Vinum et mulieres apostatare faciunt sapientes, et ar- guunt sensato.

Amictus corporis et risus dentium et ingressus hominis enuntiant de ilio.

Exenia et dona excecant oculos iudicum; et quasi mu- tus in ore avertit correptiones (1).

Meiior est qui celat insipientiam, quam homo qui abscon- dit sapientiam suam.

Mittens lapidem in volatilia deiciet illa; et qui conviciatur amico dissolvit amicitiam.

Vir multum iurans inplebitur iniquitate, et non discedet a domo illius plaga.

Tres species odivit anima mea, pauperem superbum, divitem mendacem, et senem fatuum et insensatum.

Corona senum multa peritia, et gloria illorum timor Dei.

Vasa fìguli probat fornax, et homines iustos temptatio tribulationis.

Meiior est pauper sanus et fortis viribus, quam dives im- becillis et flagelatus malitia.

CLXIX. De differentia scripture.

Nota quod prima littera epistole, propria nomina homi- num et locorum, et inceptiones clausularum debent scribi lit- tera crossiori; et sic consuetudo longeva servavit.

Item, quia nuUus ornate appositequo dictare posset, prout experimento didici manifesto, nisi notitiam habeat per quas dictiones incipere valeant et per quas sua dictamina debeant torminari, de singulis partibus orationis dicamus, et primo do nomine per omnes casus.

(1) correctoris 0. Voi. Ili, Parto II. 25

378 ÈDIDIT A. GAUDENZI

CLXX.

De inceptione nominis per omnes casus,

Exemplum: « Petrus lator presentium honorabilis civis noster, nobis conquerendo monstràvit ». Genitivus : « Petri querelam recepimus continentem ». Dativus : « Petro conque- renti litteras nostras duximus necessario concedendas ». Ac- cusativus ; « Petrum nuper admisimus conquerentem ». Voca- tivus: « 0 Petre, tua lamentabili querela coram nobis sepius exponere procurasti ». Ablativus: « Petro cive nostro honora- bili ac dilecto intelleximus conquerente ».

CLXXI. In plurali.

« Frequentate querele nos cogunt iterare mandata ». G-enitivus: « Querelarum diversitas nosconstringit modos mul- tipliciter invenire, quibus potentum audacia conpescatur, et debilium innocentia valeat defensari ». Dativus: « Querelis propositis, aures apostolico dignitatis avertere non possumus nec debemus ». Vocativus: « 0 querele, quomodo a peccatis hominum puUulatis ». Ablativus : « Querelis auditis et lamen- tationibus intellectis, quas dilecti fìlli potcstas et populus Imo- lensis nobis exponere cura ver unt ».

CLXXII. De terminatione nominis per omnes casus.

Item in nomino per omnes casus preter quam in vocativo recto distinctio finietur. Exemplum in nominativo: « Omnia cum discrotione fìant, quo virtutum dicitur esso niater ». In genitivo: « Coruscat celostibus, qui debililibus et cgentitibus

GUIDONIS FABE SUMMA. DICTAMINIS 379

sua non claudit viscera pietatis ». In dativo: « Dei cedere debemus Consilio, qui cunctis adesse consuevit auxilio vel presidio ». In accusativo: « Ad illuni fiducialiter habetur recursus, cuius liberalitas nuUam novit repulsam ». In voca- tivo non utitur. In ablativo: « De vestra tamquam patris et domini confìdimus bonitate ». Et sic per plurales casus di- stinctiones terminare poterimus condecenter.

CLXXIII.

De prìneipiis a verbo jìer omnes modos et tempora, et de particijpiis, gerundiis et supinis.

« Amo personam tuam, novit dominus ad salutem (I) ». « Amabam vitam monasticam, quia putabam a vitiis alienam ». « Amavi tuam personam amplius quam deberem ». « Ama- veram tuos maiores, et ad te mea dilectio processisset ; sed tu amicos antiquos senper odio nequiter habuisti ». « Ama- bo quicquid videro saluti pariter congruere et honori ». « Ama quem noscis amandum, et numquam degeneres a laude priorum; illos sub benivolentie brachiis retinendo, quos pri- meve dilectionis sinceritas conligavit vel recommendat ». Amato tu illum quem fìdum cognoscis amicum, nec unquam viam antiquam novo tramite debeas desolari ». « Utinam amarem virtutes et transitoria despicerem et caduca! ». « Uti- nam amavissem illum cuius dulcis est amor, iugum suave et onus leve! ». « Utinam sic amem homines, ut errores eorum non diligam, quia aliud est odisse quod faciunt, aliud ad quod facti sunt ». < Cum amem te, diligere merito me tene- ris ». « Cum amem vestrum coUegium, me diligerò tencmini puro corde, nisi porvetere velletis amorem et in odium com- mutare ». « Cum amarem vestrum collegium in visceribus caritatis, procuravi diligenter vestra negotia pertractare ». « Cum amaverim semper ea que spectant ad vestrum com- modum et honorem, do retributione iustitie mihi tenemini grata vicissitudine respondero ». « Cum amavissem illos qui mihi coniuncti erant sanguine parentele, vestra dilectio mo-

(1) // ItMQo deve essere guasto.

380 EDIDIT A. GAUDENZI

leste non debuit sustinere ». « Cum amavero fìdei catholice inimicos, super me tunc veniat indignatio Salvatoris ». « Ve- runi est me amare, amavisse, amatum ire vel amaturum esse dominam mirifìce venustatis, ad cuius speciem formosissimam visus clarificatur humanus, iuvenescit senectus, et animus floridus conservatur ». « Amandi causa venie » vel « habeo voluntatem amandi pretiosissimam omnium dominarum , cuius gratiam desidero super cuncta ». « Ab amando vellem desi- nere, quia postea meus animus viveret in quiete ». « Amando non lego, quia satis sufficit tantus dolor : nam res est solliciti piena timoris amor ». « Ad amandum Platonem accederem, sed non sine causa desisto, quia suam non possem amicitiam conservare ». « Amatum vado non sponsum corruptibilem, sed celestem, qui mihi dabit castitatis annulum, et armillam pretiosis monilibus exornatam ». « Venie amatum illum cui angeli serviunt, ut quiescere valeam sub desiderabili umbra eiusdem, gustando fructum qui dulcis sit meo gutturi et suavis ». Et sic in passivo incipies, et per omnes modos verborum et tempora distinctiones terminare poteris eleganter.

CLXXIV.

De principus a parti'cipus per omnes casus.

« Amans vestram personam prò viribus, ad (1) honorem, omni tempore cupio vobis prebere servitia gratiosa ». Ge- niti vus : « Amantis iustitiam persona merito debet amari , quia via regia sic incedit, ut non declinet ad dexteram vel sinistram ». Dativus: « Amanti Deum prospera cuncta erunt, quoniam ei deesse non poterit quicquid boni, qui bonorum sequitur largitionem ». Accusativus: « Amantem scolara non amemus, ne nos post facinus coinquinAt per consensum ». Vo- cativus: « 0 vere amans amicos, tibi servitia non debent ali- quatenus denegari, qui sempor apparuisti petentibus liboralis ». Ablativus: « Me amante rempublicam, omnia felicitor acces- scrunt, sed mutata est gratia quia crevit malitia popularis ».

(1) et?

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 381

« Ad vos in proximo veniam, Deo dante, amaturus omnia que videro vos amare », vel « facturus omnia que de vestra fue- rint voluntate », vel « dicturus que vobis erunt commodo et ho- nori », vel « pariturus vestris litteris et mandatis ». Et eodem modo ad alios casus procedes: et incipere poteris in plurali, distinctiones in omnibus casibus participii terminando, solo vocativo excepto, ut in nomine superius continetur.

CLXXV.

De principiìs a 'pronomine per omnes casus.

« Ego senper fui vester et esse volo cunctis temporibus vite mee ». Genitivus (1): « Mei dignemini recordari, qui semper extiti vestris servitiis mancipatus ». Dativus : « Mihi vestre gratie salutaris grata subsidia porrigatis, qui semper cupio in vestrorum fìdelium numero conputari ». Accusativus: « Me vestrum clericum et fìdelem habere dignemini commendatum, qui sub vestre protectionis umbra senper gestio respirare ». Ablativus : « Me, vestro subdito, recedente, cuncta fuerunt nobis prospera et iocunda ». In plurali : nominativus « Nos, ut devoti filii Sancte Romane ecclesie matris nostre, ipsius adimplere mandata cupimus reverenter ». Genitivus: « Nostri dignemini misereri, qui non iudicium, sed indulgentiam postu- lamus, illam in vobis esse misericordiam ostendentes quam docetis alios imitari ». Dativus Nobis subventionem vestram negatis et subtrahitis gratiapa salutarem, illis vestre largi- tatis munera confere ntes qui vobis rebelles et contrari i per- stiterunt ». Accusativus : « Nos sub umbra alarum vestrarum pie dignemini defensare, ut qui de vestra protectione confì- dimus, hostilitatis arma nullius pavescere valeamus». Ablativus: « A nobis in vanum Consilia postulatis, cum non secundum ea sed prò vestre volumtatis arbitrio singula terminetis ».

(1) P. om. genitivus dativus... ecc.

382 EDIDIT A. GAUDENZI

CLXXVI.

De prepositìonìbus et adverbiis.

Per prepositiones incipere possumus, tam per illas que accusativo casui serviunt, quam etiam ablativo. Item omnibus adverbiis temporalibus in principio utimur , exceptis ubi et tum quando interrogationem vel admirationem precedunt. Item utimur quantitativis , qualitativis, et numerabilibus, et optativo, ut utinam. De adverbiis autem similitudinariis liec frequentius in principio solent poni « sic, quamvis, tanquam, quemadmodum ». De negativis hi duo, non et nunquam, principia esse possunt. Interiectionibus dolentis, admirantis et gaudentis sepius utimur , et tamen omnes interiectiones principia esse possunt. Item nota quod iste coniunctiones in principio debent proprie poni, causales scilicet, ut « quoniam, quia, cum, et ideo », et iste aversative « quamvis , quam- quam, et licet », ut : « Quamvis longo tempore tibi serviverim, tu tamen habes me odio ».

CLXXVII.

Epistola que per venustam varietatem verborum omnem circuit amicitiam.

Ad similitudinem vero quatuor partium mundi, quatuor fìant epistolarum decursus, qui presentantes statum (1) omnium personarum, verborum prestant copiam et ornatum, quarum prima hec est: « Mirabilem vestram gratiam deprecamur: vestram dilectionem deposcimus; vestram liberalem gratiam exoramus; vestram bonitatem multipli catis precibus liagita- mus ; vestram circumspectam prudentiam rogitamus ; ve- stre benignitati, probitati, sapientie, caritati, prudentie, discre-

(1) P. qui presentes statum.

GUIDO NIS FABE SUMMA DICTAMINIS 383

tioni supplicamus, consulimus, suademus, et amicitiam vestram confortamus et obsecramus ; prece supplici , humili et de- vota, tota cordis affectione (1) et animi puntate, toto affectu hominis utriusque, puro cordis affectu, puntate animi, inten- tione laudabili, omni affectione qua possumus et desiderio puro cordis »; vel aliter : « Ad vestram gratiam venimus » vai « currimus; vestram subventionem et iuvamen requirimus; vostre persone consilium et auxilium inploramus, petimus, exigimus, postulamus, iteratis precibus et multiplicatis exhortationibus, instanter et instantius; sepe, sepius, avide, avidius, provide; propere, continuo, prepropore, assidue, properanter, festinanter, gratanter, letanter , secure, fìducialiter, confìdenter, gauden- ter »; vel « animo letabundo, lìduciali » vel « securo^ gratarffii » vel « confidenti : de cuius bonitate plenam vel securam habeo, teneo » vel « gero fìduciam », vel « de quo indubitanter confido et spero, titubare non valeo, uUo modo » vel « aliqua ratione »; vel « experientia declarante, demonstrante, insinuante, quod consuevit preces supplicantium exaudire; cuius bonitas nulla novit repulsam ; cuius liberalitas poscentibus se exhibet gratio- sam ; qui paratus est semper servire et preces recipere, et effe- ctu prosequente (2) compiere; qui gaudet super servitiis amico- rum; qui gratulatur in laboribus et exultat in servitiis prò amicis; cui prò multis servitiis iam receptis servire desidero et piacere »; vel « quia nobis ostendistis gratiam specialem, vobis gratiam querere minime formidamus, non dubitamus. « Quare » vel « ideo vos rogamus, quatenus P. latori presen- tium, nostro nuntio speciali » vel « harum portitori ad hoc serio (sic) destinato » vel « P. qui vobis nostras literas presentabit » vel « nostram litterariam descriptionem apportabit » vel « cui literas concessimus » vel « P. ad cuius postulationes vobis mit- timus scripta nostra, qui nobis est fidelis amicus, qui in nostra est amicitia copulatus, qui iunctus est in nostrorum numero

(1) V. 0. P. add. tota cordis.

(2) P. et affectu prosequentur.

384 EDIDIT A. GAUDENZI

amicorura, qui iiobis est vìnculo sincere dilectionis, intime » vei « preclare adstrictus , qu nobis catena pure dilectionis est indissolubiliter colligatus, qui vestre sincere dilectioni colli- gatur communiter, qui sinceris nostre dilectionis brachiis puris- sime amplexatur ; in tali facto » vel « negotio , prò quo venit » vel « iter arripuit, suos gressus direxit, accedere fe- stinanter properavit » vel « non tardavit, vestre gratie subsidia porrigatis eidem meis precibus et amore », vel « eidem inpen- datis honorem uti videtis expedire », vel « prout vestram decet probitatem, prout iustitia suadebit, in quantum poteritis, vobis honorifìcentia debita reservata; ita quod vostra prudentia mediante, vestra gratia faciente, prudentia vostra cooperante, potentia, Consilio et auxilio suffragante; liabere valeat quod intendit, facere possit que optat, reportare valeat prò quo venit » vel « consequi possit que affectat, cupit, gestit, desiderat » vel « suum valeat desiderium adimplere; patro- cinantibus meritis bonitatis » vel « probitatis; ita quod meas preces se gaudeat apportasse » ; vel « super bis cupimus taliter vos habere, quod nostra precamina sibi sentiat pro- fuisse » vel « vestris teneamur semper servitiis obligatus , adstrictus, mancipatus » vel « vobis ad servitia teneamur » vel « teneamur vobis ad grates, servitia et honores; flrmiter at- tendentes , prò certo scientes , veraciter cognoscentes quod quidquid ei feceritis vel duxeritis faciendum , nostre persone reputabimus esse factum » vel « nostram personam spiritua- liter et directe prospiciet et non suam » vel « prò tali habe- bimus, ac si nostre persone specialiter feceritis ; prò quibus vobis obligatus ero ad servitia gratiosa, prò quibus ipse mihi tenebitur et ego vobis ad laudes universas et grates solem- nes » vel « ad gratiarum magnas et uberes actiones » vel « ad grates subiectibiles, humiles et devotas »; vel « prò quibus amicabiles duximus grates referendas » vel « gratias agimus cum obsequio perpetue servitutis » vel « prò gratia spirituali quam apud vos meruimus invenire, gratiarum actiones refe- rimus copiosas » vel « prò quibus adstrictus ero ad similia et malora, et bonitati vestre paratus semper existam grata vicissitudine responderc ».

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 385

CLXXYIII.

Epistola que pet^ ornatum verborum sublimes personas Circuit et nobiles et magnates.

« Ad hoc dominus vestram imperìalem maiestatem preesse voluit super terras, ut universorum iura pie sub vestro muni- mine conserventur ; divina misericordia providit populo chri- stiano , cum vestram personam ad decus et decorem impe- rii preelegit ; ad hoc divina clementia serenitatem vestram orbi preposuit universo, ut per eam imbecilles et dispensatores ministeriorum Dei a pravorum incursibus tueretur » « Vestra regalis celsitudo succurrat, gloria vestra succurrat, nos ma- gnificentia vestra non deserat ; ad vos secure confugimus quia dominum alium non habemus, ad illustrem sublimitatem ve- stram recurrimus ut protectionis subsidia sentiamus, ad specta- bilem vestram gratiam nostra gravamina reducimus et que- relas » « cuius fama lucida per mundum resonat universum » vel « quem ubique extoUunt sue merita bonitatis » vel « quem illustrat fama et gloria militar is » vel « quem libe- ralitas dignum honore facit » vel « quem curialitas nominat gloriosum » vel « quem floridum retinent solatia dominarum, quem strenuitas et multa nobilitas reddunt carum (1), laudabi- lem et famosum »; vel « qui circa Consilia prepollet et prudentie magne responsa, qui aurem benignam consuevit subditis con- modare , qui non consuevit aures avertere a querelis , qui iustitiam non denegat postulanti, qui omnibus poscentibus audientiam prebet liberam et benignam, qui iustitiam diligit et odit iniquitatem, qui sub speciali protectione consuevit confovere debiles, orphanos et egenos, qui defendit benivolen- tia paternali pauperes ab oppressionibus tyrannorum, qui por- rigit manum lapsis, indigentes confovet, et alìlictos mestitia con- solatur, qui oppressos relevat et infirmis subsidia elargitur » « Quapropter » vel « eapropter » vel « unde, imperiali

(1) P. om. carum.

380 EDIDIT A. GAUDENZI

maiestati, triumphali vestre glorie invictissime, corone impe- rialis celsitudinis et decer is, regali celsitudini, altitudini, subli- mitati, excellentie et magnitudini; vos sicut fìdeles subditos et devotos commendamus cum omni promptitudine serviendi »; vel « nos voce, corde et animo conmendamus, in omni genere servitutis nos totis affectibus commendamus; a quo post Do- minum omnem cognoscimus gratiam et honorem, a quo id quod sumus et erimus cognoscere volumus et debemus, qui insta poscentibus facilem prestat assensum, qui in se speran- tes non eiicit desolatos, qui afflictorum gravamina respicit oculis pietatis, qui preces non differt inpotentium exaudire, in quo post Dominum tota spes nostra consistit, de quo fìduciam gerimus specialem ». « Sine dubitatione rogamus, humiliter deprecamur, obsecramus; confìdenter imploramus; secure, la- crimabiliter exoramus » vel « duximus exorandum, suppli- citer rogitandum, propensius et humiliter flagitandum ». « Ut nobis vestris fìliis, nobis viris devotis, et nobis vestris fìdeli- bus aliqua demandetis que adimplere possimus et facere ad vestram gloriam et honorem » vel « ad vestri honoris augmen- tum »; vel « tales velitis a nostris iniuriis conpescere » vel « talibus districte iniungere ut nos de cetero non debeant molestare ». « Ut omnes, qui sub vestre iurisdictione consi- stunt, de salubri protectione letentur » vel « sub vestre pro- tectionis umbra possimus, ut cupimus, respirare » vel « um- bram sentiamus gratitudinis et quetis », vel « in pace viven- tes pacis auctorem laudemus, qui per vestram personam con- sulit nostro profectui pariter et honori ».

CLXXIX.

Ad prelatos verborum dìversitas ad copiam et ornatum.

« Beatitudinis » vel « sanctitatis vestre pedibus advolutus indulgentiam postulo de commissis » vel « a clcmentia vestra in competenti beneficio mihi postulo misericorditer provideri »; vel « benignitati vestre me ipsura commendo, paternitati ve- stre facio manifestum, vestre dominationi cupio esse notum,

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 387

vestre paternitati insinuatione presentium patefiat » vel « ve- stra dominatio recognoscat, vestram probitatem cupio non latere » « quod in studio litterarum Bononie persevero Dei vestrique gratia faciente » vel « impendo conmendabiliter ope- rara scientie litterali » vel « insisto prò viribus scolasticis disciplinis » vel « laboro iugiter ad inveniendum scientie margaritam » vel « ad thesaurum inveniendum » vel « acqui- rendum qui nullo potest pretio nummario conparari quod debitum sortietur etfectum , quod fìnem sentiet gloriorum , quod ad laudabilem exitum perducetur » vel « suis non po- terit effectibus spoliari » vel « privari effectibus » « si vestra favorabilis aifuerit gratia, sino cuius patrocinio nihil possum; si vester favor adesse ceperit et gratia salutaris; si vestra liberalitas aftuerit , que apparet inecessitatis tempore liberalis et postulantibus gloriosa; si vestra benignitas inspi- rante domino, mihi manum porrexerit adiutricem » vel « mihi non denegaverit subsidia opportuna » vel « mihi tanquam suo clerico voluerit previdero » vel « me suum fìdelem et devotum deserere noluerit, quem manus impositione promovit ad ordines clericales » vel « cui deesse non potest sanguine parentele » vel « natura et consuetudine exigente » vel « pre- cipiente divina lege pariter et humana ». « Cuius rei gra- tia » vel « cuius rei causa » vel « quapropter, vobis qui mihi estis consilium singulare », vel « vestre persone que multa sapientia et honestate relucet » vel « que mirabili morum venustate corruscat » vel « que mihi est portus sa- lutis et refugium spirituale » « precamina porrigo lacri- mosa, offero preces votivas, non desino preceps rogaminibus aderero » vel « lacrimabiliter supplicare » vel « afFectanter supplico » vel « instanter postulo » « ut me vestrum habere per omnia dignemini commendatum », vel « me vestris clericis dignemini aggregare », vel « me in vestrorum fìdelium numero dignemini computare » vel « providere in aliquo di- vine pietatis intuitu et amore », vel « mei memoriam habea- tis »; vel « me nolit tam subito vestra dominatio a studio revocare » vel « vocare ad propria; sed sic in studio pio sub- veniat et misericorditer succurat benevolentia paternalis, offi-

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cium pastorale, cura et rectoris provisio circumspecta , quod scientie capiam documenta », vel « quod de labore fructum reportem acceptum et manìpulos copiosos, prò quibus tam ecclesia quam parentela letetur, et exultare valeant consan- guinei et amici ».

CLXXX.

Ad subdìtos decora descriptio per ornatum verhorum diversimode variata.

« Quia iustum est et consentaneum rationi, ut fìlios circa scientiam laborantes sancta mater Ecclesia et consolari debeat et eis manum porrigere adiutricem, libenter volumus tue de- votioni, cum facultas se optulerit, in conpetenti benefìcio pro- videre »; vel « quia de tuo bono studio nuper audivimus » vel « de honestate persone tuo et litteratura sufficienti nova percepimus gratiosa », vel « quia bonis moribus diceris ad- ornatus et insistis laudabiliter scientie capessende tibi tale beneflcium assignamus et in signum benevolentie ac dilectionis concedimus », vel « tue dilectioni in tanto benefìcio provide- mus, quod in scolis recipies annuatim, et erga devotionem tuam nostre benedictionis manus ad abundatiorem subventio- nem largifluas extendemus , si bono principio fìnem feceris respondere » vel « si ad meliora, divina potentia suffragante, tue processerint merita bonitatis », vel « quia dignum est ut male meriti gravi pereant egestate », vel « quia labiis dolosis et lingua serpentina voluisti nos draconis dentibus la- cerare, non attendens quod vulnus lingue consolidari non po- test, quia facillime dilabitur in mendaci um ex quo conscien- tia est corrupta , ideo nec ad tuam subiectionem intendi- mus, nec tue miserie condolemus ; quia cura nos cogit officii pastoralis ut subditorum excessus animadversione debita pu- niamus ; ad nostrum spectat officium subditorum vitam et mores in melius reformaro » vel « sic corrigero delinquen- tes, quod unius pena centum expavescant »; voi « quia sanguis subditorum de manu prelati a Domino requiretur, expedit ut

GUIDONIS FABE SUMMA DICTAMINIS 389

pena debita feriat delinquentes », vel « ne trahamus maculam ex criminibus alienis, virga correctionis et non osculo deceptionis punire volumus transgressores; ne via delinquendi aliis pateat per exemplum, commissum delictum pena debita castige- tur, quia dignum est ut quos Dei timor a malo non revocat saltem coerceat rigor ecclesiastice discipline ; quia bonis bo- nitas non prodesset, si malis malitia non obesset; quia se- cundum legem defendi non debet qui committit in legem; quia in una eademque persona et vitia odire debemus et virtutes amare; reprehendere ergo te possumus et damnare » vel re- prehensioni subiaces vehementi » vel « culpa te reprehensi- bilem exhibet et facti qualitas te incusat; quia siae nostra licentia et mandato » vel « nostra licentia non habita nec petita, te trastulisti ad studia litterarum » vel « desolata ec- clesia et servitio Ihesu Christi condiscere conaris scientias lu- crati vas », vel « dimisso habitu et monastica disciplina vagus et perfugus discurris per civitates et terras », vel « abiecta regula et obedientia pretermissa non sino proprie salutis di- spendio tanquam laicus evagaris ». « Quare tibi precipi- mus et mandamus » vel « mandando precipimus » vel « pre- cipiendo mandamus » vel « tibi damus litteris presentibus in mandatis » vel « tibi sub districtione qua possumus mandamus firmiter iniungendo » « quatenus omni mora et occasione remota » vel « postposita, revertaris » vel « desolatam eccle- siam repetas festinanter », vel « reassumas habitum iam di- missum », vel « ad tuam conscientiam revertaris », vel « tue saluti consulas et honori », vel « preterita satisfactione sequenti satagas expurgare » vel « ad cor redeas et viam repetas ve- ritatis ». « Alioquin » vel « aliter » vel « que si non feceris » vel « facere curaveris » vel « non studueris adim- plere; in te dictabimus » vel « faciemus » vel « pronuntia- « bimus excommunicationis sententiam, iustitia exigente » vcl « tuum beneficium alii conferemus » vel « alii curabimus assignare, sicut postulat ordo iuris ; nolentes tuam absentiam amplius expectare » vel « hoc diutius tolerare propter scan- dalum plurimorum » voi « propter pcccatorum molem » vel « no pcrniciosum exemplum in posterum generetur.

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CLXXXI.

De prìvilegiis.

Privilegiiim dicitur quasi ius privatum, vel lex privata et propria et specialis a iure communi. Indulgentia vero a privilegio differt, quia cum ea solemnitate fieri non habet, sed per quandam favorabilem gratiam alicui persone specialiter indulgetur. Privilegiorum autem hec sunt partes: titulus, exordium, concessio generalis, flnalis corroboratio, et signorum subscriptio. Titulus est personarum distinctiva premissìo sine optatione salutis. Et nota, quod in clericis persona concedentis et recipientis in titulo ponitur, in laicis vero sola concedentis persona (1) in titulo prenotatur; et nota quod in privilegiis, sicut in salutationibus , verbum non ponitur et intelligitur con- cediti indulget vel aliud simile. Item nota quod privilegium in tertia fìt persona , et assignato nomine dignitatis , premit- titus nomen concedentis persone; quia dignius est dare quam accipere, et datur privilegium a sublimibus personis et a ma- ioribus in subditos super iure quo sibi tenentur. Et debet talis titulus apicibus eminentibus scribi propter maiorem privile- gii auctoritatem; et de successoribus fìt mentio, ut non solum presentes, sed futures valeat roborare, et duret in perpetuum ad ostendendum quod ecclesiastica concessio perpetua esse debet. Exemplum: « Gregorius servus servorum Dei dilecto fìlio Federico Romanorum imperatori et semper augusto, eiusque successoribus omnibus in perpetuum »; et sic recipientem vo- cabit, vel « venerabilem fratrem » vel « dilectos filios » sivo « filias », ut superius in salutationibus est distinctum, « tam presentibus quam futuris, canonicam vitam professis » vel « canonico substituendis » vel « regularem vitam professis in perpetuum ». Alii prelati eodem modo privilegia concedunt, subditos fratres vel filios nominando , ut super in salutatio- nibus edocetur: hoc solo excepto, quod proponunt signaculum sancte crucis, post quam dicunt: « Sancii spiritus adsit nobis gratia » vel « In nomino domini amen » voi « In nomino

(1) 22. tempora.

GUIDOXIS FABE SUMMA DICTAMINIS 391

sancte et individue Trinitatis amen. Dei gratia Ravennatis ecclesie archiepiscopus venerabili fratri Imolensi episcopo . eiusque successoribus canonico substituendis in perpetuum », Et nota quod non dicitur « in perpetuum » quando privile- gium conceditur laicis; quod ideo contingit, quia laicorum iura non sunt perpetua, sed transitoria dignoscuntur. Et tunc abs- que uUa cruce vel invocatione dominica principes seculares titulum suum ponunt, ut « F. Dei gratia romanorum imperator et semper augustus », et non ponitur ibi nomen recipientis, ut dictum est, nec « in perpetuum » ad denotandum quod ius imperii non est perpetuum, sed temporale. Si autem huius- modi seculares privilegium religiosis concedant, ut dictum est, crux punctata precedit cum invocatione dominica, et extra cartam, scilicet in dorso, notarli curie signum sue manus ap- ponunt, sic dicendo: « In nomine Domini amen. F. Dei gratia Romanorum imperator et semper augustus ». Postmodum in ecclesiasticis sic expedit exordiri: « Cum universorum iura ex iniuncto a Deo nobis officio roborare munimentis aposto- licis teneamur, prò illorum quiete oportet nos sollicitos esse , et eorum potiti ones malori providentia exaudire, qui necessi- tatis tempore sunt officio et nomine principes (1), et pastorali prediti dignitate » vel: « Quotiens nobis petitiones porriguntur a radice iustitie procedentes, ex iniuncto (2) admnistrationis officio ipsas facile admittere debemus, quia non debet dilationibus aliquibus fatigari qui iustum petit pariter et honestum » vel: (3) « Cum imperialem deceat maiestatem jmiversorum iura conser- vare illesa, nos, qui divina favente clementia Romanorum im- perio presidemus, sic iustis precibus condescendere volumus et singulis previdero, quod tam ecclesiastico persone quam etiam seculares contente maneant suo iure »; vel: « Sacrosan- ctum hospitale Iherosolimitanum et eiusdem hospitalarios summa nos oportet dilectione diligere , ipsorumcjue iura nostris privilegiis et protectionibus taliter premunire , ut

(1) R. V. 0. participes.

(2) P. R. iniuncte.

(3) Codd. omm, vel.

392 EDIDIT A. GAUDENZI

cuna ante tribunal suparni iudicis fuerimus constituti , glo- riemur nos honorasse locum, in quo corpus dominicum re- quievit » ; vel « Cum de imperiali procedat benevolentie largitate universos regulares viros et Deo servientes suo sollicite communire presidio, fratres Templi, qui spreta seculari militia facti sunt milites Ihesu Christi, et sub Domini vexillo regula militantes prò Redemptoris amore se morti pugnando cum barbaris nationibus tradere non formidant, tanto atten- tius debet in omnibus confovere, quanto gloriosius prò Christi nominis defensione noscuntur in castris dominicis militare »; (vel) « Cum imperialis dignitas omnium religionum genera sub umbra sue protectionis manu tenere debeat et defendere, di- catas Deo virgines, que spretis maritalibus connubiis sponsum Ihesum Christum accensis lampadibus nunc secuntur, tanto propensius nostro debemus conmunire presidio, quanto magis eorum condicio et sexus femineus noscitur indigere ». Explicit de privilegii (1).

Epìstola fìnalis laudis et commendatìonis.

A Domino factum est istud, cuius gratia sumus et vivi- mus et movemur, et ad honorem et gloriam atque laudem viri magnifici ac feliciter triumphantis domini Alliprandi Fave, Bo- nonie potestatis; cuius preconia mirifico probitatis nec silere pos- sum, nec stilus invenitur sufficiens ad narrandum (2), quoniam de ipso iam loquitur omnis terra, et omnes gentes, nationes et populi magnificant sua gesta, tanquam militis strenuissimi et preclari, cuius fama lucidissima militarem gloriam decorat et totam illuminat parentelam. 0 Brixia, terra nobilìs, nuno gaude beata que tantum lilium protulisti; sed et novis tri- pudiis glorietur Italia universa, et precipue felix exultet Bo- nonia, que, tali sublimata rectore, victoriosa residet et tran- quilla; que suis meritis ut stella rutilans matutina, regalla

(1) In P. manca, Explicit do [)rivilegiis e tutta l'Epistola finale.

(2) dicendum 0.

GUIDONE FABE SUMMA DICTAMINIS 393

promeruit habere insignia , et imperiali diademate coronari. Accipe nunc presentem libellum, egregia potestas, laudabili manu dextera, quem magister Guido fìdelissimus clericus et devotus ad decus et decorem tui fìdelissimi nominìs, utiliter compilavit. Collige (1) nuac flores rethoricos et hec pretiosa nunquam tradas (2) invidis ornamenta , per que tam pre- sens quam ventura posteritas tui (3) geret memoriam glo- riosam a mari usque ad mare et a iiumine usque ad terminos orbis terrarum (4).

CODICI ADOPERATI PER LA EDIZIONE.

R. Ms. 1222 della biblioteca Riccardiana.

0. Ms. ottoboniano n. 125 della biblioteca Vaticana, f.

P. Ms. palatino n. 1611 della biblioteca Vaticana.

V. Ms. n. 5107 della biblioteca Vaticana, fondo vaticano.

Augusto Gaudenzi

(1) colligite 0. P. R.

(2) tradatis 0. P. R.

(3) vestri 0. P. R.

(4) V. 0. terre.

Voi. Ili, Parie il. 26

INDICE DELLE CARTE

DI

PIETRO BILANCIONI

CoDtributo alla bibliografia delle rime volgari dei primi tre secoli.

(Continuaz. da pag. 179, N. S., Voi. Ili, Parte II)

PARTE L RIME CON NOME D'AUTORE

D

Dante.

Vedi Alighieri Dante.

L Dante da Maiano.

1. Già non m' aggiensa^ Chiaro, il domandare (son.) Vedi Alighieri Dante.

2. Lo vostro fermo dir fino et ornato (son.)

Edlzz. : Sonetti e Canz. di diversi ant. aut. tose. Firenze, Giunti, 1527, p. 138 [Dante Alighieri]. Valeriani, II, 493 [Dante da Maiano]. Crescimbeni, ed. Yen., I, 191 [e. s.]

3. Perché ti vedi giovinetta e bella (ball.) Vedi Alighieri Dante.

4. Tre pensieri aggio onde mi vien pensare (son.) Vedi Ahghieri Dante.

5. Tutto eh' eo poco vaglia (canz.)

Edizz. : Valeriani, II, 447 [Dante da Maiano]. Guittone, lìime, ed. Valeriani. Firenze, 1828, I, 200 [Guittone d'Arezzo].

e. B L. FExVTI INDICE DELLE CAKTE DI P. BILANCIONI, P. L* 395

IL Davanzali Chiaro. D, 1 1

1. A san Giovanni a Monte mia cannone (canz.) (l). Ms.: *Vat. 3793, e. 90 [Chiaro Davanzali].

2. Amico, provveduto ha mia intensione (son.)

Edizz. : Sonetti e Canzone, ecc. Firenze, Giunti, 1527, p. 141 [Chiaro Dayanzati]. Valeriani, II, 437 [Lapo Salterello].

3. Come la tigra nel suo gran dolore (son.)

Ms. : Vat. 3793, e. 134 [Chiaro Davanzali]. Ediz. : Trucchi, I, 146 [Incerto].

4. Con adimanda magna scienza porta (son.) Ms.: 'Val. 3793, e. 167 & [Chiaro Davanzali].

5. Di penne di paone e d^ altre assai (son.) (2).

Mss.: *Vat. 3793, e. 196& [Chiaro Davanzali]. *Val. 3214, e. 142 [Maestro Francesco].

6. Donzella gaia e saggia e conoscente (son.)

Ediz.: D' Ancona,' Vienft' sonetti del sec. XIII in Propugnatore, V. S., voi. VI, P. I, p. 353 [Chiaro Davanzali?].

7. Imparo me per venire alV amore (son.) Vedi Guittone d'Arezzo.

8. Lo nome a voi si face , ser Pacino (son.)

Ms.: Vat. 3793, e. 158 [Incerto].

Ediz.: Trucchi, I, 112 [Chiaro Davanzali] (3).

9. Non me ne maraviglio, donna fina (son.)

DAVANZATI

e.

(1) A Monte da Firenze.

(2) A Bonagi^iunta da Lucca.

(3) Vi é riferito il primo verso.

396 e. B L. FRATI

D, m Edizz. : Saggio di rime illustri ined. del sec. XHI pubbl. da

DEL BENE N. FRANCESCO Massi. Roma, 1840 [Chiaro Davanzali]. D'Ancona, Venti sonetti del sec. XIII in Propugnatore, V. S., voi. VI, P. I, p. 352 [Chiaro Davanzali].

10. Per vera esperienza di parlare (son.) (1)

Mss.: *MagUab. VII, 8, 1187, e. 19 6 [Chiaro]. *Marc., ci. IX ital., 191, e. 616 [e. s.]

11. Qualunque donna ha pregio di heltade (son.) Ediz. : Trucchi, I, 156 [Chiaro Davanzali?].

12. Se credi per heltade e per sapere (son.) (2)

Mss.: *Magliab. VII, 8, 1187, e. 20 a [Chiaro]. * Marc, ci. IX ital., 191, e. 62 a [e. s.]

13. Vita mi piace d' uom, che si mantene (son.) Ediz.: Trucchi, I, 195 [Chiaro Davanzali].

Davanzali Mariotto.

Le città magne, floride e civili (canz.) Vedi Alberli (Degli) Antonio.

HI. Del Bene Niccolò.

1. Al romano Scipion detto africano (son.) Vedi Vannozzo Francesco.

2. Fu gloriosa mia fama dappoi (son.) (3) Vedi Vannozzo Francesco.

(1) Responsivo al son. di Dante : Tre pensier aggio onde mi vien pensare.

(2) A Dante Alighieri in risposta al son. : Già non m' oggienza. Chiaro, il dimandare.

(3) Responsivo al son. del Vannozzo: Io dico te, da prima dissi vo/.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 397

IV. Del Bene Sennuccio. '^

DEL BENE S.

1. Amor^ cosi leggiadra giovinetta (ball.)

Mss. : Vat. 3213, e. 383 [Sennuccio Benucci fioren- tino] Chig. M, VII, U2, e. 77 [Sennuccio]: L, IV, 131, e. 822 [Sennuccio Benucci o del Bene] Riccard. 2846, e. 68 [ano n.]

2. Amor, tu sai ch'io smi col capo cano (canz.)

Mss. : Vat. 3213, e. 380 [Sennuccio Benucci fiorentino]. Chig. M, VII, 142, e. 77 [Sennuccio]: L, IV, 131, e. 815 [Sen- nuccio Benucci 0 del Bene] Riccard. 1100, e. 36 6 [Sennuc- cio Benucci]: 1050, e. 62 b [Sennuccio]: 2735, e. 189: 2846, e. 69 b [a non.] Marucell. C, 152, e. 64. Magliab. II, 40, e. 157 [Sennuccio Benucci].

3. Da poi eh' i' ho perduto ogni speranza (canz.)

Mss.: Vat. 3213, e. 381 [Sennuccio Benucci fiorentino]. Casanat. d, V, 5, e. 35 [Dante Alighieri]. Riccard. 1100, e. 37 a [Sennuccio Benucci]: 27^35, e. 189 a. Laur. Red. 184, e. Ili [C.S.] Marucell. C, 152, e. 65. Chig. L, IV, 131, ce. 227 ' e 615 [Sennuccio Benucci]: L, IV, 110, e. 37 [Vanni Zeno da Pisa]. Magliab. II, 40, e. 157 ò [e. s.]: VII, 1, 1041, e. 23 a [Sennuccio del Bene]. Barber. XLV, 129, e. 5 [Sennuccio Bennucci]. Trivulz. 1058, e. 91 [Sennuccio di Senno del Bene].

Edizz. : CORBINELLI , Raccolta di rime ant. , dietro la Bella mano (1595), e. 62 [Sennuccio del Bene]. Dante, Canzoniere, ed. Fraticelu, Firenze, 1856, p. 301.

4. Era neìV ora che la dolce stella (son.)

Mss.: Vat. 3213, e. 382 [Sennuccio Benucci fiorentino]: 4823, e. 446 [C i n o da P i s t o i a]. Casanat. d, V, 5, e. 54 [D a n t e Alighieri]. Riccard. 2735, e. 190: 2846, e. 67 b. [Sennuc- cio del Bene]. Magliab. II, 40, e. 158 [Sennuccio Benucci]: VII, 1, 1041, e. 21 [Sennuccio]. Chig. L, IV, 131, e. 823. Tri- vulz. 1058, e. 48 [Sennuccio di Senno del Bene].

398 e. E L. FRATI

D, IV Edizz. : Raccolta di rime ant. tose. [ed. Villarosa]. Palermo, 1817,

DEL BENE s. ^^h ^^^7 [Sennuccio del Bene]. Rime inedite dei quattro poeti [ed. D. Carbone]. Roma, 1872 [Dante].

5. L' alta bellezza tua è tanto nova (son.)

Ms. : *Riccard. 1103, e. 135 a [Sennucccio da Firenze].

6. La bella aurora nel mio orizzonte (son.) Ms. : Magliab. VII, 1, 1041, e. 20 [Sennuccio].

7. La Madre Vergin dolorosa piange (lauda)

Mss.: Riccard. 1100, e. 38 i [Sennuccio Benucci]. Chig. L, IV, 131, e. 821 [e. s.]

8. Mirando fiso nella chiara luce (son.)

Mss.: Laur. Red. 184, e. 116 6. Magliab. VII, 8, 624, e. 4. Chig. L, IV, 131, e. 744 [Sennuccio Benucci o del Rene].

9. Non si potria compiutamente dire (son.)

Mss.: * Riccard. 1103, e. 135 6 [Sere Mucio da Firenze].

10. 0 salute d'' ogni occhio che ti mira (son.)

Ms. : * Riccard. 1103, e. 135 6 [Sere Mucio da Firenze].

11. Punsemi il fianco Amor con ìiuovi sproni (son.)

Mss.: Riccard. 1100, e. 366[Sennuccio Renucci]. Chig. L, IV, 131, e. 820 [e. s.]

12. Quand' uom si vede andare in ver^ la notte (son.)

Mss.: *Riccard. 1100, e. 37 6 [Sennuccio]: 1091, e. 138 [Sennuccio del bene]: 1050, e. 616 (1): 1050, e. 84 (2): 2735, e. 188 6 [a non.] * Marucell. C, 152, e. 63 6 [Sennuccio del Rene]. * Magliab. II, 40, e. 156 [Sennuccio Ben uccio da Firenze]. *Laur., pi. XL, 46, e. 30 [anon.]

(1) Incomincia dalla 3." stanza.

(2) Contiene le sole prime 2 stanze ed é probabile che in (pieslo cod. vi sia una trasposizione di carte.

i

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 399

13. Si gioviti bella sottil furatrice (ball.) D, v

Mss.: Val. 3-213, e. 383 [Sen miccio Ben ucci fiorentino], delle binde Riccard. 1100, e. 37 a [Senuccio Benucci] : 2735, e. 190. ^-

Magliab. II, 40, e. 158 [Sennuccio Benucci da Firenze]. Chig. L, IV, 131, e. 818 [e. s.]

Della Tosa Niccolò.

Vedi Tosa (DeUa) Nicolò.

V. Delle Binde Antonio.

Diletto nostro caro, la toa rima (son.) (1).

Ms.: *Riccard. 1103, e. 1116 [Son. d'Antonio de le Binde da Padoua in persona del dogie].

VI. Dello da Signa.

Certi elementi diraggio presente (son.)

Mss.: Vat. 3214, e. 161 [Dello da Signa]. Chig. L, Vili, 305, e. 98 [a non.]

Ediz. : L. Manzoni in Rivista di jiloL romanza, I, 89.

VII. Dietaiuti Bondie.

1. Amor, quando mi membra (canz.) Ms.: *Vat. 3793, e. 58 [Bondie Dietaiuti].

2. Chreve cosa vrC avvene oltre misura (canz.) Ms.: 'Val. 3793, e. 58 [Bondie Dietaiuti].

3. S^ 60 canto d^ allegranza (canz.)

Ms.: *Vat. 3793, e. 59 [Bondie Dietaiuti].

(1) Responsivo al son.: S t potessi saper con vera stima di An- tonio DA Feurara, contenuto nello stesso cod. Riccard. 1103, ce. Wìa- 1146 [M." Antonio (da Ferrara) al doge di Vinegia].

400 e. K L. FRATI

D, vili DiETAiuvE M. Vili. Dìetaìuve Mino di Vanni.

1. Al sommo Dante del bel monte suso (cap.)

Mss. : Riccard. 1036, e. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Are- ti o]: 1158, e. 1 sg.

Ediz. : Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 451 [Bosone da Gubbio].

2. Caino fu ben grande traditore (son.)

Ms.: *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XXII].

3. Cammin di morte abbreviato inferno (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg. : 1050, e. 86 [per Minum de Arelio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 464 [Bosone da Gubbio?]

4. Cammin di paradiso breve scritto (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 474 [Bosone da Gubbio?].

5. Cammin di purgatorio abbreviato (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg.: 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor., Firenze, 1755, voi. XVH, p. 469 [Bosone da Gubbio?]

6. Clio, Euterpe^ Melpomene e Talia (son.)

Ms.: *Ambros, E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d' A- rczzo, son. XXIII: De le scienlie].

I

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 401

7. Commettitor di scandal d' uccisioni (son.) D, viii

... T^ rn mi j TT rv- t J » 4 DIETAIUVE M.

Ms. : Ambros. E, 56 siip. [Mino di Vanni Dietaiuve a A- rezzo, son. XVIII].

8. Fanciulli, savii, cattivi, carnali (son.)

Ms.: * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XXV].

9. Gr ipocriti incappati tristi e stanchi (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XV].

10. Gli amanti morti per carnale amore (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. III].

11. Gli eretici per arche son sepolti (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. VII].

12. Golosi, ignudi per terra giacenti (son.)

Ms.: * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. IV].

13. / harattier nella bollente pece (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XIV].

14. / frodolenti consiglier sepuUi (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XVII].

15. 7 ladri son puniti da serpenti (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XVI].

402 e. E L. FRATI

D, Vili 16. Il pili profondo che V inferno aòissa (son.).

DIETAIUVEM. ... ^ ^^ ,„.

Ms.: Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XXI].

17. In sul coperchio d' inferno i cattivi (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. II].

Ediz.: Crescimbeni, ed. Ven., voi. Ili, p. 210 [Mino di Vanni].

18. In un palude so* messi i bizzarri (son.)

Ms.: *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Diefaiuve d'A- rezzo, son. VIJ.

19. Incantatori ed visi travolti (son.)

Ms. : * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XIII].

20. La intension di colui che ne scrisse (son.).

Ms.: *Ambros. E, 56 sup. [Questi infrascripti sonetti fece Mino di Vanni Dietaiuve d'Arezzo sopra la prima parte di Dante chiamata Inferno, son. I.]

21. La tua ostinazion tanto f oltraggia (son.) (1)

Ms. : * Trivulz. 1058, e. 54 a [Mino di Vani darezzo ri- prendendo].

22. Li falsatori archimi di metalli (son.)

Ms. : *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XIX].

23. Nel mezzo del cammin di nostra vita (son.)

Mss.: Riccard. 1U36, e. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Arelio]: 1158, e. 1 sg.

(1) Responsivo al son. di Antonio da Feurara; Se a legger Dante mai caso m' accayyia.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 403

Ediz. : Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi XVil, p. 416 D^ vili [Bosone da Gubbio]. dietaiuve m.

24. Parnaso in Grecia fu già quel giocondo (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg.: 1050, e. 86 sg. [In fine:

Explicit quedam expositio comedie Dantis composita per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vanni s

de Aretio super tres libros Dantis]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 457 [Bosone da Gubbio].

25. Passato Dante V oscura ignoranza (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg.: 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voL XVII, p. 423 [Bosone da Gubbio].

26. Quanto del purgatorio sali Dante (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 440 [Bosone da Gubbio].

27. Quanto più posso per abbreviare (cap.)

Mss.: Riccard. 1036, e. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum de Aretio]: 1 200, e. 89 sg. [0 p u s Mini Vannis de Aretio].

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 429 [Bosone da Gubbio].

28. Questo tormento i traditor tormenta (son.)

Ms.: *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XX].

29. Ruffiam e lusinghieri apportatori (son.)

Ms. : 'Ambros. E, 50 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XI].

404 e. E L. FRATI

D, vin 30. Seguendo brevemente il purgatorio (cap.) DIETAIUVEM. ^^j^^ . V^xì^c^yL 1036, c. 181 sg. : 1050, e. 86 sg. [per Minum

de Aretio]: 1200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1158, e. 1 sg.

Ediz. : Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 1755, voi. XVII, p. 440 [Bosone da Gubbio].

31. Sempre nel mondo i prodighi e gli avari (son.)

Ms.: *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. V].

32. Simoniaci col capo disotto (son.)

Ms. : *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XII].

33. Sopra una rena sempre mai arsiccia (son.)

Ms. : *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. X].

34. Stige d' inferno viene a dir tristizia (son.)

Ms. : *Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d'A- rezzo, son. XXIVJ.

35. Subita volontà^ nuovo accidente (canz.)

Mss.: Rice. 1091, e. 113 [Mino di Vanni d'Arezzo]. Vat. 3212, e. 178 6 [e. s.] Mouck. 1, e. 90 6 [G. Boccaccio].

Ediz.: Boccaccio. Rime. {Opere, ed. Moutier, voi. XVI). Firenze, 1834, p. 107 [Boccaccio].

36. Tiranni stati grandi rubatori (son.)

Ms.: * Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d' A- rezzo, son. Vili].

37. Tutti color di umicidiali (son.)

Ms. : 'Ambros. E, 56 sup. [Mino di Vanni Dietaiuve d' A- rezzo, son. IX].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCTONI, P. I.* 405

38. Una e due notti Dante camminando (cap.) D, ix

Mss.: Riccard. 4036, e. 481 sg.: 4050, e. 86 sg. [per Minum oiotisalvip. de Aretio]: 4200, e. 89 sg. [Opus Mini Vannis de Aretio]: 1458, e. 4 sg.

Ediz.: Lami, Deliciae eruditor. Firenze, 4755, voi. XVII, p. 434 [Rosone da Gubbio].

IX. Diotisalvi Pietro.

Il helV occhio d'Apollo, dal cui guardo (son.) (1)

Ediz. : Petrarca, Rime estratte da un suo originale. Roma, 4642, p. 48 [Ser diotisalui petri di siena].

X. Dolcibene.

Passio domini nostri lesu Christi (cap.)

Mss.: *Rol Univ. 458, e. 96 e segg. [a non.] * Riccard. 2760, e. 576 [Messer Dolcibene].

XI. Domenico da Montichiello.

1. Cresciuto ha Giove con sua sottiV arte (son.)

Mss.:*Chig. L, IV, 434, e. 672 [Sonetto di M.r Domenico da Montichiello]. *Trivulz. 4058, e. 496 [Messer Dominico da MontochielloJ. *Magliab. VII, 3, 4010 (ora II, 40), e. 88a [Sonetto del detto Domenicho (da monte ucchiello)].

2. Le vaghe rime e 7 dolce dir d* amore (cap.)

Mss.: *Laur., pi. XLl, 34, e. 38 6 [Capitolo di M. Domenico da monte Uchiello di reprensione d' amore]. Laur.

Gadd. 498, e. 8 [a non.] Arabros. E, 56 supra [e. s.] Canoni- ciano 444, e. 7 [e. s.] Riccard. 4582, e. 427 a [Per messer

(4) Al Petrarca che rispose col son. : Se Febo al primo amor non è bugiardo.

406 e. K L. FRATI

D, XII Domenicho da monte uchiello]: 1156, e. Già [Qui co-

DOMizio(M.) linciano le vaghe rime composte per Messer Domenico da Montechiello]. Bologn. Univ. 1739, e. 101 [Domini Domi- nici da Montechiello viri eloquentissimi Triumphus contra Amorem feliciter incipit: lege]. Magliab. VII, 3, 1010, e. 856 [Questo si è uno chapitolo el quale fece mes- ser domenicho da mmonte ucchiello trattando ripren- sione d' amore].

3. Quella virtù che il terzo cielo infonde

Ne' cuor che nascon sotto la sua stella (canz.)

Vedi Uberti (degh) Fazio.

4. Si come il poverel va per le scale (son.)

Mss. : Riccard. 1088, e. 62 6 [a non.] Moiick. 1, e. "21 [Gino da Pistoia]: 8, e. 186 [Federigo d'Arezzo].

Dominici Giovanni

Veggansi le sue Laudi tra le Anonime (Indice, Parte II.'')

XII. Domizio (Messer)

Magnifico signor, se 7 del risponde (son.) (1)

Ediz.: * Sonetti inediti di Malatesta di Pandolfo Malatesti, ed. BiLANCiONi. Pesaro, Nobili, 1860 [Risposta di Messer DomizioJ.

XIII. Donati Alesso di Guido

1. Deh come sofferisti a farti fura (ball.) Ms. : *Ambros. E, 56 supra [a non.]

(1) Responsivo al son. di Malatesta de' Malatesti : Messer Do- mizio, poi eh' Apollo infonde.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 407

2. Vostro dolce saluto mi negate (son.) D, xiv

Mss. : *Mouck. 5, e. 5 a [A lesso Donati]. *Laur. Red. 184, e. 120a [Sonetto d' Alesso di Guido Donati].

XIV. Donati Forese

1. Ben so che fusti figliuol d^ Alighieri (son.) (t)

Mss. : Cod. Bartoliniano. Codd. Morelli e Alessandri cit. dal Fiacchi. * Chig. L, Vili, 305, e. 62 6 [Bis può se Forese a Dante]. *Laur., pi. XL, 49, e. 53. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 180, e. 9 [Forese]. *Riccard. 1094, e. 143 a [a non.] Cod. Bossi ora Trivulz. 1058, e. 44 a [Risposta di Forese a Dante]. 'Barber. 2903, e. 99 [Forese].

Edizz. : Burchiello, Sonetti. (Firenze, 1490 e), e. 70 [Burchiello]: Londra, 1757, p. 220 [e. s.] Scelta di rime antiche inedite di celebri autori toscani [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 14 [Risposta di Forese a Dante].

2. L' altra notte mi venne una gran tosse (son.) (2)

Mss.: Cod. Bartoliniano. *Cod. Bossi ora Trivulz. 1058, e. 43 6 [Risposta di Forese a Dante]. *Barber. 2903, e. 96 [Forese]. •Chig. L, Vili, 305, e. 626 [Risposta di Forese a Dante]. Bibl. Naz. di Firenze, palaL 180, e. 9 [Forese]. Codd. Morelli e Alessandri ciL dal Fiacchi. Cod. Strozz. cit. dall' Ubaldini.

Ediz. : Scelta di rime antiche [ed. Fiacchi], p. 13 [Risposta di Forese Donati a Dante].

3. Ya^ rivesti San Gal, prima che dichi (son.) (3)

Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 688 [R.* di Forese a Dante]. *Laur. Red. 184, e. 736 [Forese Donati]. * Barber. 2903, e. 966 [Forese].

Ediz.: Crescimbeni, ed. Ven., Ili, 72 [Forese Donati].

(1) Respons. al son. di Dante: Bicci novel, figliuol di non so cui.

(2) A Dante, che risp. col son. : Ben li faranno il nodo Salomone.

(3) Respons. al son. di Dante : Chi udisse tossir la mal fatala.

donati f.

408 e. E L. FRATI

D> XV XV. Dondi Giovanni.

DOiNDI G.

1. Altera donna e gentil per natura (madr.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 68 [a non.]

2. Antico^ ancora ignota la sentenza (son.)

Ms. : * Marc, ci. XIV lat., 223, e. 61 [Idem Gasparo de Verona qui miserai sonetum unum].

3. Ben eh' io sia certo^ che chiunque forte (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 65.

4. Ben che grave mi sia che ti, che mio (son.)

Ms. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 65 [Magistro Benedicto de Verona].

5. Come tu sai, o dolce Guisemanno (son.)

Ms.: Marc, ci. XIV lat., 223, e 64- [Magnifico Guicemanno '' de Tarvisio quum rumores erant de adventu r. Ungarie].

6. Bica contra chi vuol: il saper vale (son.)

Ediz. : * Morelli, Epistolae septem variae eruditionis. Vatayliy 1819, p. 106 [(Joannes de Dondis)].

Già mi dicesti più volte infedele (son.) Ms.: *Marc, ci. XIV lat., 223, e 55 [M.° Rocho de Beluno].

8. Già nella vaga etade de' primi anni (son.)

Ms. : *Marc, ci. XIV lat., 223, e 57 [A Guglielmo da Cremona].

Ediz.: * Morelli, Epistolae septem variae eruditionis. Pala vii, 1811),

p. 99 [(Joannes de Dondis) a Guglielmo da Cremona] (1).

9. Glorioso signor sopra alto monte (son.) Ms.: -Marc, ci. XIV lat., 223, e 70.

(1) Le sole 2 quartine.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 409

10. Il mio principio non è con diletto (ball.) . D, xv Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 72. ^^^^^ ^'

11. Io ho provato con gravosi affanni (son.)

Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 58 [Bartolomeo Pacis].

12. Io non so qual fortuna o qual rio vento (son.)

Ms. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 53 [Magistro Jacobo de Casteliono Aretino].

13. Io son staio compagno, ed or son stretto (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 63.

14. Io temo che tu non doventi cervo (son.)

Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 62 [Idem Francisco de P a d u a].

15. La donna, che ti sembra condogliosa (son.) (1)

-Mss. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 66 [lohannis responsio ad premissum]. * Bibl. del Seminario di Padova, cod. 59, e. 20

[R e sp. Ma g. lohannis].

16. La olla che per poco foco spuma (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lai, 223, e. 67.

17. La sacrosanta carità d* amore (ball.)

Mss. :*Laur. Med. Pai. 87, e. 103 [a non.] * Marc, ci. XIV lat., 223, e. 69 [Giovanni Dondi].

Ediz. : Poesie musicali [ed. A. Cappelli]. Bologna, Romagnoli, 1868» p. 37.

18. Le tue parole mi par belle tanto (son.)

Ediz.: * Morelli, jE/7/5to/fle septem variae eruditionis. Patavii, 1819, p. 105 [Joannes de Dondis socio et condiscipnlo suo

(1) Responsivo al son. [di Francesco di Vannozzo : Novamente una donna assai pietosa.

Voi. m. Parte II 27

410 a E L. FRATI

D, XV Joanni de Venetiis studenti in medicina, qui scripserat DONDi G. eidem quosdam vulgares rhythmos].

19. Lieti cantando e pigliando 7 più sano (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 66.

20. Mandaci rime di ritrosa forma (son.)

Ms. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 62 [Idem magnifico Bar- tholomeo de Campo].

21. Molto mi giova che la condizione (son.)

Ms. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 58 [Magnifico Gabrieli germano].

22. Nel mio principio di vera partenza (ball.) Ms.: Marc, ci. XIV lat., 223, e. 71.

23. Nel sommo cielo con eterna vita (son.)

Ediz. : Morelli, Epistolae septem variae eruditionis. Patavii, 1819, p. 104 [(Joannes de Dondis) cum visitasse! sepulcrum Domini Francisci Petrarchae in Arquada].

24. Nell'aspra selva tra grandi animali (ball.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 69.

25. Non ama chi vuol ben pur per stesso (ball.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 69.

26. Non si lagnò V anima mia ancor tanto (ball.) Ms.: 'Marc, ci. XIV lat., 223, e. 68.

27. 0 antichi miei compagni^ io non crcdea (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 63.

28. 0 caro Antonio mio, quando mi penso (son.)

Ms. : * Marc, ci. XIV lat., 223, e. 55 [M a g n i fi e 0 Antonio socio dilccto].

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 411

29. 0 caro mio diletto compagno (son.) ^^

DONDI G.

Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 64.

30. 0 caro mio diletto fratello (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 71.

31. 0 fratel quasi, o diletto sodale (son.) Ms. : * Marc, ci. XIV lat., 223, e. 62.

32. 0 puzza àbhomindbil di costumi (son.)

Ediz. : * Morelli, Epistolae septemvariae eruditionis. PaiSL^Uj 1819, p. 102 [(Joannes de Dondis)].

33. Ogfii cosa mortai convien che manchi (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 60.

34. Ornai ciascun si doglia (ball.) Ms.: 'Marc, ci. XIV lat., 223, e 68.

35. Ora par ma' eh' el è ben vero il detto (son.) Ms.: *Marc, ci. XIV lat., 223, e 67.

36. Per far a casa felice ritorno (son.) Ms.: *Marc, ci. XIV lat., 223, e. 67.

37. Però che sento, che tu senti tanto (son.)

Ms.: Marc, ci. XIV lat, 223, e 61 [Idem Melchiorl de Ve- rona in medicina studenti].

38. Poi che Fortuna fa 'l corpo lontana (son.) Ms. : Marc, ci. XIV lat., 223, e 60.

39. Quando due gran nocchier prende ribrezzo (son.) Ms.: *Marc, ci. XIV lai., 223, e 56 [Gaspari de Verona].

412 e. B L. FRATI

D,xv 40. Quando il del con suo stelle favorem (son.) (1)

DONDI G.

Ms.: Bibl. del Seminario di Padova, cod. 59, e. 27 [Mag. Jolian. de Dundis ad F. V.].

41. Quanto più nC avvicino al giorno estremo (son.) Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 59.

42. Questa benigna e mansueta ancella (son.)

Ms.: Marc, ci. XIV lat., 223, e. 60 [Pro domino co mi te].

43. Se Amor s' apprende pur a gentil core (son.)

Ms. : *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 59 [Idem Rocho de civitate Belune qui supramodo captus videbatur amore cuius- dam juvenis].

44. 8e il veder torto del vostro Giovanni (son.)

Ediz. : * Morelli, Epistolae septem variae erud. Patavii, i819, p. 101 [(Joannes de Dondis)].

45. Se la gran Babilonia fu superba (son.)

Ediz.: * Morelli, Epistolae septem variae eruditionis. Pmidisìì, 18i9, p. 103 [(Joannes de Dondis) contra insolentiam Vene- torum inferentiiim guerram Domino Paduae].

46. Se la virtù celeste favoreggia (son.)

Ms.: *Marc., ci. XIV lat., 223, e. 66 [Joannis Gulielmo de fortuitis trepidai],

47. Se per soffrir e star sempre costante (ball.) Ms.: *Marc., ci XIV lat., 223, e. 71.

48. Sentii venir a me selvaggia fera (son.) Ms.: 'Marc, ci. XIV laL, 223, e 71.

(1) A Francesco di Vannozzo, che risp. col son.: La vostra opi- nion eh' oggi verdeggia.

INDICE DELLE CARTE DI P. BlLANCIONl, P. I.* 4l3

49. Si come le virtù dell' alta spene (son.) D, xvi Ms. : Marc, ci. XIV lat., 223, e. 68. ^^^^^ ^'

50. Sonetto mio^ va là, dove tu sai (son.) Ms.: 'Marc, d. XIV lat., 223, e. 70.

51. Sperando che *l tuo canto mi contenti (son.) Ms. : ' Marc, ci. XIV lat., 223, e U.

52. Tacere è il meglio, ma 7 dolor eh' è troppo (son.)

Ms.: 'Marc, ci. XIV lat., 223, c55 [Gasparo de Verona. Ex- positio visionis].

53. Tanto son stato che quel ch'io non voglio (ball.) Ms. : Marc, ci. XIV lat., 223, e 72.

XVI. Brusi Agatone

1. Il forte nodo e V amoroso foco (son.)

Ms. : Laur. Med. Palat. 118, e 22 [Agatone Drusi]. Ediz.: Memorie per le belle arti. Roma, Pagliarini, 1785-88, I, p. LX [Agatone Brusi].

2. Se il grande avolo mio, che fu 7 primiero (son.)

Edizz.: GiAMBULLARi, Il Gello. Fiorenza, Doni, 1546, p. 61 [Aga- tone Drusi]. TiRABOScm, Storia della letter. ital. Modena, 1788, IV, p. 395 [e s.]

3. Se tra noi puote un naturai consiglio (son.) (1)

Edizz.: Trucchi, voi. I, p. XI. Gino da Pistoia, Rime [ed.

N. Pilli]. Roma, Ant. Biado, 1559, p. 39 b.

(1) Diretto a Gino da Pistoia che risp. col son.: Druso^ se nel partir vostro in periglio.

414 e. B L. FRATI

D, xvn

DURANTE G.

XVII. Durante Giovanni

1. Nobile ingegno, per cui sono intese (son.) (1)

Ediz. : B. BoNCOMPAGNi, Notizie intorno ad alcune opere di Leo- nardo Pisano. Roma, 1854, p. 394 [Ser durante giouani].

2. Quasi nelV ora che la terza luce (son.) (2)

Ms. : *Cod. Bossi ora Trivulz. 1058, e. 50 a [Ser Durante Gioani a Tomaso di Bardi].

3. Sempre da tutti vorria esser corretto (son.) (3)

Ms. : * Cod. Bossi ora Trivulz. 1058, e. 50 6 [Replica serDurante a Tomaso].

4. Vostro intelletto cf ogni cosa bella (son.) (4)

Ediz. : B. BONCOMPAGNi, Notizie inforno ad alcune opere di Leo- nardo Pisano. Roma, 4854, p. 395 [Ser durante gioani].

(i) Responsivo al son. di Paolo dell'Abbaco: Sedici di del nostro sesto mese.

(2) A Tommaso de' Bardi, che rispose col son.: Non credo allor che Castore e Polluce, contenuto nello stesso cod. * Bossi ora Trivulz. 1058, e. 50 i [Risposta di Tomaso a Ser Durante].

(3) A Tommaso de' Bardi.

(4) A maestro Paolo dell'Abbaco, che risp. col son. : Nella mia mente convien eh' or i' svelta.

INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 415

E

I. Elia (Frate)

Solvete i corpi in aequa, e tutti, dico (son.) Ediz.: Crescimbeni, ed. Yen., IV, 23 [Frate Elia].

IL Emanuel Giudeo.

1. Aìnor non lesse inai V Ave Maria (son.)

Mss. : *Casanat. d, V, 5, e. 125 [Manu elio Giudeo]. 'Boi. Univ. 1289, e. 126 a (e. s.] *Cod. Galvani, e. 25 [e. s.] Bibl. Naz. di Napoli, cod. Xlli, E, 5.

Edizz. : Capitoli di BosoNE da Gubbio e di Jacopo Alighieri su la D. C. di Dante Alighieri. Napoli, 1829. Otto sonetti del secolo

XIV [ed. A. Cappelli]. Modena, 1868, in-8.

2. Del mondo ho cercato (frott.)

Mss.: *Casanat. d, V, 5, e, 125 [Manoello giudeo]. •Boi. Univ. 1289, e. 180 « [e. s.j

416 e. E L. FRATI INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L*

i^ 3. Io che trassi le lagrime dal fondo (son.) (1)

EMANUEL G.

Mss.: *Casanat. d, V, 5, e. 134. *Cod. Galvani, e. 25 6. Bibl. Naz. di Napoli, cod. XIII, E, 5.

4. Io stesso non mi conosco, ogn' uom oda (son.)

Ms. : Barber. XLV, 47, e. 128 [Manuel zudeo da Gubio]. Ediz. : Capitoli di Rosone da Gubbio e di Jacopo Alighierl Napoli, 1829, p. 55.

5. Se san Pietro e san Paul dalV una parte (son.)

Ms.: Barber. XLV, 47, e. 181 [Manuel zudeo da Gubio]. Ediz. : Capitoli di Bosone da Gubbio e di Jacopo Alighieri. Na- poli, 1829, p. 56.

(Continua) G. e L. Frati

(1) Responsivo al son. di Rosone da Gubbio: Due lumi son di novo spenti al mondo.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA

DELLA VITA

DI

GIOVANNI LAMOLA

Giovanni Lamola (1) deve esser nato nel primo de- cennio del 1400. Studiò sotto Guarino a Verona sino dal 1419. Nel 1424, quando Guarino fuggi da Verona per la pestilenza, il Lamola si ritirò a Bologna. Tornò a Verona

(1) Si veda questa lettera del vescovo di Pavia Francesco Pizolpasso al Panormita:

Franciscus episcopus Papìensts Antonio Panhormitae s. d.

Advisari velim ex te, mi Antoni, an Lamola ille virtù te mactus, ut aiebas, extet de rusticorum Lamolae oppiduli Bononiensis vel nobilium qui nuncupanlur comites de Lamola seu denique honesto genere oriun- dus. Et an germana illa sua vidua sit vel domicella aut virgo, quatenus quave genitrice producta quibuscum enutrita, deque moribus vita et forma illius quantum noveris.

XV iunii {Misceli. Tioli XXIX, p. 195).

La lettera è scritta da Pavia ed è approssimativamente del 1431. Non si capisce perchè il vescovo si interessasse tanto dei fratelli Lamola noi sapremmo rispondere alle domande da lui fatte. Questo bigliet- tino era noto al Bianconi {Lettere sopra Celso, p. 221 in nota), il quale ci maligna sopra, a torto. Sul paese di A mola nel bolognese, dove è nato il nostro Giovanni, cfr. Aug. Corradi, Notizie sui professori di latinità nello Studio di Bologna, Bologna 1887, pag. 98, n. 2.

418 R. SABBADINI

nel 1425, dove fu anche institutore privato in casa Riz- zoni. Neil' Ottobre 1425 non era più a Verona. Di ri- torno a Bologna vi conobbe in quel tempo il Panormita e con lui strinse un'indissolubile amicizia. Neil' anno 1426 il Lamola propagò l' Ermafrodito, che nel Gennaio mandò a Guarino a Verona e portò in persona nel Marzo a Roma al Loschi e al Poggio. A Bologna era di ritorno verso la metà dell' anno. Ma vuoi per l' incertezza ca- gionata dalla guerra tra Milano, Firenze e Venezia, vuoi per il bisogno di trovarsi una occupazione, lasciò la città nativa e la famiglia e andò a cercar fortuna a Milano, verso il Novembre 1426. A Milano si appoggiò all' arci- vescovo Capra e a Cambio Zambeccari. Ivi si pose in comunicazione con tutti gli altri illustri letterati e mece- nati di quel circolo e rese anche buoni servigi agli studi, specialmente con la scoperta di Cornelio Celso nel 1427 e con la esatta trascrizione del codice ciceroniano di Lodi nel 1428.

Era a Milano ancora nell' Ottobre 1428 e non ab- biamo ragione di credere che se ne sia allontanato per tutto l'anno seguente 1429. Aveva quattro disegni in mente: o ridursi di nuovo a Bologna o cercare un im- piego presso la curia romana o ritornare con Guarino o trattenersi tutto l' inverno 1428-29 a Milano. Il primo gli arrideva poco, il secondo non dovette essere agevole ad eseguire. Quanto a Guarino, egli gli avrà risposto che la sua posizione non era troppo sicura a Verona, donde effettivamente partì nell'Aprile del 1429. Restava dunque al Lamola conservarsi intanto la presente condizione, aspettando migliori occasioni (1).

(1) Le prove della cronologia di questo primo periodo della vita del Lamola sono ne' miei sludi su Guarino Veronese ; se le riportassi (pii oltrepasserei di troppo i limiti imposti a una monografia da rivista ; prego

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI LAMOLA 419

Nei primi mesi del 1430 lo troviamo errabondo, finché nell' Aprile capitò a Bologna. Probabilmente fug- giva dalla pestilenza. Ecco una sua lettera:

Johannes Lamola darò philosopho magistro Gaspari Bononiensi s. (1).

Si mediocrem aliquam nactus sim occasionem, lu- benti lubentior voluerim prò praecepto in me tuo et esse et fore tibi impiger Aeneas, hoc est te de singulis, po- steaquam ex te abierim, quam diligenter et saepius cer- tiorem reddere, ut saltem hoc pacto absens praesens tibi videar et praecipuum amorem in me tuum, cum consuetudine non liceat, litteris tamen retinere temptem, meo et praeterea ins.erviam officio. De equo ilio non bene mihi inservitum est, nam ad eius frequentem casum necesse fuit saepius descendere et multo ex luto velut alium Borborophontem enatare. Illum tamen ut dignus erat habui caballum et fusto et calcaribus, adeo ut ob crebras incussiones et armorum exulcerationes timeam podagras. Tamen biduo Bononiam perveni, ubi cum me collegissem apud meos, e vestigio cum amicos nostros tum et genitricem et amitam tuam, optimas quidem fe- minas et tui indulgentissimas, visitavi; quae audita salute tua non mediocrem suscepere laetitiam. Post multa tan-

perciò il lettore di non farmene carico. Si vedano del resto notizie sul Lamola in questi miei scritti: Guarino Veronese e le opere retoriche di Cicerone nella Rivista filologica, XIV p. 433- i34; Guarino Veronese e gli archetipi di Celso e Plauto, Livorno 1886, p. 35-37; 40; 67-69; Cronologia documentata della vita del Panormita e del Valla, Firenze 1891, p. 22-36; Biografia documentata di Giovanni Aurispa. Noto 1891, p. 43-47.

(1) Cod. Ottoboniano 1677 f. 253 v.

420 R. SABBADINI

dem te piissimis orant lacrimis atque obsecrant ut tuam valitudinem dlligentissime cures. Nam cuna te valere in- telligunt, tum demum illis vita iocundissima est. Angun- tur enim et dies et noctes ob pestem tam late fusam. Deinde abs te precibus contendunt ut aliquando ditari velis et rei familiaris fundamenta lacere. Nam abunde sapiens es, ut non solum sapientiae magister et dicaris et habearis, verum etiam divinis praeceptis tuis alios sophos reddere possis. Si autem ab ista re longe absit et abhorreat magnificentior animus, ad id saltem te indu- cat genetricis et amitae pietas, quae iam invalidae et an- nis obsitae tuam operam tuum columen expetere et expectare videntur et optimo quidem iure suo. Ego apud illas tuas tutatus sum partes simul et pollicitus, quod haec abs te fient. Tu in rem tuam facies, si me hoc in vadimonio mendacem esse non sines. Mater vero ipsa datura est ad te litteras. Soror a S. Ioanne recto valet. Iam sat de rebus tuis.

Vide quid mihi usuvenerit, ut Inter eundum quam in praesentia laetiori animo et hilari magis fronte essem, nec fortasse mirum. Visa est enim patriae nostrae mise- rabilis forma atque fortuna, quae vel ad eius desolatio- nem omnimodam spectare videatur. Nam ubique horror metus dolor et plurima mortis aut desperationis imago et ostenta paene inaudita. Tot sunt cetera gravissima mala, ut invadentis et saevientis pestis, quae apud cete- ros (nec iniuria) in summo metu versetur, stragem nul- lus hic paene curet aut ut sensatus praesentiat, quoniam ad cetera id minimum malorum putatur. Adde ut quod aliis temporibus non aspernandum supplicium aut malum esse putatur, nunc tantis in malis unicum nobis videtur profugium, alienas videlicet terras et longa quaerere exi- lia ; omnibus eadem mens sedet, scelerata et tam cruenta

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI LAMOLA 421

excedere terra (1). Mirum est quot nostrates patriae fi- nes et dulcia liquerint arva et in horas linquant; nec solum illustriores cives sed et opifices et sacri quoque viri. Et proinde ego hinc etiam discessum paro, incertus quo me fata ferant. Si in Italia nusquam figere pedem aut sedem dabitur, ad graecas urbes festinat animus, quas si contingere compos fiam, illinc prius non extulerim pe- dem quam oblongissima vestitus sim barba nec ea tamen lasciva, quam epigrammatibus tuis insectari valeas, verum adeo gravi et maiestatis piena, ut potius illam cum omni philosophia tua revereri possis. Sed haec ad iocum in- tempestiva sunt, praesertim tantis in doloribus admixta. Ego hic pascha a meis coactus sum agore. Vale et me ut facis ama.

Ex Bononia XX aprilis (1430).

L'anno della lettera è il 1430 come risulta dalie parole : ego hic pascha a meis coactus sum agere. La pasqua del 1430 venne il 16 Aprile e la lettera è scritta il 20 dello stesso mese. Non possiamo essere del 1429, che ebbe la Pasqua nel 27 Marzo, non del 1431, perchè allora stava già a Ferrara. Qui si sente il Lamola tuttora incerto della risoluzione da prendere ; ma non molto dopo tornò all' idea favorita di mettersi nuovamente con Gua- rino. E infatti nella seconda metà del 1430 lo incontriamo a Ferrara.

(1) Avea ragione il Lainola. I^a guerra di Bologna contro la Cliiesa cominciala il 1.** Agosto 1428 e chiusa il 30 Agosto 1429 si era ria- perta nel 1430. Il 2 Aprile 1430 l'abate Zambeccari fece trucidare nella sala del consiglio cinque partigiani della fazione Bentivoglio. - Sismondi, Storia delle Repubbl. ital, Capolago 1831, Vili, pag. 347-349. - La guerra terminò poi col trattalo del 22 Aprile 1431.

422 R. SABBADINI

lohannes Lamola darò viro Gaspari philosopho s. (1).

Si vales bene est. Superioribus multis diebus ad te Arretium longiusciilas dedi meas, quibus ut respondeas in expectatione sumus; nullas interea tibi conscripsi. Nosti enim probe epistulariam hanc vicem ex duobus pendere, quorum si alter ab officio desierit , necesse sit ut alter vel ex ardenti negligentior vel ex diligenti frigidior fìat: id quod mihi ob tuarum desiderium usuvenit, praesertim cum antea ita copiosus fuissem, ut nihil fere reliquum esset ut ad te scriberem me invitans. Tu contra vero multa ad me scribendi argumenta haberes, quae, rogo te, tuis suavissimis ad me explica, ut ea saltem ratione absentes et longo disiuncti tractu terrarum et praesentes et adiuncti videamur. Ego, ut paucis tibi meum notescat genium, a rescribentibus nullo pacto, a tacentibus facile vinci possum ut nihil scribam. Hac sat me habes in re.

Venio ad aliam. Genuensis tuus se diu tibi plurimum commendat aitque ubi ei liceat se potissimum apud te quam alicubi gentium fore cupere. Is proximis diebus Patavium se contulit, eo tamen animo et in te ardore ut ad te facillime revocari possit, si res Hetruscae incolumes et sedatiores fiant. Albertus autem noster Zancarius hic aliquot menses fuit demumque, statim ac renuntiatum est de pace Bononiensi, a nobis cum omni familia discessit et an in agrum castella aut in urbem se contulerit in- certus sum. Cuperem illum ad nos redire, posteaquam ea fortuna nostrae sit urbis et civitatis, ut in dies malum accumuletur malo et novissima peiora et disturbatiora sint prioribus. Dum hic sum multi ex febri consumpti sunt et in dies moriantur. Ubi ex Bononiensibus nominatioribus hi mortui sunt: Antonius Galdarinus et Ioannes Minottus

(1) Cod. Ottoboniano 1G77 f. 252 v.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI LAMOLA 423

ex febri, Castrutius de Panico ex peste, praeterea dominus Ioannes de Marsiliis in S. Ioanne et dominus Ioannes de Vasconibus Bononiae ex febri nuper mortai dicuntur. Vide quot modis civitas nostras ad internecionem tendat. Ego hic hiematurus et quoad Domino placuerit permansurus sum, quamquam aut nihil aut parum profecerim in re optata. Gonabor in hanc hiemem totis viribus aliquid efìì- cere aut aliquis effici. Non possum plura in praesentiarum, nuntio ad te accelerante. Tuum est me certiorem reddere ubi sis et futurum te credas. An Philelfus istic conductus remaneat scire cupio. lam vale. Raptim.

Ex Ferraria kal. Octobr. 1430.

Significavi omnia ut iussisti Henrico Siculo; ab eo nihil mihi responsum est. Vale.

Ioannes Lamola darò philosopho Gaspari Bononiensi s. {\).

Diu est quod tuas desidero, quibus edoceri possem quo in loco tu et fortunae tuae constitutae forent. Itaque intentus sum ut quoscumque istinc venientes rogem an quicquam de te sciant. Intellexi nuper te Florentiae esse, quae res non parvam mihi de te admirationem et curam attulit, cum considerem quam parvi tuam salutem facias, quam manifesto periculo obicias, et nesciam quo Consilio aut emolumento. Quare per eamdem salutem tuam, quae tibi multis de causis carissima esse debet, rogo te et obtestor ut tibi consulas et velis potius aliorum exemplo sapiens esse, quam aliquo detrimento tuo alios cautos reddere. Nonne istic vehemens pestis et peracerba dicitur esse? Quid ergo opus est tot annos in sapientia perdi- scenda consumere, nisi ut prò tempore ab illa quid fa- ci) Ib. f. 252 r.

424 R. SABBADINI

ciendum quidque declinandum sit instituamur adiuvemur et commonefiamus ? Nonne aliter irrideamur et oleum ac impensa perdenda sit, ubi aliis sapientes et utiles, nobis vero insipientes et inutiles reperiamur? Ut fortis et pru- dentis sit certa cum ratione aggredi et evitare pericula, sic stulti et temerarii censetur casu et fortuna quicquam suscipere. Rogo ad me tuas des et me hac cura libera, ut te loco in tuto et salubri esse intelligam. Has in tuis inclusas ad Philelfum mittere tua cura sit. Dominus Bar- tolomeus Manzolus hic gravi morbo affectus est et de eius salute desperant medici. Albertus Zancarius Bononiae est et valet; ab eo nuper litteras habui. Vale et tuam cura valitudinem diligenter, quoad istic fiant salubriores res.

Ex Ferrarla. Non diu est quod alias ad te dedi per dominum Scipionem Ferrariensem. XII Novembris 1430.

Da ambedue le lettere scorgiamo che la posizione del Lamola a Ferrara non era ancora stabilmente fissata, poiché pare che egli intendesse recarsi a Firenze alla scuola del Filelfo (1).

A Ferrara stava anche del 1431. Ivi lo presuppone una lettera del Filelfo del Febbraio (2). Persisteva però il Lamola nella idea di recarsi alla scuola del Filelfo in Firenze, come appare da una lettera di quest' ultimo del

(1) Il Filelfo [Epist, Venetiis 1502, f. 9 v.) così scrive al Lamola in data Ex Florentia kal. Novembris i430: Quod fieri cerlior ab me quaeris, quid ipse de me statuerim , hoc est mansurusne sim Florenliae in proximum annura an alio concessurus, quid libi respondeam haud salis scio.

(2) Cod. Casanatense di Roma D V 14 f. 155, lettera del Filelfo al Lamola in data Florenliae v^kal. Mari. ii3i la quale finisce: Vale et (juod occeperas cum suavissimo Panormita, brevi conficito. Guarino Aurispaeque, animi nostri condimentis, salutem die verbis meis.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI LAMOLA 425

mese di Agosto (1). Però troviamo il Lamola a Ferrara ancora nell' Ottobre del 1431.

lohannes Lamola darò equiti domino Carolo Ghisilerio s. (2).

Splendide vir. Hic qui has tibi reddet est dominus Franciscus Ariostus, adolescens sane cum doctus atque eruditus et in eloquentiae quidem studiis, tum non me- diocribus virtutibiis praeditus est. Is cum hoc tempore istuc iuris pontificii capessendi gratia proficisceretur, ut virlutis atque laudis studiosus est, ita et maxime clarorum ac laudatorum virorum familiaritates sibi dari concupiscit. Qua in re nihii sibi prius aut antiquius fore duxit, quam ut tuam in primis familiaritatem sibi conciliare posset, ad quod votum suum consequendum me sibi quasi ducem quemdam esse voluit. Audiverat enim nescio a quibusnam me tibi non ingratum esse, quod ita esse illi denegare non ausus sum, potissimum cum id obvenerit magis sin- gulari quadam tua humanitate et ingenio ad amandum prono, quam ullo merito meo. Si igitur Lamolam tuum amas, ut semper me a te amari reipsa expertus sum, humanitatem tuam obsecro ut hunc dominum Franciscum, qui tibi devinctissimus esse ardet, ita complectaris ut qui nunc meus ad te venit, eum paulo post intelligam tuum quoque factum, hoc est nobis communem; id quod illi facillimum fore pollicitus sum, cum tanta sit humanitas tua. Erit praeterea ipsi domino Francisco pergratum ut

(\) Il Filelfo (Epist.. f. 10 r.) al Lamola: Ne aut te aut alios, quos huc discendi gratia venturos significas, ancipiles teneam, ad proximum mensem iulium... conductus sum... prò tolo triennio, cuius quidem statuti temporis initium est XV kal. Nov. ... Ex Fiorentia kal. Augusti 1431.

(2) Cod. Ottoboniano 1677 f. 254 v.

Voi. Ili, Parte 11 28

426 R. SABBADINI

alìquotiens tua bibliotheca illi fìat communis, qua in re semper mira fuit tua iiberalitas. Maxime vero nunc tuo benefìcio cupit Angelinetum poetae Marrasii lectitare. Ve- rum ego stultior qui Lydum, ut aiunt, ad cursum pro- vocem, hoc est te, qui natura ipsa liberalissimus es, ad liberalitatem incitem. Proinde ne longior sim, tu Franci- scum hunc iam nostrum in tuum suscipe sinum, quem tuo amore non dubitem dignum iudicabis cum prima pudoris claustra ruperit et tecum factus erit audentior. Itaque vale splendissime vir nostraeque civitatis decus et me eo quo soles singulari tene devinctum amore. Me tibi plurimum commendo, item et darò philcsopho Gaspari nostro, si ad te adhuc ex Fiorentia advolavit; quamquam ille mihi iamdiu factus sit durior et iratior, qui tamdiu et tot litteris rneis respondere noluerit.

Ex Ferraria raptim II idus Octobr. 1431.

Ma fìnalmente si acconciò a Ferrara con Guarino, come si ricava dalla seguente lettera.

Eusebhis de Fagnano [Antonio Panormitae s. (1)].

Celeberrime poeta, pater honorandissime. Cum bis proximis mensibus Martii et Aprilis Ferrariae adessem cum spectatissimis viris dominis Guarnerio (2) et Lanza- lotto Grotto hero meo, quibus commissum erat legationis oflìcium ab illustrissimo principe nostro ad pacem simul et foedera cum Fiorentino et Veneto populo suo nomine, si locus habuisset, ineunda, offendi eo in loco Ioannem Lamolam, adulescentem sane egregium et vestri quoque observantissimum, cuius familiaritatem et amicitiam sponte et a se ipso porrectis manibus, ut aiunt, mihi oblatam

(1) Miscellan. Tioli XXIX. p. 240.

(2) Custigiioni.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI L AMOLA 427

facillime comparavi. Is enim dum multus sermo saepis- sime inter nos haberetur et ipse magis atque magis de statu vestro cum studio quodam exquireret, nonnullos calamos vobis reddendos mihi dedit prò signo et monu- mento amoris sui erga vos, donum scilicet poeraatibus et studiis vestris conveniens atque dignum. Commendat se plurimum vobis et Vegio illi darò. Si quaeritis quid ipse Lamola rerum agat, conversatur apud clarissimum Gua- rinum Veronensem, cuius opera et industria quotidie iit- teris graecis intendit et ita quidem ut iam unus ex Graecia dici potest (1). In reditu vero nostro exinde in patriam eosdem calamos tunc ad vos misissem, sed, quod vos tenere arbitror, ubi domum attigimus, incunctanter obla- tum fuit nobis aliud iter accingendi ad illustrissimum do- minum Sabaudiae ducem. Nunc autem Domino favente regressi sumus, ex quo ne ofiQcium hoc suum erga te diutius remorarer, ipsos calamos vobis dare institui. Sum enim ad ipsum Lamolam propediem daturus litteras meas; si quid vultis sibi referri, subito me praemoneatis. Potest enim spectatio vestra et certe debet prò iure et volun- tate sua tamquam filio de me disponere. Recommendo me vobis.

Datum Mediolani I kal. lulias 1432.

A Ferrara restò tutto il 1432 e i primi mesi del 1433 (2). Dell'Aprile del 1433 sono le due seguenti sue lettere.

(1) La pace non fu conchiusa.

(2) Della sua attività in Ferrara ci è rimasto un documento in una copia autografa di A. Gellio. Cod. Vaticano 3453 f. 1. Iste liher est mei Ioannis Lamolae quem propria manti scripsi. In fine: Aulii Gelili No- ctium Atlicarum liber vigesimus et ultimus felici ter explicit MCCCCXXXII prid. kal. novembrias. Sul codice di Cesare corretto nello stesso anno 1432 in comune con Guarino cfr. A. Cappelli, La biblioteca Estense nel Giornale storico della letter. ital.j 1889, XIV p. 6.

428 R. SABBADINI

lohannes Lamola suo Eusebio de Fagnano s. d. p. (1).

Cum tibi, humanissime Eusebi, superiore anno bine discedenti (2) frelus ego humanitate et amore tuo in me singulari nonnulla mandassem, quae te istic agere causa mea vellem, nihil unquam dubitavi de fide ac diligentia tua quin omnia diligentissime exequereris; id quod paulo post intellexi re ipsa magis quam verbis, potissimum cum tuo ductu tuaque cura factum sit ut nonnulli codices mei, quos diutius desiderassem, ex Placentia e vestigio ad me mitterentur. Pro qua quidem re cum tibi non parum de- berem, videbatur officii mearumque partium esse^ut sal- tem litteris meis tibi gratias agerem, quas vel summas tuae humanitati baberem. Verum ea ratione destiti ad te aliquid scribere, quod calamos quospiam ad te una mit- tere statueram, quos tibi pollicitus essem ex bis Ferra- riensibus, qui nescio quam praestantiae famam et expe- ctationem habeant; et propterea necesse fuit ut illos tar- dius conquirerem, tanta eorum penuria sit propter multos expetentes. Hos tamen paucos accipies hoc tempore ex Zanone cancellano summi viri lohannis Francisci Gallinae et accipies quidem si non optimos et te dignos ac quales Yoluissem , at qualescumque potui comperire. Proinde non tam muneris huiusce parvitatem aut exilitatem spe- ctaveris, quam animum meum qui adeo in te affectus sit, ut nihii tam grande aut grave sit onus, modo sese aliqua nobis obtulerit occasio, quin prò Eusebio suo su- biret Lamola tuus, qui ubicumque futurus sit, tibi per- suadeto Lamolam esse alterum Eusebium. Vale, mi Eusebi euaep^axaTe, idest colendissime, et me eo quo semel com-

(1) Cod. Ambrosiano II 40, inf. HI r.

(!2) Cfr. la lettera antecedente del Fagnano, png. 426.

Cronologia documentata della vita di Giovanni lamola 459

plexus es amore singulari ama, quando id vicissim a me fit sedulo de te. Vale raptim.

Ex Ferrarla nonis aprilibus 1433. Si quando clarum poetam dominum Antonium Panormitam nostrum invisis, me sibi plurimum commendato.

lohannes Lamola suo domino Raymundo de Maritano s. p. d. (1).

Abunde alias ad te scripsi significavique quemad- modum cura et opera Bernardi tui consecutus essem codices illos meos et una Ovidium illum, quem diligentia tua mihi comparari tantopere concupissem ; qui vel propterea mihi carissimus fuit, ut is mihi sit quasi per- petuum quoddam tui in me signum et monumentum a- moris. Cui quidem amori libens, si mihi obiata sit occasio, vices reddiderim ncque ingratas ncque inferiores. Hoc vero tempore in reditu clari viri lohannis Francisci Gal- linae ad vos non magna aliqua re, verum pusilla (inest vero et in pusillis saepe rebus non parva gratia nonque minimum de amico iudicium) volui tibi declarare me nullo loco posse tradere oblivioni humanitatem tuam , quae mihi usque memoriae fixa sit. Paucos itaque cala- mos, habent enim hi Ferrarienses calami nescio quam praestantiae famam, mitto tibi per Zanonem cancellarium ipsius Gallinae et ea quidem mitto ratione ut, quotiens 'illi tibi ad aliquid conscribendum usui fuerint, memineris Lamolae tui, qui ubicumque sit tuus et tuorum totus sit. Nihil vero libentius audierim quam de studiis et incolumitate tua et tuorum, quibus me semper com- mendo. Si quo in statu sim quaeque agitem Consilia scire concupieris, id ex ipso Zanone mihi amantissimo

(t) Cod. Ambrosiano II, IO, inf. f . 1 1 1 v.

430 R. SABBADINl

fratre discere poteris. Pendent plurimum deliberaliones meae ex bello aut pace futura (1). Vale et me eo quo solitus es idest singulari amore ama, quando a me id vicissim in te sedulo fìt. Raptim (nonis aprilibus 1433).

Già nell'aprile meditava, come risulta dalla seconda lettera, di lasciar Ferrara. La sua risoluzione dipendeva dalla conclusione della pace. La pace fu conchiusa e il Lamola si potè finalmente recare nell'anno stesso (1433) a Firenze (2). Ivi si collocò come institutore privato e intanto frequentava il corso del Filelfo (3). Di lo in- vitò il Panormita a Pavia, offrendogli un onesto colloca- mento (4). Sembra dunque che a Firenze non troppo gli arridesse la fortuna, e infatti nell' anno seguente 1434 la troviamo a Venezia (5).

A Venezia non si fermò più di un anno, giacché nel luglio del 1435 divisava di mutar residenza per fuggir la peste.

(1) In questo tempo erano a Ferrara gli ambasciatori degli Stati bel- ligeranti, Milano, Firenze, Venezia, per le trattative di pace, la quale fu firmata il 16 aprile 1433. Sismondi, Stor. delle Repubbl. ital., IX, p. 19.

(2) Rosmini, Vita di Guarino Veronese, III, p. 80-81.

(3) Il Filelfo {Epist. f. 183 r.) scrive: loamies Lamola meus au- ditor fuit. Ciò non potè essere che a Firenze nell' anno scolastico 1433-31

(4) Beccatelli, Episi, Gali. IV, 14.

(5) Ambr. Traversari, Epist. XXIV, 65. II Cod. Ambrosiano II, 49, inf. f. 117 r. ha una lettera del Lamola così intitolata: Ad ci. v. atque gravissimum philosophum magistrum Paulum Pergulensem patrem suum optimum et observandissimum de laudibus philosophiae lohannis Lamolae epistola incipit. Praestantissime vir ac gravissime philosophe. Pro ea humanitate. Ex Venetiis kal. octobr. 1434. Cfr. Cod. Harleian, 3568.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI L AMOLA 431

Johannes Lamola suo domino Raymundo de Maritano s. p. d. (1).

Effecerunt multae occupationes meae ut ad respon- dendum tuis paulo tardior essem, quas plusculos iam dies acceperam una cum donis tuis perpulchris, prò quibus si quando par pari reddendi facultas data fuerit , vel libros ipsos vicissim a me iure tuo expectare debebis. Interea quando istic res nostras non improbari asseras aliquidque a me novi reposcas, id tibi, cuius amori om- nia debeam, denegare non sum ausus. Tibi itaque mitto nescio quid in litteras iaudationis, quod per hosce dies hic ediderira. Mitto autem magis ut tibi morem geram , quam eam rem iudicem dignam quae censorium vereri non possit iudicium. Quare ut mihi consulas et tibi sa- tisfactum sit censeo illam apud te supprimas habeasque nec in lucem efiferas. Nam quod priorem illam fere om- nium laudem emeruisse atque assecutam esse dicas, id amico et benivole abs te accipio, qui id dicas de rebus nostris quod illis bene optes. Tuum tamen fuerit quid de hac quoque sentias et an habueris me paucis admonere. Alias ero longior ; nam totus districtus sum mille negotiis, dum bine fugam apparamus ob pestem quae haec invasit loca. Quo confngero te admonebo. Tu scribe more solito apud Tegeacios et mihi reddentur tuae. Vale et me ut facis ama. Me tibi et tuis omnibus commendo. Vale item raptim.

Ex Venetiis kal. iuliis 1435.

Dalle ultime parole scorgiamo che egli a Venezia facea V institulore privato presso la famiglia Tegliacci,

(1) Cod. Ambros. id. f. 112 r. Cfr. Cod. Ilarleian 3568.

432 R. SABBADINl

quella stessa che pochi anni innanzi aveva avuto Martino Rizzoni.

Da Venezia passò a Bologna, donde il Tegliacci lo invitava a tornare in Venezia (1). Ma il Lamola non si risolse più ad abbandonare la sua patria. A Bologna lo troviamo nel luglio e nel novembre 1440 (2). Resistette anche a un invito fattogli da Firenze, che lo nominava professor ora- toriae poeticaeque facultatis in quello Studio nel 1446 (3). Era a Bologna ancora nel marzo del 1448, come si ri- cava da alcune lettere scambiate tra lui e Gabriele Te- gliacci, nell'occasione che al Tegliacci era morto il fra-, telio minore Carlo. Il Tegliacci in quel tempo stava a Firenze. Si rileva da questa corrispondenza che il Lamola avea moglie e figliuoli (4).

(1) Cod. di Vienna 3330 f. il v. Gabriel Tegliacius humanissimo d. loanni Lamolae s. p. d. Posteaquam superiores illas.

(2) Cod. Ambrosiano I, 33 inf. f. 31 v.: una lunga lettera sulla pudi- cizia del Lamola a Guidanlonio Lambertini in data Bononiae X kal. sexiilis 1440. Cfr. Cod. Harleian 3568. Cod. di Vienna 3330 f. 21 v., Arundel di Londra 70 f. 18 v. Ioannes Lamola praestanti v. loanni Tridentoni s. p. d. Nuper praesiantissime vir. A tergo: Egregio ac praestantissimo v. loanni Tridentoni Parmensi maiori et patri suo honorando. Data: ex Bononia kal. novembris 1440. Si legge in fine questo passo: Si ullo tempore commentum illud in Martianum Capellam consequi poterimus, id nobis post non mediocrem auxerit gratiam.

(3) Nel Cod. 145 di S. Clemente in Bologna, che contiene le lettere di Cicer. ad Atticum, si trova l' invito officialium et alumnorum Studii Fiorentini al Lamola in data 13 luglio 1446. Di più una lettera di Carlo Marsuppini allo stesso Lamola in data Florentiae III kal. aug. 1446 (Detlefsen nei JahrbUcher fur Philologie und Pddag., 1863 p. 573). Questo codice dovrebb' essere passato alla bibliot. Universitaria di Bologna, ma io ve 1' ho cercato invano.

(4) Cod. Varia X della bibl. Vittorio Em. di Roma. F. 216 r. Gabriel Tegiatius honorandissimo praeceptori suo lohanni Lamolae s. p. d. Quamquam hoc tempore. Florentiae. Ringrazia il Lamola della lettera consolatoria per la morte del fratello. F. 217 r. Gabriel Tegiatius

Cronologia documentata della vita gioyanni lamola 433

Del suo soggiorno a Bologna ci sono rimasti sei di- scorsi e uno scritto retorico, dei quali reco il titolo e il principio :

1. Oratiuncula prò principio suarum lectionura. Quanta excellentia dignitas (1).

2. Oratio lohannis Lamolae in laudibus duorum docto- rum. Non possum non laetari et simul (2).

3. Sub ci. V. magistro Andrea Victorio Paventino in almo Bononiensi Studio artium et medicinae universitatis dignissimo rectori artium liberalium philosophiae et me- dicinae Laudatio incipit per lohannem Lamolam Bono- niensem. Admiratio non mediocris fortasse (3).

4. loannis Lamolae Bononiensis oratio laudatoria in confaloneriorum populi Bononiensis designationem et in- tronizationem kal. ianuarii anno 1441. Quoniam hoc arduum et praeclarissimum munus (4).

5. Eloquentissimi viri lohannis Lamolae Synonyma ad strenuum militem lohannem Bentivolum (5).

Comprende cinque parti. Sinonimi di Esordi, di Nar- razioni, di Confermazioni, di Divisioni, di Confutazioni.

d. lohanni Lamolae praeceptori suo honorandissimo s. p. d. Silen- tium quod tecum. Florentiae VI idus martii 1448. È una lunga lamentazione per la morte del fratello minore Carlo. Segue la con- solatoria del Lamola f. 229 r. Gabrieli Tegeatio de olita Caroli germani sui lohannes Lamola. Si unquam superiori tempore. In quel tempo {paulo ante) era nato al Lamola un figlio maschio. Il Filelfo in data ex Mediolano prid. non. novemhr. 1447 (Philelfi, Epist.^ 1498 f. 30 V.) scriveva al Lamola sull' etimologia della parola musa.

(1) Cod. Regino-Vaticano 786 f. 126 v.

(2) Cod. di Vienna 3330 f. 21 r.

(3) Ibid. f. 23 V.

(4) Aug. Corradi, Notizie sui professori di latinità nello Studio di Bologna, Bologna 1887, pag. 100. Fantuzzi, Scrittori bolognesi, V, p. 17.

(5) Bandini, Catalogus, Supplem. H, p. 1 iO.

434 U. SABBABINI

Degli esempi è data prima la frase in volgare, indi se- guono le traduzioni sinonime latine.

6. In laudes generosi viri ornatissimi equitis ac di- gnissimi praetoris d. lacobi Lavagnoli Veronensis ora- tiuncula per lohannem Lamolam Bononiensem. Quae- nam potissimum (1).

7. Ad Bononienses cives prò illorum libertate divino quodam miraculo parta Congratulatio et simul de civilibus seditionibus sopitis ac universali Inter cives concordia constituta collaudalio ac demum ut in bis saluberrimis laudatissimisque rebus perseverare pergant exhortatio per lohannem Lamolam Bononiensem feliciter incipit. So- lent poetae. Con una lettera accompagnatoria : Johannes

(1) Cod. Valicano 5126, f. 175 v., cfr. Archìvio Veneto VII, 1, p. 177. Ne reco qualche passo: hic (Lavagnolus) graecam et latinam eru- dilionetn complexus fuerit..,. Praetereo eius in moralibus studiis sedu- lam curam et diligenliam, quae sibi viam quandam ad sacras litteras chrislianaque dogmata et veram religionem paravit.... Cum vix per aetatera posset, Florentiam unicum Italiae florem evocatus et illic tanti popuii et [civitalis omnium suffragiis capitaneus creatus est.... Paulo post Senas in amplam et formosam Etruriae urbem convocatus est et eius civitalis praetor deciaralus... Ilaque cum nondum hac Bononiensi praelura funclus sit.... iam ipsa, olim caput mundi, Pioma eum ad se vocat, eum curia tota Romana ad se invitai, eum denique summus sa- cerdos carura habet... Fu podestà a Bologna nel 14i6. Fu capi- tano di Firenze negli anni 1434-U35. Cfr. R. Archivio di Stato di Fi- renze, Catalogo Strozziano dei Capitani e Podestà di Firenze f. 103 V. : D. lacobus Thomasii de Lavagnolis sive Lavagnola de Verona miles Capitaneus popuii Fior, prò sex mensibus inceptis primo iunii 1434 indici. 12; et die 29 7mbris eiusdem anni eleclus fuit Capitaneus Guardiae et Baliae, duraturus usque ad primum ianuarii proximi et deinde confirmalus fuit in supradiclis officiis per quinquc menses, qui fìnem habuerunt die 31 maii 1435, ind. 13. Fu podestà di Siena dal T maggio a tutto l'ottobre 1445, cfr. Archivio di Siena Libro di Bieche r na , Misture f. 216.

CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA DI GIOVANNI LAMOLA 435

Lamola spectato viro Martino e Busulis s. p. d. Cuna iamdiu (1).

L'ultimo termine, nel quale ci risulta ancor vivo il Lamola^ è il 1448.

Nel marzo di quest'anno scriveva una consolatoria al Tegliacci (2). In questo stesso anno ci fu peste a Bo- logna. « Giovanni si vide a mal partito; perciocché oltre air essergli stato da quel crudel morbo rapito il suo pri- mogenito, fanciullo di preclara indole e ingegno, il pub- blico Studio era abbandonato, onde gli mancavano i pro- venti necessari a sostentar stesso, la sua famiglia e a fuggir da queir infetta città. Tutto ciò si raccoglie da una sua lettera a Bernardo Garzoni bolognese che trovavasi a Roma in qualità di medico del pontefice Nicolò V. In essa il prega di ottenergli da quel magnanimo papa un qualche sussidio di danaro onde provvedere a' suoi bi- sogni. Gli rispose il Garzoni promettendogli di adoperarsi caldamente in favor suo e vi si adoperò di foggia che non solamente ebbe il Lamola il desiderato sovvenimento, ma ottenne eziandio di collocare alla corte romana un suo figliolo, comeché in età ancora infantile. Tanto rilevasi dalla fine di un complimento che il Lamola fece al pon- tefice Nicolò V in Roma, ove s' era recato per ringra- ziarlo de' compartitigli benefici » (3).

Pare che sia morto poco dopo. Il Bianconi (4) col- loca la sua morte nel 1449.

(1) Codice Varia X della bibl. Vitt. Em. di Roma, f. 206 v. al 215 v.

(2) Cod. succitato della bibliot. Vittor. Eman. di Roma.

(3) Rosmini, Vita di Guarino, III, p. 81-82.

(i) Lettere sopra Celso, p. 221, in nota. Il PANNONionel suo Pane- gyricus scrive v. 644-645:

nec dignus iniquis lam Petrus podagris et acerbo Lamola leto. Il Panegyricus fu composto verso il 1453. Invece di et acerbo La-

436 R. SABBADINI CRONOLOGIA DOCUMENTATA DELLA VITA ECC.

Riepilogando: il Lamola nacque nel Bolognese nei primi anni del sec. XV. Studiò a Verona sotto Guarino dal 1419 al 1425; negli ultimi mesi di quest' anno si ristabilì a Bologna. Fu a Roma qualche mese nel 1426. Nel novembre 1426 si trasferì da Bologna a Milano; ivi rimase tutto il 1427-1428 e forse il 1429. Nei primi mesi del 1430 era di ritorno a Bologna, donde partì pre- sto per Ferrara. A Ferrara dimorò la seconda metà del 1430, tutto il 1431 e 1432 e fino all'aprile 1433. L'anno scolastico 1433-1434 fu a Firenze; nel 1434 passò a Ve- nezia, dove insegnò. Pare che nel 1435 abbia abbandonato anche Venezia e si sia ritirato a Bologna, dove piantò stabilmente le sue tende, sino alla morte, che accadde nel 1449.

mola leto il cod. Marciano di Venezia XII, 135 la variante (cfr. Abel Adalèkok, Budapest 1880, p. 5-6; 21-2):

et vivere dignior ilio Lamola, Mygdonios si Cloliio indulgeat annos.

11 Mazzetti, Dizionario dei professori di Bologna, fa il Lamola in- segnante a Bologna dal 1438 al 14i9. Anche di qui possiamo argomen- tare che sia morto nel 1449.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO

Quando messer Jacobo Sannazaro publicò nel 1526 il suo poema De partu Virginis , lungo, paziente, tor- mentato lavoro di lima che aveva occupato vent' anni della sua vita e pel quale aveva consultato tutti gli amici erano i più insigni ingegni di letterati italiani di quel tempo risonò da ogni parte un coro di altissime lodi (1). Discorrendo di quella età del Rinascimento in cui il risorgere e l' affermarsi del sentimento dell' indivi- dualità giungevano irresistibilmente alla adulazione tanto più sincera allora quanto agli occhi nostri più smaccata e impertinente, le lodi di un nuovo libro non ci possono commuover troppo, che poc' anzi fra applausi infiniti era stato coronato poeta in Campidoglio un Baraballo buffone e pianto Serafino Aquilano , mediocre improvvisatore, colle troppo famose CoUettanee. Ma notevole davvero si è che fra i meriti principali del poema sannazariano si poneva l' intento religioso, e un cardinale di santa Chiesa

(1) Giovio, Elogia virorum lilteris illustrium; Crispo, Vita di M. Jacopo Sannazaro, premessa al Sannazaro, Opere volgari, Padova, Co- rnino, 47-24. Cfr. Colangelo, Vita di G. S., Napoli, Trani, 1819. Pel lavorio di lima del poeta veggansi sopratuUo le lettere sannazariane edite dal Nunziante, Un divorzio ai tempi di Leone A', Roma, Pasqualucci, 1887. Un apposito studio annunzia Michele Scherillo.

438 FERDINANDO GABOTTO

lo considerava come opera insigne di pietà (1), mentre un altro porporato, il Seripando, ne scriveva a Scipione Ammirato: « Io mi sono doluto, e dorrò sempre, che avendo voi un poema tale, qual è il Parto della Ver- gine del vostro Sannazaro, ove niente manca che possa desiderarsi da un artificiosissimo poeta, ove non è cosa che possa contaminare i buoni e civili costumi, ove solo tra i poeti si trova la verità della religione, ove il verso ha tutti quei numeri che hanno avuto i più per- fetti poeti antichi da lui prima avvertiti e poi dal Fon- tano ancor vostro scritti, ove le finzioni sono dolcissime, ove finalmente è tutto il vostro Dedalione cioè T ufficio del vero poeta, mi sono doluto, e mi dorrò sempre, che si legga da maestri della gioventù e che si veda nelle mani de' giovani altro poeta » (2). Difatto in capo al li- bro stavano due brevi dei pontefici Leone X e Cle- mente VII , redatti l' uno da Pietro Bembo , l' altro da Jacopo Sadoleto : nel secondo si legge che 1' argomento del poema di Jacobo mostra in lui « pari la pietà e V in- gegno » e si chiama l' autore « uomo non meno reli- gioso che dotto » ; nel primo è detto a dirittura che in quei tempi in cui la Chiesa era minacciata da pravi ere- tici, egli le rendeva da solo un servizio maggiore di quello che molti insieme non le avessero reso in pas- sato, e che doveva far publico al più presto il suo la- voro « affinchè coloro che per avventura leggessero il veleno vomitato da falsi cristiani contro la religione, po- tessero ricorrere a quello come a salutare efficacissimo rimedio » (3). Senonchè di fronte a queste esplicite te-

(1) In Doctorum virorum De Actio Syncero Sannazario eiusque scriptis testimonia, p. LXIX, premessi all'edizione dei Poemata^ Padova, Cornino, 1781.

(2) Ibidem, p. LXIII.

(3) Ibidem, pp. LXXIV-LXXVIl.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZZARO 439

stimonianze di autorevolissimi contemporanei la critica posteriore, ponendole affatto da banda o prendendole solamente in considerazione per rigettarle quali ciance adulatorie senza valore, si levò a giudicare poco o punto cristiano il poeta del De parta Virginìs e l' opera sua indecente mescolanza di sacro e di profano, specchio ri- lucente di un' anima in realtà paganeggiante. Tra gli uo- mini del Cinquecento da un lato e quelli del Settecento e dell' Ottocento dall' altro , a chi darebbe ragione una nuova disamina critica della fede di Azzio Sincero, come Jacobo amava sopranominarsi ?

. I-

Anche il Sannazaro trova parole di sdegno e accenti d' ira per la Chiesa corrotta , per il papato mondano de' tempi suoi. Se , a paragone di altri , poteva parer « santo » (1) Giulio II che aveva saputo sgombrare dal- l' animo del poeta gli antichi dubbi e timori di aspre vendette per l'esilio sofferto (2), non dovevano sfuggire alle censure di Azzio Sincero quei pontefici Innocenzo Vili ed Alessandro VI che avevano riempiuta Roma e l'Italia delle libidini e crudeltà loro e de' loro bastardi, quello stesso Leone X eh' ebbe fama invero troppo superiore a' meriti suoi , largo donatore a' letterati ed artisti , ma pessimo principe della Chiesa cristiana. Contro papa Cybo egli vibra un epigramma arroventato (3) che nella epigrafica

(i) Lettera del Sannazaro al Seripando in data H settembre Ì5i8 edita dal NuiNziante, Op. cit., p. 137.

(2) Sannazaro, Epigrammata , II, ^8, in Opera latine scripta^ Amsterdam, Uytwerf, 1718. Manca nell'edizione dei Poemata, Padova, Cornino, 1781. Mi valgo di solito di quest'ultima, ma per gli epigrammi in essa mancanti adopero la prima. Siccome la numerazione degli epi- grammi è diversa, indico sempre l'edizione con (A.) o (P.).

(3) Epigrammata, I, 37 (P.).

440 FERDINANDO GABOTTO

concisione, nella robustezza sallustiana, gli stampa in viso il marchio di sua colpa, di suo vizio maggiore:

Innocuo priscos aequum est debere Quirites: progenie exhaustam restituit patriani (1).

11 Borgia è bensì chiamato « magnanimo », ma « cat- tivo » , e Jacobo non si lascia sfuggir mai V occasione di saettargli le più atroci ingiurie, d' imputargli i più sconci delitti. « Costui che resse Roma per undici anni », egli dice: « fu peggiore di Caligola, di Nerone, di Elioga- balo: sitibondo di sangue, sovverti, distrusse, consumò tutto il mondo colle rapine, col ferro, col fuoco: oh! quante inclite città, quanti regni illustri travolse, quanti capitani mandò a morte per impinguare ed i suoi figli! » (2). E sa ciò al pianto di Roma che si aspettava un nuovo Sisto IV in chi non doveva essere che il mi- serabile Alessandro VI (3), e rappresenta il pontefice dolorante della pace e della quiete altrui (4), cupido solo di riempier l' Italia di guerre, inimicizie, stragi, rapine (5), insigne scellerato (6), spregiatore d' ogni legge umana e divina (7). Sopratutto 1' accusa di amori infami colla fi- gliuola Lucrezia, adoperando a volte espressioni oscena- mente scultorie (8). Il Sannazaro è brutale, senza pietà: 0 lui pure coinvolga nell' assassinio del duca di Gandia, 0 schernisca crudelmente il dolore di un misero padre,

(1) Lettera citata.

(2) Epigr animata, II, 29 (A.).

(3) Eadem, I, 57 (A.). Nel testo è tra « Sixtus » e « Sextus >■> un bisticcio inlroducibile.

(4) Eadem, II, 28 (A.).

(5) Eadem, II, 27 (A.).

(6) Eadem, I, 62 (A.).

(7) Eadem, II, 29 (A.).

(8) Ibidem: « Natae sinum peimingere ». Cfr. II, 4 (A.).

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 441

egli non lo risparmia neppure in quella tristissima cir- costanza : almeno è tra' suoi carmi quel notissimo :

Fisca to rem hominum ne te non, Sexte, putemus piscaris natura retibus ecce tuum (1).

E quando il papa muore, è tutta una serie di epigrammi che ne tortura ancora il cadavere, che ne strazia la me- moria : severa, terribile , implacabile come 1' eterna giu- stiziera , la Musa di Jacobo l' incalza , lo perseguita fin nella tomba e riapre il muto sepolcro quasi per darsi la voluttà di contemplare la marcente carogna di chi Roma aveva troppo a lungo sofferto pontefice e signore. Azzio Sincero non si sazia di odiare il Borgia: nell'odio con- tro di lui avvolge tutta la sua famiglia, tutte le cose sue. Ne schernisce lo stemma, ne insulta e morde i figliuoli: « 0 toro che cerchi sfuggire a codesta minaccia (2) egli scrive quando « Valentinoys » era stretto dagli Orsini di', chi ti tormenta invidiandoti gli alti gioghi che si slan- ciano al cielo? gli alti gioghi che hanno già dato tanto travaglio alle tue corna, che tu hai acquistato a prezzo di tante battaglie? Tu non vedrai più, sciagurato, gli amati regni; non godrai più gli amori e i giocondi ri- posi. Povero toro! Dove andrai a pascolare? Dove in- viterai la bella giovenca più dolce di ogni pascolo?» (3). E « la bella giovenca che, abbandonata solitaria sulle rive del Po, lui, lui sempre chiama e sospira, riempiendo d' alti lamenti le selve » , è Lucrezia, la sorella di Cesare Borgia, la figlia del pontefice, accusata cosi ancora una volta di commerci innominati. 11 Sannazaro si rallegra de' mali di quella casa maledetta : il suo animo si schiude

(1) Eadem, I, 51 (A.).

(2) Eadem, l, 22; II, 29, 30 e 31 (A.).

(3) Epigrammata, I, 15. Cfr. I, 53 (P.).

Voi. Ili, Parte II 29

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al riso, il suo occhio si accende, si illumina di gioia al pensiero, all' annunzio della prossima rovina di lei. « Il toro che poc'anzi scuoteva colla corna gli orsi abbat- tuti, ora fugge a furia alle làtèbre, le làtèbre gli sem- brano assai », ed egli esulta di vederlo « facile preda a chi voglia » , « paventoso d' ogni fiera » , e non ismette r insulto e par quasi di voler egli afferrare il pungolo in mano per istimolar vieppiù la corsa fuggente dell'inti- morito animale (1). Poi, quando realmente la fortuna di Cesare Borgia precipita e all' una sciagura segue un' altra a suo danno, il poeta prorompe in un inno di tripudio :

Omnia vincebas: sperabas omnia, Gaesar. Omnia deficiunt: incipis esse nihil (2).

Lo motteggia con bisticci, lo morde con sarcasmi. È nota la divisa del Valentino: « Aut Caesar, aut nihil »: Ja- cobo torna un' altra volta a beffeggiarlo al riguardo e gli sussurra all' orecchio uno scherzo tanto più pungente e doloroso quanto in apparenza ingenuo ed innocente:

Aut nihil, aut Gaesar vult dici Borgia: quid ni? Gum semel et Gaesar possit et esse nihil (3).

Nel libero sfogo dell' amicizia con Antonio Seripando, Azzio Sincero non risparmia le parole acerbe e gli amari rimproveri a quella corte cui l' amico apparteneva. Da principio egli parla in forma di dubbio, e par non sap- pia, non voglia convincersi della iniquità della nuova Ba-

(1) Eadem, I, 14 (P.).

(2) Eadem, I, 55 (P.).

(3) Eadem, I, 54 (P.).

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 443

bilonia: gli sembra ancora « forte ad credere che ad tanta vergogna venga quella corte che da vero si voglia ridere de Cristo et impacciarsi in le cose che non deve » (1). Ma poscia tale convinzione a poco a poco si costituisce e si afferma nell' animo suo e lo com- penetra tutto: allora i personaggi della curia romana di- ventano per lui gente che « cura poco di Dio et ogni di lo vende peggio che Giuda », « volti venali e senza vergogna che si han posto la fede et Chrysto sotto li piedi » (2). Lo spettacolo di un pontefice e di una Chiesa che « si mangiano le intrate di Christo » (3) senza ritegno o pudore e le sciupano in feste e diver- timenti 0, peggio, in eserciti ed in battaglie, « cu- rano che le genti il sappiano » (4), fa balenare alla mente del Sannazaro l' idea che ne possa nascere un ri- volgimento contro la Chiesa stessa : già Lutero e ZwingU avevano incominciato ad insorgere contro le indulgenze, ed il poeta in una lettera anteriore mostra di esserne in qualche parte informato (5). « Forse verrà il tempo che il papa si doterà di haver mal fatto » (6); certo gli « otri incappellati » di quella a santa corte » « la quale sei corpo di Christo trovasse ad vendere » egli non du- bita punto « che da matina ad sera stanano ad setac- ciare farina » (7), aprono colle loro « disonestà » tal

(1) Lettera a Pietro Jacobo Sannazaro in data 22 luglio Ì5i8j in Nunziante, Op. ciL, p. 119.

(2) Lettera al Seripando in data 30 ottobre Ì5i8y ibidem, pag. 152-153.

(3) Lettera al medesimo s. rf., ibidem, p. 176.

(4) Lettera cit. in data 30 ottobre Ì5i8.

(5) Lettera al Seripando in data 26 giugno Ì5i8^ in Nunziante» pag. 114.

(6) Lettera cit. in data 30 ottobre Ì5i8.

(7) Lettera al Seripando in data ii settembre Ì5i8 , in Nun- ziante, p. 137.

444 FERDINANDO GABOTTO

voragine che non ne potranno più tardi scampare. Mes- ser Jacobo ne ha l' intuizione profonda (1) e a volte sembra affrettare col desiderio l' istante della loro con- fusione: (( Dio li possa disperdere et suffondare come la loro patria Sodoma et Gomorra » (2), esclama, e una vampa gli sale al viso e gli luce negli occhi un insolito splendore.

Il pontificato sotto il quale Jacobo Sannazaro fa un qua- dro cosi fosco della curia di Roma è il magnifico ponticato di Leone X. Azzio Sincero non esclude dal quadro nep- pure il munifico Medici, anzi per lui ha le frasi più vive, gli aggettivi più mordaci: lo dice peggiore di Alessan- dro VI; lo chiama uomo che « si governa per un usu- raro fallito » (3). Veramente « usuraro fallito » è un po' troppo, ma non si può negare che gli splendidi pon- tefici della Rinascenza tenessero in usar cortesia un modo sostanzialmente poco diverso da quella del marchese Al- berto Malaspina di trovadorica memoria che rubava i viandanti per donare i migliori poeti di Provenza e d' I- talia (4). Pure se a noi moderni l' epiteto sannazariano pare eccedere la verità, non cosi dovette sembrare al poeta, nel cui animo fiero turbinava la passione. Vi sono tra' suoi due epigrammi della cui autenticità fu lunga- mente disputato, or sembra risoluto doversi reputare di lui (5). Azzio Sincero rincara in essi la dose, e in uno

(1) Lettera cii. in data 30 ottobre Ì5i8.

(2) Lettera cit. in data ii settembre Ì5i8.

(3) Ibidem.

(4) Mahn, Die Werke der Troubad., t. IV, p. 122. (Cfr. Cer- RATO, Il Bel Cavaliere di Rambaldo di Vaqueiras, in Giorn. Stor. kit. it., t. IV, p. 81 e segg.).

(5) Discussi la questione, risolvendola in questo senso, nel mio scritto Un innamorata del Sannazaro^ nei miei Sarifji critici di storia letteraria, p. 136-143, Venezia, Merlo, 1888. Cfr. Sciieiullo, Un vero amore del Sannazaro, in Giornale storico della letteratura italiana, t. XI, p. 136, n. 1, Torino, Loescher, 1888.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 445

il papa chiama « cieco » e « talpa » e, bisticciando a suo vezzo, sul nome, vuole che dalla madre Clarice Or- sini dovesse dirsi non « Leone », ma « Orso » , potendo egli ogni cosa fuorché diventare leone (1); nell' altro poi non si fa scrupolo di raccogliere la falsa voce della maldicenza popolare che il Medici fosse morto senza sa- cramenti (2), e rincalzando l'antico biasimo in più so- lenne occasione, scrive eh' « ei non li aveva potuto rice- vere perchè li aveva venduti » (3). Anche stavolta vi- veva oltre la tomba la sua ira nemica, e forse nell' animo di Sincero era persuasione salda, secura, che il ponte- fice simoniaco fosse morto senza l' estremo conforto del cristiano.

IL

Con non minore asprezza ed irruenza di linguaggio flagella la Chiesa in genere e Leone X in ispecie il più grande fra i poeti nostri della Rinascenza, messer Lodo- vico Ariosto. Il divino poeta amava con intenso affetto la patria, e gonfiavagli il petto lo spasimo della miseria in cui era ridotta l' Italia, l' ansia faticosa di restaurarla neir antica grandezza e dignità. Il suo occhio acuto e penetrante scrutava instantemente le cause della rovina e ne ricercava i rimedi : le cause gli apparivano nelle in- vasioni straniere e nella Chiesa corrotta, nel papato mon- dano e temporalistico di quella età; gli apparivano i ri- medi nel riordinamento della milizia e nella lega degli

(1) Epigrammata, II, 57 (A.).

(2) Cfr. Gregorovius, Storia della città di Roma nel medio evOy l. Vili, p. 326, n. I, Venezia, Antonelli, 1876, dov'è riferito un passo di una lellera del Castiglione che dimostra la falsità di quella voce.

(3) Epigrammata, III, 8 (A.).

446 FERDINANDO GABOTTO

Stati italiani contro gli esterni nemici, nella riforma della Chiesa e nel suo ritorno alla semplicità e alla purezza di Cristo. Di qui moveano i suoi sdegni e le sue invet- tive dantesche; non Y epigramma malignamente personale, ma r onda larga, grave, dignitosa della terzina e dell' ot- tava ; non la rabbia di un interesse offeso , ma l' impeto di una coscienza italiana profondamente ferita nel suo più alto ideale (1).

Certo a Jacobo Sannazaro il cuore batte pure ga- gliardamente di amor patrio e un nuovo e insigne illu- stratore di quella sua Arcadia volgare rimessa ora di moda giunge a scrivere, non senza esagerazione però, che « della sua anima quel sentimento solo s' impossessò e dominò sugli altri » (2). La risposta di Azzio Sincero al Gran Capitano è notissima (3), ed altrove egli dice che vorrebbe delle lodi della donna sua riempiere « Italia bella » , tutta, per lui come per 1' Ariosto, « quanta gira il lembo dell'Alpe e cinge il mare » (4). La sua anima è piena de' grandi ricordi di Roma, delle antiche vittorie

(1) Ho svolto più largamente questi concetti intorno all' Ariosto nei due lavori La patria ne poeti della Rinascenza, p. 22-24, Torino, De- rossi, 1889, e, meglio, La politica e la religiosità di messer Lodovico Ariosto, estratto dalla Rassegna Emiliana, Modena, novembre, 1889.

(2) SCHERILLO, L' Arcadia di Jacobo Sannazaro, Intr., p. LXXVl, Torino, Loescher, 1888. Sull' Arcadia veggasi pure Torraca, La ma- teria dell' Arcadia del Sannazaro, Città di Castello, Lapi, 1888, e la recensione dei due lavori fatta dal Gaspary, in Giorn. Stor. lett. il., t. XI, p. 416 e segg. Sull'imitazione straniera (ìaW Arcadia, oltre l'opera citata dello Scherillo, è un altro lavoro anteriore del Torraca, imi- tatori stranieri del Sannazaro, Roma, Loescher, 1882. Meno serio è GiANGUiTTO, Delle opere di J. S., Napoli, 1870.

(3) Crispo, Vita di M. Jacopo Sannazaro, in Sannazaro, Opere volgari, p. XVIII-XIX.

(4) Rime, parte I, son. 24, p. 350 della cit. ed. delle Opere volgari.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 447

de' padri, di cui « per destin protervo si gloria il vinto » (1); le immagini dei Fabii, dei Decii, dei Catoni, dei Cesari, gli stanno fisse nella mente (2), i loro nomi gli turbi- nano nel capo, ed egli li rammenta ad ogni istante, in- dirizza loro poesie, ne scrive gli epitaffi in italiano ed in latino (3). Quante volte il Sannazaro contemplò da' colli Albani l' eterna Città e ne ammirò le « inclite mura » , gli (( archi superbi » , le « rovine ascose fra 1' erbe e i fiori » , gli « eccelsi teatri » , i « simulacri ornati » , il Campidoglio, il Colosseo, la mole Adriana, e gli sfilarono dinanzi evocati a schiera nell' inno prorompente dal petto entusiasta « senatori venerandi, cavalieri armati, consoli, tribuni, re, imperatori, le ricche spoglie del mondo fatto tributario e servo, i trofei delle contrade tinte di barba- rico sangue » (4). Il canto del poeta vola in alto bello e gagliardo di quelle memorie : egli lo indirizza alla « glo- riosa, possente, antica madre, già albergatrice di uomini e di Dei » , nella quale se mai gli avvenga di uscire dalle molte cure e dagli affanni e doloii infiniti, egli vorrebbe a per aver pace » , finire le sue « notti oscure ed adre » e cui supplica dolcemente:

0 del mondo Regina, invitta terra, poi ch'ai giusto desir la grazia manca, pietosa in libertà gli occhi mi serra (5).

Persino accompagnando nelle spedizioni militari attraverso il Lazio que' suoi principi Aragonesi che gli vedremo ca-

(1) Eaedem, parte ITI, son. 4, p. 417.

(2) Elcgiae, IH, 1.

(3) Epifjr animata. II, 46 (P). In laudem Catonis; Rime, parte IH, son. 1, p. 417: Epitaffio di Cesare.

(4) Rime, parte III, son. 4, p. 417.

(5) Eaedem, parte II, son. 76, p. 401. Cfr. anche son. 75.

448 FERDINANDO GABOTTO

rissimi, egli sente dolore di portar le armi contro Roma, sa perdonarsi l'offesa fattale e gliene chiede grazia con soave pietà di figlio:

Bis Nomentanas, bis magni Tiberis arces

vidimus ad nostros proicere arma pedes, cum iam sit media trepidatum paene Subura,

et Capitolino vota parata lovi. Nec semel, ut fatear, Gollinae ad limina portae

fregimus armatos reppulimusque duces. Farce tamen, veneranda parens, si insta secutus

signa sub Alfonso: rex erat ille meus (1).

In un suo noto epigramma (2) egli sembra ante- porre Venezia a Roma , dicendo che questa fu fondata dagli uomini, quella dagli Dei ; e altrove , chiamando la città della laguna « onore e luce di Ausonia », mostra d' intenderne le aspirazioni ambiziosamente nazionali con salutarla difenditrice della libertà italiana, rocca dell'indi- pendenza contro i barbari (3). Vuoisi che la repubblica di San Marco largamente ripagasse il poeta di sue lodi e per ogni verso del citato epigramma gli facesse do- nare cento scudi e ne ponesse un ritratto dipinto da Tiziano nella sala vecchia del Consiglio (4); ma in realtà il paragone tra Roma e Venezia è tra la gloriosa Ve- nezia che resisteva ai collegati di Cambray e la Roma de- genere che serviva di ricettacolo alle libidini di Alessan- dro VI e alla simonia di Leone X, o, al più, tra la me- raviglia del sito dell'una e la minor felicità di quello del-

(1) Elegiae, H, 2.

(2) Epigrammata, I, 35 (P.)

(3) Elegiae, III, i.

(4) Ciuspo, p. XLI. Cfr. Volpi, lacohi sive Aclii Synceri San- nazzarii vita, in Poemata, pp. XXX (P.)

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 449

r altra. A chiarire afTatto il suo pensiero che le lodi a Venezia sono solamente in quanto essa in Italia era sola degna di tenere il posto dell' antica dominatrice del mondo, viene opportuno queir altro distico in cui il San- nazaro si spiega in modo da torre ogni dubbio in pro- posito, aprendo interamente il segreto dell' animo suo :

Romanas Aquilae postquam liquere cohortes, magnaniraus turmas ducit in arma Leo (1).

L' antica Roma riempie queir animo : fra tanti Tarquinii che straziano l' Italia egli invoca un Rruto vendicatore (2), e la libertà che sorgendo dal povero sepolcro di Catone insulta alla splendida tomba di Cesare (3), di Cesare cui lodò pure altrove come il primo che « costringesse il mondo sotto il giogo dell' alto imperio di Roma » (4), è lo scopo eh' egli si compone e prosegue nell' imma- ginazione fervida, è l' ideale che contempla ed ammira ne' sogni, che infonde alti entusiasmi alla sua Musa, che compenetra ed esalta tanta parte della sua perso- nalità.

Ad Azzio Sincero non fa difetto la parola libera e franca : da lui muovono singolari ardimenti. Non ne sono esempì soltanto la già accennata risposta a Consalvo e gli assalti a' pontefici : intimamente convinto che gli uo- mini « voleno esser governati con piacevolezza, non con minacele » (5), egli non esita ad affrontare la collera di Pietro di Roccaforte, gran cancelliere di Carlo Vili nel

(1) Epigrammata. II, 31 (P.)

(2) Eadem, II, 17 (P.)

(3) Eadem, II, 46 (P.)

(4) Rime, parte III, son. 1, p. 417.

(5) Lettera del Sannazzaro al Seripando in data 19 settembre 1517, in Nunziante, Op. cit., p. 98.

450 FERDINANDO GABOTTO

regno di Napoli , indirizzandogli quella nobilissima elegia nella quale introduce Astrea la Giustizia vendi- catrice — a rimproverargli lo sgoverno de' suoi ministri francesi che fanno di lei pietoso ludibrio (1). Il Sannazaro espone con audacia di pensiero e robustezza di forma la triste condizione del suo paese, dove è delitto alzar la fronte libera al cielo, delitto serbar la pristina fede non piegata dalle minaccio ed amare gli antichi re, de- litto supremo dispregiare la morte. « Uno stato costi- tuito per lungo tempo di virtù e per fortezza di molte armi è fatto servo all' avarizia ; la nobiltà^ spoglia de' suoi beni, è bandita dalla patria, i cittadini sono cacciati dalle case avite, e il fìsco si attribuisce quanto più possa delle sostanze de' miseri; e questo è chiamalo risparmiare i vinti, restituire i suoi diritti all' Ausonia ! » . Nel cuore di Jacobo imperversa un violento uragano: come nel- V arca di Dite Farinata degli liberti si erge in « gran dispitto » dell' Inferno, egli si drizza in faccia all' op- pressore e r ammonisce argutamente :

0 bene fortunae memores quicunque superbas gentibus a victis abstinuere manus I

Par quasi che, traboccando lo sdegno , sia per sortirgli dai denti la minaccia di un nuovo Vespro , ma perchè sarebbe vana, la raffrena tosto e prega, prega, ma di una preghiera dignitosa, ma con lacrime che brillano pur di superbia :

Effice lustitiae soliti reddantur honores.

Hoc ego te, meciim hoc Phocbus doctaeque sorores, hoc pietas, hoc ius, hoc nobilitas rogant.

(1) Elpgiae, I, 8.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 451

Tuttavia, per questo lato come per altri, il Sannazaro rimane troppo discosto dall' Ariosto, e il suo sentimento patrio non raggiunge la forza divina di quello del can- tore di Orlando. La romanità stessa che informa tutta la sua coscienza toglie qualcosa alla italianità del pensiero, trasportandone le ispirazioni e gì' ideali fuori di quella cerchia del tempo suo in cui messer Lodovico sta cosi mirabilmente racchiuso con insolita grandezza. V è in Azzio Sincero un uomo che sente fortemente un con- cetto politico e che per esso è risoluto e presto ad af- frontare ogni difficoltà, ogni pericolo , ardito, generoso, magnanimo. Ma rispetto alla forma di questo sentimento par quasi che l' umanista soffochi il cittadino, l' Italiano ; il sogno dell' antichità la percezione esatta dello stato del tempo suo. Del che non è forse difficile rintracciare i mo- tivi. Neil' Ariosto infatti l' amor patrio fa astrazione da ogni persona ; s' egli, come l' Alighieri, vagheggia un veltro, non si potrà cercare come pel veltro dantesco un altro Uguccione della Faggiuola o un altro Cane della Scala: troppo chiaramente egli si esprime perchè non si scorga tosto che la persona del redentore d' Italia è a lui affatto indifferente; venga l'uomo inviato dal Signore al gran riscatto , e messer Lodovico l' accoglierà con entusiasmo, chiunque egli sia. Non cosi accade invece di Jacobo che la salute d' Italia intravede un istante in Ve- nezia, ma non più che un istante; che non intende l'o- pera e gli scopi di Cesare Borgia; che tutte le sue spe- ranze, i suoi affetti ripone nella dinastia aragonese. Più che sentimento italiano, il suo è sentimento napoletano; egli ripensa a Ladislao di Durazzo, ed enumerandone le vittorie sugli Angioini, il doppio acquisto di Roma, i trionfi di Toscana, si addolora che la morte gli abbia chiusa d' un colpo la via a diventar signore di tutta Ita-

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lia (1), e il disegno di lui vorrebbe veder ripigliato da quei principi eh' egli ama con tanto ardore, da Ferrante, Alfonso II, Ferrandino, Federico. Così, non altrimenti, egli vorrebbe la redenzione nazionale : di certo se questa dovesse compiersi colla rovina di que' suoi Aragonesi, al Sannazaro ne verrebbe maggior dolore che gioia, e si può dubitare s' egli inclinerebbe a favorirla. La mente più larga e serena dell' Ariosto abbraccia meglio le idee universali e se le appropria; la sua personalità si costi- tuisce e si nutre di esse e in esse a un tempo scom- pare e giganteggia. Azzio Sincero per contro è dominato sopratutto dagli impeti del cuore: il sentimento in lui qualche volta corrisponde ad un grande ideale, epperò il suo amor patrio assume quel carattere di romanità che io rilevava poc' anzi, ma non avviene mai eh' esso ri- manga unico in queir anima, e neanche primo, anzi in alcune occasioni cede facilmente il posto dinanzi all'af- fetto ed allo sdegno, all' amore ed all' odio verso questa 0 quella persona.

in.

Ridire ancora dell' affetto di Jacobo per i principi napoletani del ramo illeggittimo di Aragona e del suo amore per Cassandra Marchese potrebbe parere oggidì, dopo i lavori del Nunziante e dello Scherillo, inutile, so- verchio, inopportuno, se non desse luogo a lumeggiare alquanto meglio il carattere del Sannazaro da un altro punto di vista.

Fu osservato che tra le poesie di Azzio Sincero ve n' ha una indirizzata a Lodovico Montalto sostenitore della nuova signoria spagnuola nel Regno di Napoli (2), e che

(1) Epigrammafa, I, 4 (P.)

(2) Elegiae, II, 6.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 453

fra i suoi amici egli accolse anche il duca d' Atri che pure « aveva tradito due volte gli Aragonesi dai quali aveva ricevuto benefizii d' ogni sorta, e, benefizio mag- giore, la vita (1) »: si potrebbe aggiungere che in più luoghi loda Carlo V e persino Ferdinando il cattolico, di cui queir (( alma gentile » era a si famoso e degno erede (2) ». Ma questo avviene soltanto quando il poeta non conserva più alcuna speranza politica (3): finché gliene rimane una sola, essa è volta a' suoi principi, e il Sannazaro la prosegue con tutto V ardore del suo animo buono e leale, con tutto l' impeto del suo cuore fervido e appassionato. E cosi canta la fortuna di Ferrante (4), il valore e la prudenza nella giovinezza di Ferrandino (5), le gloriose « orme » degli avi loro (6) , fin le imprese de' monarchi cattolici di Spagna, nel marzo del 1492 non ancora traditori de' loro parenti napoletani, ma gloriosi trionfatori di Granata, su cui stendevano le « branche » del « gran leone di Castiglia » (7). Ma le simpatie di

(1) Nunziante, Op. cit. p. 12.

(2) Rime, parte II, canz. 17, p. 399.

(3) Lettera cit. dal Sannazzaro al Seripando in data 30 ottobre 1518.

(4) Epigrammata, II, 8 (P.)

(5) Eadem, I, 19 e 22; II, (P.)

(6) // trionfo della fama, in Torraca, Studi di storia letteraria napoletana, p. 419, Livorno, Vigo, 1884. (Cfr. nello stesso volume Farse Napoletane del Quattrocento, pp. 265-270).

(7) Farsa rappresentata in Napoli nella festa a 4 marzo 1492 in sala di Castel Capuano per la vittoria delti signori Re e Regina di Castiglia avuta del regno di Granata, in Op. volg., p. 422 e segg. Una nuova edizione venne data dal Torraca Teatro italiano dei secoli XIII^ XIV e XV, p. 311 e segg., Firenze, Sansoni, 1885. Una dedicatoria alla duchessa d' Allamura fu edita dallo stesso Torraca, Studi, p. 266- 267. Vedi anche Croce, / teatri di Napoli del secolo XV-XVIII, in Archivio Storico per le provincia napoletane, XIV, fase. Ili-IV, pp.

454 FERDINANDO GABOTTO

Jacobo sono principalmente per Alfonso II e per Fede- rico. Di Alfonso egli esalta il grand' animo e le imprese magnifiche contro i baroni, ad Otranto^ sotto Roma, in Toscana, in Lombardia (1) : lui vuole che tra i monti dell' Apennino mirino dalle alte roccie i satiri stupefatti e un di loro gli predica l'assoggettamento della Città E- terna e del mondo intero (2); a Roma stessa si volge rassicurandola e confortandola che non paventi i Turchi che seguono le bandiere del duca di Calabria (3), per- chè sotto r impero di lui ella sarebbe assai più grande (4); di quel « restitutore della pace a Partenope » (5) in- fine spera di poter fra breve cantare meraviglie anche maggiori (6). Federico poi è il prediletto dell' animo suo; a nessuno dei re Aragonesi egU indirizza maggior numero di carmi latini e volgari, a ninno alza lodi con più schiettezza ed entusiasmo vero, a ninno consacra egualmente tutto se stesso. Alfonso II era venuto meno alle promesse sue, alle speranze del suo poeta: dinanzi alla minaccia dell' invasione francese egli era fuggito, e la coscienza onesta, libera e ardita di Jacobo non aveva potuto contenersi; dal suo labbro franco era sfuggito un

566-573. « Gli annotatori del Crispo avevano voluto identificare questa « farsa » o « trionfo » di Granata col Giiommero perduto, ma si sa ora che i « gliommeri » non sono cose drammatiche ». Vedi infatti

TORRACA, Li Gliommeri di 1. Sannuzaro, in Giorn. Stor. lett. it, t. IV, pp. 209 e segg. (Cfr. Nuova Antologia, Serie III, t. XVIII, p. 565-566, Roma, 1888).

(1) Elegiae, II, l.

(2) Epi(jr ammala. \, 36 (P.)

(3) I Turchi presi ad Otranto e adoperati dal duca di Calabria nelle sue guerre nella Campagna di Roma (Vedi Macchiavelli , Storie fiorentine, Vili, 23).

(4) Epigrammata, I, 9 (P.)

(5) Epigrammata, I, 44 (P.)

(6) Elegiae, II, 1.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 455

grido amaro di disinganno, una voce dolorosa, sdegnata di quella che a buon diritto pareva, ed era, dappocag- gine 0 vigliaccheria. Se l' affetto passato non poteva can- cellarsi tutto, e d' un tratto solo, dall' animo di lui, se perciò egli taceva il nome di Alfonso e esprimeva men chiaramente anche qui sacrificando qualcosa del sentimento patrio, del sentimento della dignità regia, ad altri moti del cuore pure non sapeva astenersi dal rinfacciare a queir alma gran tempo stimata e posta fra gli Dei » r atto che convertiva un « albergo di rara virtù » in « un cieco abisso di vizi empj e rei » , che co- stringeva lui Sannazaro, suo ammiratore, suo cantore, a (( sbandirne il nome da quante carte vergasse » , a ripu- lire i versi dalle « macchie » degli elogi tributatigli, a condannarlo all' «oblio del Lete », imprecando:

Scriva di te chi far gigli e viole

del seme spera di pungenti urtiche,

le stelle al ciel veder tutte nemiche,

e con l'Aurora in Occidente il sole. Scriva chi fama al mondo aver non vuole,

a cui non fur giammai le Muse amiche:

scriva chi perder vuol le sue fatiche,

lo stil, r ingegno, il tempo e le parole. Scriva chi bacca in lauro mai non colse;

chi mai non giunse a quella rupe estrema,

verde fronda alle sue tempie avvolse. Scriva in vento ed in acqua il suo poema

la man che mai per te la penna tolse;

e Gaggia il nome, e poca terra il prema (1).

Per contro Federico, anche più cortese, generoso e pio del fratello, non ismenti mai in alcuna occasione la fiera

(1) Rime, parte II, sonetti 56 e 57, p. 382-383. Cfr. Scherillo, Arcadia, p. XXIV, n.

456 FERDINANDO G A BOTTO

nobiltà del suo carattere, cedette finché gli rimase modo di resistenza; e cedendo alfine, si comportò con tanta dignità da conservare di tutti V affetto e V onore. Quindi a lui il carme di Azzio Sincero vien dagl' intimi penetrali del cuore, e la parola è più che mai l'espres- sione vera e genuina di quella coscienza forte e gentile. Tra r infuriare della passione amorosa nell'animo del poeta, tra i dubbi, i dolori, le speranze, i disinganni che sente 0 finge nel verso tibulliano e petrarchesco, una figura gli appare fulgida e bella, degna di canto sonoro, di canto immortale, ed egli anela a un giorno lieto in cui , « alleggerito il grave giogo e mitigato in parte il fuoco ardente che lo consuma », potrà « con più colto stile, giudizio ed arte lodare in ogni luogo Federico » e « la- sciarne eterno in mille carte il bel nome » (1). Dopo averlo esaltato principe, lo esalta re. Federico gli aveva donato quella villa di Mergellina cosi dolce a Jacobo (2), ed egli ripetutamente gli esprime la sua gratitudine, e plaude alla fede fraterna del suo signore, all' ottimo esem- pio da lui dato di mostrarsi inerme pel primo dopo aver divietato a tutti i sudditi di portar armi (3). quando sopravvengono i giorni della sventura, Azzio Sincero ab- bandona l'ultimo degli Aragonesi. La fortuna che aveva portato al trono quel principe che ne appariva cosi lon- tano, glielo ritoglieva senza demerito alcuno di lui, vir- tuoso, franco, leale, e, singoiar coincidenza, assegnavagli come esilio onorato quel ducato d' Angiò primo appa- naggio della casa donde vantavano lor diritti sul Napole- tano Carlo Vili e Luigi XII: ad Ischia, mentre Federico

(1) Rime, parte I, son, il, p. 340.

(2) Epifjrammata. I, 1 e 2 (P.)

(3) Eadew, I, 12 (P.) Veggansi anche Eadem, I, 5 e 32, e II, 1 (P.), ed Eleyiae, HI, 1.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 457

si apparecchiava a salpare per la Francia, io raggiungeva il Sannazaro che « aveva venduto due castelli e la ga- bella del Gandiello e veniva a metterne il prezzo a di- sposizione del suo re » (1). I due generosi cavalieri partivano insieme, e ad entrambi diffondevasi in viso una melanconia senza fine, mentre un di essi, il poeta, salu- tava ancora una volta quei luoghi, già così lieti di feste, di trionfi, di suoni, di canti, che 1' altro profugo, il prin- cipe, non dovea più rivedere. Scomparivano a' naviganti il bel golfo di Napoli, le ridenti spiaggie di Baia, l' incan- tato Sebeto accoglitore di Ninfe vergini e di Sirene am- maliatrici, e moriva, come l' estremo lamento d' una com- pianta sul liuto, la voce mesta di Jacobo, pur affermante a ed all' amico un conforto nella fede dell' esilio vo- luto per intelletto d' amore (2). La forza e la costanza di quella fede sorressero in vero gli ultimi anni del nuovo duca di Angiò che Azzio Sincero non abbandonò mai in quelle estreme plaghe occidentali presso cui il cielo si confonde col mare (3) e il carro del Sole si tuffa allo stridore di nomi barbari restii alla pronunzia di lingua romana (4). Federico di Aragona cessò di vivere tra le braccia del suo poeta che lo pianse lungamente (5), ebbe carissimo ogni ricordo, ogni superstite di quella famiglia (6) , e sarebbe vissuto a solitario nella sua villa di Mergellina, in un ozio sconsolato », solo « meditando al rezzo degli aranci in fiore i forbiti esametri del suo maggior poema, lavoro perfetto d' intarsio senza ispira-

(1) Crispo, p. XV (Cfr. Scherillo, Arcadia, p. XXIX).

(2) Epigrammata, HI, 7 (P.)

(3) Ef^ofja V, vv. 113-116.

(4) Eglofja III, vv. 25-35.

(5) Elegiae, III, 2. Cfr. l'allegoria dell'arancio abbattuto nell'/lrcarf/a, p. 274-275, e la p. LXXIII della Introduzione dello Scherillo.

(6) Nunziante, Op. cit., p. il-12.

Voi. Ili, Parte II. 30

458 FERDINANDO GABOTTO

zione, ed evocando sul lido arenoso le ninfe Craleridi perchè gli ripetessero le canzoni de' pescatori che torna- vano ricchi di preda da Nisida e da quella Ischia di così mesti ricordi », come lo dipinge un critico recente affettando forse troppa importanza ad alcuni suoi versi (1), se in luogo dell' affetto pe' suoi principi non fosse ve- nuto a riempiere l' animo di Jacobo un' altra passione non meno viva, non meno potente, l' amore per la Mar- chesa.

IV.

Prima di Cassandra Marchese messer Jacobo aveva amata un'altra donna: in un sonetto indirizzato a lei medesima parla esplicitamente di un suo « primo er- rore » (2). I biografi del Sannazaro, a partire dal Cri- spo cinquecentista, sebbene lardo raccontano in- fatti dell' amore eh' egli avrebbe nutrito per una Garmo- sina Bonifacio, che i genealogisti però non sanno dove collocare nell' albero di quella nobile famiglia (3). « Re- lazioni di amicizia abbastanza intime fra la famiglia Bo- nifacio ed il Sannazaro » sembrano accertate (4) , e molti passi delle opere del poeta napoletano furono addotti a prova e schiarimento delle parole del Crispo. Ma lo Schedilo è riuscito a dimostrare erronea 1' attribu- zione di quei passi e, combattendo anche come fanta- stica r ipotesi di rapporti amorosi con una figlia del Fon- tano, conchiude: « Nessuno può dire inverosimile che il Sannazaro si possa essere invaghito di una donna di

(1) SciiERiLLO, Arcadia, p. XXX.

(2) Rime, parie 1, son. -i (p. 333).

(3) De Lolus, apud. Scherillo, Arcadia, p. LX, n. i.

(4) Pehcopo, in Giorn. Stor. di Leti, it., t. X, p. 206.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 459

casa Bonifacio o di casa Fontano e che magari vi siano state anche delle trattative di matrimonio. Ma bisogna acconciarsi a giurare unicamente sulle parole del Grispo 0 del De Luna; che quanto a volerne trovare una con- ferma nelle opere stesse del poeta, l' impresa è dispe- rata » (1). È ben vero che all' attenzione e alle osser- vazioni dello Schedilo sfuggi un sonetto del Sannazaro in cui piange la morte di una « nova angiolelta bella e lucente » che « tornava volando ai superni chiostri » dond' era partita (2) ; ma non sappiamo se esso vera- mente si riferisca alla Bonifacio, e, se anche si riferisse, dimostrerebbe piuttosto singoiar freddezza fra la riso- nanza dell' iperbole che vero dolore e schietta passione. A ogni modo, il « primo errore » di Azzio Sincero fu lieve e fuggevole, qualcosa come un capriccio di adole- scente che non esercitò alcun influsso efficace sulla vita e sulle opere del poeta; la « piaga » di cui egli allora « languiva » non fu certo troppo fiera dolorosa, se poco dopo poteva con tutta facilità innamorarsi « per fama » di Cassandra.

Intorno all' amore di Jacobo, per la Marchesa il Crispo (3) ha queste parole: « Ritrovandosi in Napoli, come uomo avvezzo nelle corti reali, corteggiò la reina Giovanna; e fra quella regale conversazione eravi una gentildonna di molta bellezza, chiamata Cassandra Mar-

(1) Arcadia, pp. XLVII e segg. Cfr. Vero amore^ p. 147.

(4) Rime, parte I, son. i5 (p. 342). Non che lo Scherillo non Io ri- cordi alTatlo , ma lo considera solo come un' imitazione petrarchesca , riferendolo alla Marchesa. Lo stesso Sciieiiillo, Arcadia, p. LV, afferma pure non essersi accorto alcuno che fra i Tumuli del Fontano c'è an- che un « Tumulus Harmosinae », mentre questo é riportato interamente con molti commenti nelle osservazioni dei Volpi all'annotatore anonimo del Crispo, a p, XX dell' edizione cominiana.

(3) Vita del S., p. XXII-XXilI.

%

460 FERDINANDO GABOTTO

chesa, donna molto cara alla reina. E per la bellezza e per lo ingegno pronto di essa, fortemente innamorossi il Sannazaro ; ma fa però l' amore, come dir si suole platonico, non lasciando di servirla ed onorarla occasione veruna; anzi fé' quello che di raro suole avvenire a' ri- vali amanti. Imperocché avendo il marchese della Tri- palda D. Alfonso Castriota in quel medesimo tempo a- mato la stessa Cassandra e per desiderio di ottenere la grazia di lei, promessole di prenderla per mogliera; es- sendosi poi pentito il marchese della promessa, comin- ciossi a piatire nella corte di Roma. Laonde il Sanna- zaro si sforzò d' impedire . . . che il papa non conce- desse dispensa a sciogliere il matrimonio ». Lo Sche- rillo (1) ha cercato di provare contro il Nunziante che Jacobo conobbe Cassandra prima del 1499, non solo dopo il ritorno a Napoli nel 1503, pur ammettendo che il so- netto dell' innamoramento per fama sia del tempo del- l' esilio in Francia. Ma non è necessario quest' ultima supposizione, che Azzio Sincero poteva esser solo lon- tano temporariamente dal « bel paese » di Napoli quando intese le lodi della giovinetta non ancor mai veduta e cominciò a vagheggiare in suo pensiero di riporre in essa r altissimo affetto , di donarle il magnanimo cuore. Riconoscendo il sonetto come del tempo dell' esilio, lo Scherillo sofisticherebbe, non dimostrerebbe, mentre in- vece neir ipotesi contraria tutto apparisce semplice e chiaro. bisogna cercare la Francia né' « freddi monti » e ne' « luoghi alpestri feri » dove

(1) Un vero amore, p. 142 e segg. Cfr. Nunziante, Op. cit. e Un nuovo documento sul matrimonio di Cassandra Marchese con Alfonso Castriota^ in Arch. Stor. per le prov. nap.j t. XII fase. 3, 1887.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 461

lo giunse Amor non con usate penne (1);

il luogo stesso in cui è collocato il sonetto, tra rime cer- tamente anteriori all' esilio (2), se non é una prova si- cura, può tuttavia essere un argomento da non trascu- rarsi per pronunciare piuttosto l' un giudizio che l' altro. Innamoratosene « per fama » , Jacobo non tardò a conoscere di persona la bellissima e colta Cassandra alla corte di Giovanna III, ma quivi trovò un rivale preferito in Alfonso Gastriota di Atripalda. Il poeta si lusingò da prima di acquistarne egli 1' amore ; ma o s' ingannasse o fosse ingannato da « false promesse » (3), non tardò a sentire gli spasimi tutti della gelosia. Gerto nel canzo- niere del Sannazaro l' imitazione petrarchesca ha larga parte, ma in un alto ingegno l' imitazione non avviene senza ragione d' intima rispondenza tra il sentimento che che anima lo scrittore e la forma eh' egli toglie d' altron- de : senza di ciò l' assimilazione non potrebbe aver luogo. Epperò sono veri, sono schietti, sono genuini, i lamenti di Jacobo: Azzio Sincero non mente quando si duole dolorosamente, quando impreca contro la gelosia, « so- rella dell' empia amara morte » , « serpente nascosto tra dolci fiori » , (( crudel mostro uscito dall' abisso infernale » che raddoppia i mali suoi (4). A qual altro tempo si potrebbe riferire questo grido dell' anima sua , se non a questo ? Quando sarebbe scritto il sonetto che ce l' ha conservato, se non quando il povero poeta vedeva an- teporsi il Gastriuta dalla donna sua ?

(1) fìime, parte I, son. 19 (p. 344).

(2) Eaedem, parte I, sonn. 7, 10 e il e canzone 2 (pp. 334; 337

e segg.)-

(3) Eaedem, parte I, son. 17 (p. 343).

(4) Eaedem, parte I, son. 23 (p. 349).

462 FERDINANDO GABOTTO

Neil' amore del Sannazzaro per Cassandra vi sono due periodi distinti^ l' uno anteriore al matrimonio di lei ed all'esilio del Sannazaro, 1' altro posteriore. Allorché Jacobo cominciò a vedersi reietto , posposto almeno , volle riscuotersi , rigettar da ancor egli queir amore non corrisposto che lo faceva tanto penare e gli era sempre presente allo spirito, anche quando s' intratteneva col suo Federico d'Aragona, anche quando ne cantava la gesta e le virtù (1). Poiché quella eh' egli sognava « locare in cielo », quella il cui nome voleva « esaltare da riempierne tutta Italia » e farla « viva in terra per mille e mille anni », « indegnamente aspirava ad altra parte » , egli si sforzava di rivolgere altrove il pensiero, di « sudare sott' altre some » , di « sperare altro premio per altra guerra » , « cantando d' altro volto e d' altre chiome » (2). Se, come pare, alla tradizione raccolta dal Crispo, dell' amore del Sannazzaro per una Bonifacio piuttosto che per una donna d' altro casato qualche fon- damento vi deve pur essere, forse allora egli mirò con desiderio d' amore una Carmosina od altra di questa famiglia; forse alla devozione verso gli Aragonesi si aggiunse in fargli accompagnar Federico nell' Angiò anche la speranza di dimenticare nella lontananza la fanciulla che aveva voluto esser piuttosto di altri che sua. Ma per quanto si adoperasse se pur fu , non riuscì a strappare dal cuore, a dissipare dalla mente, la dolce e e cara immagine, che spesso si ravvivava tanto prepotente da constringerlo a cantare ancora di lei. Il Sannazzaro credeva spente le « antiche fiamme » (3), ma esse si ridestavano sempre, ed invano si rimproverava :

(1) Ekf/iae, IH, 1.

(2) Rime, parte I, son. 24 (p. 350).

(3) Eaedem, parte II, canz. T) (p, 353).

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 463

Desine formosae dotes numerare pneìlae,

desine iam extinctas sollicitare faces. Nam, dam saepe comas, frontenique, humerosqiie, manusque

commemoras, proprios exstruis ipse rogos ; duraque oculis Cassandra, animo Cassandra recursat,

Cassandra, heu 1 mentis ius habet omne tuae. Blandus Amor tacitis suprepsit in ossa venenis :

sic sibi vel fatum quilibet esse potest (1).

Azzio Sincero aveva sognato un giorno di far sua sposa la fanciulla, « stringerla in avido amplesso , riguardarne le belle membra al chiaror della fiaccola, goderne le notturne carezze, e nel seno di lei compor le mani e la bocca dopo averne avute mille ebbrezze e voluttà » (i2). Ora non gli restava che il rimpianto, ed il poeta sospirava con un ultimo fremito della carne ribelle:

Felix, qui potuit duram exorare puellam

et capere optati gaudia coniugii I Ille dies noctesque suos decantat amores,

et recolit Veneris dulcia furta suae!

La prima fase dell'amore non era stata dunque « platonica », come dice il buon Crispo ; anche più tardi, e in un so- netto volgare, si noti bene, il Sannazaro esprime desideri e pensieri voluttuosi ed ha sogni di un erotismo molto sensuale che gli fanno esclamare :

Felice Endimion, che la sua diva, sognando, gran tempo in braccio tenne; e più, se al destar non gli fu schiva (3),

(1) Epigr., II, 57 (P.)

(2) Eleg.. I, L

(3) Rime, parte II, son. 52 (p. 376)

464 FERDINANDO GABOTTO

dov' è una mirabile rispondenza coi versi latini dianzi riportati. Se però quello del Sannazzaro per Cassan- dra fu amore vero e vivo, « non fu un amore volgare certo » (1). Messer Jacobo, che non aveva potuto di- menticar Cassandra nell' esilio, la riamò anche più inten- samente quando, di ritorno in patria, la ritrovò infelice, derelitta. Già, pontefice Allessandro VI, il Castriota aveva incominciata l' azione di divorzio contro la povera donna che in lui si era troppo aflidata, ed era stata continuata sotto Giulio II (2). Spinta con maggior vigore sotto Leone X, giacché Alfonso di Atripalda voleva contrar nozze e le contrasse con Camilla Gonzaga da Gazuolo, il Sannazaro, come nobile e gentil cavaliere, « fé' quello che di rado suole avvenire a rivali amanti » , giusta r espressione del Crispo , e si adoperò con ogni sforzo per difender la causa della Marchesa. La qual causa perduta dopo quella serie di casi che, colla scorta delle lettere vecchie e nuove del poeta ed altri documenti, hanno narrato egregiamente il Nunziante e lo Schedilo, e a me non tocca ridire , Azzio Sincero potè finalmente avere il conforto di ottenere, per quanto « tardo » (3), l'affetto di Cassandra e, come si augurava nell' elegia autobiografica a lei diretta (4), aver chiusi gli occhi e raccolto l' estremo sospiro da quella che diceva ed era veramente « vita sua ».

(1) SCHERILLO, Un vero amore, p. 153.

(2) Sannazaro, Lettera al Bembo in data i9 aprile Ì5i8, in Op. volg., p. 451 (non 153, come cita lo Scherillo).

(3) Così va inleso quesl' aggettivo ed avverbio che ricorre parec- chie volte nelle rime del Sannazaro.

(4) III, 2.

tA FEDE DT JACOBO SANNAZARO 465

V.

Air affetto pei Reali d' Aragona, all' amore per Cas- sandra Marchese fanno riscontro in Jacobo 1' odio fiero contro i Borgia che avevano procurato la rovina del regno napoletano, le parole asprissime contro Leone X che aveva pronunciato il divorzio tra la donna di lui e il Castriota. Già il vecchio Crispo, biografo più fedele e meglio informato che non sia parso al suo annotatore anonimo, ai Volpi correttori di questo ed ai critici più moderni, l'aveva chiaramente e risolutamente affermato (1), e dopo la precedente esposizione non mi pare possa più rimaner dubbio alcuno. L'epigramma contro Innocenzo Vili è sporadico, e del rimanente può essere spiegato colla parte che quel pontefice ebbe pure nella famosa congiura dei baroni contro Ferrante I. Dello stesso Leone X, fin- che spera che si pronunci non contro, ma in favore di Cassandra, Jacobo tesse grandi lodi, come il papa di lui : in una lettera al Bembo Azzio Sincero scriveva : « Bene- detta sia la integerrima costanza e la costantissima in- tegrità del santo Leone, appresso del quale valse più una parola d' un fedel servitore che tutte le vituperose pro- messe e offerte de' nostri avversari . . . Questo aureo pon- tificato certo non deve per causa di auro imbrattarsi ; e poiché il pontefice è buono, ragion vuole che li ministri ancor sian buoni » (2). Non è dunque avversione al pon- tificato 0 alla chiesa cattolica che muova da sentimento d' italianità o di paganesimo, ma contrasto personale, pro- dotto da ben altre passioni, con questo o con quel papa singolarmente. Per la questione della fede di Jacobo le

(1) PP. XVII-XVIII e XXIII.

(2) Lettera al Bembo in data 30 gennaio 1518, in Op. volg., p. 449.

466 FERDINANDO GABOTTO

invettive riportate non valgono : non se ne può dedurre in niun modo che il Sannazzaro avesse animo ostile alla religione di Cristo, ne trovare conferma alcuna che il suo poema latino sia informato sotto la veste cristiana ad uno spirito vivissimo di paganità.

Senonchè nell' elegia a Lucio Crasso (1) Azzio Sin- cero ha questi due versi che paiono di capitale impor- tanza :

At mihi paganae dictant silvestria Musae carmina, quae tenui gutture cantat Amor.

« Musae paganae! » È un lampo corrusco che guizza pel cielo annuvolato e lo irradia tutto di vivissima luce squarciando la fitta tenebria. « Musae paganae! » Sono dunque le nove compagne di Apollo, le figliuole di Giove e di Mnemosine, le abitatrici di Parnaso e di Elicona che suscitano il carme del Sannazaro, è lo spirito di Orazio e di Catullo che informa la sua poesia paganeg- giante. Ecco: il poeta trae innanzi colla cetra del Dio di Delo e intuona sopra di essa l' inno della giocondezza : (L 0 Nina, Nina dal turgido seno, dammi baci, mille baci non quali la figlia al padre o la sorella al fratello, ma quali la novella sposa al marito, la fanciulla al giovane adorato ! A me non piacciono le fredde immagini delle Iddie ; voglio insinuar tutta la mia lingua fra le tue umide labbra e darti morsi soavi e scherzare amorosamente come fanno le colombe ! » E scrive epigrammi intorno alle favole di Diana e di Endimione, di Venere e di Marte, di Didone e di Enea (2), e riempie le poesie latine e le rime volgari di continue allusioni e reminiscenze

(1) EL, I, 1.

(2) Epi{/r., I, n, 18, 28. 51 (P.).

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 467

mitologiche, quasi animo interamente imbevuto di paga- nità (1). Illusione ! Lasciamo stare che V invito catulliano a Nina e qualche altro sifatto potrebbero essendo veracemente sentiti dal poeta riferirsi a queir epoca in cui alla prima fase dell' amore per Cassandra Mar- chese sottentrava il desiderio di non pensare più a lei e di cantare « altro volto ed altre chiome ». Ma una critica coscienziosa ed acuta, una critica che, senza ab- bandonarsi a voli alti, repentini e pericolosi, non ecceda pure per camminar troppo terra a terra e applicar sem- pre, ma non sempre a proposito, le medesime regole ed i medesimi criteri, deve distinguere l' imitazione dalla semplice esercitazione; perocché T una in fondo ha sempre un rapporto coli' animo dello scrittore , l' altra non ne ha nessuno. Ora i componimenti mitologici del Sannazaro sono mere esercitazioni : per formarsi « lo bello stile » con che poteva poi cantare il mistero della concezione della Vergine e T incarnazione del Figliuol di Dio, oc- correva un (( lungo studio » e « un grande amore » di Virgilio, di Tibullo, di Ovidio: non bastava saper com- mentare argutamente un passo di Properzio (2) o di altro antico per acquistare la facoltà di esprimere in forma classica pensieri cristiani, dir cose che i poeti au- gustei non avevano mai, non che detto , immaginato si potessero dire ; era necessaria una laboriosa preparazione, provandosi da prima in argomenti più alTìni a quelli degli antichi stessi e poi scostandosene man mano che la pa- dronanza dell' arte loro diventava più sicura e perfetta.

(1) Rime, parie I, ss. i, H, 31, eie, canz. 2 (pp. 337, 340, 356 etc); Eleg. Il, 8; IH, 3; Epigr. , I, 22, 26, 38; li, 6, 10, 12, 19,22, 24, etc. (P.)

(2) Alessandro degli Alessandri, Genialium Dierum, II, 1, f. 26 l'erso, Parisiis, apud Ioannem Petrura, MDXXXIi.

468 FERDINANDO GABOTTÓ

Quanto alle « Muse pagane » dell' elegia a Lucio Crasso, esse non accendono Jacobo che ai « canti silvestri » : sono le sue egloghe italiane e latine, è la sua Arcadia in contrapposizione alla poesia sacra a cui fin d' allora si provava e a cui doveva consacrarsi poi tant' anni col De Partu Virginis. Fuori di questo, nessuna ragione insomma per giudicare a priori eh' esso appunto rappresenti uno spirito essenzialmente pagano.

Affrontiamo dunque il poema stesso. Il Sannazaro invoca anzitutto i « Coelicolas », gli abitatori delle regioni dell'Empireo: invoca pure le Muse, ma perchè esse rap- presentano la verginità e come ispirazione superiore; del rimanente sua Musa precipua, quella eh' egli prega più a lungo e con più fervore, è la « fida speranza dei pecca- tori e dei santi », 1' « Alma Parens » cui accompagna la milizia innumere degli Angeli, Maria, la Vergine stes- sa (1). La pietosa lo ispira, e Jacobo canta 1' annuncia- zione di Gabriele, le predizioni di un antico profeta in- torno alla vita di Gesù, il censo ordinato da Augusto neir immenso impero pacificato, il parto nel presepio di Betlemme , la discesa degli angeli e 1' adorazione de' pa- stori , il tutto , com' è noto , in tre libri , rispettivamente di 462, 468 e 513 esametri elaborati con arte squisita d' intarsio. A primo aspetto, senza dubbio colpiscono ed impressionano il leggitore i frequenti accenni mitologici che s' incontrano nel poema sannazariano ; ma quale n' è il valore? Jacobo ricorda Plutone, Tesifone e Megera, Ecate (2), Sisifo e Briareo, Scilla, la Gorgone e la Chi- mera, i Centauri, l'Idra e le Arpie (3), ma fin dalle ori-

(1) De Partu Virginis, 1. I, vv. 1-30. Cfr. II, 301-304.

(2) La « Diana » di III, 352, non può essere che la Diana infer- nale, cioè tlcate.

(3) I, 35, 394-399, 455, 462; III, 352,385-380.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 469

gini del cristianesimo i fedeli, i Padri, la Chiesa stessa, considerarono gli Dei pagani come demoni; tanto più facilmente dovevano essere fra i diavoli della nuova reli- gione quegli esseri a cui già i Greci ed i Romani avevano assegnato per dimora 1' abisso. Cosi Èrebo , Tartaro , A- cheronte, Stige, Lete, Flegetonte e Oocito (1) sono al- trettanti nomi dell' Inferno ; forse che il vocabolo cristiano « Inferno » non è esso medesimo appunto 1' « Inferi » pagano? E Dante, il poeta della Comedia, non trovò an- ch' egli nel suo viaggio la città di Dite, come pur chiama la sede dei reprobi Azzio Sincero? Molte espressioni in apparenza pagane non sono che modi di significare in latino classico sentimenti ed idee affatto cristiane. « Dwus » per a santo » era parola entrata nel linguaggio comune: il più rigido asceta non deve pigliar scandalo dalla parola, ma della cosa che la parola significa, e se « dwus » si- gnificava « santo » , santo era il vocabolo stesso. Nel modo medesimo « penates » vale la casa (2), « Febo » il sole (3) 0 quando « eccita i petti » « 1' estro poetico » (4); Nettuno, Glauco, Forco, Anfìtrite indi- cano il mare (5) ; a Mariius ardor » è l' ardor bel- lico (6), come « tuba Martia » la tromba di guerra (7). E come l' idea che la donna prima autrice del peccato dovesse avere la parte principale anche nel riscatto del-

(1) Èrebo: I, 367, 405, 455; Tarlare : I, 34; Acheronte: I, Stige: I, 363, e m, 356; Lete: I, 240; Flegetonte: I, 39; Oocito: I, 461, etc.

(2) I, 185.

(3) II, 376.

(4) IH, 483.

(5) I, 202; III, 473-476.

(6) II, 182.

(7) I, 384-385.

470 FERDINANDO GABOTTO

r umanità (1) era già stabilita e diffusa largamente nel medio evo, così nelle Moralità medievali ispirate a sen- timenti profondamente cristiani erano pure introdotte a- strazioni personificate, e nulla offende, o parmi, la co- scienza cristiana la personificazione della Gioia , della Fede, della Speranza, della Voluttà pura e della Grazia divina (2). Io ho letto e riletto più volte il De Partu Virginis, ma non vi ho trovato che un solo episodio che rivesta un carattere un po' più propriamente mitologico. È la profezia di Proteo al Giordano, di Proteo il « ma- rin vecchio » che al sacro fiume rivela i segni della ve- nuta del Redentore ; 1' episodio del fiunie personificato che a sua volta parla e racconta i vaticinii di Proteo (3). Si potrebbe dire che la voce del Giordano sia il mur- mure misterioso della corrente, la gioconda limpidezza delle sue acque, e Proteo il simbolo della Natura pri- mordiale, conchiudendo che l' episodio non sia dunque mitologico che in apparenza, in realtà per nulla disforme davvero dall' idea cristiana. Ma e' è di più. Non solo il Sannazaro contrappone le « verità » del cristianesimo alle c( favole », alle « menzogne » pagane, e quando racconta della Vergine Madre che avvolge amorosamente il Divin Figlio in tepidi panni e, stringendolo soavemente al petto, lo pone nel presepio , mentre l' asinelio china la testa ad adorare il suo signore, egli, Jacobo, non sa trattenersi dall' esclamare :

Fortunati ambo! Non vos aut fabula Gretae polluet, antiqui referons mendacia furti, sidoniam mare per medium venisse puellam;

(1) I, 52-54.

(2) III, lOi-lOO.

(3) III, 28i e segg.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 471

aut sua dum raadidus celebrai portenta Githaeron, infames inter thiasos vinosaque sacra, arguet obsequio senis insudasse profani (1);

non solo il poeta aveva sentimento d' arte troppo squi- sito per non accorgersi, mancando ogni ragione di av- versione alla Chiesa in genere, che un dissidio fra la materia e lo spirito dell' opera sua ne avrebbe , come grave difetto, di troppo scemato il valore. Azzio Sincero in una lettera al Seripando ha voluto esporre egli stesso la propria difesa dell' episodio di Proteo, esplicandone la ragione con argomenti in parte d' arte, ma in parte an- che di religione, e dice chiaramente: « Circa il fatto di Proteo, voria essere inteso ad bocca, che con la penna non satisfo ad me medesimo. Feci scendere la letitia ali pastori, cosa non detta dall' evangelio , benché non de- viante da quello, poi che si sa angelus che voi dire, solo per non dare due volte fatica al nostro Mercurio in piccola opera. La medesima cagione mi indusse ad non fare eh' el propheta due volte parlasse , per diverso che fusse, che, al parer mio, saria stata una povertà di in- gegno, et cosa tutta contraria al intento mio, che non penso in altro tanto, quanto in non dar fastidio ad chi lege, et questo ad exemplo di Virgilio et di quelli che tenemo per boni, che si guardano di toccare sempre una corda nel lento. Oltra che in questo ho eletto essere più tosto con Angustino che con Hieronymo, il quale non piace che con Virgilio possa vaticinare, anzi riferire il vaticinio d'altri, che li septuaginta interpreti po- tessero bavere lo spiritu santo, lo credo non errare, se tengo che Dio volse essere bandito da tutto il mondo, et se non che la medesima paura di generare fastidio

(i) II, 384-389.

472 FERDINANDO GABOTTO

mi detenne, più di sei altri vaticinij dele genti nostre ci beveria accomodati, et per uno, quello di Ovidio par- lando di Augusto: Prospiciet prolem sancta de Virgine natam. El vaticinio di Cayphas si accepta, quia pontifex anni illius. Proteo non possetti dire che fusse pontefice, ma essendo chiamato vates dai poeti, mi parse non in^ conveniente che come Dio marino predicesse quelle cose ad un fiume. Et dire che Proteo sempre havesse detto il vero, non mi parea consono con la religione. Cosi per temperare la fìctione poetica et ornare le cose sacre con le profane , mi parse provederci con dire : mendax ad caetera Proteiis, hoc uno veras effudit tempore (oppure Carmine) voces. Tanto più che lordane dice esserli stato predetto molto tempo avanti, et sempre che reservo che in questo disse il vero, non importa che nel resto sia stato mendace. Se questa cosa se perpenderd bene et con che intento fu facta, non parrà forse incongrua » (1). E poco oltre soggiunge ancora, toccando a una questione più larga. « Basta che la Vergine non è chiamata nympha, Christo figlio di Giove o Apollo, come il chiama il Petrarca : Lavit apollineos ad ripam fluminis artus. Que- sto ben credo io che saria errore (2). Dele cose che non guastano la religione et si ponno fingere senza scan- dolo non mi son guardato, anzi con sommo studio le ho affettate ». Il De Partu Virginis insomma si presenta come un poema cristiano non solo nella materia, ma nello spirito ancora che lo informa , fin nell' intonazione generale medesima. il Sannazaro voleva fosse altri- menti, e sentiva profondamente le difficoltà che doveva

(1) Lettera in data iS aprile i52i, in Nunziante, Op. cit., pp. 166-168.

(2) Tuttavia alcuna volta usa a sommo Giove » nelle poesie vol- gare. Vedi p. e. Hime, parte I, ss. 2 e 12, pp. 332 e 341.

LA FEDE DI JACOPO SANNAZAKO 473

superare per riuscirvi quando scriveva : « Vedete , vi prego, et considerate la miseria mia, et in che angustie mi sospinse la inconsulta iuventù : chi mi mettea ad que- ste necessità? Ne dovea lassare lo impaccio a li Pape et ad quelli che si mangiano le intrate de Christo, et io fare quel che appertinea ad me ; ma feci come un homo de arme inexperto et cupido di honore, mi buttai in mezzo di mille spade senza conoscere il periculo, et poi eh' el conosce, si vergogna tornare ad dietro ; possea ben acquistare il paradiso senza far questo! Ma lodato sia Dio di ogni cosa » (1).

VI.

Messer Jacobo Sannazaro è credente. Io non ricor- derò le infinite volte che esclama: a Dio ci possa aiu- tare », « per grazia di Dio », « piace al Signore », « Nostro Signore Iddio faccia » , « per amor di Dio », « lodato sia il Signore » e via a questo modo (2): si tratta di espressioni generiche, di semplici frasi, non di un sentimento vero e proprio. Ma biasimando coloro che delle cose sacre fanno traffico indegno, afferma con ischietta vigoria: « Ben lo dico con dolore; che son cristiano, e mi pesa che si dia ragione a Cristo di ca- stigarci » (.*]), ed altrove : « Guardeno ben li denari, che, per Dio, non so se ce ne saran tanti che non possan

(1) Lettera al Seripando senza data, in Nunziante, p. 476.

(2) Lettere, in Op. volg., pp. 448, 453, 454 e in Nunziante, pp. 96, 98, 99, 100«, 101«, 103, 105, 106, 107^, HO, 111, 112«, 114«, 115-1163, 117^ 129^ xU, 143-144, 151, 152», 157, 158, 159, 160, 161, etc.

(3) Lettera al Bembo in data 30 gennaio Ì5i8, in Op. volgari, pag. 449.

Voi. Ili, Parte II. 31

474 FERDINANDO G A BOTTO

comparare agnim figuli, come di quelli di Juda; che non meno è stato denegato (?) Cristo in questa donna, che fu allora in sua persona; et le lacrime che si but- tano in quella casa passaranno le nubbe et arrivaranno ale orecchie di quel S/ in chi loro di certo non cre- dono; che se ci credessero, teneriano altri modi. Tal volta si rideriano di me, se sapesseno che io sono di questa opinione. Ridano ad posta , eh* io voglio morire christiano, benché li gentili anchora non discrepavano da questo credere, se le historie non ci ingannano, et così li poeti che dicono deos memores fandi atque nefandi » (1). mancano altri passi delle lettere di Azzio Sincero che ci confermino la sua fede: in una scrive, a proposito di certi prodigi: « Non me ne son meravigliato, vedendone tanti altri assai più strani et più da farne estima che non son questi. Dio per sua misericordia non facci se- guitare li effetti, eh' io penso et che non vorria. Anchora insurgono novi prophete et novi duchi di Calabria. Et si è detto qui di non so che heremite carcerati et altri he- resiarchae oltramontani che cominciano ad improbare li portamenti et costumi dela ecclesia. Non so se è vero; barò caro intenderne la verità. V. S., parendoli honesta la dimanda, me ne farà gratia. Io ne fo caso grande, anchora che forse altri me ne dilagiaranno. Se ale hi- storie prestaremo fede, son monitioni che Dio ci manda ; et piacciali che possamo rimediarci, come li Ninivite ale parole di Jona » (2). E in un' altra : « Dio ne li faccia bavere honore. Confidano forse nela pocagine de pren-

(1) Lettera al Seripando in data 30 gennaio Ì5i8, in Nunziante, pag. 138.

(2) Lettera al medesimo in data 26 giugno Ì5i8, in Nunziante, pag. 114.

LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 475

cipi christiani, ma Dio è sopra tutti et li infideli sono più possenti che io non voria » (1). Cosi Jacobo rin- grazia 1' amico Seripando dell' opera sua in favor di Cas- sandra, assicurandolo: « Pur sia certa V. S. che oltra del obligo in che pone me et tutti, è opera pijssima et accepta ad Dio, potria, come ella sa, gentiluomo far cosa che più convenisse che questa. Nostro Signore Dio la remunere per noi » (2), e rivolgendo in pensiero che forse potrebbe venir pronunciata la temuta sentenza con- tro la donna sua, vuol tranquillar se medesimo colla mi- naccia della vendetta divina librata in capo agli oppres- sori dell' innocenza : « Perchè se li officiali di questa corte da vero prorumpesseno ad tanta dishonestà, io non potria credere che vivesseno anno, et presto ci prestarla Dio chi ci avesse da far justicia » (3). Anche nelle rime volgari chiama « più sante e più leggiadre » le « spo- glie » cristiane di Roma che le pagane (4) e ricorda che a Giosuè fermò il sole » (5) e si rallegra con uno spirito « salito al santo coro nell' Empireo cielo » e lo dice « beato » per essere uscito dall' « angoscioso stato mortale » (6). Ma non sono soltanto accenni staccati: il poeta che crede fermamente al sacrificio della croce (7),

(1) Lettera al medesimo in data iO luglio Ì5i8^ in Nunziante, pag. 416.

(2) Lettera al medesimo in data i6 luglio i518, in Nunziante, pag. 117.

(3) Ibidem.

(4) Rime, parte II, son. 76, p. 401.

(5) Eaedem, parte III, son. 5, p. 418.

(6) Eaedem, parte III, canz. 4, p. 433. Cfr. anche parte II, canz. 14, p. 380-381, e Visione nella morte di Alfonso Davalos^ p. 411.

(7) Rime, parte II, son. 77, p. 403. Cfr. Lamento sul corpo del Redentore, p. 405-406.

476 FERDINANDO GABOTTO

air immortalità dell' anima (1) , all' esistenza incorporea degli angeli (2), che afferma senza il sacramento del matrimonio « non essere più religione al mondo » (3), può ben far voto di pellegrinaggio a Sant' Antonio da Padova, il cui spirito « eletto » « gode assiso col suo Fattore nei chiostri stellati », e promettere di ridirne le « belle » lodi con voce « bassa e tremante » (4); può bene scrivere il « Trionfo della fede » (5) ed innal- zare inni a Dio ed alla croce (6) , cantar Maria a' pie del Calvario (7), parafrasar quasi in un sonetto il Pater noster (8). Ninna meraviglia pertanto se a san Nazario, da cui crede derivare il nome di sua famiglia, Jacobo presta così singolare devozione e scrive in onore di lui parecchi carmi latini, e, quando è lontano da Na- poli sua, da Mergellina bella e gioconda, associa i cari e mesti ricordi della patria al culto del santo protettore (9). Certo la fede cristiana nel Sannazaro non è fervidissima, non è di quelle fedi che occupano tutto un cuore e gì' infondono mistici entusiasmi o ascetici eroismi; ma pure r animo gentile del poeta ha in e per natura e per vicenda di casi un elemento tale di melanconia che meglio si confà allo spirito suo il cristianesimo; classico

(1) Eaedem, parte I, son. 16, p. 343; parte li, son. 80, p. iOL

(2) Eaedem, parte II; Nella morte di Pier Leone medico^ p. 415.

(3) Lettera ad Antonio Seripando e a Petroiacobo in data 22 luglio Ì5i8, in Nunziante, p. 119.

(4) jRtme, parte I, son. 5, p. 333.

(5) Vedi sopra.

(6) Rime, parte II, ss. 77, 78 e 79, pp. 403 e 404.

(7) Eaedem, parte I, son. 8, p. 335.

(8) Eaedem, parte III, son. 4, p. 431.

(9) Elef/., II, 2; Epiyr., 36, 37 e 60 (P.).

FERDINANDO GABOTTO LA FEDE DI JACOBO SANNAZARO 477

neir espressione fino al purismo, egli non è però in nes- sun modo pagano. Il cardinal Seripando, fratello dell'a- micissimo di Jacobo, non poteva ingannarsi; Leone X e Clemente VII hanno avuto giudizio più fine dei critici de' secoli XVIII e XIX : la nuova disamina della fede di Azzio Sincero a me pare ridia loro pienamente ragione.

Bra, 6 giugno '90.

Ferdinando Gabotto.

MISCELLANEA

PER IL BELLINCIONI

In questi ultimi tempi Bernardo Beliincioni ha avuto una fortuna singolare. Il Dina, il Ghinzoni, il Rossi, il Renier , il Luzio n' han messo in luce chi un punto chi un altro della vita o pubblicato cose inedite: sia ora per- messo anche a me di portare il mio piccolo contributo con queste spigolature di su i codici fiorentini.

Il Fanfani quando fece la ristampa delle Rime bel- lincioniane (Scelta di curiosità letterarie, 151 e 160) si servi principalmente degli esemplari dell' antica edizione postillati dal Pandolfini e dal Salvini (1) e non si curò più che tanto di cavar partito dai codici, almeno da quelli fiorentini (2), mentre avrebbe potuto in qualche luogo risanare la lezione guasta e far conoscere qualche parti- colare di più intorno al poeta cortigiano.

Il Codice Fiorentino più ricco di rime bellincioniane è il Magliabecchiano II. II. 75, a cui deve alludere il Fanfani quando dice il bel codice Magliabechiano. Quan- tunque però di bella scrittura, non lo credo di grande autorità, sia perchè mi sembra abbastanza tardo, sia per- ché la lezione eh' egli offre è in realtà spesso difettosa.

(i) Le Rime di Bernardo Beliincioni. Bologna, 1878, li, p. XIII. (2) Ha pure omesso alcune didascalie eh' erano nell' P^dizione del Tansi e qualcuna P ha riprodotta poco fedelmente.

MISCELLANEA 479

Ne dette la tavola il Bartoli (1), e a me non resta che pubblicare un sonetto inedito e riferire in nota quelle varianti che possono utilmente esser prese in considera- zione, lasciando quelle che deteriorano evidentemente il testo (2). Ecco il Sonetto, che sta a e. 41 v.:

(1) / Mss. IL della Bibl. Naz. di Firenze. II, p. 131.

(2) Ediz. Fanfani II. p. 219 Ottava 2* v. 1 chiar sangue, v. 6 se gli convenga, Ottava 3^ v. 5 concede questa volta, v. 8 Fortezza, ecco quii dono dammi licenza. II. p. 220 Ottava 2^ v. 3 saresti, v. 4 Quando alla terra.

II. Sonetto CLXIII. v. 3 le vare (varie?) I. Son. xeni. V. 1 0 marchesata. Ci son di più in fine i seguenti versi :

Però gli accorderete A creder che natura a facto errore Non porre alluom doue son gliocchi eicore

l. Son. CLXXII. n. 5 Et percha tale pare un pipistrello, v. 13 Pare

proprio, V. 15 torre'.

I. Son. XCIX. V. 9 dominabuntur , v. 12 tuo pan.

I Son. XCIV. y. 1 Or taci dunche.

I. Son. XGV. V. 5 pensa el mal

I. Son. XCVI. V. I9 Segno.

II. Son. LXXV. V. 3 dun cazo, v. 5 Et un tedesco adaquera el buon

mosto, V. 13 piatosi (litigiosi?). II. Son. CXXXYIII. V. 1 Questo ti fo signor un hosteria, v. 2 più tosto,

V. 17 moglie. II. Son. CLXXIV. V. 7 a giusti, v. 9 Cesare 0 Catone, v. 10 chiari. II. Son. CXLI. V. 3 Diresti allor un terremoto sento, v. 10 cioppone ,

V. 11 rape, v. 16 chilabbia. II. Son. CIX. V. 10 Alora di costui, v. 11 Ne certo. II. Son. CXLVI. V. 12 Amor l' imperio, v. \i Et questo e colpa pur d un

gentil core.

I. Son. CLXXIII. v. 7 un cioppone.

II. p. 114 Sestina St. l** v. 2 in grembo a fiori, St. 4" v. 1 suo cenere,

St. 6* v. 3 estote parati cum virtute. I. Son. C. V. 1 or misero Anton, v. 7 el cresanuano , v. 9 che son

buoni. I. Son. CLXIX. V. 9 0 òergontio 0 gasparro.

480 MISCELLANEA

Signor, non penso a tanta astrologia, qual giorno si è tristo o qual perfecto: stanocte co coglioni in man nel lecto fu buona nocte per la chasa mia.

Inn un buon punto destai la fantasia a ffar supplicatione con un sonecto: credo che basti aver buono intellecto cogli sforceschi e fedeltà vi sia.

Chiedi, dimanda, priega et poi ripriega, sta ben che un signor sia assai pregato che infine concede quel che prima e' niega.

Non arrosisco mai se m' è negato, ma dico i ci starò tanto a boctega ch'i vincerò col gran lasone el piato. Ma qualche smemorato Se alla prima non gli è dato o concesso si dispera o s adira con se stesso.

Son sempre arrosto et lesso

Et savio et macto come piace al moro; ma se le pietre arò, per dio 1 adoro.

Anche questo é da mettersi colle molte poesie del B. in cui chiede qualche cosa ai suoi Mecenati; ed è notevole in principio l' allusione un po' mahziosa al gran conto in che il Moro teneva l' astrologia.

Assai importante è il Codice Magliabechiano VII. 294, che contiene il Driadeo d' amore e, scritti da altra mano sempre del sec. XV, otto sonetti, nelle ultime carte ri- maste bianche, dei quah ecco le didascalie e i capiversi:

e. 67^ Questi sono parecchi sonetti

Sonetto a lorenzo quando si schonberava perden- dosi panzano e altre bichocche.

Capanne forni mitere e pollai

MISCELLANEA 481

c. 68 «■ Sonetto per uno che vide una sua chosa amata abergho cho uno il quale gli prometteva roma e ttoma e nogli dava poi peretola promettea hro- chati e dava panni bigi.

Inonno tanta polvere negliocchi

e. 68 V Sonetto a lorenzo dun certo bel chorpo di roba e del cervel fallito non {stimando persona beccho questo sonetto e attendendo a papare a tavola lamprede disputava di parnaso e dello istato.

Seme di funghi e fumo di stadere.

e. 69 «• Sonetto sendo l auttore in chasa bernardo rucellai deputato al ghoverno della nannina su donna che avea male venne maestro venturino intrando in chamera fece questo Sonetto a contempr azione detta nannina.

Maestro bicha nostro ventre mina;

e. 69 ^ Mandando l auctore uno sonetto a mona luchre- zia de medici quando andava al bangno il quale sonetto perde e con un sonetto lo richiede al- l autore e dice:

Bellincione io cercho del Sonetto

Risposta di bernardo rimandandole il sonetto chon una lei. sonetto in risposta al mandato suo per le rime

Essendo a vostre rime qui sugetto.

e. 70"^ Sonetto di bernardo a messere angnolo boninse- gni da siena

0 spechio del poeticho choUegio. Risposta de detto m angnolo boninsegui adetto bernardo

482 MISCELLANEA

Degno non son del sachrato chollegio (1).

Come si vede, il primo di questi sonetti è adespota e nella raccolta delle Rime edite dal Tanzi non si trova; ma pare che nell'idea del copista anche questo deva essere attribuito al Bellincioni; e poiché il fare è tutto suo, lo pubblico, lasciando al futuro studioso del Bellin- cioni r accettarlo o no nel Canzoniere di questo poeta.

Capanne, forni, mitere e pollai secchondo erragonare de' quattro santi fanno parere d aghosto longnissanti perch' a ssiena è dovizia d' archolai.

Se 1 paradiso a essere de mungnai francesco mio, inn istivali e'nguanti, ti gitasti in su pruni se te ne vanti poi che tu va' per 1' arte de becchai.

Se Ile rape cho funghi anno vittoria e cavoli che portano il chapucco non sapranno chol papa ben la grolla.

Le chataste de'cerri del benducco vedresti per far siena una baldoria portando ogi le palle ongni letucco

(1) Varianti in confronto coll'Ediz. Fanfani.

I non ho tanta polvere ....

V. 3 infrasco, a. 8 ire tacchi

V. 10 che men che più la lettera a il siigello

V. 19 eh un di

Seme di funghi .... V. ìi se moccoli, v. 16 botte

Maestro Bica .... V. 2 staio, V. 9 lamjnol

0 specchio del poetico .... V. 10 (Ielle virtute , v. 14 consiste.

MISCELLANEA 483

Questa sentenza alluccio. Essi deus prò nobis qui rispondo: abbi sempre nel chore il gacchio tondo.

Cosi trascrivo il Sonetto della Lucrezia Tornabuoni, che si credeva perduto , e che va messo in luogo dell' altro : Lanterne cieche e sogni in un brodetto, pubblicato nella citata Raccolta delle poesie del Bellincioni (II, 88) le cui rime non corrispondono con quelle della risposta:

Bellincione, io cercho del sonetto che mi mandasti in sull' andare al bangno e nollo truovo ; omd' io mi dolgo e langno e ònne avuto invero onta e dispetto,

Perchè mi parve allor più che perfetto gentil, benigno, grazioso e magno dipoi si à ricerca[to] ogni vivagno che ne prese il mie cor sommo diletto.

Io cercho ischritto, ischanello e chasse per ritrovare e molestie e batusse e nel cercar mie menbra si son lasse.

Ma se Ila mie domanda honesta fusse, voreti ripreghar lo rimandasse, però che dengni mie rime machre e schusse.

Dalla pubbUcazione di questo Sonetto la buona Lucrezia non ci guadagna punto, come poetessa, e forse a qual- cuno farà maraviglia che la pia gentildonna onorasse cosi un poeta il quale si compiaceva di volgari oscenità, e met- tesse sotto sopra la casa per chi sa qual miserabile So- netto di lui.

Anche la didascalia del Son. Maestro Bica vostro ventre mina ci fa conoscere sempre più come fosse in intima relazione colla famiglia dei Medici il Bellincioni. La Nannina era una sorella di Lorenzo andata sposa a Ber- nardo Rucellai nel 1400, e come poi Matteo Franco fece

484 MISCELLANEA

per la Maddalena figlia del Magnifico, pare che il Bellin- cioni fosse per qualche tempo destinato ad assistere la sorella del suo primo Mecenate.

Il Cod. Magliabechiano VII, 1034, miscellaneo car- taceo del Sec. XV , contiene anch' esso tra altre poesie dell'ultimo quattrocento alcuni sonetti del Bellincioni o di altri a lui, senza didascalie notevoli (1).

(1) Riferisco perciò in nota i capiversi e le varianti: e. 42r S. di di piero

Un pezo di migliaccio mala via e. 42v S. del bellincione risposta per le rime

Sinvoco berlinghaccio & befania Var.: v. 4. o sosia, v. 9 anici, v. 16 hor rompi

S. del bellincione a di piero Non torno mai saeppolo o sparviere Var. : V. 6 a questo modo & star chome larnione , v. 8 tornando, V. 10 c& son tanto divoto, v. 14 Non vorrà forse più vedermi zero, V. 16 La sposa al naturai son di francesco, e. 43^ S. del bellincione

Quanta dolceza da begli occhi piove Var. : V. 4 <fc mai non vista altrove S. del bellincione

El baldinocto hanse pur del gentile e. 44r 5. del bellincione

Una libbra di frecta di chorrieri Var. : V. 8 e/ midollo,

vv. 9-11 Se e non fussin tante S. ne latini vedresti le speranze de prigioni fiorire su pelle cime de chammini. e. 44v del bellincione a di piero

Non fu lactuga mai si diradata Var.: v. 11 le trentavecchie.

S. del bellincione a giovanni ridolfì. I fo delle pensate di fanello. Var. : v. 3 pratelle,

vv. 6-8 Stu non ha fiori in mano tu se la rosa tu se giovanni mio di que del chosa piuttosto le champanc di ru/fello

MISCELLANEA 485

Di questi Sonetti il quinto è inedito e come tale lo riproduco. Parla di un Baldinotti, che potrebb' essere quel Tommaso Baldinotti Pistoiese, a cui è indirizzata una elegia del Poliziano (1).

S. del bellincione

El baldinocto ha 'n pur del gentile per quel che sol da llui n'entendo & odo sofficente al servire leggieri & sodo & va proprio in sul vero chom uon virile.

Allegro & dilettevol più ch'aprile di buona testa & gusto ancor lo lodo: prima alla choda farà'l porche il nodo che non babbi un buon echio & poi il sottile.

Huom maschio el suo segreto ben ritiene & pratiche d' un pezo & saporito quel che gli a non è suo tant' è da bene

Da stimarlo & co llui stare a sentito nelle chose ben facte & si mantiene di buona vita assai più eh' un romito

Giouane & da partito La perla in ogni chosa egl' è e 1 maestro, un uhuom da facti & in suo persona è destro.

V. 11 per la fortuna già veggiano e nichi, v. 13 <fc non ci piaccion, v. 14 di la sonetti, v. 15 borbottano, v. 16 Tu se bel. e. 45' S. de giovanni ridolfi risp^ per le rime

I tuoi pensieri son di strano uccello. e. 45^ S. del bellincione

E trovorono al naso chome el braccho. Var.:v. 3 della, v. 4 da fare rachapricciare insino al ciaccho v. 10 con quel, v. 12 Parrebbeti una nimpha allei magera, v. 13 rutto, V. 14 schuttubrini, v. 15 honoro (senza il re). (1) Prose volgari e poesie latine di A. Poliziano, pag. 23i.

486 MISCELLANEA

Se non morde el chanestro Sie chome lui che queste son parole so che ti si può dire ciò che l'huom vuole.

Restano ancora tre codici Magliabechiani contenenti rime bellincioniane, che però essendo copie del Sec. XVII non hanno gran valore. Ma per la possibilità, che nes- suno vorrà negare, che essi ci conservino la lezione di codici antichi perduti, non credo inutile riportare qui sotto le varianti più notevoli (1).

G. Volpi.

(1) Cod. Magliab. VII. 235.

Ed. Fanfani, I. Son. CXIII, v. 14 saretti altrove buono il mio

Pincone.

Cod. Magliab. VII, 357.

I. Son. XG, V. 12 Se pochi o molli al fin si salveranno,

V. 16 Pochi gli eletti e molti li dannati, V. i 7 /' intendiam pe frati.

II. Son. XIV, V. 8 con le parole pure è un gran sofista. II. Son. XLIII, V. 17 botta scodelliera.

I. Son. OLII, V. 16 botte fu mossa. II. Son. XLIX, V. 7 me stesso. II. Son. XXXVII, V. 15 poco astuta, V. 16 e piove l' oro.

I. Son. IV, V. 13 il Moro.

I. Son. CXXXII, V. 20 la notte ruminiate. Cod. Magliab. VII, 358.

I. Son. LXV, V. 13 Atene oggi e Milano. II. Son. ex, V. 14 fama rinovar. il. Son. XVII, V. 14 Non fare dire.

DA CHI ABBIA IMPARATO LA DORINDA DI B. GCARINI A TRAVESTIRSI NEL QUARTO ATTO DEL i PASTOR FIDO ì

NelFatto IV del Pastor Fido di Battista Guarirli ri- corre un episodio che ne rammenta altri somiglianti del- l' Asino d' Oro d' Apuleio e degli amori di Dafni e Cloe di Longo Sofista (1).

Ecco gli episodi cominciando da quello del Pastor Fido. Dorinda ama Silvio, e non essendo riamata, un giorno che Silvio aveva apparecchiata nobilissima caccia al cinghiale, pensò di travestirsi per seguire e mirare a suo agio l'amato; che, finita la caccia, venne a una fonte presso la quale, dentro un cespuglio, erasi, in- conscia, nascosta Dorinda. Silvio intravedendo nel ce- spuglio non so che di bigio, che assomigliava al lupo, credendo saettare una fiera , piaga Dorinda ; e per tale accidente la solita sua durezza cangiata in amorosa pietà, poi che la piaga non era mortale, fatto anche amante, sposa la ninfa.

(1) Cfr. V. Rossi, B. Guarini e il Pastor Fido, p. 268 (Torino, Loescher, 1886).

488 MISCELLANEA

Negli Amori di Dafni e Cloe Dorcone, bifolco inna- morato di Cloe, ma schernito nella speranza dalla fan- ciulla, si deliberò d'appostare una volta che la fanciulla fosse sola, e conquistarla per forza. Laonde ricorse a una sua astuzia tutta pastorale, e fu questa: egli avea una gran pelle di lupo e di questa si vesti molto bene; quindi andò a una fontana alla quale dovea pur la Cloe menar le greggi. Ivi acquattatosi Dorcone, venne la Cloe che aveva lasciato Dafni a far della frasca pe' i capretti , e i cani sentendo il sito lupino, si dierono a cercare e trovarono Dorcone, e credendol lupo V addentarono e gli squarciaron le carni , si eh' egli fu costretto a svelarsi e a raccomandarsi alla Cloe e a Dafni, accorso chiamato, i quali lo salvarono e curarono. (Rag. I).

Neil' Asino d! Oro Trasilione capo di ladroni, nasco- stosi nella pelle d' un' orsa, e regalato dai compagni, come orsa, a Democrate di Recanati gentiluomo di gran no- minanza e ricchezza, introduce di notte i compagni la- droni nella casa di Democrate, dopo aver ammazzato con un suo coltello tutte la guardie, insino al portinaio. Ma un fante di casa, il quale, per lo strepito che avea udito, s' era desto , sceso giù pian piano a veder qual fosse la novità, e vista l' orsa andar per la casa a suo piacere e aver fatto « si grandissimo danno », destò cheto cheto quelli di casa: i quali sceser giù con torchi e fiaccole e lucerne, con stanghe e lame e spade, e con cani aizzati. Fugge Trasilione, ma assediato da quella moltitudine di rabbiosi cani, stracciato e pertugiato da una infinità di morsi, è finito dai colpi de' famigli e de' villani. (Lib. IV).

Io vorrei ricercare quale degli episodi, se quello dell' Asino d' Oro o quello di Longo Sofista , sia , come oggi si dice, la fonte a cui attinse il Guarini.

Un tedesco, Gustav Weinberg, parlando di Nicolas Chreslien , signore di Croix , che nella sua pastorale Les

MISCELLANEA 489

Amantes ou la grand Pastoralle aveva voluto imitare r episodio di Dorinda, dice : che questo è l' episodio più insipido del Pastor Fido; che il poeta ha rimediato alla frivolezza con versi belli ; e in fine , che più importa , parergli che l'idea per questa narrazione sia venuta al Guarini dalla lettura dell' episodio dell' Asino d' Apuleio (1).

Io confesso che non mi par possibile ammettere quest' ultima opinione se non ignorando il racconto del travestimento di Dorcone nel romanzo greco.

E qui non mi sembra del tutto inutile osservare che il Guarini nella sua prima lista dei personaggi del Pastor Fido (2) aveva, al personaggio che ora conosciamo sotto il nome di Dorinda, dato quello di Dafne; che nella sua sceneggiatura o partizione, prima della verseggiatura, r episodio era assai differente : Dafne per disperazione avea bevuto un veleno mortifero, da' cui effetti funesti essa è per fortuna salvata ; e Silvio cambiando la sua durezza in amore la fa sua sposa.

Nella redazione poetica conservataci dal cod. M* (cfr. Rossi, op. cit. 100-202-203) il motivo della trasforma- zione di Silvio muove da lui stesso, e l' episodio è quale r autore ritenne nella redazione definitiva.

Dunque il Guarini nella elaborazione lunga del dram- ma modificò l'episodio in modo da lasciar quasi credere che in quel frattempo soltanto gli ricorresse alla mente, 0 forse gli capitasse sotto gli occhi un' altra narrazione che gli prestasse un motivo migliore pe 'l suo episodio.

Ma esaminiamo ora i tre vari racconti e cogliamone le analogie.

(i) G. Weinberg, Das Franzòsische Schàferspiel . p. 58, nota 3, Francfurt, 1884.

(-2) Vedi V. Ilossi, op. cit., p. 30-2.

Voi. Ili, Parte II 32

490 MISCELLANEA

Lo sfondo del Pastor Fido, come quello del romanzo d'Apuleio, è una curiosissima e strana filatera di strego- nerie e di rapine. In questo romanzo è Trasilione, un ladro, che si traveste; e certo è minor distanza tra un bifolco, Dorcone, e una ninfa, Dorinda; che non tra questa e un ladrone. Trasilione si copre con una pelle d'orsa; Dorcone e Dorinda con una pelle di lupo; il fine per cui si traveste Trasilione è la rapina; per Dor- cone e per Dorinda il fine è amoroso; il modo del tra- vestimento del ladro è complesso; semplice quello dei due innamorati. Trasilione è posto in una gabbia nel ri- cinto d' una casa ; Dorcone e Dorinda si nascondono tutti e due vicino a un fonte, sotto dei cespugli; il ladro muore; i due innamorati sono salvati e curati ciascuno dalla persona amata.

È ora possibile riconoscere se il Guarini si giovasse dell' Asino d' Oro o del romanzo greco ?

A me par chiaro a sufficienza, che le somiglianze siano pili strette e visibili, e nella essenza del racconto e nei particolari, tra il romanzo greco e il dramma ita- liano, che non tra questo e il romanzo d' Apuleio.

E variante efficace è quella introdotta dal Guarini, che fa ferire Dorinda dalla persona amata.

E pure v' ha una difficoltà ad ammettere che fonte dell'episodio guariniano sia stato il Dafni e Cloe; e ciò è che l'edizione principe del romanzo greco uscì solo nel 1598.

Ma io mi chiedo se il Guarini, cosi dotto nel greco, non poteva averne avuta fra mano una copia manoscritta.

Certo egli volendo trattare un argomento pastorale, doveva aver letto curiosamente ed avidamente tutto quanto le letterature antiche di Grecia e di Roma avcan prodotto e gli porgevan di pastorale; e mi par ragionevole sup-

MISCELLANEA 491

porre eh' ei conoscesse il romanzo greco (già tradotto, del resto, in volgare e vaghissimamente dal Caro, morto sin dal 1566) dopo il 1581, quando, fatta la prima sceneg- giatura, andò elaborando e quindi mutando e tramutando le azioni secondarie del dramma: e certo segno di conoscerlo nella redazione ultima.

Un'altra e vera prova, secondo penso, che il Gua- rini conoscesse il romanzo di Longo è questa; che tro- viamo nel Pastor Fido un altro episodio troppo somi- gliante ad altro del Dafni e Cloe perché se ne possa negare, questa volta, la provenienza: ciò è la storia di Mirtillo perduto bambino e ritrovato adulto.

A Montano, sacerdote, era stato rapito da una grossa fiumana un bambino in culla, raccolto da Carino pastore che lo chiamò Mirtillo. Dopo diciannove anni Montano viene a sapere che Mirtillo, che egli stesso stava per sacrificare agli Dei, è suo figlio (1). Episodio somigliantissimo a que- st' altro che è nel Dafni e Cloe: Lamone, pastore , trova, sotto un cespuglio, un bambino con dei contrassegni, al- lattato da una capra, e lo fa suo. (Rag. I). Si vien quindi a scoprire che il padre è Dionisofane , padrone di Lamone. (Rag. IV).

In questi due racconti oltre la somiglianza essenziale del fatto, dobbiamo por mente alle somiglianze dei par- ticolari che non possono essere accidentali.

Nel romanzo di Longo Sofista e nel dramma del Guarini la confessione del ritrovamento dei bambini è fatta dai creduti padri ai veri, e provocato da un peri- colo imminente sui figlioli ; in un racconto e nell' altro il pericolo viene, o sta per venire, dai veri padri. Mon-

(1) R F. atto V, se. V.

492 MISCELLANEA

tano sta per sacrificare Mirtillo; Dionisofane vuol dare Dafni per servo a suo figlio Astilo, il quale l'avrebbe abbandonato ai turpi desideri di Gnatone parassita.

In un racconto e nell' altro i veri padri, quando sen- tono che la storia del ritrovamento si fa strana, minac- ciano i presunti padri, perché dicano la verità. Dafni trova un fratello in Astilo, come Mirtillo in Silvio. Entrambi i racconti finiscono con nozze desiderate e inaspettate.

E a guardare poi bene a dentro, la storia dello smarrimento e del ritrovamento appare ed è, tanto nel romanzo greco come nel dramma italiano, il nòcciolo, per cosi dire, dell' azion principale e la ragion vera della fe- lice risoluzione di esso.

Per queste somiglianze dunque, notevolissime, fra le due narrazioni, parmi che si possa tenere per sicuro che il Guarini doveva aver attinta V idea per la sua storia al Dafni e Cloe; e che per ciò dovea conoscere quel romanzo.

E in questo modo mi sembra anche tolta via la dif- ficoltà ad ammettere la provenienza dell'episodio di Do- rinda dal romanzo greco , poiché mi parrebbe caso sin- golarissimo che le strettissime e palesi somiglianze no- tate fra i due diversi luoghi del Pastor Fido e del Dafni e Cloe fossero soltanto accidentali.

Del resto io non voglio negare che il Guarini si giovasse alcun po' anche dell' Asino d! Oro ; e certo è poi che le narrazioni di travestimenti di tal sorta, come quelle di smarrimenti di bambini ritrovati adulti, si ricollegano a motivi di novellistica popolare che sarebbe curioso e utile ricercare chi ne avesse tempo e opportunità (1). Io non

(1) A proposito di traveslimenli Vedi G. Rua, Noterelle del Mamhriano del Cieco di Ferrara illustrate; Nov. I. Perchè si dice: è fatto il becco all'oca, p. 41, Torino, Loesclier 1888.

MISCELLANEA 493

nego questo, poiché sappia troppo bene quanto sia dif- ficile determinare i vari elementi che han concorso alla constituzione d'un' opera d'arte, e in che misura vi abbian concorso; affermo soltanto, e ciò mi pare d'aver pro- vato, che il Guarini ebbe certissimamente l'occhio e la mente al romanzo degli amori pastorali di Dafni e Cloe per i suoi due racconti, che egli seppe bene rivestire di novelli colori poetici, onde apparvero cosa nuova e fresca e geniale.

Augusto Cesari.

INDICE del Volume III.", Parte 11/

F. Pellegrini: Rime inedite dei secoli XIII e XIV tratte

dai libri dell'Archivio Notarile di Bologna . . . Pag. 113

G. MoNTicoLO: Poesie Latine del principio del Secolo XIV

nel Codice 277 Ex Brera al R. Archivio di Stato

di Venezia » 244

A. Gaudenzi: Guidonis Fabe Summa Dictaniinis (Continua- zione e fine) » 345

R. Sabbadini: Cronologia documentata della vita di Gio- vanni Lamola » 417

F. Gabotto: La Fede di lacobo Sannazaro » 437

Miscellanea.

G. G. Gizzi: Nota Dantesca sulla terzina 31.", Inf. Canto HI,

vv. 91-93 » 304

A. Foresti : Della esatta interpretazione dei versi di Dante

Inf. XXXII, 46-49 » 317

M. Menghini: Antichi Proverbi in Rima » 331

G. Volpi: Per il Bellincioni » 478

A. Cesari : Da chi abbia imparato la Dorinda di B. Gua-

rini a Iravestii-si nel ({uarlo allo del Paslor Fido . » 487

496 INDICE

Bibliografia.

S. MORPURGO: Supplemento alle Opere volgari a stampa dei Secc. XIII e XIV indicate e descritte da Fran- cesco Zambrini Pag. 5

C. e L. Frati: Indice delle carte di Pietro Bilancioni. Contributo alla bibliografia delle rime volgari dei primi tre secoli. (Continua) » 179,394

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